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La pubblicità delle udienze e il rischio di spettacolarizzazione del processo




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La pubblicità delle udienze e il rischio di spettacolarizzazione del processo


La problematica dei limiti del diritto di cronaca giudiziaria in rapporto alla salvaguardia dei diritti della personalità é oggi quanto mai attuale, sia per il clamore suscitato negli ultimi tempi dalle immagini di noti personaggi politici ripresi da telecamere e fotografi mentre venivano condotti in manette in carcere , sia per le critiche sollevate nei confronti della ripresa televisiva di processi penali; critiche sempre più spesso sfociate in casi giudiziari nei quali veniva lamentata la lesione della personalità dell'imputato, e di altri soggetti presenti nell'aula dell'udienza

Accanto alla pubblicità "immediata", costituita dalla presenza fisica del pubblico nel luogo dove si celebra il processo, esiste una pubblicità c.d. "mediata", alla quale ha dato un particolare sviluppo la stampa, specie quotidiana, stimolata dalla curiosità del pubblico per le vicende giudiziarie in genere e per talune di esse in particolare, alla quale si sono ormai aggiunti i mezzi audiovisivi . Risalgono, infatti, alla fine degli anni '80 trasmissioni relative a casi giudiziari, già conclusi o ancora in corso, come "Il Testimone", "Telefono Giallo", "Un giorno in pretura"; quest'ultima in particolare mandava in onda le riprese audiovisive di processi penali aventi ad oggetto fatti di ordinaria criminalità. Tutto ciò fu favorito dal nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore nell'ottobre 1989.

In realtà il nuovo programma poté avvantaggiarsi non solo di una specifica disposizione, l'art. 147 delle disposizioni di attuazione del codice, che consente al giudice di autorizzare la trasmissione televisiva del dibattimento, ma anche della circostanza per cui il nuovo processo penale, in quanto strutturato su un modello accusatorio, é adatto alla rappresentazione televisiva. Nel nuovo processo le parti, pubblico ministero ed imputato, diventano protagoniste dell'istruzione dibattimentale, spetta a loro proporre in contraddittorio, nei tempi e nei modi migliori per convincere il giudice delle ragioni dell'accusa e della difesa, gli elementi di prova raccolti nella precedente fase della indagini. Così la tecnica dell'esame incrociato di testimoni e consulenti tecnici, la presentazione di documenti ecc., tutto concorre a realizzare uno spettacolare  confronto tra accusa e difesa davanti al giudice e al pubblico che assiste all'udienza . E' da notare inoltre che nella fase dibattimentale il giudice svolge prevalentemente un ruolo di arbitro dell'azione delle parti, infatti, anch'esso come il pubblico ignora quasi tutto degli elementi di prova che le parti intendono escutere, così che lo sviluppo e l'esito del dibattimento può riservare colpi di scena ed avvenimenti imprevisti . Dunque il nuovo processo accusatorio, a differenza di quello inquisitorio, possiede intrinseche qualità spettacolari che favoriscono il coinvolgimento del pubblico nella vicenda.

Dalla previsione legislativa di una specifica disciplina delle riprese audiovisive, evidentemente effettuate non a scopo di documentazione, dalla circostanza, cioè, che il legislatore ha sentito l'esigenza di fornirne una disciplina ad hoc, emerge la diversità del mezzo televisivo, per la sua capacità di persuasione e di incidenza sulla formazione dell'opinione pubblica e per il rilevante potere sociale conferito a chi lo controlla rispetto agli altri mezzi di comunicazione di massa.

Esiste pertanto una sostanziale differenza tra un servizio sullo svolgimento di un determinato dibattimento, consistente per esempio in riprese di alcuni momenti del processo accompagnate dal commento del giornalista, e la trasmissione integrale del dibattimento o di parte di esso, la quale realizza un effetto virtuale di partecipazione all'evento, che coinvolge persone che fisicamente si trovano in luoghi distanti. Mentre il primo tipo di comunicazione é analogo a quelli utilizzati dalla stampa, risolvendosi in un'illustrazione visiva e auditiva del commento del giornalista, si pensi ai servizi di cronaca giudiziaria trasmessi dal telegiornale, e dunque costituisce esercizio del diritto di cronaca, la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, in diretta o in differita, realizza una nuova comunicazione che consente una nuova forma di pubblicità del dibattimento, la pubblicità a distanza.

Se apparentemente la ripresa televisiva si configura come una neutrale registrazione degli avvenimenti, e quindi una oggettiva e fedele rappresentazione della realtà, un mezzo di contatto diretto tra utente e accadimento, in realtà al pari della lingua scritta e parlata é in grado di fornire un commento degli accadimenti, a seconda delle modalità della ripresa. Mentre nella cronaca radiofonica esiste la voce del commentatore a imporsi, e quindi a mediare, fra l'evento e chi ascolta, e nella stampa c'é il giornalista, nella ripresa televisiva lo spettatore é esposto al fluire delle immagini senza alcuna mediazione, nella maggior parte dei casi senza gli strumenti per poter distinguere il messaggio trasmesso attraverso la cronaca visiva. Chi guarda può essere quindi indotto con una certa facilità a dare credito ad ogni risultato voluto.

Sono le variazioni di piano, campo lungo, campo ravvicinato, dettaglio, e di durata dell'inquadratura, gli accorgimenti che possono influire sul giudizio dello spettatore, sottolineando l'ideologia politica o religiosa le simpatie o antipatie di chi utilizza le telecamere. Tanto che si è sentita recentemente l'esigenza di sottrarre le riprese dei processi all'arbitrio dei realizzatori, adottando come soluzione unica per tutti la ripresa in campo lungo, cioè la visione del totale dell'aula . Con questo espediente si fornisce allo spettatore soltanto uno sguardo generale del dibattimento, viene tolta pertanto alle telecamere la possibilità di scrutare l'imputato, di privilegiare a seconda dei momenti i dettagli della sua persona, gli occhi, l'espressione del volto, le minime reazioni, o gli accessori dell'abbigliamento che potrebbero portare a trarre giudizi secondo la volontà del regista.

Si pensi ancora ad una riproposta televisiva avente ad oggetto riprese non effettuate in diretta , ma di cui in un secondo momento viene assemblata la registrazione. Se il montaggio delle immagini non é effettuato con correttezza, ma attraverso l'uso di espedienti come gli accostamenti suggestionanti di immagini, l'insistenza delle riprese su determinati particolari, la soppressione di immagini ritenute superflue, tutto ciò può incidere sulla dignità dell'individuo oltre che sulla verità dei fatti.

Non si vuole così porre in discussione il principio della pubblicità delle udienze che, per altro, anche il codice di procedura penale vigente, art. 471 n.1, al pari di quello abrogato, art. 423, 1° comma, stabilisce a pena di nullità, ma sottolineare il rischio di degenerazioni di tale principio, funzionali alla trasformazione dell'udienza penale in una sorta di spettacolo a scapito oltreché dei diritti della personalità, anche della corretta e naturale amministrazione della giustizia . Tanto più che, come confermato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, il principio di pubblicità delle udienze penali assume, nel vigente ordinamento, il rango di principio costituzionale. Nonostante il silenzio serbato dalla Costituzione, la Corte, con una prima presa di posizione sull'argomento, ha riconosciuto fondata una questione di legittimità relativa ai limiti della cronaca giudiziaria a mezzo stampa. In essa si legge che " la pubblicità del dibattimento é garanzia di giustizia, come mezzo per allontanare qualsiasi sospetto di parzialità, ed anche le norme che disciplinano i casi nei quali, a tutela di svariati interessi, é necessario derogare al principio della pubblicità, debbono attenere al retto funzionamento della giustizia, bene supremo, garantito anch'esso dalla Costituzione" . In una successiva pronuncia la Corte ravvisa il fondamento costituzionale del principio di pubblicità del processo nell'art. 101 primo comma della Cost., in forza del quale "la giustizia é amministrata in nome del popolo" ; ammettendo così che anche i principi costituzionali possono ricavarsi seppur implicitamente dalle norme.

In tale ottica si situa la formula dell'art. 101 primo comma, Cost., la quale pertanto, rendendo palese che il titolare ultimo dell'attività di amministrare giustizia é il popolo, implica che a favore di quest'ultimo il legislatore ordinario predisponga strumenti conoscitivi idonei a realizzare il controllo pubblico sul modo con cui la giustizia viene amministrata. Pertanto eventuali limiti legislativi al principio di pubblicità sarebbero legittimi solo in quanto giustificati dall'esigenza di tutela di altrettanti interessi di pari rango. Il processo penale, insomma, é pubblico; qualsiasi mezzo che quella pubblicità garantisca o rafforzi é dunque pienamente ammissibile, senza possibilità di distinguere l'attività di divulgazione a mezzo stampa da quella propria di altre tecnologie idonee anch'esse a diffondere fatti e notizie, purché ovviamente non coperti da segreto





In proposito vd. anche le disposizioni introdotte dalla legge 12 dicembre 1992 n. 492 a tutela della riservatezza nelle traduzioni di soggetti sottoposti a restrizione della libertà personale. All'art. 2 si richiede che nelle attività di accompagnamento coattivo siano "adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi".

Vd. Ridolfi C., Persona e mass-media, 1995 cit. p. 95.

Vd. Crespi A., Pubblicità delle udienze e rispetto della persona, in Quaderni dell'Avvocatura, II, 1995.

Vd. Ricciuto V., Giustizia penale e spettacoli televisivi, in Dir. Inf. 1993

Vd. Sergio G., La giustizia e i nuovi mezzi di comunicazione, in Questione giustizia 1994.

Vd. Tribunale di Brescia 23 settembre 1996, in Dir. Inf. 1997 che pur consentendo la ripresa televisiva del dibattimento, in quanto ininfluente sul sereno e regolare svolgimento dello stesso, impone che la ripresa venga effettuata "nell'osservanza di precise limitazioni e modalità, quali il divieto di diffusione delle immagini in diretta e dell'uso di telecamere mobili".

In merito alla trasmissione televisiva in diretta del dibattimento vd. Tribunale di Palermo 26 settembre 1995, in Dir. Inf. 1997 che esclude la trasmissione in diretta del dibattimento in quanto "apporta un connotato di spettacolarità nel processo, senza alcuna refluenza sull'esercizio del diritto di cronaca".

Vd. Crespi A., Pubblicità delle udienze e rispetto della persona. In Quaderni dell'Avvocatura, II, 1995. cit. p. 37.

Vd. Corte Cost. sent. n.25  del 1965.

Vd. Corte Cost. sent. n.12/1971.

Vd Crespi A., op. ult. cit.

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