Le ordinanze di rimessione; la rilevanza e la non manifesta
infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale
Sulle istanza di parte il giudice a quo provvede mediante ordinanza.
Qualora l'autorità giurisdizionale competente aderisca a tali eccezioni di
legittimità, il provvedimento assume le particolari caratteristiche
dell'ordinanza di rimessione. Si tratta comunque di un'ordinanza e non di una
sentenza perché, in queste ipotesi, il giudizio in corso non viene definito ma
anzi subisce una necessaria sospensione. Sempre a pena d'inammissibilità,
occorre che il giudice a quo determini anzitutto il c.d. thema decidendum: cioè
provveda a indicare l'oggetto dell'impugnativa. La legge n. 87 ragiona in tal
senso di disposizioni; ma in vari casi l'esatta definizione dei termini
dell'impugnativa richiede che il giudice a quo indichi nell'ordinanza di
rimessione anche le norme reputate illegittime. Secondo una terminologia
ricorrente si suole dire chi giudice a quo deve in tal modo precisare il
pentitum, cioè la "domanda" che egli rivolge all'organo della giustizia
costituzionale. A prescindere dalla questioni terminologiche, certo è che
l'autorità rimettente deve motivare la propria ordinanza, chiarendo in qual
senso sussistano i due requisiti delle questioni incidentali di legittimità
costituzionale: quello attinente alla loro rilevanza e quello consistente nella
non manifesta infondatezza. Di più: la recente giurisprudenza costituzionale è
divenuta così rigorosa sul punto, da escludere che la motivazione possa mai
farsi per relationem. Dei due requisiti predetti, di gran lunga più discusso e
problematico è quello concernente la cosiddetta rilevanza. Ma la tesi ormai
dominante è invece nel senso che la legge n. 87, prescrivendo che "il giudizio
non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione
di legittimità" abbia corrisposto alla logica del processo costituzionale
incidentale. Più precisamente, occorre che la questione sollevata attenga ad
una delle discipline legislative, poco importa se processuali o sostanziali,
applicabili nel giudizio a quo. Si è notato che l'impugnativa incidentale è
necessariamente concreta. E sul medesimo piano si è precisato che la rilevanza
riguarda pertanto la norma investita dall'impugnativa. Le questioni di
legittimità prospettante invia incidentale debbono essere dunque caratterizzate
dalla loro pregiudizialità nei confronti del giudizio di origine. Da un lato,
perciò, si rende indispensabile che il giudizio stesso risulti ancora incorso;
d'altro lato sarebbe viceversa necessario che la questione di legittimità fosse
attuale quando il giudice a quo dovesse ancora risolvere altre questioni
attinenti al suo giudizio. Ma quest'ultima esigenza non viene fatta valere
rigorosamente. Certo è che la rilevanza dev'essere valutata "allo stato degli
atti", senza escludere che il nesso di strumentalità possa venire meno nel
seguito del giudizio a quo. È ben vero che la pregiudizialità delle questioni
di legittimità costituzionale implica una qualche influenza delle rispettive
decisioni sul giudizio a quo. Ma una tale esigenza non va enfatizzata fino al
punto di pretendere che l'esito concreto del processo principale debba essere
sempre legato alle pronunce incidentali della corte. Se così fosse le norme
penali di favore non potrebbero mai essere impugnate quand'anche annullate
dalla corte stessa, dato il principio del favo rei sancito dall'art. 2 Cod.
pen. La rilevanza delle impugnazioni concernenti norme penali di favore
discende dal puro e semplice fatto che il loro annullamento modifica comunque
la ratio decidendi del giudice. Resta da vedere quali siano i rimedi
utilizzabili dalla corte, qualora il giudice a quo disattenda l'uno o l'altro
imperativo desumibile sul punto dalla legge n. 87. La giurisprudenza costituzionale
è ormai costante nell'esigere che la rilevanza venga motivata dall'autorità
giurisdizionale rimettente e che la motivazione sia congrua e non
contraddittoria. Più delicato è il problema se la corte possa mai riesaminare
la rilevanza che il giudice rimettente abbia invece argomentato. Nella più
parte dei casi l'organo della giustizia costituzionale si arresta ma non
mancano eccezioni, che vedono la corte rivalutare autonomamente la rilevanza.
Tutte le volte che la corte dubita della rilevanza ma non vuole approfondire il
suo giudizio, lo strumento adeguato consiste in un'ordinanza di restituzione
degli atti. Rinviando gli atti stessi al giudice a quo, perché riesamini la
rilevanza dell'impugnativa già proposta. Delle ordinanza di restituzione la
corte fa un uso sistematico specialmente nelle ipotesi di jus superveniens:
vale a dire, quando la disciplina contestata dall'impugnazione incidentale sia
totalmente od anche parzialmente novellata dal legislatore. Nel valutare la non
manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale per esse
rilevanti, le comuni autorità giurisdizionali non dovrebbero anticipare i
giudizi riservati alla corte, bensì limitarsi a verificare che il fumus boni
juris delle questioni medesime, o meglio ad accertare se in proposito sussista
i meno un ragionevole dubbio; il che viene spesso smentito dalla prassi, nella
quale i giudici tendono senz'altro a deliberare la fondatezza delle eccezioni
di parte. Ciò sta a significare che le impugnative incidentali debbono superare
un filtro, mediante il quale ogni giudice è in grado di bloccare le questioni
che egli ritenga pretestuose o comunque in contrasto con i precedenti fissati
dalla stessa giurisprudenze costituzionale. Qualora il giudice operante in un
certo grado del giudizio respinga per manifesta infondatezza l'eccezione di
parte, questa "può essere riproposta all'inizio di ogni grado ulteriore del
processo". Ma la dizione legislativa non persuade interamente: la circostanza
che le questioni di legittimità costituzionale possano anche venire sollevate
d'ufficio finisce, infatti, per ridurre "a mera apparenza" quella delimitazione
temporale, consentendo che l'impugnazione si abbia in qualunque momento
precedente la conclusione del giudizio.