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La disciplina della domanda di lavoro flessibile
La cosiddetta domanda flessibile di lavoro è da ricollegarsi all'intervento del legislatore, diretto a tutelare l'interesse del lavoratore alla continuità e alla stabilità dell'occupazione, dettando una disciplina volta a restringere l'autonomia negoziale delle arti nella formazione ed esecuzione del contratto (la cosiddetta legislazione antifraudolenta). Nel contratto di lavoro determinato l'esigenza dell'utilizzazione flessibile del lavoro viene soddisfatta mediante l'apposizione di un termine finale alla durata del contratto, che viene fissata dai due contraenti. Sia l'art. 2097 c.c. che la Legge n. 230/'62, che aveva abrogato questo, prevedevano l'obbligo delle parti di apporre il termine, di durata del rapporto di lavoro, in un atto scritto, per evitare, in caso contrario, di rendere inefficace il termine e rendere il contratto a tempo indeterminato. La Legge prevedeva delle ipotesi in cui era possibile tale contratto:
Al di fuori di tali ipotesi, il contratto si trasforma in rapporto a tempo indeterminato e la risoluzione alla scadenza del termine illegittimo sarà invalido e, come tale, sottoposto alla disciplina generale del licenziamento (preavviso e sussistenza di giusta causa o giustificato motivo). Nel 2001 con il D. lgs. n. 368 si affermò il principio per cui "l'apposizione del termine è consentito a fronte di ragioni di carattere tecnico-produttivo, organizzativo e sostitutivo". Le nuove ragioni giustificatrici di tale lavoro sono, dunque, più numerose e individuate concretamente dalle parti, anche se scelte dai datori. Sul datore incombe l'onere della prova di tale causa o ragione giustificatrice, mentre il giudice deve controllare l'esistenza della stessa. Il termine e le specifiche ragioni giustificatrici dell'applicazione di tale contratto devono risultare da atto scritto per evitare, altrimenti, l'inefficacia del termine e la trasformazione in tempo indeterminato del contratto. Le ipotesi escluse, perché sottoposte a propria disciplina sono:
È possibile una proroga del termine, per una sola volta, di durata di tre anni quando richiesta per "ragioni oggettive o comunque relative alla stessa attività lavorativa". Tali ragioni devono essere provate dal datore altrimenti, in caso di proroga è, però, la continuazione del rapporto oltre il termine prorogato e non più di una durata di 30 giorni. Per disincentivare la continuazione del rapporto, è prevista una maggiorazione della retribuzione, del 20% (per i primi 10 giorni) e del 40% (per i rimanenti fino a 30). Il D. lgs. n. 368 ha enunciato anche la regola dell'uniformità di trattamento economico e normativo, precisando che ai lavoratori assunti a tempo determinato sono dovute: "le ferie, la 13°, il T.F.R., e ogni altro trattamento in atto nell'impresa, in proporzione al lavoro prestato e la natura del contratto". In caso di mancato rispetto di tali trattamenti, al datore di lavoro, saranno applicate delle sanzioni amministrative pecuniarie. Sono i contratti collettivi nazionali a stabilire le modalità circa il ricorso ai contratti a termine nelle aziende e dei posti vacanti disponibili nell'impresa. Il fenomeno dell'intermediazione ed interposizione nel rapporto di lavoro è caratterizzato dalla presenza di un soggetto 3° intermediario tra i prestatori di lavoro e le imprese utilizzatrici. L'obiettivo è quello di utilizzare la manodopera assunta formalmente da terzi, comprimendo il costo del lavoro, ed evitando di assumere, in via diretta, il personale occorrente per lavoro marginali occasionali o temporanei. La materia dell'intermediazione ed interposizione nel rapporto di lavoro è, ancora oggi, disciplinata dalla Legge n. 1369/'60 che ne vieta ogni forma, definendola come "l'affidamento (da parte del datore di lavoro) ad intermediari di lavori da eseguirsi a cottimo, da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari". La sanzione prevista, in caso di mancato rispetto del divieto, a carico dell'imprenditore, quanto dall'intermediario, è penale. La Legge distingue gli appalti esterni da quelli interni, e prevede in entrambi i casi che i lavoratori dipendenti dall'appaltatore possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto fino all'estinzione del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui propongono la domanda. Nel caso di comando o distacco il dipendente viene comandato dal datore di lavoro a prestare servizio presso un 3°, che diviene così il destinatario della prestazione di lavoro e può essere, quindi, legittimata ad esercitare taluni poteri disciplinari e di controllo sul dipendente, nonché ad adempiere taluni obblighi nei suoi confronti, per es. la retribuzione. Si parla, a riguardo, di "prestito" del dipendente che però, è temporaneo, altrimenti sarebbe una cessione definitiva del contratto di lavoro. Nel caso di prestazione di lavoro nelle società collegate (cioè le società nelle quali un'altra società esercita un'influenza notevole), con l'introduzione di una direttiva comunitaria, si è stabilito che nel caso in cui ciò avvenga, a livello comunitario, il lavoratore "distaccato" in un altro Stato membro dell'U.E. deve godere dello stesso trattamento previsto dal suo Stato di provenienza. La Legge n. 196/'97 ha introdotto il cosiddetto lavoro interinale (o lavoro in affitto o fornitura di lavoro temporaneo), consistente nella relazione trilaterale in base alla quale un'agenzia intermediatrice (o impresa fornitrice) invia temporaneamente un lavoratore da essa stessa assunto, presso un 3° (utilizzatore) per effettuare una prestazione di lavoro a disposizione di quest'ultimo. Con esso si ha la messa a disposizione di uno o più lavoratori assunti dall'impresa fornitrice affinché svolgano la prestazione nell'interesse di un altro datore di lavoro e sotto la direzione di quest'ultimo. Esso è diverso sia dall'appalto che dalla mediazione, rivolta ad agevolare l'incontro tra l'offerta e la domanda di lavoro, mediante l'intervento di un 3°. L'attività di fornitura è consentita solo a soggetti abilitati, mediante un'autorizzazione rilasciata dal Ministero del Lavoro, previo accertamento della sussistenza di requisiti. Essa è sottoposta, però, a controlli amministrativi, affinché si svolga nel rispetto della disciplina legale. Nessuna condizione, invece, è prevista per i soggetti utilizzatori. Per quanto riguarda i limiti, si ricordi che, tale lavoro è consentito solo "per il soddisfacimento di esigenze temporanee" del soggetto utilizzatore, cioè è previsto in due ipotesi:
Le ipotesi escluse a tale lavoro sono:
La relazione trilaterale è articolata su due rapporti contrattuali:
Entrambi i contratti richiedono la forma scritta; il 1°, deve essere inviato in copia all'autorità amministrativa, entro 10 giorni dalla stipulazione. Il contratto deve contenere: l'autorizzazione dell'impresa fornitrice, il numero dei lavoratori richiesti, le mansioni alle quali saranno adibiti, il luogo, l'orario ed il trattamento economico e normativo che sarà loro riconosciuto, la data d'inizio e il termine del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Il 2° deve contenere: i motivi di ricorso alla fornitura, l'indicazione dell'impresa utilizzatrice e dell'impresa fornitrice, le mansioni alle quali il lavoratore sarà adibito, l'eventuale periodo di prova, l'orario e il trattamento, la data d'inizio ed il termine dell'attività presso l'impresa utilizzatrice. Sono le due imprese a decidere se l'assunzione del lavoratore debba avvenire per contratto a tempo determinato o indeterminato. Egli, comunque, è tenuto a: svolgere la propria attività durante il periodo di assegnazione presso l'impresa utilizzatrice, nell'interesse e sotto la direzione ed il controllo di quest'ultima, seguire le istruzioni impartite dall'impresa utilizzatrice. La retribuzione resta a carico dell'impresa fornitrice secondo le modalità del contratto e solo in caso di inadempienza dell'impresa utilizzatrice. Nel caso in cui il lavoratore interinale sia stato assunto a tempo indeterminato può restare, negli intervalli tra una missione e l'altra, a disposizione dell'impresa fornitrice, disponendo per tali periodi, dell'indennità di disponibilità, stabilito dai contratti collettivi, comunque, diverso dalla retribuzione. Il lavoratore ha diritto a tutti i servizi sociali ed assistenziali di cui godono i dipendenti dell'impresa utilizzatrice, mentre la facoltà di licenziare è attribuita all'impresa fornitrice. Per quanto riguarda le sanzioni sono penali e civili per entrambe le imprese, in caso di esercizio delle proprie attività senza autorizzazione. In caso di continuazione, oltre il termine stabilito, è corrisposta una maggiorazione del 10% per ciascun giorno in più, che non può andare oltre il 10%, altrimenti il lavoratore sarà considerato, a tutti gli effetti, dipendente a tempo indeterminato dell'utilizzatore. Il part-time (o lavoro a tempo parziale) è quello effettuato regolarmente durante una parte del giorno o della settimana in misura inferiore alla durata normale del lavoro. La nuova disciplina del 2000 ha modificato quella dell'84 ed ha stabilito che il contratto: deve basarsi sul principio di non discriminazione nel trattamento tra i lavoratori a tempo pieno e a part-time, può essere modificato da a tempo pieno a tempo parziale (purché risulti da un atto scritto), sia in forma scritta e il cui contenuto sia portato a conoscenza, dal datore, mediante copia, dalla Direzione provinciale del lavoro, possa contenere una "clausola elastica" per modificare le mansioni (e quindi la retribuzione) originariamente stabilite, contenga il "diritto di ripensamento" a ciò, purché comprovato da ragioni scritte e può essere anche straordinario e notturno. Il part-time può essere orizzontale (in cui la riduzione dell'orario è prevista in relazione all'orario normale giornaliero), verticale (in cui l'attività lavorativa giornaliera è svolta a tempo pieno ma solo per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno) e misto (il quale si svolge secondo una combinazione di quello orizzontale e verticale).
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