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Le trasformazioni costituzionali del regime fascista




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Le trasformazioni costituzionali del regime fascista


Nella prima fase, che perdura dal 28 ottobre del 1922 sin quasi alla fine del 1925, chi si limita a prendere in esame le norme vigenti sul piano dell'organizzazione costituzionale non riscontra alcuna alterazione decisiva; cosicché la forma di governo può considerarsi ancora parlamentare o pseudoparlamentare. Sotto il profilo politico, una seconda fase si apre di già con il fondamentale discorso pronunciato da Mussolini il 3 gennaio 1925; ma se dal punto di vista costituzionalistico nulla di determinante si verifica fino all'approvazione delle leggi 24 dicembre 1925 e 31 gennaio 1926: in virtù delle quali la forma di governo comincia a dimostrarsi caratterizzata da una nettissima supremazia del potere esecutivo.


Un ulteriore depotenziamento del legislativo è determinato dalla legge n. 100 del 1926, che non soltanto conferma l'ammissibilità delle deleghe legislative dal Parlamento al Governo ma consente al governo di assumere direttamente la potestà legislativa nella forma dei decreti legge che per il passato rimangono in vigore quand'anche non siano convertiti in leggi nel termine di due anni dalla loro pubblicazione.


Una volta estromesso il Parlamento dalla scena politica, il sistema vigente in Italia poteva essere visto come una diarchia: nella quale il potere di indirizzo veniva esercitato dal Capo del Governo, mentre il re rimaneva formalmente al vertice dell'apparato statale, non solo in qualità di capo dello stato, ma in quanto abilitato a revocare e sostituire il capo del governo in carica. In una fase di poco successiva la forma diarchia viene per altro complicata dall'inserimento di un terzo organo costituzionale, consistente nel Gran consiglio del fascismo. Questo collegio funzionava si dal '22 come organo del partito nazionale fascista; ma una serie di leggi lo trasforma a vari effetti in un organo statale di governo.


La fase corporativa inizia appena nel 1930, con l'istituzione di un governo di vertice, formato per opera del Capo di governo, che assume la denominazione di consiglio nazionale delle corporazioni. Quanto invece alle singole corporazioni, destinate a rappresentare l'organizzazione unitaria delle forze della produzione in ciascun settore dell'attività produttiva, esse vengono create solamente nel 1934; e nascono praticamente morte, giacché il pletorico apparato corporativo finisce per produrre un numero estremamente esiguo di "ordinanze" e di "accordi economici collettivi", del tutto sproporzionato rispetto agli iniziali propositi del regime. Non a caso, la fase in questione si conclude con la formazione di un ulteriore organo di vertice, nominato dall'alto anziché venire eletto dagli interessati, che prende il nome di Camera dei fasci e delle corporazioni subentrando alla camera dei deputati. A questo punto si può dire che anche sul piano giuridico il regime fascista presenta caratteristiche quanto mai autoritarie. Assommando ormai ufficialmente le qualifiche di Capo del Governo e di "Duce del fascismo", Mussolini dispone non solo della camera dei fasci e delle corporazioni, ma anche del senato, nonché delle più alte cariche del partito nazionale fascista. E nella fase bellica le necessità della guerra concorrono al rafforzamento del potere personale del Duce. Diversamente però dal nazismo, il fascismo non si risolve mai in una dittatura, nel senso più stretto e preciso del termine. A fianco del Capo di Governo continuano a sussistere gli altri due organi costituzionali del sistema.


L'ordinamento costituzionale transitorio dopo il 25 luglio del '43: la repubblica sociale italiana ed il regno del sud (pagina 91)


Una serie di azioni intervennero per decretare l'interruzione della continuità complessiva dello stato italiano:


a)    Una frattura ben più grave si produsse invece in conseguenza dell'armistizio dell'8 settembre del '43, allorché in Italia si costituirono due governi contrapposti e configgenti: quello monarchico, retto da Vittorio Emanuele III e da Badoglio, denominato Regno del Sud e quello organizzato nel nord del Paese con a capo Mussolini che assunse ufficialmente il nome di Repubblica sociale italiana. Al pari del Regno del Sud anche la Repubblica Sociale si considerava come la legittima continuatrice del previo ordinamento statuario-fascista. Alcuni costituzionalisti affermano che la R.S.I non avrebbe costituito nulla più di uno stato fantoccio, creato ed utilizzato in funzione dell'occupazione tedesca sul centro-nord Italia; altri sostengono invece che si sarebbe trattato di un governo dotato d'una qualche effettività, pur non essendo riuscito a dar vita ad uno Stato; altri ancora lo equiparano senz'altro ad uno Stato nuovo, sebbene dotato di un'effimera esistenza. Non per questo però si deve concludere che tale Repubblica sia riuscita a porsi come un nuovo Stato. Da un lato essa mancava della stabilità che contraddistingue gli ordinamenti statali, dall'altro essa non pervenne mai a far coincidere il proprio ambito spaziale d'efficacia con l'intero territorio italiano.


b)    Nel corso del suo progressivo ristendersi su tutto il Paese, anche il regno del sud subisce per altro una serie di vicende, che ne alterano ulteriormente la costituzione materiale. Sicché il periodo dev'essere a sua volta suddiviso in varie fasi: quella del governo Badoglio, che si protrae fino al momento della liberazione di Roma; quella luogotenenziale, che perdura dal 5 giugno 1944 al 9 maggio 1946; quella brevissima del "Regno di maggio", nel corso della quale il Luogotenente assume il titolo di Umberto II; e quella conclusiva dell'assemblea costituente, che abbraccia il periodo 2 giugno 1946- 18 aprile 1948.


Subito dopo la caduta del fascismo, la Corona ed il Governo Badoglio perseguono l'intento di un "ritorno allo Statuto", ma con riferimento al regime monarchico parlamentare che s'era affermato in Italia sino alla "marcia su Roma". Ed è appunto con lo scopo di una restaurazione della normalità interrotta dal fascismo, cui non si accompagna la previsione di alcuna riforma costituzionale, che il governo Badoglio si adopera negli ultimi mesi del '43. Ma il tentativo si scontra ben presto con l'opposizione dei partiti antifascisti che non intendevano collaborare con Vittorio Emanuele III ma anzi ne chiedevano l'abdicazione. A quel punto non soltanto la persona del Re ma anche del Regno stesso venivano messi in discussione, giacché il primo articolo del decreto n. 151 statuiva che, dopo la liberazione di tutto il territorio nazionale, la forma istituzionale, monarchica o repubblicana, sarebbe stata scelta dal popolo italiano mediante l'elezione a suffragio universale di un'apposita assemblea Costituente. Oltre a tutto questo fu modificata anche la forma degli atti legislativi del Governo. Fino a quel momento infatti, l'esecutivo aveva legiferato per mezzo di decreti-legge; dopo il 25 giugno del '44 invece, "i provvedimenti aventi forza di legge" per mezzo di decreti legislativi luogotenenziali: le quali ravvisavano nei decreti stessi una forma di legislazione extra ordinem, diversa nel nome ma non nella sostanza dai decreti legge del Governo Badoglio.


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