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La "controriforma" e la novella del 1986
La legge penitenziaria ha incontrato numerose difficoltà, soprattutto nel momento applicativo: le ragioni sono varie e tutte legate al fatto che si è posta come riforma di un sistema già esistente e, scorrendo impetuosa, ha rotto gli argini precostituiti sia del diritto penale - che riteneva la pena detentiva la pena per eccellenza - sia del codice di procedura penale che ancora applicava la misura cautelare della carcerazione con funzione di prevenzione speciale[1] sia degli istituti penitenziari che, dal punto di vista strutturale ed organizzativo, non erano pronti ad assorbire le nuove esigenze che la legge di riforma prevedeva trovassero attuazione .
Immediatamente, pertanto, alla legge 354 del 1975 fece seguito la prima controriforma[3] che ha trovato, nella legge 20 luglio 1977, n. 450, la sua massima espressione. In modo particolare la legge in esame contiene un intervento di opposta tendenza rispetto ad una materia ben precisa quale quella dei permessi - che dal punto di vista della legge del '75 assurgevano a strumenti di trattamento e di rieducazione - per i quali furono previsti presupposti più rigidi di concedibilità e delle norme procedurali più vincolanti .
Venendo ora alla novella del 1986, essa è stata introdotta dalla l. 10 ottobre 1986, n. 663 - cosiddetta "legge Gozzini" - la quale costituisce un accrescimento dell'ambito applicativo della l. n. 354 e il perfezionamento di alcuni suoi importanti aspetti.
Pienamente condivisa dall'amministrazione penitenziaria e sostenuta da tutte le forze politiche del tempo, la novella del 1986, si può definire come il culmine dello sviluppo che la riforma del diritto penitenziario ha avuto[5].
Essa persegue tre scopi fondamentali[6], di cui, il primo e più rilevante è quello di considerare l'esecuzione della pena come extrema ratio; a tal fine sono previsti, ad esempio, l'estensione dell'ambito di operatività delle misure alternative e l'introduzione dell'istituto della detenzione domiciliare che favoriscono un alto livello di tolleranza collettiva verso la devianza . La seconda novità qualificante della legge in esame, è rappresentata dal superamento della strutturazione della legge del 1975, fondata sulla presunta omogeneità dei detenuti, considerati tutti suscettibili di rieducazione attraverso un intervento risocializzativo. Tale presunzione, comportava la mancata attenzione verso un problema concreto quale la presenza, nel circuito carcerario, di detenuti refrattari ad un trattamento riabilitativo ed, anzi, spiccatamente pericolosi per gli altri soggetti inseriti nell'istituzione penitenziaria. La l. 663/86 interviene, pertanto, abrogando l'art. 90 ord. penit. (che prevedeva la sospensione degli istituti disciplinati dalla l. n. 354, in casi eccezionali di ordine e sicurezza) ed introduce l'istituto, articolato e complesso, della sorveglianza particolare, cui possono essere sottoposti i condannati e gli imputati che, pongono in pericolo la sicurezza o il regolare andamento degli istituti di pena. In particolare, l'art. 2 l. n. 663/86 prevede la possibilità, per l'interessato, di proporre, contro il provvedimento che dispone o proroga la sorveglianza particolare, il reclamo al tribunale di sorveglianza , entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento impositivo. Emerge, così anche l'ultimo punto innovativo della legge Gozzini, rappresentato da una più completa e razionale giurisdizionalizzazione della fase esecutiva. Tale scopo viene, infatti, perseguito attraverso diverse modifiche, riguardanti l'ampliamento della competenza della magistratura di sorveglianza all'intera fase esecutiva, nonché il dispiegarsi dei controlli del magistrato di sorveglianza - oggettivamente giurisdizionali - sull'attività dell'amministrazione penitenziaria.
Si veda GREVI, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario a cinque anni dalla riforma, in AA. VV., Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981, pag. 1 e ss.
Tutto ciò, non considerando il fenomeno delle evasioni che tra il 1975 e il 1976 raggiunse delle vette altissime e la particolare situazione nella quale si trovava la società civile dell'epoca.
Una seconda inversione di tendenza si è avuta tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, ma di questa se ne parlerà successivamente.
In tal modo, a discapito delle posizioni tenute dai magistrati di sorveglianza dell'epoca che tendevano a concedere il permesso con estrema disinvoltura, tale istituto ha rappresentato il <<capro espiatorio per le lacerazioni prodottesi nel mondo penitenziario a due anni dalla riforma>>. GREVI, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario a cinque anni dalla riforma, in AA.VV., Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981, pag. 5.
Si veda DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 21 e ss.
<<Obiettivo fondamentale è quello di assoggettare pienamente il regime della esecuzione penitenziaria ai principi di riserva di legge e di determinatezza (art. 25 comma 2 Cost.), con particolare riguardo alla sottoposizione di detenuti, internati ed imputati ad un trattamento più severo di quello ordinario>>. FLORA, Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario, Milano, 1987, pag. 2.
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