L'avvento dello Stato di diritto
Kelsen ha sostenuto che Stati di diritto sarebbero gli Stati comunque
sottoposti al proprio ordinamento giuridico. Sotto un primo profilo, in
contrasto con la preesistente confusione di tutti i poteri nella persona del
re, la forma in esame comporta una netta divisione dei poteri: il che non si
risolve nella distinzione delle competenze o nella ripartizione delle mansioni
fra i diversi organi, ma postula che alle tre fondamentali funzioni di stato -
legislazione, amministrazione e giurisdizione - corrisponda una parallela
suddivisione dell'apparato statale, sicché al Parlamento compete il potere
legislativo, al Capo dello Stato o al Governo il potere esecutivo, alla
magistratura quello giudiziario. Sotto il secondo profilo, anche il principio
di legalità dell'amministrazione acquista pertanto una base più sicura ed
assume significati ulteriori. Di pari passo, una volta distaccata la fonte
soggettiva della legislazione degli organi che emanano i conseguenti atti
amministrativi, diviene effettivo lo spazio nel quale la giustizia
amministrativa può imporre il rispetto delle leggi da parte dell'esecutivo. E
si consolidano allora le stesse libertà individuali che la Costituzione o le
leggi proclamano.
Tutti i caratteri sopra elencati confluiscono nel principio di
uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Nello Stato di diritto le leggi
stesse non producono più privilegi: in
questo senso l'eguaglianza viene a costituire il perno dell'intera forma in
considerazione. Nello Stato di diritto in altre parole lo Stato in questione si
limita a fungere da "gendarme", prestabilendo una cornice giuridica entro la
quale i singoli operatori siano liberi di agire, nel perseguimento dei loro
personali interessi. In particolar modo dopo la soppressione degli apparati
corporativi risalenti al medioevo viene impedita o ostacolata la costituzione
di leghe sindacali, che avrebbe anch'essa l'effetto di alterare il libero
incontro della domanda e dell'offerta sul mercato del lavoro nei confronti dei
lavoratori e, più generalmente, i possidenti rispetto agli indigenti. Lo Stato
ottocentesco di diritto dunque rappresenta l'esempio perfetto di un ordinamento
liberale ma non democratico: che sulla carta assicura a tutti i cittadini
eguali diritti civili, ma circoscrive invece la titolarità dei diritti
politici.