La decretazione legislativa d'urgenza
Dei decreti legge, intesi come atti con forza di legge che il governo
poteva adottare al di fuori di una qualsiasi delega legislativa, si cominciò a
fare uso dagli ultimi decenni del secolo scorso. È questo il motivo per cui la
commissione dei 75, nel formulare il progetto della costituzione, mantenne
inizialmente un atteggiamento negativo di fronte al quesito se i decreti legge
dovessero venire ancora ammessi. In seno alla commissione ci si limitò a
riconoscere che provvedimenti del genere avrebbero potuto risultare utili per
soddisfare specifiche esigenze non fronteggiabili dalle camere in maniera
tempestiva (soprattutto in materia di tributi). Durante la discussione in
assemblea plenaria prevalsero invece opinioni diverse: miranti a consentire che
il governo continuasse a servirsi in ogni campo della decretazione legislativa
d'urgenza, ma sottoponendo i decreti-legge a vincoli assai più rigorosi che in
passato. Dal dibattito finì anzi per emergere l'idea che i decreti-legge non
convertiti in leggi ordinarie nel perentorio termine di sessanta giorni
dovessero considerarsi decaduti ex nunc.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in
legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Con tutto questo però
alla carta costituzionale sottostanno numerosi problemi ancora controversi in
dottrina. Innanzitutto, un'interpretazione letterale dell'art. 77 potrebbe far
ritenere che i decreti-legge abbiano forza ma non valore di legge, dato che il
primo comma del medesimo articolo subordina l'emanazione dei decreti aventi
"valore di legge ordinaria". Ma la tesi non convince, poiché la costituente fa
un uso promiscuo dei termini forza e valore di legge, considerandoli come
sinonimi. Vero è che i decreti legge, diversamente dalle leggi formali e dalle
stesse leggi delegate, sono caratterizzati non solo e non tanto dalla
temporaneità ma dalla precarietà dei loro disposti. Nel nostro ordinamento essi
non rappresentano l'unico caso di fonti normative destinate ad operare per un
periodo massimo di sessanta giorni: poiché la loro conversione in legge
comporta una novazione dei loro contenuti, tale che la legge stessa si
sostituisce retroattivamente al relativo decreto, mentre la mancata conversione
determina la loro totale decadenza. Dalla rigorosissima regolamentazione
costituzionale deriva anzi, in tal senso, un paradosso ulteriore: i
decreti-legge sono infatti gli unici atti normativi suscettibili di
trasformarsi da fonti del diritto a fonti di illecito, lasciando del tutto
privi di fondamento i rapporti instauratisi ai sensi delle loro prescrizioni.
Di fronte alle difficoltà che attengono all'attuale disciplina dei
decreti-legge, si è cercato in dottrina di troncarle contestando che i decreti
stessi costituiscano, in origine atti normativi del governo equiparabili alle
leggi formali. Si è sostenuto che tali provvedimenti sarebbero in partenza
invalidi e non si trasformerebbero in fonti di diritto che per effetto della
loro conversione in legge, sicché la "forza di legge" dovrebbe essere intesa
alla maniera di una provvisoria efficacia, che li renderebbe esecutori nei
confronti degli organi delle pubbliche amministrazioni, ma non obbligatori nei
confronti dei giudici.
Simili tentativi dottrinali non fanno però che aggravare il paradosso
dei decreti-legge. L'espressa disciplina costituzionale sta a dimostrare, al
contrario, che i decreti-legge sono stati intesi come finti del diritto, sebbene
legati da una parte all'esistenza dei presupposti giusitificativi della
necessità e dell'irgenza dei provvedimenti, dall'altra al tempestivo consenso
delle camere, manifestato nella forma della legge di conversione.
Nei fatti però, di gran lunga più frequente è stato l'abuso della
decretazione. È prevalsa nella prassi dell'ultimo ventennio, un'interpretazione
assai lassista dei presupposti giustificativi dei decreti-legge, onde il
governo ha fatto un crescente ricorso alla potestà, dando spesso ai suoi
provvedimenti contenuti diversi da quelli che dovrebbero esser tipici della
decretazione legislativa d'urgenza. I decreti leggi all'inizio di distinguevano
in due categorie: quella dei decreti catenaccio, utilizzati per cogliere i
contribuenti di sorpresa, elevando all'improvviso tributi oppure prezzi
controllati; e quella dei decreti di emergenza, recanti provvidenze in
occasione delle pubbliche calamità. Successivamente si sono aggiunte altre
categorie: quella dei decreti di proroga, usati per dilazionare la scadenza
delle discipline; e quella ancor più rilevante dei decreti di riforma, usati
per modificare certe strutture portanti del nostro ordinamento. Ciò che più
conta, in caso d'una inutile scadenza del termine di conversione, i Governi
degli ultimi decenni hanno fatto ricorso all'integrale o quasi integrale
riproduzione dei decreti decaduti. Se poi le camere non erano sollecite nel
convertire il secondo decreto, poteva bene accadere che il Governo ne adottasse
un terzo od anche un quarto o un quinto., così da formare vere e proprie
catene, talvolta comprendenti più di una decina di provvedimenti consecutivi.
Ed anzi accadeva persino che il governo riproducesse e rinnovasse, con
marginali modifiche, decreti formalmente bocciati dall'una o dall'altra camera.
Un primo, parziale rimedio è derivato dalla legge che nel 1988 ha
regolato l'attività di Governo: la quale ha esplicitamente escluso tanto la
reiterazione dei decreti per i quali il Parlamento avesse negato la
conversione, quanto la sanatoria governativa degli effetti imputabili ai
decreti comunque decaduti. La Corte Costituzionale ha escluso poi che "il
Governo, in caso di mancata conversione, possa riprodurre, con un nuovo
decreto, il contenuto normativo dell'intero testo o di singoli disposizioni".
Il che permette che lo stesso Presidente della Repubblica possa attivarsi in
via preventiva, negando l'emanazione dei decreti-legge non corrispondenti a
siffatti requisiti.