I
licenziamenti collettivi
I licenziamenti collettivi sono attuati per la riduzione del personale
o anche per la trasformazione dell'attività produttiva. A differenza di quella
del 1950 e del 1965, la disciplina del 1966
aveva escluso la materia dei licenziamenti collettivi (per riduzione del
personale) dalla disciplina limitativa di quelli individuali. Di conseguenza,
all'accresciuta tutela del singolo nella conservazione del posto di lavoro, non
era corrisposto un parallelo accrescimento della tutela dell'interesse
collettivo alla conservazione dei livelli occupazionali. Per lungo tempo,
l'assenza di una specifica disciplina legislativa in materia di licenziamenti
collettivi ha così attribuito alla giurisprudenza
il compito di precisare da un lato la nozione stessa del licenziamento e
dall'altro le forme di tutela eventualmente riconoscibili al singolo
lavoratore sulla base degli accordi
interconfederali e dei contratti collettivi, ove esistenti. Solo nel 1991 il vuoto legislativo è stato
colmato con l'emanazione, mediante la Legge
n. 223, di una disciplina sui licenziamenti collettivi, che ha inteso dare
attuazione ad una direttiva europea n.
129/'75, la quale dettava una specifica regolamentazione dei contratti
collettivi. Tale Direttiva, anche se più volte modificata negli anni seguenti,
affermava che s'intende per licenziamento collettivo "ogni licenziamento
intimato per motivi non inerenti la persona del lavoratore". L'imprenditore
doveva comunicare in tempo ogni progetto di licenziamento collettivo alla
pubblica autorità competente ed ai rappresentanti dei lavoratori, i quali
potevano presentare osservazioni all'autorità competente. I licenziamenti non
erano efficaci per un periodo di nemmeno 30 giorni dalla comunicazione del
progetto, periodo in cui l'autorità pubblica competente doveva cercare
soluzioni ai problemi posti dai licenziamenti stessi. La Legge n. 223 ha delineato due
differenti procedure relative al
trattamento delle eccedenze di personale nelle imprese, distinguendo nettamente
l'ipotesi in cui esse si manifestano nel corso di un processo di trasformazione
o di crisi aziendale per il quale sia stato concesso l'intervento straordinario
della CIGS dalle altre in cui l'imprenditore adotti la decisione di procedere
alla riduzione di personale senza tale intervento. Nel primo caso,
l'espressione legislativa è quella di procedura di mobilità dei lavoratori; nel
secondo caso, invece, è quella di licenziamento collettivo per riduzione del
personale. L'istituto della mobilità
disciplina la possibilità di risolvere il rapporto di lavoro dei dipendenti che
sono eccedenti, rispetto alle esigenze dell'impresa per l'ipotesi in cui, per
via dell'eccedenza definitiva di personale manifestata durante l'attuazione di
un programma di risanamento dell'impresa e per via della quale l'impresa sia
ammessa al trattamento d'integrazione straordinaria, l'imprenditore ritenga di
non poter garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi o il ricorso a
misure alternative (contratti di solidarietà o forme di utilizzazione
flessibile del tempo di lavoro, come comando o distacco), egli può attivare la
procedura di mobilità. Nel caso, invece, l'azienda non sia stata ammessa alla CIGS,
il datore per il problema dell'eccedenza di personale, potrà ricorrere al
licenziamento collettivo per riduzione del personale. L'obbligo dell'impresa è di informazione
immediata dei sindacati e la pubblica autorità al fine di procedure ad una
consultazione sindacale conciliativa. Quindi bisogna comunicare la situazione
di difficoltà, prima alle r.s.a. ed i rispettivi sindacati di categoria. Se
entro un certo periodo di tempo non sia stato raggiunto alcun accordo, per
risolvere la situazione, il Direttore dell'ufficio provinciale del Lavoro
tenterà una mediazione tra le parti. Esaurita la procedura, l'imprenditore
potrà procedere al collocamento in mobilità e, quindi, alla risoluzione del
rapporto con i lavoratori eccedenti. La legge, per l'individuazione dei
lavoratori da collocare in mobilità, ha dettato i criteri per la loro scelta da tener presente, se manca un accordo
sindacale, alla questione: tali criteri sono dati dai carichi di famiglia,
dall'anzianità e dalle esigenza tecnico-produttive ed organizzative. Per il
licenziamento dei lavoratori così individuati, è imposta la comunicazione
individuale in forma scritta, nonché l'obbligo di preavviso pena l'inefficacia.
I lavoratori collocati in mobilità, i quali possono far valere un'anzianità
aziendale di almeno 12 mesi, hanno diritto ad un'indennità cosiddetta di
mobilità, per un periodo massimo di 12 mesi (elevabile a 24 mesi per i
lavoratori che hanno 40 anni e a 36 mesi per coloro che hanno 50 anni). La
misura è pari, per i primi 12 mesi, a quella del trattamento d'integrazione
salariale goduto prima del licenziamento: nei mesi successivi si riduce all'80%
dello stesso trattamento. La legge s'impegna, oltre al trattamento economico
previsto da garantire, altresì di promuovere il loro reinserimento nel mondo del lavoro. A tal fine i nominativi dei
lavoratori collocati in mobilità sono riportati in una lista tenuta
dall'ufficio regionale del lavoro che ha il compito di assumere ogni iniziativa
rivolta a favorire il reimpiego dei lavoratori iscritti nella lista. Infatti,
l'occupazione di questi lavoratori è fortemente incentivata attraverso la
previsione di una serie di agevolazioni di vario tipo, a favore delle imprese
che li assumono (ad es. il diritto ad un contributo del 50% dell'indennità di
mobilità che sarebbe spettata al lavoratore). La cancellazione dalle liste per il lavoratore avviene in diverse
ipotesi: A) se vi è assunzione del lavoratore, cioè se vi è occupazione per il
lavoratore in mobilità; B) per decorrenza del periodo massimo di godimento
dell'indennità; C) come sanzione (nel caso in cui il lavoratore rifiuti di
partecipare ai corsi di formazione o di prestare lavoro in opere o servizi di
pubblica utilità). L'imprenditore che rientra nel campo d'applicazione della
CIGS, pur in presenza di una situazione di crisi che potrebbe dar luogo
all'intervento straordinario della CIG, non ha alcun obbligo di ricorrere
preventivamente ad esso, potendo decidere di procedere immediatamente ad una
riduzione di personale. D'altronde l'imprenditore potrebbe essere spinto ad una
riduzione del personale, non solo nel corso di una crisi, ma anche nel caso di
trasformazione dell'attività produttiva; o nel caso di un'impresa che presenta
esuberi di personale non rientra nel campo d'applicazione della normativa sulla
CIG. La Legge 223 ha dettato una specifica disciplina in materia, la quale
individua innanzitutto la nozione di licenziamento collettivo e, quindi,
stabilisce le regole procedurali. È licenziamento
collettivo quello dell'impresa con più di 15 dipendenti, che intende
licenziare almeno 5 lavoratori in una o più unità produttive nell'ambito di una
stessa provincia in un arco temporale di 120 giorni. Al licenziamento
collettivo si applicano tutte le disposizioni dettate per il collocamento in mobilità
dei lavoratori. L'imprenditore è, quindi, tenuto al rispetto della procedura e
degli adempimenti amministrativi previsti oltre che al rispetto del preavviso,
dei vincoli formali, cioè è uguale al regime del licenziamento individuale.
Anche per i lavoratori destinati ad un licenziamento collettivo, vi è
riconoscimento del diritto all'indennità di mobilità ed all'iscrizione nelle
liste di mobilità, alle stesse condizioni previste per il collocamento in
mobilità. Dunque, il presupposto del licenziamento collettivo per riduzione di
personale è "una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro".
L'imprenditore non ha comunque, alcun obbligo di giustificare il licenziamento,
ma solo quello di consultare i sindacati e di esperire un tentativo di conciliazione.
Secondo la gran parte della giurisprudenza, però, dovrebbe esserci la
possibilità del controllo giudiziale sui presupposti causali, nonché sul nesso
di causalità che ne deriva, in mancanza del quale ci si troverebbe, invece, in
una somma di licenziamenti individuali. Negli ultimi anni, poi, il legislatore
ha frequentemente emanato provvedimenti rivolti o a prorogare la durata
dell'iscrizione nelle liste, e soprattutto della corresponsione dell'indennità
di mobilità [si è trattato di interventi destinati a lavoratori anziani, di
difficile ricollocazione nel mercato del lavoro che, attraverso il
prolungamento del diritto o percepire l'indennità (cosiddetta mobilità lunga), sono stati
accompagnati fino al compimento dell'età pensionabile] o ad estendere la
relativa disciplina ad ambiti esclusi dal suo ordinario campo di applicazione.
Tra questi provvedimenti va sottolineato, in particolare, l'importanza della
mobilità lunga che ha svolto la funzione di surrogato dei cosiddetti propensionamenti, cioè anticipazioni
delle pensioni di vecchiaia, al fine di far fronte ad eccedenze definitive di
personale, collegate a situazioni di crisi di interi settori produttivi. Si
basavano su un aggravo finanziario per gli enti previdenziali. I lavori socialmente utili (LSU) sono,
cioè, attività di utilità sociale, solitamente svolte nell'ambito di progetti
predisposti da soggetti privati e pubblici ed alle quali sono destinati i
lavoratori percettori di trattamenti previdenziali ed assistenziali a carico
dello Stato. Dal 1977, possono esserne coinvolti, però, anche i disoccupati che
non percepiscono trattamenti previdenziali. È un rapporto di lavoro che non
rientra né nello schema legale dell'art. 2094 c.c. né in quello dei rapporti
speciali. Per cui non può applicarsi neanche la normativa costituzionale,
relativa al diritto di retribuzione proporzionata e sufficiente. A partire dal
2000, la nuova disciplina ha portato alla progressiva scomparsa di tali lavori.