L'individuazione degli atti con forza di legge sindacabili dalla corte
Nella logica dell'art. 134 Cost. l'insieme delle fonti
costituzionalmente rilevanti non coincide affatto con l'intero complesso degli
atti normativi suscettibili di costituire e modificare l'ordinamento giuridico
italiano. Si tratta, al contrario, di una serie chiusa, comprensiva di ben
determinate specie di atti-fonte. Oltre alle leggi statali e regionali nella
serie rientrano unicamente, cioè, gli atti equiparati a questi effetti dalla
costituzione stessa. Per identificare tali atti nel loro intero complesso si
suole rilevare che essi si presentano come fonti primarie. In primo luogo, le
fonti in esame sono tutte subordinate alla costituzione, rispetto alla quale
dev'essere appunto valutata la loro legittimità. Si potrebbe dunque definirle
secondarie, proprio per mettere in luce questa loro funzione peculiare. In
secondo luogo, non va dimenticato che la primarietà può ben contraddistinguere
talune specie di fonti-atto, quali le consuetudini costituzionali o anche i
anche i regolamenti comunitari. Ma è prevalentissimo l'avviso che i fatti
normativi strettamente intesi non possano mai formare oggetto del sindacato di
legittimità costituzionale spettante alla corte. In terzo luogo, per contro,
primari potrebbero considerarsi i regolamenti dell'esecutivo qualora
indipendenti o autonomi, e dunque vertenti in materie non disciplinate dalla
legge. Nello sforzo di precisare meglio le caratteristiche degli atti
impugnabili si è detto che determinante sarebbe la loro "posizione di immediata
subordinazione alla sola costituzione e di sovraordinazione rispetto ad ogni
altra manifestazione normativa della stessa materia". Ma anche quest'ultima
definizione non risponde al vero nella totalità delle ipotesi in esame. In
definitiva, dunque, la determinazione degli "atti aventi forza di legge" agli
effetti del sindacato di legittimità costituzionale, deve anzitutto fondarsi
sulla lettera della costituzione. Per sé decisivo può dirsi il dato testuale
consistente nell'attribuire a certi normativi la "forza" o il "valore di
legge": ed anzi l'espressione valore è quella concettualmente più propria,
trattandosi in tal caso del regime degli atti medesimi, piuttosto che dei loro
rapporti con le altre fonti normative.
Quanto ai decreti legislativi delegati, che essi possiedano "valore di
legge ordinaria" risulta testualmente dal primo comma dell'art. 77 Cost. In
linea di massima s'impongono a tali fini i criteri formali: aventi anzitutto
riguardo alla lettera della legge delegante (dalla quale dovrebbe risultare se
il parlamento abbia inteso conferire una delega legislativa). A volte però
nella giurisprudenza costituzionale emergono criteri sostanziali, con
riferimento alla natura della funzione esercitata, secondo che si tratti di
normazione o di amministrazione di norme attuative. Dubbi del genere non si
pongono, invece, per quelle particolari specie di atti con forza di legge, che
consistono nei decreti legislativi di concessione dell'amnistia e dell'indulto,
ovvero di attuazione degli statuti speciali. In entrambi i casi non sussistono
problemi di individuazione, date le peculiarità degli oggetti spettanti a
queste fonti.
È da gran tempo risolta la questione se il sindacato sugli eccessi di
delega spetti ai giudici comuni oppure alla corte costituzionale. La corte
stessa ha infatti affermato la propria competenza. L'eccesso di delega
determina un'indiretta violazione degli art. 70, 76 e 77. L'appartenenza dei
decreti legge alla categoria degli atti con forza di legge è resa evidente dal
secondo comma dell'art. 77 Cost. Ora, nell'ipotesi che si determini la
decadenza del decreto per mancata o denegata conversione di legge, la giurisprudenza
costituzionale è orientata a dichiarare l'inammissibilità di tali impugnative.
Se, viceversa, il provvedimento in discussione viene tempestivamente convertito
occorre distinguere secondo che i vizi denunciati fossero peculiari di
quell'atto ovvero suscettibili di ripercuotersi sulla rispettiva legge di
conversione. Nel primo caso, la questione diviene nuovamente inammissibile. Nel
secondo caso, se la legge di conversione riproduce tal quali le disposizioni
impugnate, sicché il contenuto di esse resti "inalterato", il giudizio si
trasferisce a carico della legge medesima. Per il fatto stesso di incidere sul
leggi o atti normativi equiparati, anche i referendum abrogativi dovrebbero
inquadrarsi fra gli atti aventi forza di legge. Coerentemente, la corte ha
fatto intendere in varie occasioni che l'effetto abrogativo del referendum
potrebbe generare esiti "non conformi alla costituzione": nel qual caso "la
conseguente situazione normativa" sarebbe però sindacabile dalla corte stessa.
I veri problemi riguardano piuttosto lo spazio spettante al successivo giudizio
di costituzionalità. Si è risposto in dottrina che residuerebbero svariate
ipotesi di vizi del procedimento referendario.
Più in generale, è stato sostenuto che nel novero delle fonti equiparabili
alla legge ricadrebbero tutti gli atti normativi abilitati "a sostituirsi.nella
disciplina di determinate materie, ad essi riservate, alla stessa legge
formale". Sulla base di questa interpretazione dell'art Cost., dovrebbero dirsi
assoggettati agli appositi giudizi di legittimità i regolamenti degli organi
costituzionali. Si è visto, però, che la corte ha recentemente risolto il
problema nel senso negativo. E la conclusione accolta per la disciplina
regolamentare delle camere dovrebbe valere in ordine agli stessi regolamenti
"presidenziali" e per quelli adottati dalla corte costituzionale. Quanto agli
atti con forza di legge delle regioni è ormai un punto fermo che gli esecutivi
regionali non possono adottare né decreti-legge né decreti legislativi delegati.
Ma questo non toglie che gli atti così qualificati si prestino ad essere
sindacati ed annullati dalla corte costituzionale. Viceversa, la corte ha
finito per escludere la propria competenza a sindacare i regolamenti "interni"
dei consigli regionali. I soli esempi di atti con forza di legge regionale,
rientranti fra le attribuzioni dell'ente regioni, rimangono quindi costituiti
dai referendum abrogativi delle leggi stesse e dagli atti improrogabili
spettanti alle commissioni.