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L'estinzione del rapporto di lavoro
Il rapporto di lavoro a tempo determinato si estingue con la scadenza del termine o con il compimento del lavoro prestabilito; il rapporto di lavoro sia a tempo determinato, sia a tempo indeterminato, può cessare:
Le dimissioni sono libere e non vi sono particolari obblighi a carico del lavoratore, se non quello di dare preavviso al datore di lavoro, affinché possa sostituirlo tempestivamente; tale obbligo, però, non sussiste in presenza di una giusta causa di recesso. A tal proposito, l'art. 2118 c.c. prevede che: "ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte ad un'indennità equivalente all'importo della retribuzione, che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro, nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro". Quest'ultima indennità è dovuta al fatto che, sia in caso di dimissioni, sia in caso di licenziamento, l'interruzione del rapporto di lavoro può causare danni più o meno gravi alla controparte. Una difficile questione che ha visto discordanti dottrina e giurisprudenza è quella relativa alla natura reale o obbligatoria del preavviso. Questa, cioè, può essere considerato termine legale sospensivo dell'efficacia nel negozio di recesso o, viceversa, il recesso, se senza preavviso, può essere ritenuto immediatamente efficace, configurandosi con il pagamento della conseguente indennità.
La disciplina generale del licenziamento, nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato è contenuta in una serie di fonti legislative, succedutesi nel temo. La prima di esse è la legge n. 604/'66, per i licenziamenti nell'industria, invece, fu introdotta una disciplina, derivante dagli accordi interconfederali del '47 del '50 e, infine, del '65 (che introdusse la tutela obbligatoria). Dopo tali accordi, è intervenuto l'art. 18 SDL (che introdusse la tutela reale). Con la legge n. 108/'90 venne ridefinito il campo di applicazione della tutela reale ed obbligatoria. Il datore di lavoro può recedere dal contratto solo: per giusta causa, per giustificato motivo o con recesso ad nutum.
Si ricordino, poi, le ipotesi di limitazione temporale del licenziamento cioè periodi di conservazione del posto di lavoro, nonostante l'impossibilità temporanea della prestazione. Dopo i periodi previsti dalla legge o dai contratti di lavoro, i lavoratori potranno essere licenziati, solo per giusta causa: lavoratrici madri, infortunio o malattia, chiamata o richiamo alle armi e di chi gode di speciali congedi per motivi di cura familiare o di formazione. L'eventuale licenziamento, privo di giusta causa, avvenuto in tali periodi, purché formalmente e sostanzialmente validi, è "efficace", ma solo alla scadenza dei termini stabiliti. Solo nel caso di: lavoratrici madri (o lavoratori padri), chi gode di motivi di cura familiare o di formazione, o il licenziamento per fini discriminatori o per causa di matrimonio, il licenziamento è "nullo". Per cause di matrimonio, nel caso in cui il tratto di lavoro presenti le cosiddette "clausole di nubilato" che prevedono la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici, in conseguenza del loro matrimonio. Il matrimonio sarà nullo dal giorno della pubblicazione ad un anno dopo la collaborazione del matrimonio. Sarà, invece, "inefficiente" quel licenziamento eseguito contro l'osservanza degli adempimenti formali, previsti dalla legge n. 604. Esso infatti, va comunicato al lavoratore in forma scritta ove essa non sia stata effettuata, il lavoratore può richiederli, entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento e, in tal caso, l'imprenditore deve farne conoscere i motivi, entro 7 giorni dalla richiesta. La legge ha, in più, stabilito che la "prova" della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo del licenziamento, incombe su entrambe le parti: il datore dovrà provare i fatti che giustificano l'esercizio del proprio potere vincolato di recesso; il lavoratore licenziato, invece, sarà tenuto a provare i fatti costituitivi del proprio diritto alla stabilità, e dunque, alla tutela reale o obbligatoria. Il licenziamento può essere impugnato anche a mezzo di una semplice comunicazione scritta, fatta pervenire al datore di lavoro entro un termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento. I rimedi contro il negozio di licenziamento illegittimo, operano in ragione delle diverse dimensioni aziendali, per cui è possibile applicare la tutela o reale o obbligatoria.
La tutela reale, in base all'art. 18 SDL, consiste nell'obbligo del datore e nel correlativo diritto del prestatore alla reintegrazione nel posto di lavoro, nel caso di licenziamento illegittimo. Si applica nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che occupano più di 15 dipendenti nell'unità produttiva, nella quale è occupato il lavoratore licenziato o nell'ambito dello stesso Comune e, in ogni caso, ai datori di lavoro che abbiano globalmente alle loro dipendenze più di 60 lavoratori. Nel computo dei dipendenti dovrà tenersi conto dei giovani assunti con contratto di formazione e lavoratori a tempo parziale; non vengono, invece, computati il coniuge ed i parenti entro il 2° grado del datore di lavoro e i lavoratori con contratto di apprendistato. Oltre alla reintegrazione, il datore di lavoro, è condannato anche al reinserimento del danno subito dal lavoratore, a causa del licenziamento. Il datore dovrà "invitare" il lavoratore a riprendere servizio (per evitare la mora credendi), mentre il lavoratore dovrà, a sua volta, ottemperare, entro 30 giorni, decorsi i quali, il rapporto s'intenderà risolto per dimissioni. L'indennità ha una natura plurifunzionale, non solo risarcitoria del danno subito dal lavoratore, ma anche punitiva dell'inadempimento dell'obbligazione reintegrativa. In aggiunta all'indennità, in ogni caso la legge impone anche il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, relativi al periodo intercorrente tra licenziamento e reintegrazione. Per tutto il periodo di estromissione dal posto di lavoro, il lavoratore reintegrato può risolvere il rapporto e pretendere dal datore in alternativa alla reintegrazione effettiva, il versamento di un'indennità pari a 15 mensilità di retribuzione.
La tutela obbligatoria consiste nella facoltà del datore di lavoro, di scegliere l'alternativa tra riassunzione e il pagamento di un penale: ciò è previsto nel caso di illegittimità del licenziamento, derivante dalla sua mancata giustificazione. Il datore è, comunque, obbligato a giustificare il licenziamento e, in mancanza di ciò, è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro, entro 3 giorni o, in alternativa, a risarcire un'indennità penale di natura risarcitoria (del danno conseguente al licenziamento illegittimo) e sanzionatorio (dell'inadempimento alla riassunzione). Per definire l'indennità, occorrerà tener conto del numero dei dipendenti e delle condizioni e comportamento delle parti. Il licenziamento, privo di giusta causa o giustificato motivo, cioè illegittimo, in tale ambito non è annullabile: l'effetto di estinguere il rapporto di lavoro è comunque realizzato, salvo che, con un nuovo atto negoziale, il datore di lavoro "riassuma" il lavoratore. Con la legge n. 108/'90 è stato introdotto, poi, nell'ambito della tutela obbligatoria, un tentativo obbligatorio di conciliazione, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale di accertamento dell'illegittimità del licenziamento. Le organizzazioni di tendenza sono quelle che perseguono fini ideologici, rispetto alle quali si è sostenuta l'insindacabilità del licenziamento del dipendente quando esso sia originato da motivi riguardanti gli scopi dell'organizzazione e l'attività del lavoratore sia direttamente collegata al loro perseguimento.
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