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LE FONTI AUTONOME
1.INTRODUZIONE
Lo Stato è caratterizzato da una poliarchia di soggetti politici coordinati ed unificati dallo Stato soggetto. Sì che ha in questo modo il cosiddetto pluralismo politico istituzionale che estingue concetto della sovranità esercitata in un unico centro politico e istituisce quello di sovranità in senso largo come rapporto dialettico dallo Stato soggetto e i poteri autonomi. Questo rapporto dialettico ha preciso fondamento della costituzione italiana (articolo V), anzi, si può dire che nella costituzione sia evidenziata una preferenza per l'autonomia per la quale lo Stato deve cedere le aree di potere nelle quali si possa manifestare un potere autonomo. L'autonomia si manifesta innanzitutto nell'autonomia normativa: le norme emanate dai cosiddetti poteri autonomi concorrono ad innovare l'ordinamento generale non in grazia della assunzione di tali norme atipiche di per se prive di efficacia nelle norme tipiche del potere sovrano ma a causa della vera e propria titolarità del potere normativo esplicabile nei limiti previsti dalla costituzione e dalle leggi dello Stato. Anzi, per le fonti autonome, si configura il principio di riserva della fonte, che relativamente agli oggetti di disciplina loro attribuiti, sono le uniche fonti competenti. Ciò, in linea di principio, esclude la concorrenza tra fonti e la preferenza della fonte gerarchicamente superiore, mentre continuano a valere i criteri gerarchici e cronologici per risolvere i conflitti tra fonti inerenti alla medesima competenza (prevale lo statuto sulla legge regionale e la legge regionale posteriore su quella anteriore). Le fonti autonome si dividono in due gruppi: quelle territoriali (regionali e locali) e quelle contrattuali (il contratti collettivi di lavoro con efficacia generale).
2. LE FONTI REGIONALI.
L'autonomia normativa regionale si esprime a tre livelli: statutario, legislativo e regolamentare (il referendum può collocarsi a seconda dell'oggetto al livello legislativo o regolamentare).
I. Gli statuti delle regioni ad autonomia (differenziata e) ordinaria.
Lo statuto è l'atto normativo fondamentale con il quale la regione disciplina la propria organizzazione interna.
Le regioni ad autonomia differenziata hanno statuti adottati con legge costituzionale, materialmente decisi dallo Stato, al di fuori di ogni influenza giuridicamente rilevante da parte dei rappresentanti delle regioni. Perciò lo statuto di tali regioni è regionale solo per l'oggetto, mentre la volontà normativa è statale. Sono infatti previsti procedimenti di revisione degli statuti (come quello che prevede, nel caso di sostanziale accordo tra Stato e regione, la modifica dello statuto con semplice legge ordinaria o in caso di disaccordo, per lo statuto della Sardegna, il referendum consultivo regionale) e l'interposizione del parere obbligatorio della regione ma nella sostanza lo statuto è sacrificato alla valutazione formulata dallo Stato, unico in grado di poter decidere su un argomento interesse nazionale. Tali statuti possono derogare alle norme costituzionali sulle regioni di diritto comune e a quelle sull'autonomia statutaria.
Le regioni ad autonomia ordinaria hanno statuti attivati dagli organi regionali con deliberazione da parte del consiglio a maggioranza assoluta e successiva approvazione statale con legge ordinaria (articolo 123).
A. Lo statuto come fonte regionale.
Lo statuto è un atto normativo regionale approvato con deliberazione consiliare ed efficace subordinatamente alla sua approvazione con legge statale meramente formale (che può cioè a cogliere o respingere senza modificare contenuto). Conforme alla disposizione costituzionale è anche il regolamento della camera dei deputati che fa divieto di presentare emendamenti al testo dello statuto.
Lo statuto come legge statale:
1) Nella prassi o, per meglio dire, in occasione della prima attuazione dell'ordinamento regionale (nell'unico precedente cioè), il parlamento ha tuttavia adottato gli statuti ordinari imponendo in modo informale delle modificazioni. Inoltre, in tal occasione, gli statuti non furono promulgati dai presidenti della regione.
Critica: non si può definire lo statuto come legge statale per una prassi corriva e discutibile. Inoltre, in caso di modificazione dello statuto, lo statuto stesso prevede la promulgazione da parte del presidente della regione. Considerando però che la legge regionale di revisione statutaria non si discosta realtà come procedimento dalla formazione dello statuto (una revisione integrale dello statuto sarebbe uguale alla creazione di uno originale) si deve ammettere che lo statuto sia una fonte regionale seppure sottoposta ad un controllo da parte della legge statale.
2) lo statuto sarebbe una fonte statale in quanto, per una ragione di principio, l'ordinamento generale di recepire ogni manifestazione di autonomia: ciò avverrebbe con la legge statale di adozione secondo il modello della legge comunitaria (legge statale che regola in tutto o in parte l'ambito di incidenza della legge regionale).
Critica: il modello di legge comunitaria non si adatta allo statuto in quanto secondo tale modello del legge statale lo realizza solo un semplice controllo ma, a copiandosi della volontà normativa da soggetto autonomo, le da la forma di fonte innovativa del diritto oggettivo. Le regioni, con i loro statuti, sono invece titolari di un proprio potere normativo per cui la legge statale non opera assolutamente la trasformazione normativa della volontà regionale ma si limita a confrontare le manifestazioni del potere normativo regionale con il principio di unità ed indivisibilità dello Stato.
3) la giurisprudenza costituzionale asserisce che i principi fondamentali limitativi della competenza legislativa bipartita delle regioni sono rilevabili dalle leggi statali e dal complesso di statuti regionali. Da tra la comune funzione di limiti di principio parte della letteratura ha concluso che gli statuti sono leggi statali.
Critica: l'interpretazione dottrinale andrebbe semmai invertita in quanto i limiti suddetti alla competenza bipartita delle regioni risultano in primo luogo da gli statuti che fissa di principio organizzato il in materia di competenza regionale. Il fatto che le leggi statali abbiano dato approvazione alle statuti conferisce legittimità ai limiti statuari.
In conclusione lo statuto è una fonte regionale (seppure atipica in quanto sottoponibile al sindacato di costituzionalità oltre che alla legge statale di approvazione).
B. I rapporti fra lo statuto e le fonti statali e regionali.
Caratteristiche dello statuto:
Fonte riservata: il cui contenuto è cioè sottratto alla legislazione statale ordinaria.
Fonte primaria o sub-primaria: è nella stessa fascia di normazione della legge statale furono con un carico di limiti maggiore in quanto deve rispettare la costituzione ma anche le leggi statali.
Fonte vincolata materialmente: deve contenere l'enorme di organizzazione interna della regione, per referendum regionale, l'enorme disciplinati da pubblicazione dei veleni chi e dei regolamenti regionali.
Fonte limitata: 1) dalla costituzione, 2) dalle leggi della Repubblica e 3) dall'interesse delle altre regioni.
1) il rispetto della costituzione non riguarda solo le norme generali ma in particolare quelle che si riferiscono alle regioni e incidono sull'autonomia organizzativa interna.
2) il limite delle leggi della Repubblica non può certo essere interpretato nel senso che tutte le leggi dello Stato possano abrogare lo statuto, degradando l'autonomia statutaria a potestà normativa secondaria. Si è pensato poi di interpretare tale limite a riguardo delle leggi cui la costituzione rinvia per una disciplina in materia regionale. La corte costituzionale ha scelto una posizione intermedia per cui il limite lo riguarderebbe solo le leggi costituzionalmente coperte ma anche quelle che fissano principi in materie connesse con l' organizzazione interna della regione. Tale limite è tuttavia alquanto problematico, specie riguardo alla competenza bipartita in materia di uffici ed enti amministrativi dipendenti della regione: tale materia appare connesse all'organizzazione interna della regione ma è affidata alla legislazione bipartita e cioè alla legislazione statale di principio in modo tale per cui appare evidente la sua interferenza rispetto alla potestà statuaria. Nella concorrenza tra statuto e legge statale la dottrina prevalente sostiene la preferenza della legge statale; non così Maurizio Pedrazza Gorlero che vede proprio nella preferenza per lo statuto l'unico modo con il quale si possa rendere conto dei vincoli contraddittori ai quali legislatore regionale è legato: il rispetto per lo statuto e per la legge statale di principio. Se il principio della legge statale prevalesse su una norma statutaria si verificherebbe un limite variabile alla competenza regionale e una procedura di variazione dello statuto diversa rispetto a quella stabilita dalla costituzione. D'altra parte, l'iniziativa di modificazione dello statuto non può espandere eccessivamente la materia di competenza regionale a causa della legge statale di approvazione che riporta nel pieno controllo della legislazione statale l'autonomia statutaria.
3) in aggiunta a tali limiti la legge ordinaria sul funzionamento delle organi regionali prevede per gli statuti i limiti dell'interesse nazionale e delle altre regioni. Da un lato possono parere dei limiti di merito di dubbia costituzionalità, dall'altro avvicinano al procedimento statutario a quello legislativo regionale per il quale vige una riserva di parlamento (solo le camere possono decidere sul contrasto leggi statali regionali).
Fonte rinforzata superiore: rispetto alle leggi regionali (nella materia comune).
II. La legge regionale.
La legge regionale è l'atto normativo risultante dall'esercizio di differenti potestà legislative (piena, bipartita, integrativa-attuativa). A ogni modo la legge regionale può essere considerata come un unico tipo normativo in relazione al nome, al soggetto deliberante, al procedimento, alla pubblicità e al controllo (caratteri formali) ma anche in relazione alle limitazioni orizzontali e verticali a cui è sottoposta (caratteri materiali: le materie di competenza legislativa regionale sono indicate tassativamente dalla costituzione e limitate dalle leggi statali).
Caratteristiche:
1)Fonte riservata: le cui materie sono attribuiti ragione della sua competenza.
2)Fonte subprimaria: pur essendo nella fascia di normazione primaria è sottoposta allo statuto.
3)Fonte limitata: incontro una serie di vincoli mobili da parte delle leggi statali.
Le leggi regionali sono sottoposte a due tipi di limiti: il limiti esterni e i limiti interni. Questa distinzione deriva dal modo con cui il limite verticale (di validità ed efficacia o di gerarchia) interseca il piano orizzontale (nelle materie o competenze). Se tale intersezione avviene in modo che il limite verticale delimita la materia delle leggi regionali (appropriandosi di qualche materia) senza direttamente regolarla si tratta di un limite esterno; se il limite verticale entra in una materia di legge regionale costituendone una parte della specifica disciplina si tratta invece di un limite interno.
A. I limiti esterni delle leggi regionali.
Limiti di legittimità:
1) costituzione: nel senso generale come per qualsiasi fonte ma soprattutto per le norme che estendono alla legge regionale dei limiti disposti per la legge statale come quello della legge per il bilancio, per le norme di limite territoriale (articolo 114 131) e di limite materiale (articolo 117).
2) i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato: si tratta dei principi dell'ordinamento statale che non hanno veste costituzionale. Certamente tali principi non sono tutte le leggi statali e proprio per questo sono di difficile identificazione. La potestà piena della legislazione regionale che dovrebbe avere nei principi della legislazione statale un limite esterno viene spesso degradata a potestà legislativa bipartita che considera i principi della legislazione statale (in mancanza di una legislazione di cornice) come principi fondamentali della materia e quindi un limite interno.
3) le norme fondamentali in materia di riforme economico-sociali: si tratta di settori materiali di così grande rilievo per l'ordinamento statale che che sono disciplinati persino nel dettaglio. Per conseguenza anche qui registriamo la metamorfosi della potestà legislativa piena della regione (quando vi sia) in potestà legislativa bipartita.
4) gli obblighi internazionali dello Stato: lo Stato soggetto esercita oltre ad una sovranità interna anche una sovranità esterna a se stesso, che non può evidentemente cedere ai poteri autonomi. Solo lo Stato centrale può assumere impegni di carattere nazionale anche se questi, con ogni probabilità, avranno effetto anche a livello regionale. Si tratta tuttavia di verificare la portata di tali limiti.
Nel caso in cui le norme internazionali o le norme di fonti europee direttamente applicabili (regolamenti, direttive self-executing) entrino in vigore nell'ordinamento interno con un semplice ordine di esecuzione (con un rinvio fisso o materiale) si registra la giuridica irrilevanza e la cessazione di efficacia delle norme regionali (non l'abrogazione che sarebbe conseguente ad un meccanismo gerarchico di risoluzione dell'antinomia mentre qui si è in presenza della semplice attuazione di un presupposto negativo all'esercizio di una competenza regionale).
Nel caso in cui le norme internazionali o le direttive europee richiedano la mediazione del legislatore questi (in caso di competenza regionale) dovrà stabilire con legge statale il principio e lasciare alla ragione la determinazione del dettaglio (con uno schema di competenza bipartita).
Limiti di merito:
interesse nazionale e delle altre regioni: tale limite non ha mai trovato applicazione come limite di merito in quanto la legislazione statale e la giurisprudenza costituzionale lo hanno convertito in un limite di legittimità.Da tale limite scaturisce il potere statale di indirizzo e di coordinamento che si sostanzia nella maggior parte dei casi in attività di carattere legislativo (per parte del governo). La risultante attività legislativa, in effetti, non fa altro che da attuazione ai limiti esterni di legittimità anzidetti (come gli obblighi internazionali e le norme fondamentali in campo economico e sociale). Al potere di indirizzo e coordinamento sono sottesi anche gli atti amministrativi che costituiscono un prolungamento delle corrispondenti leggi in osservanza del principio di legalità sostanziale.
B. I limiti interni delle leggi regionali.
Quando la legge statale occupa parzialmente un'area di competenza regionale si possono configurare in relazione al ruolo della regione due potestà legislative:
1) potestà legislativa bipartita: tale potestà legislativa lascia allo Stato il compito di fissare i principi fondamentali della materia, mentre lascia la regione alla normazione del dettaglio. Vediamo ora gli strumenti legislativi con i quali la potestà legislativa bipartita può realizzarsi. La legge sul funzionamento degli organi regionali (n. 62 del 1953) prevedeva l'emanazione di leggi statali di cornice in materia di competenza bipartita, alle quali poi potessero succedere le leggi regionali. Ciò non è avvenuto a causa dell'inerzia del legislatore statale per cui lo stesso legislatore statale ha disposto che la legislazione regionale in materia di competenza bipartita (nella quale fino a quel momento era proibito alle regioni di legiferare) potesse procedere considerando come leggi cornice i principi fondamentali dell'ordinamento. Un' eventuale violazione avrebbe portato all'illegittimità costituzionale della norma regionale per norma interposta.
Il problema della modificazione dei principi fondamentali: Nel caso i principi fondamentali stessi subissero una modificazione, la regione avrebbe comunque novanta giorni di tempo per modificare le corrispondenti leggi regionali. Al termine di tale intervallo di tempo non ricorre il fenomeno della abrogazione (in quanto non si tratta di concorrenza orizzontale o verticale) ma comunque della cessazione di efficacia (per il venir meno, attraverso l'abrogazione della legge di principio, del presupposto per l'esercizio della competenza regionale bipartita).
Il problema di una nuova disciplina statale cedevole di dettaglio: in tal caso si registra la sospensione dell'operatività della competenza bipartita in quanto ad una disciplina di principio statale e al dettaglio regionale si sostituiscono principio e dettaglio statali. A seguito della sospensione la legge regionale potrà tornare ad operare nei nuovi limiti previsti dalla nuova legge cornice occupandosi dell'area di dettaglio che momentaneamente era stata occupata dalle norme statali. Appare evidente che non è altrimenti spiegabile come, dopo una legge statale di principio e di dettaglio, la parte statale di dettaglio debba cedere per concorrenza alle fonti regionali determinando così la rottura della competenza bipartita e un meccanismo anomalo di concorrenza orizzontale di sola ' andata ' per cui la legge regionale posteriore abroga la legge statale precedente ma non viceversa.
2) potestà legislativa integrativa e attuativa: tale potestà è espressamente conferita nel caso delle regioni differenziate mentre lo Stato ha facoltà di attribuirla volta per volta alle regioni di diritto comune. Questa potestà prevede che le regioni disciplino il dettaglio (attraverso l'integrazione e attuazione) delle norme di principio statali secondo un meccanismo simile a quello della normazione di scopo (come quella delle direttive europee). A differenza della precedente potestà legislativa bipartita si potrebbe anche definire l'ambito integrativo attuativo della regione come sub-dettaglio in riferimento al fatto che la legislazione statale è in questo caso comprensiva sia del principio che del dettaglio.
La differenza tra la potestà legislativa delle regioni differenziate con quelle ordinarie (le prime possono integrare oltre che attuare e le materie che riguardano tali integrazione sono a loro assegnate in modo necessario e non facoltativo) si attenua se si considera che entrambe non possono disporre contra legem e che l'integrazione può essere compiuta anche dalle regioni ordinarie quando rientri nel concetto più ampio di esecuzione.
Il problema del rapporto tra legge regionale e regolamento regionale: iI dettaglio disciplinato nell'ambito regionale ha natura sostanzialmente regolamentare ma viene trattato con legge regionale perché spesso è prescritto così, perché in ogni caso il regolamento sarebbe emesso dall'organo legislativo consiliare (almeno nelle regioni ordinarie), perché nella gerarchia delle fonti appare più logico e agevole un rapporto di controllo tra legge statale e legge regionale piuttosto che tra legge statale e regolamento regionale. Per tutte queste ragioni, anche quando non esistano vincoli formali, tale potestà non può essere svolta nella forma regolamentare specie a causa del più agevole controllo sulle leggi regionali operato dalle leggi statali.
C. Le leggi regionali atipiche.
Si parla di leggi regionali atipiche quando siano introdotte variazioni nell'ordinario procedimento legislativo o una particolare esistenza l'abrogazione per alcune leggi regionali.
1) lo statuto: sia esso sia le leggi di revisione statutaria sono formate con deliberazione della maggioranza assoluta del consiglio regionale e controllate non dal governo ma dal parlamento che le approva con una legge meramente formale. Se controllo avrà dato esito positivo lo statuto si perfezionerà con la promulgazione da parte del presidente della regione e la pubblicazione nel bollettino ufficiale. Dato la tassatività del procedimento lo statuto e le leggi di modificazione statutaria non sono sottoponibili a referendum abrogativo regionale (anche perché il referendum può agire solo sulle leggi regionali, le leggi regionali non possono agire sullo statuto, quindi il referendum non può agire sullo statuto).
2) leggi di variazione territoriale dei comuni : l'istituzione di nuovi comuni o la modificazione dei loro confini (circoscrizioni) sono deliberate dal consiglio regionale previo referendum delle popolazioni interessate. La delibera del consiglio regionale può anche rigettare un referendum con esito positivo o sovrapporre una propria differente valutazione seppure in concreto tale comportamento del corpo rappresentativo non abbia avuto ragione di esistere.
3) le leggi tributarie e di bilancio: sono escluse dal referendum regionale abrogativo.
4) le leggi urbanistiche: in alcune regioni sono deliberate con maggioranza dei due terzi dei consiglieri regionali ed escluse dal referendum.
D. I rapporti fra legge regionale e legge statale.
Parte della dottrina sostiene la subordinazione formale della legislazione regionale a quella statale per le seguenti ragioni:
1) la conversione dei limiti esterni in limiti interni che schiaccia la competenza regionale piena nell'ambito della competenza bipartita.
2) la trasformazione del limite di merito dell'interesse nazionale in limite di legittimità configurato come potere statale di indirizzo e coordinamento.
3) il ricorso alle leggi statali di dettaglio in luogo dei principi fondamentali (che a loro volta sono dei sostituti rispetto alla deficienza di leggi cornice) nella competenza bipartita.
Tutte queste ragioni portano in pratica all'appiattimento delle potestà legislative regionali su uno schema duale nel quale lo Stato svolge l'attività legislativa di principio e di dettaglio (quando sia ravvisabile anche un minimo spazio per la soddisfazione dell'esigenza unitaria) e la regione si limita ad integrare e attuare le norme statali.
La compressione dell'area di competenza della regione non deve tuttavia far pensare ad un rapporto di gerarchia tra fonte statale e fonte regionale perché il rispetto per la legge statale da parte della legge regionale non ha fondamento alcuno se non nel fatto che la normazione statale è la mediatrice dei limiti costituzionali imposti alla potestà legislativa regionale.
III. Gli atti con forza di legge regionali.
È escluso che le regioni possano emanare decreti legge o decreti legislativi perché di tale competenza non vi è traccia nella costituzione che al contrario scrive espressamente dell'eccezionale competenza legislativa del governo.
Un atto con forza di legge è sicuramente il referendum abrogativo di leggi regionali, escluso solamente per le leggi regionali atipiche.
Forse si possono considerare atti con forza di legge i cosiddetti atti improrogabili che possono essere compiuti da una commissione di tre cittadini quando il consiglio regionale sia sciolto. Tra questi atti possono essere compiuti solo quelli di competenza del consiglio che poi dal nuovo consiglio regionale saranno ratificati.
IV. I regolamenti regionali.
Le fonti secondarie regionali hanno un'area di competenza estremamente limitata in quanto:
1) la classica materia integrativa e attuattiva delle leggi è svolta dalla regione in forma legislativa
2) tali regolamenti sono solamente esecutivi, operando in materia di legge relativa.
3.LE FONTI LOCALI.
Le province e i comuni godono di autonomia normativa a loro assegnata dalla costituzione con l'articolo 128. Tuttavia la costituzione non disciplina direttamente il potere degli enti locali ma rimanda per questo alle leggi della Repubblica che ne devono delimitare i limiti egli ambiti di competenza. La legge dunque, nel rispetto dell'autonomia costituzionale, si configura come un limite variabile dell'autonomia locale. Il legislatore statale ha attuato con la legge n. 142 del 1990 la prescrizione costituzionale attribuendo autonomia normativa alle province e i comuni e individuandone gli atti d'esercizio negli statuti e nei regolamenti.
I. Gli statuti comunali provinciali.
Caratteristiche:
1) fonti riservate: gli oggetti della disciplina degli statuti sono dettati dalla legge, per cui tale riserva è ' debole '. Nell'area riservata lo statuto esclude le fonti sia primarie che secondarie: i rapporti fra statuto e leggi statali-regionali sono ordinati sulla base della competenza, mentre tra lo statuto e le altre fonti locali vige la gerarchia.
2) fonti a contenuto vincolato: lo statuto deve obbligatoriamente disporre delle materie indicate dalla legge, per altre, invece, ha facoltà di intervenire (l'elencazione di queste materie non è tassativa).
3) fonti limitate: nonostante lo statuto appartenga alla fascia di normazione primaria è sottoposto alle leggi della Repubblica (inerenti, s'intende, le autonomie locali e la loro organizzazione) secondo la norma costituzionale. Oltre a questo limite dei principi della legislazione statale bisogna ammettere anche quello delle leggi regionali: queste ultime infatti pongono norme di dettaglio in relazione alle leggi statali ma sono idonee a costituire normazione di principio per l'organizzazione degli enti locali. L'attuazione dei principi statali e regionali è di competenza dello statuto. Una volta che tale competenza è espletata, quando cioè le norme statutarie di dettaglio sono in vigore, le corrispondenti norme legislative perdono di efficacia.
4) fonti atipiche: la loro deliberazione avviene a maggioranza qualificata dei due terzi dei consiglieri e, se questa non è raggiunta, con due successive deliberazioni a maggioranza assoluta.
II. I regolamenti comunali provinciali.
Sono le tipiche fonti secondarie che, nel rispetto delle fonti primarie (leggi statali -leggi regionali -statuto di autonomia), danno:
1) esecuzione alle disposizioni statutarie in materia organizzativa (regolamento organizzativo). Sono soggette al principio di gerarchia.
2) esecuzione alle leggi statali regionali concernenti esercizi di funzioni locali. Sono soggette principi di gerarchia ma escludono per competenza la normazione regolamentare statale e regionale.
4. I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO
Tra le fonti contemplate dalla costituzione c'è l'autonomia contrattuale per la disciplina dei rapporti di lavoro. In tale materia non è certo precluso l'intervento del legislatore ma la costituzione ha stabilito la valenza erga omnes dei contratti di lavoro collettivi.
I. I contratti collettivi con efficacia generale.
Le condizioni per la stipulazione di un contratto collettivo di lavoro sono due:
1) i sindacati contraenti debbono essere registrati ed aver ottenuto la personalità giuridica (per ottenerela basta che abbiano una base democratica nel loro d'ordinamento).
2) la stipulazione del contratto deve essere affidata ad una rappresentanza unitaria dei sindacati composta in ragione proporzionale del numero degli iscritti.
Tuttavia la disposizione costituzionale non è stata attuata perché:
1) i sindacati non gradiscono alcuna attestazione formale (come la personalità giuridica) ne' il controllo sulla loro consistenza numerica e organizzazione interna.
2) bisogna stabilire una categoria di riferimento per la rappresentanza.
3) la stipulazione del contratto avviene per maggioranza qualificata, escludendo così i rappresentanti sindacali minoritari così che l'efficacia generale del contratto collettivo sembra in qualche modo pregiudicare il principio costituzionale di libertà sindacale.
Il rapporto tra legge e contratto collettivo:
Il contratto collettivo è una fonte di competenza per cui, in presenza di una legislazione uniforme sul rapporto di lavoro, prevale sicuramente la competenza del contratto. Nel caso in cui la legge intervenga nell'area del contratto, può senza dubbio sottrarre materia al contratto collettivo specie alla luce dei principi costituzionali o in base al principio della ragionevolezza. Nell'area del contratto si determina dunque una concorrenza della competenza tra il contratto collettivo e la legge con preferenza per quest'ultima.
II. I contratti collettivi di diritto comune.
I rapporti di lavoro sono oggi disciplinati, oltre che da norme costituzionali e legislative, anche dei contratti collettivi di diritto comune che valgono soltanto per coloro che hanno stipulato il contratto. In linea di fatto tuttavia tali contratti hanno esteso la loro efficacia erga omnes in grazia del rinvio operato nei loro confronti dalle norme di diritto oggettivo. Tali fonti non possono essere configurate come al di fuori dell'ordinamento in quanto l'efficacia di fonte del contratto deriva dal rinvio legislativo. Il rapporto tra legge e contratto è il medesimo rispetto a quello del contratto collettivo con efficacia generale avendo riguardo tuttavia alla maggior penetrazione della legge nell'area del contratto in quanto i contratti collettivi di diritto comune non sono fonti del diritto in senso proprio per cui l'ordinamento ha interesse a intervenire su di essi per rapportarli all'interesse generale.
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