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L'art. 147 disp. att. c.p.p.: un tentativo di contemperamento di interessi coinvolti nel processo penale




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L'art. 147 disp. att. c.p.p.: un tentativo di contemperamento di interessi coinvolti nel processo penale


Con l'art. 147 disp. att. c.p.p., che disciplina la pubblicità delle udienze dibattimentali, il legislatore ha tentato un contemperamento degli interessi pubblici e privati coinvolti nel processo. Tale norma ha legittimato la ripresa e trasmissione televisiva del dibattimento subordinandola al consenso delle parti. Se le parti vi consentono, il giudice, ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, "può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla decisione" . Ad una prima lettura sembra che la norma voglia assicurare un equilibrato soddisfacimento del diritto di cronaca, da un lato, e del diritto alla riservatezza delle parti, dall'altro , escludendo appunto le riprese se le parti o anche una soltanto di esse non vi consenta.

Il secondo comma introduce però una deroga al principio espresso dal primo comma, disponendo che l'autorizzazione alle riprese audiovisive, può essere data anche senza il consenso delle parti, quando sussista un "interesse sociale particolarmente rilevante" alla conoscenza del dibattimento.

La tutela dell'immagine delle persone coinvolte a qualsiasi titolo nel processo é assicurata in ogni caso dal comma terzo della disposizione, in cui si dice che il presidente, anche nei casi in cui autorizzi la ripresa o la trasmissione ai sensi del primo e del secondo comma, vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente al processo, "se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto". In questo caso l'udienza dibattimentale potrà essere ripresa ma, a tutela della riservatezza di chi si oppone alla divulgazione della propria immagine verrà adottata la tecnica dell'oscuramento delle immagini; quando al contrario, nel corso dell'udienza, non sia stato manifestato dal soggetto ripreso alcun dissenso, non potrà essere accolta l'opposizione proposta dallo stesso successivamente alla messa in onda della sua immagine . Infine a norma del quarto comma non possono essere mai autorizzate le riprese o le trasmissioni dei dibattimenti che si svolgono a porte chiuse a norma dell'art. 472 commi 1, 2 e 4 del codice

Il primo comma della norma impone al giudice di subordinare le riprese audiovisive del dibattimento, anche qualora le parti abbiano manifestato il loro consenso, alla condizione ultima che "non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento   dell'udienza o alla decisione". Ora la presenza in aula dei mezzi di ripresa televisiva può influire sul comportamento di tutte le persone coinvolte nel processo, dai giudici ai difensori, dagli imputati ai testimoni. Sapersi esposti non ad un pubblico visibile, ristretto e confinato dentro le dimensioni dell'aula, ma a milioni di persone, può influire sul comportamento degli individui, può incidere, per esempio, sul contenuto di interrogatori o deposizioni testimoniali inducendo chi vi si sottopone a tacere particolari dei fatti soprattutto se attinenti alla propria vita privata.

Ma, come precisato sopra, essendo l'impiego dei mezzi audiovisivi subordinato all'unico requisito della serenità e regolarità dello svolgimento dell'udienza, e alla correttezza della decisione, la tutela della riservatezza delle parti private e dei testimoni non potrebbe mai essere utilizzata per giustificare una decisione che escluda l'accesso delle telecamere dall'udienza. Tuttavia, a ben guardare la serenità ed equità della decisione non potranno sicuramente essere affermate quante volte il contenuto della sentenza fosse il risultato di un interrogatorio o di una deposizione influenzati dalla consapevolezza dell'imputato o del testimone di essere inquadrati dalla telecamera, e di essere conseguentemente portati con la propria immagine e la propria voce dinanzi a un pubblico di milioni di telespettatori.

Anche l'interesse alla riservatezza, pertanto, non é di natura extraprocessuale se il pericolo di una sua lesione vale a stimolare una versione differente rispetto a quella che si sarebbe verosimilmente resa se l'udienza, anziché allargata anche al pubblico televisivo fosse stata limitata alla sola aula giudiziaria. Dunque proprio il limite cui fa riferimento il primo comma dell'art 147 disp. att. potrebbe costituire un aggancio normativo seppure indiretto per la tutela dei diritti della personalità, ogniqualvolta il giudice accertasse il reale e concreto pericolo che la presenza delle telecamere, influendo sul comportamento delle parti, possa incidere in ultima analisi sulla correttezza della decisione. Pertanto il giudice potrà escludere i mezzi audiovisivi dall'aula o al più ammetterli ma assicurando che le riprese vengano effettuate "con modalità tali da non turbare lo svolgimento dell'udienza stessa e l'acquisizione della prova" qualora ravvisi un conflitto con interessi fondamentali come quelli alla serenità del giudizio e in generale alla corretta amministrazione della giustizia

Nella ricerca di una corretta "interazione tra accesso dei mezzi audiovisivi nella pubblica aula di udienza e giusta decisione" particolare interesse assume la decisione del Tribunale di Milano, il quale ha vietato, indipendentemente dal loro consenso, le riprese di testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti "e di ogni altro soggetto che occasionalmente debba comparire davanti al Collegio giudicante", per la necessità di preservare questi da "dinamiche emotive, anche a livello inconscio, innescate dalla presenza delle telecamere, con conseguenti riflessi negativi sulla prioritaria esigenza di genuinità delle deposizioni testimoniali e della raccolta delle prove

Né avrebbe senso distinguere fra trasmissione "in diretta" e trasmissione "in differita", equiparabile quest'ultima ad una forma di cronaca a mezzo stampa, per dedurne l'inopportunità del mezzo audiovisivo in udienza solo nel primo caso. Dal punto di vista della genuinità della prova testimoniale, é evidente, infatti, che in entrambe le surriferite soluzioni non solo il contenuto di interrogatori o deposizioni potrebbe risultare influenzato dalla presenza delle telecamere, ma un teste potrebbe essere suggestionato dal contenuto di una deposizione testimoniale resa nello stesso dibattimento in cui sarà chiamato a deporre, della quale sia venuto a conoscenza attraverso il mezzo televisivo.

Non solo, ma un'altro possibile effetto della presenza delle telecamere in udienza é legato ad un uso improprio ed opposto a quello per il quale le stesse vengono ammesse in giudizio, e cioè il diritto del cittadino all'informazione e alla verifica della corretta amministrazione della giustizia. Può cioè verificarsi la situazione in cui la ripresa televisiva venga addirittura utilizzata, per esempio dall'imputato, per comunicare con l'esterno dell'aula, o addirittura per lanciare messaggi in maniera illecita, far arrivare informazioni alle vittime o inviare ordini e istruzioni. Una nuova materia di riflessione, questa e di valutazione sui possibili effetti dell'accesso delle telecamere, emersa per esempio durante alcuni processi di mafia e che si aggiunge a tutti gli altri problemi della ripresa televisiva all'interno delle aule giudiziarie

Quanto infine ai giudici, e al rappresentante del pubblico ministero, si é soliti sostenere che la preparazione professionale e la consapevolezza del ruolo rivestito rappresentino una difesa sufficiente contro l'impatto psicologico dei mezzi audiovisivi, tuttavia, e non è pericolo inconsistente, la presenza dei mezzi audiovisivi, e la conseguente amplificata pressione dell'opinione pubblica soprattutto sull'operato del P.M. potrebbero comprometterne l'azione.







Vd. Ridolfi C., op. ult. cit. pp. 102-104.

Sergio G., La giustizia e i nuovi mezzi di comunicazione, in Questione giustizia 1994, cit. pp. 217 ss.

Vd. in proposito Tribunale di Roma 19 febbraio 1993, in Dir. Inf. 1993 che ha rigettato la richiesta di inibitoria alla messa in onda delle riprese dibattimentali, inoltrata dall'imputato, per essersi lo stesso reso conto dell'esistenza della facoltà di proporre opposizione alle riprese, in quanto questa era stata esercitata da un teste nel corso del dibattimento.

A norma dell'art. 472 commi 1, 2 e 4, il giudice dispone che il dibattimento o alcune parti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume o quando può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello stato. Ancora quando si procede all'assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione. Infine quando si procede all'esame di minorenni.

Cfr. Voena G.P., Mezzi audiovisivi e pubblicità delle udienze penali  Milano Giuffrè 1984. cit. p. 299.

Cfr. Voena G.P., op ult. cit. il quale sottolinea che la consapevolezza che quanto avviene nel contesto dell'udienza è destinato ad essere diffuso tra gli utenti dei mezzi di informazione é fattore che potrebbe pregiudicare in ultima analisi il regolare svolgimento del dibattimento.

Vd. Tribunale di Milano 17 gennaio 1996, in Dir. Inf. 1997 pp. 295 ss.

Cfr. Bianchi G., Il dibattimento penale e le riprese audiovisive: un connubio possibile? in Dir. Inf. 1997

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