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LE FONTI
L'art. 23 Cost. dispone che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Al principio espresso nell'art. 23 la dottrina tradizionale e la giurisprudenza costituzionale attribuiscono la funzione di tutelare la libertà e la proprietà dei singoli nei confronti del potere esecutivo. I problemi posti dall'art. 23 sono essenzialmente tre:
Nozione di legge;
Nozione di base legislativa;
Nozione di prestazione imposta.
Il termine legge è assunto nell'art. 23 per indicare non soltanto la legge statale ordinaria ma anche gli atti aventi forza di legge e cioè i decreti-legge e i decreti legislativi. Anche le leggi regionali soddisfano il precetto dell'art. 23. La riserva di legge non impedisce che in materia tributaria possano esservi fonti comunitarie. Il problema di conciliare le norme comunitarie in materia tributaria con la riserva di legge nazionale posta dall'art. 23 riguarda in particolare i regolamenti comunitari che sono direttamente applicabili. La Corte costituzionale ha affermato che con l'adesione al trattato CE l'Italia ha operato una limitazione della propria sovranità pienamente legittimata dall'art. 111 Cost. il che comporta una deroga alle norme costituzionali sia in materia di potestà legislativa che in materia di riserva di legge.
Le riserve di legge sono assolute se la disciplina di una determinata materia è rimessa solamente alla legge; sono invece relative se la legge può limitarsi a disciplinare le linee fondamentali della materia, rimettendone il completamento a norme di rango non legislativo. La riserva dell'art. 23 è una riserva relativa. È richiesta infatti soltanto una base legislativa. Ciò significa che non è necessario che la prestazione imposta sia regolata interamente dalla legge ma la legge deve avere un contenuto minimo al di sotto del quale la riserva non è rispettata. Oggetto della riserva di legge sono solo le norme impositrici, le norme cioè che definiscono i soggetti passivi, l'an e il quantum del tributo. Sono oggetto di riserva di legge anche le norme che dispongono esenzioni o agevolazioni. L'art. 23 non riguarda perciò le norme sull'accertamento e la riscossione.
L'art. 23 concerne le prestazioni personali e patrimoniali imposte. La categoria delle prestazioni patrimoniali imposte è più ampia del concetto di tributo. Vi sono prestazioni imposte in senso formale vale a dire imposte con un atto autoritativo i cui effetti sono indipendenti dalla volontà del soggetto passivo. La Corte ha ritenuto che l'art. 23 si applica anche alle imposizioni in senso sostanziale, ossia a prestazioni di natura non tributaria e aventi funzione di corrispettivo quando per i caratteri e il regime giuridico dell'attività resa sia pure su richiesta del privato appare prevalente l'elemento dell'imposizione. Una prestazione è imposta nei casi in cui una obbligazione pur nascendo da un contratto costituisca corrispettivo di un servizio pubblico che soddisfi un bisogno essenziale e sia reso in regime di monopolio. In definitiva la Corte considera compresi nell'art. 23 non solo i tributi ma anche i corrispettivi di fonte contrattuale in tutti i casi in cui via siano dei profili autoritativi nella disciplina delle contrapposte prestazioni ed in particolare quando il corrispettivo è fissato unilateralmente ed al privato è rimessa solo la libertà di richiedere o meno la prestazione.
Fonti del diritto tributario sono principalmente le leggi e gli altri atti aventi valore di legge. Importanti disposizioni in materia di leggi tributarie sono contenute nello Statuto dei diritti del contribuente, si tratta di disposizioni di varia natura e contenuto, ma tutte qualificate come principi generali dell'ordinamento tributario che possono essere derogate o modificate solo espressamente. In materia di fonti nello Statuto vi sono 4 importanti enunciati:
L'autoqualificazione delle disposizione dello statuto come attuative della Costituzione;
Il valore di tali norme come principi generali d3ell'ordinamento tributario;
Il divieto di deroga o modifica delle norme dello Statuto in modo tacito;
Il divieto di deroga o modifica attraverso leggi speciali.
Lo Statuto si pone come una legge tributaria generale. È comunque una legge ordinaria e quindi le sue norme non invalidano le leggi che non le rispettano.
La funzione legislativa spetta la Parlamento ma il Governo può emanare decreti con forza di legge, ossia decreti-legge e decreti legislativi.
I decreti-legge sono provvedimenti provvisori con forza di legge che possono essere adottati dal Governo in casi straordinari di necessità ed urgenza. I decreti legge hanno efficacia dal giorno della pubblicazione e perdono efficacia se non sono convertiti in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione. Del decreto legge vi è un uso frequente in materia tributaria. Le ragioni dell'uso sono tante: ad esempio se si istituisce o si aumenta un tributo sui consumi è necessario un provvedimento celere non preannunciato per evitare l'accaparramento dei generi colpiti. Sino al 1996 il Governo usava abitualmente l'emanazione dei decreti legge per ovviare con tale strumento alla lungaggine delle procedure parlamentari. Sovente i decreti legge non erano convertiti ed il Governo li reiterava; la Corte costituzionale ha però censurato tale prassi. Da allora è divenuto più frequente il ricorso alla legge delega.
Secondo l'art. 76 Cost. il Parlamento può delegare al Governo l'esercizio della funzione legislativa con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definitivi. Il ricorso frequente in materia tributaria della legge delega deriva dalla circostanza che le norme tributarie mal si prestano ad essere elaborate e discusse in sede parlamentare a causa del loro elevato contenuto tecnicismo. La riforma tributaria del 1971 è stata attuata appunto con una legge delega cui sono seguiti numerosi decreti delegati.
Il testo unico non è un tipo di fonte ma un testo normativo caratterizzato da un particolare contenuto ossia la riunificazione di norme contenute in più testi. La legge delega del 1971 per la riforma tributaria aveva attribuito al Governo il potere di emanare: decreti legislativi per l'attuazione della riforma; decreti legislativi con disposizioni integrative e correttive; infine, testi unici, contenenti le norme della riforma e le norme previgenti rimaste in vigore con la possibilità di apportare le modifiche necessarie per il coordinamento delle diverse disposizioni e per eliminare ogni contrasto con i principi e criteri direttivi delle delega.
La produzione di norme astratte e generali può essere compiuta anche dal Governo e da altre autorità amministrative con atti regolamentari. Tali atti sono subordinati alle leggi, quindi non possono essere in contrasto con norme di legge; se sono contrari alla legge sono illegittimi e possono essere annullati dal giudice amministrativo e disapplicati dagli altri giudici. I regolamenti non sono oggetto di giudizio di costituzionalità; se contrari a norme costituzionali sono annullati o disapplicati come nel caso in cui sono contrari alla legge. La potestà regolamentare non è disciplinata dalla Costituzione ma da una legge ordinaria e cioè dalla L. 400/1988. Nel comma 1 dell'art. 17 di tale legge sono innanzitutto disciplinati i regolamenti governativi che sono deliberati dal Consiglio dei Ministri dopo aver sentito il parere del Consiglio di stato; dopo essere stati sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica e pubblicati nella Gazzetta ufficiale. Il comma 2 dell'art. 17 contempla i regolamenti delegati attraverso i quali trova attuazione il fenomeno della c.d. delegificazione. Secondo tale disposizione il Governo è titolare di una potestà esercitabile previa autorizzazione legislativa nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge per le quali le leggi determinano le norme generali regolatrici delle materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari. Dato che il diritto tributario è oggetto di una riserva relativa di legge, possono aversi in tale materia:
Regolamenti esecutivi che possono essere emessi anche in assenza di apposita norma autorizzativa;
Regolamenti delegati o delegificati che possono essere emessi in base ad una norma espressa.
I regolamenti ministeriali sono adottati nelle materie di competenza di un singolo ministro quando la legge espressamente conferisca tale potere. Se la materia è di competenza di più ministri sono adottati regolamenti interministeriali. I regolamenti ministeriali sono adottati con decreto ministeriale quelli interministeriale con decreto del Presidente del consiglio. I regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti governativi e debbono essere comunicati al presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione. Anche i regolamenti ministeriali ed interministeriali sono adottati previo parere del Consiglio di stato, sono sottoposti al visto ed alla registrazione della corte dei conti.
Le norme costituzionali in materia di potestà legislativa contenute nel titolo V della costituzione sono state modificate dalla legge costituzionale 3/2001. Secondo il titolo V della Cost. la potestà legislativa è ripartita tra stato e regioni. Lo stato ha potestà legislativa esclusiva nelle materie indicate nel comma 2 dell'art. 117. Allo Stato è attribuita in via esclusiva la potestà di disciplinare il sistema tributario dello Stato e di stabilire i principi fondamentali del sistema tributario complessivo. La potestà legislativa regionale assume due connotazioni: è potestà concorrente e potestà residuale. Nelle materie di legislazione concorrente la potestà legislativa delle regioni trova un limite nei principi fondamentali fissati da leggi dello Stato. Nella competenza legislativa residuale ricadono le materie che non sono riservate alla competenza esclusiva dello Stato. Le regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, hanno inoltre potestà legislativa in materia di tributi regionali e locali. Pur dopo la riforma del 2001 il nostro resta un ordinamento unitario. Allo Stato è riservata la fissazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente ed il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario complessivo. Allo stato è affidata in via esclusiva la perequazione delle riserve finanziarie. Le regioni e gli enti locali sono infatti finanziati da compartecipazioni ai tributi erariali da un fondo perequativo e da misure di finanza straordinaria. La giurisprudenza costituzionale ha negato l'immediata operatività della nuova normativa in materia tributaria ritenendo in sostanza che continuano ad operare le norme abrogate fino a che non sia data attuazione al nuovo art. 119 con le norme di coordinamento e con norme transitorie che regolamentino il passaggio dal vecchio al nuovo sistema.
L'art. 117 nel ripartire la potestà legislativa tra Stato e regioni non menziona espressamente la disciplina dei tributi regionali e locali. E secondo la Corte costituzionale ciò non vuol dire che si tratta di materia attribuita alla competenza regionale residuale. La potestà legislativa regionale in materia tributaria è ammessa dall'art. 23 che è da coordinare con l'art. 119 comma 2 a norma del quale le regioni stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri in armonia con la costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Anche le regioni quindi dispongono di potestà legislativa in materia tributaria ma entro i principi del coordinamento statale. La legge 42/2009 prevede tre tipi di tributi regionali:
Tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni;
Addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali;
Tributi propri istituti dalle regioni con proprie leggi in relazione a presupposti non assoggettati ad imposizione erariale.
In materia di tributi locali non vi è una riserva espressa a favore dello Stato o delle regioni, ma soltanto la riserva di legge ex art. 23. Possono esservi quindi locali creati e disciplinati da leggi statali e tributi locali creati e disciplinati da leggi regionali. Sia le regioni, sia gli enti locali stabiliscono ed applicano tributi propri. Ma il termine stabilire ossia disciplinare ha valenza diversa secondo che sia riferito alle regioni o ali enti locali. Le regioni sono dotate di potestà legislativa; esse quindi possono disciplinare compiutamente i tributi propri. Gli enti locali, invece, non avendo potestà legislativa devono operare nel rispetto della riserva di legge. Essi possono disciplinare con regolamento i tributi propri ma in via secondaria con norme attuative o integrative delle norme primarie contenute in leggi statali o regionali. La legge statale o regionale deve avere un contenuto minimo da definire secondo l'interpretazione consolidata dell'art. 23. La legge deve disciplinare almeno le caratteristiche basilari del tributo nei suoi profili soggettivi ed oggettivi demandando l'ulteriore disciplina alla fonte secondaria espressione dell'autonomia dell'ente locale.
Le regioni hanno potestà regolamentare generale e possono dunque emanare regolamenti anche in materia tributaria. Il D. Lgs. 446/1997 disciplina in via generale la potestà regolamentare generale delle province e dei comuni stabilendo che tale potestà può avere per oggetto le entrate tributarie.
Nel diritto internazionale pubblico vi sono norme tributarie che derivano da convenzioni la cui ratifica deve essere autorizzata con legge. Per effetto della legge che ne autorizza la ratifica e ne ordina l'esecuzione, le norme delle convenzioni diventano norme interne. L'art. 117 Cost. subordina la potestà legislativa statale e regionale ai vincolo derivanti dagli obblighi internazionali; pertanto è incostituzionale la norma di legge che si pone in contrasto con norme di convenzioni internazionali. Le convenzioni internazionali in materia tributaria riguardano i dazi e la doppia imposizione dei redditi, dei patrimoni e delle successioni. Le convenzioni internazionali in materia tributaria riguardano la collaborazione tra autorità fiscali di Stati diversi, la lotta all'evasione e all'elusione fiscale internazionale. Di regola le norme delle convenzioni in quanto norme speciali prevalgono sulle norme interne.
Sulla base dell'art. 11 Cost. l'Italia è uno Stato membro della Comunità europea ed ha trasferito alla Comunità l'esercizio dei poteri normativi nelle materie oggetto dei Trattati medesimi. Inoltre l'art. 117 Cost. prevede che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Il rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale è concepito dalla Corte costituzionale come un rapporto tra ordinamenti distinti ma coordinati. Nelle materie appartenenti alla sfera di competenza dell'ordinamento comunitario valgono le norme comunitarie non quelle nazionali. Il giudice nazionale in quelle materie deve applicare le norme comunitarie, non quelle nazionali. I regolamenti comunitari sono l'equivalente delle leggi negli ordinamenti statali e sono direttamente applicabili. I regolamenti hanno portata generale nel senso che si rivolgono a categorie di destinatari determinate in modo astratto; sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri. La diretta applicabilità vuol dire che le norme dei regolamenti comunitari entrano immediatamente in vigore in tutti gli stati membri. Le direttive vincolano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre è rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati l'adozione degli strumenti e dei mezzi per raggiungerlo. Le direttive inoltre a differenza dei regolamenti non hanno portata generale ma si rivolgono solo agli stati membri. Esse sono dunque uno strumento di legislazione indiretta, essendo necessario che gli Stati adottino norme di recepimento. Se però gli Stati adottano norme di recepimento viene riconosciuto alle direttive il c.d. effetto diretto quando contengono disposizione precise e incondizionate, al cui applicazione non richiede l'emanazione di disposizioni ulteriori. Scaduto il termine entro cui gli Stati devono attuare la direttiva, le disposizioni precise e incondizionate acquistano efficacia diretta nell'ordinamento dello Stato inadempiente. L'effetto diretto comporta che i singoli acquistano diritti che i giudici nazionali devono tutelare e gli Stati non possono opporsi invocando norme nazionali contrarie al diritto comunitario.
Le decisioni sono atti comunitari che riguardano casi specifici; essi sono simili ai provvedimenti amministrativi, hanno effetto diretto e sono obbligatori per i destinatari in essere indicati. Anche le sentenze della Corte di giustizia hanno effetto diretto negli ordinamenti degli stati membri; invece le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti.
Le leggi, dopo l'approvazione parlamentare e la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale ed entrano in vigore a partire da quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione. Anche i regolamenti entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. Bisogna però distinguere l'entrata in vigore dalla efficacia nel tempo. Di regola la data di entrata in vigore è anche la data a partire dalla quale inizia l'efficacia delle norme legislative e regolamentari. Vi possono essere però casi in cui il momento dell'entrata in vigore ed efficacia non coincidono; si tratta dei casi in cui il momento dell'entrata in vigore indica soltanto che la legge è perfetta e vale come tale ma i suoi effetti sono differiti o retroagiscono. La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo. La regola generale è dunque la irretroattività. La regola è posta però da una norma di legge ordinaria, per cui può essere derogata da altre norme di legge. Invece i regolamenti non possono derogare all'art. 11 delle preleggi e possono essere retroattivi solo se una norma di legge lo consente espressamente. La retroattività può concernere la fattispecie, gli effetti o entrambi gli elementi della norma tributaria. La retroattività attiene alla fattispecie quando viene istituito un tributo che colpisce a fatti del passato. La retroattività attiene agli effetti quando ad un fatto che si verifica dopo l'entrata in vigore della legge, sono collegati effetti che invece riguardano il passato. La retroattività attiene ad entrambi gli elementi quando la nuova legge considera fatti del passato ed a tali fatti collega effetti ex tunc. Una volta individuato il momento in cui inizia l'efficacia di una legge può essere dubbio quale sia il trattamento giuridico di fatti o situazioni che avvengono in parte sotto l'impero di una legge, in parte sotto l'impero della legge successiva. Ciascuna legge regola i fatti che si verificano dopo la sua entrata in vigore; potremmo avere quindi situazioni e accadimenti che iniziano ma non si concludono sotto l'impero di una legge e che non sono regolati né da tale legge né da quella successiva. Di solito il legislatore risolve i problemi che si pongono in caso di successione di leggi con norme apposite dette norme di diritto transitorio. Secondo un principio consolidato le norme procedimentali sono norme di applicazione immediata; con il che si vuole dire che applicano anche ai procedimenti in corso dio svolgimento al momento dell'entrata in vigore della nuova legge. Talvolta le nuove leggi procedimentali si applicano solo a fatti successivi all'entrata in vigore delle legge. Ciò dipende dalla stretta correlazione tra norme sostanziali di un dato tributo e norme relative alla sua applicazione: ecco perché quando è istituito un tributo sono emanate apposite norme per la sua applicazione. Secondo l'art. 1 dello Statuto dei diritti del contribuente le disposizioni della presente legge possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Le disposizioni dello Statuto si presentano dunque come disposizioni di legge rinforzate per una duplice ragione: non vale per essere il disposto dell'art. 15 delle preleggi, nella parte in cui prevede l'abrogazione per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti; inoltre l'art. 15 è derogato anche in tema di abrogazione espressa perché le norme dello Stato non possono essere abrogate da leggi speciali ma solo da leggi generali. Le leggi cessano di essere efficaci quando sono abrogate quando sono dichiarate incostituzionali e quando scade il termine previsto. L'abrogazione di una legge può avvenire in tre modi: per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore. Con l'abrogazione l'efficacia della legge cessa ex nunc: essa continua a regolare i fatti avvenuti nell'arco temporale che va dalla sua entrata in vigore alla data della sua pubblicazione. Invece la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l'efficacia ex tunc; dopo la pronuncia della Corte costituzionale, la legge giudicata illegittima è da considerare come mai esistita; tutti gli effetti della legge dichiarata incostituzionale sono da considerare come mai venuti ad esistenza. I tributi riscossi in base a norme dichiarate incostituzionali debbono essere rimborsati ma può accadere che il rimborso sia impedito dal fatto che è trascorso il termine per chiedere il rimborso o da un provvedimento divenuto definitivo. Infine le norme nazionali pur rimanendo formalmente vigenti cessano di essere applicabili o dotate di effetto diretto. Il referendum abrogativo non è ammesso per le leggi tributarie. La giurisprudenza della Corte su tale argomento adotta una nozione di tributo particolarmente ampia, comprensiva dei contributi previdenziali.
La legge tributaria esplica i suoi effetti in tutto il territorio politico nazionale e solo entro tale ambito. Essa si applica quindi a tutti i presupposti che si verificano entro tale ambito se non vi sono norme che escludono determinate zone del territorio politico. Le norme emanate da enti diversi dello Stato esplicano i loro effetti nel territorio su cui ha potestà l'ente. Le leggi tributarie si applicano ai fatti che si verificano nel territorio dello Stato ma certe imposte prescindono dalla territorialità e tasso anche fatti accaduti all'estero dando rilievo determinante ad altri elementi. La legge tributaria non può avere efficacia oltre i limiti del territorio sottoposto alla sovranità dello Stato ed in questo territorio è unica ed esclusiva. Al di fuori del territorio dello stato valgono le leggi tributarie degli altri stati. Le leggi tributarie debbono essere applicate in Italia dai soggetti che ne sono destinatari. Peraltro le convenzioni internazionali e le direttive comunitarie prevedono la collaborazione tra amministrazioni finanziarie per lo scambio di informazioni e per l'assistenza in materia di accertamento e riscossione dei tributi. Ciò consente all'amministrazione finanziaria italiana di svolgere indagini e notificare io propri atti anche all'estero.
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