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La clausola di salvaguardia




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La clausola di salvaguardia

Non si può certo dire che la riforma della tassazione dell’Irpef (adesso si chiama IRE) porterà ad un maggiore prelievo fiscale a carico dei contribuenti. Infatti, gli effetti della rivisitazione di aliquote e detrazioni saranno sicuramente a favore di un alleggerimento del carico fiscale, almeno per quanto riguarda l’imposizione diretta delle persone fisiche (soggetti passivi dell’IRE).

Questa conclusione non è conseguenza di elaborati calcoli e proiezioni, che, ipotizzando varie situazioni reddituali, determinano come risultato finale un vantaggioso risparmio d’imposta da parte del contribuente. E’ la semplice constatazione delle implicazioni derivanti dalla “clausola di salvaguardia” e dello scopo che si cela dietro questa clausola, che può tranquillamente identificarsi nella volontà di ridurre le tasse degli italiani.

La clausola di salvaguardia è, infatti, un meccanismo di calcolo dell’imposta da versare che permette alle persone fisiche, nel momento di presentazione della dichiarazione dei redditi, di non pagare di più di quanto si è pagato negli anni passati, in vigenza cioè della vecchia Irpef e degli altri parametri di tassazione (scaglioni e detrazioni). In sostanza, con l’applicazione della clausola di salvaguardia, il saldo netto finale del risparmio che si realizza al momento del pagamento delle tasse, rispetto agli anni precedenti, potrà avere solo segno positivo, a beneficio del contribuente.

Il funzionamento della clausola di salvaguarda è molto semplice, anche se implica un supplemento di conteggi, ai fini della quantificazione dell’effettiva imposta da versare.

Ecco, in poche parole, in che cosa consiste. Innanzitutto si procede al calcolo della nuova imposta IRE secondo l’attuale normativa, che prevede nuove aliquote e nuove deduzioni al posto delle tradizionali detrazioni. Questo calcolo determinerà un’imposta netta da versare che dovrà essere confrontata con quelle che invece risulterebbero applicando, agli stessi dati, le vecchie normative dell’Irpef (quella ante 2003 e quella in vigore negli anni 2003/2004), con le loro aliquote e le loro detrazioni fiscali. Se da questo confronto scaturisse un importo da pagare, calcolato con una delle due vecchie normative, più basso di quello calcolato con l’attuale normativa di tassazione dell’IRE, la clausola di salvaguardia permetterebbe di versare l’imposta di minor importo, disapplicando quindi la legislazione in vigore, a favore di quella precedente (ormai abrogata) più benevola al contribuente.

Perciò bisognerà effettuare, in sede di dichiarazione dei redditi, addirittura 3 calcoli dell’imposta, adottando alternativamente la normativa:

  1. attualmente vigente;
  2. degli anni 2003/2004
  3. degli anni 2002 e immediatamente precedenti

Ma il raffronto di questi calcoli avrà l’indubbio vantaggio di permettere il materiale pagamento dell’imposta più bassa risultante dai tre tipi di conteggio.

Riassumendo, per risparmiare sulle prossime imposte, sono da tenere presenti le seguenti indicazioni, che si riferiscono alle principali caratteristiche delle ultime tre strutture impositive delle persone fisiche.



Caratteristiche tassazione ante 2003

detrazioni per carichi di famiglia

Scaglioni

- fino a 10.329,14
- da 10.329,15 a 15.493,71
- da 15.493,72 a 30.987,41
- da 30.987,42 a 69.721,68
- oltre 69.721,69

Aliquote

Caratteristiche tassazione 2003/04

  • deduzione “no tax area”
  • detrazioni per carichi di famiglia

Scaglioni

- fino a 15.000
- da 15.000 a 29.000
- da 29.000 a 32.600
- da 32.600 a 70.000
- oltre 70.000

Aliquote

Caratteristiche tassazione attuale

  • deduzione “no tax area”
  • deduzione “family area”
  • trasformazione delle detrazioni per carichi di famiglia in deduzioni

Scaglioni

- fino a 26.000
- da 26.000 a 33.500
- da 33.500 a 100.000
- oltre 100.000
  (solo per l’anno 2005)

Aliquote


La pianificazione fiscale concordata (Pfc)

La pianificazione fiscale concordata è un nuovo istituto fiscale, previsto dalla Finanziaria 2005 ed erede del vecchio concordato preventivo, che rappresenta di fatto una scommessa fatta dall’amministrazione finanziaria con il contribuente. Infatti, la pianificazione fiscale concordata consiste a grandi linee nella determinazione unilaterale da parte del fisco (anche se il contribuente può in qualche modo influire sulla quantificazione) dell’imponibile dell’impresa per i successivi tre anni e nella proposta di questo reddito imponibile al contribuente. Se quest’ultimo accetta l’imponibile prospettato, la scommessa si perfeziona e quindi negli anni futuri potrà verificarsi:

  • la vittoria del fisco, se il reddito conseguito sarà inferiore a quello concordato, perché comunque le imposte sul reddito saranno calcolate sulla base prefissata;
  • la vittoria del contribuente, se il reddito conseguito sarà maggiore dell’imponibile concordato con la Pfc. Una vittoria, tuttavia, subito da ridimensionare, perché la tassazione è calcolata comunque sul reddito effettivo e non su quello pattuito, avendo il contribuente solo il diritto ad essere tassato con aliquote agevolate rispetto a quelle ordinarie.

Ma vediamo meglio come funziona l’intero istituto della pianificazione fiscale concordata.

Operatività
Per rendere operativa la Pfc il contribuente non deve fare nulla, ma deve aspettare l’iniziativa degli uffici finanziari che gli invieranno la proposta di pianificazione fiscale, ovvero la base imponibile della sua attività, per i successivi tre anni, con esclusione di eventuali componenti straordinari di reddito positivi o negativi. Precisiamo subito che la pianificazione fiscale concordata non incide minimamente sull’IVA e sui suoi adempimenti, che rimangono pertanto pienamente obbligatori.

Soggetti interessati
Titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo (professionisti) sottoposti agli studi di settore per l’esercizio in corso al primo gennaio 2003.

Soggetti esclusi dalla Pfc
Non possono aderire alla pianificazione fiscale concordata i contribuenti che:

  1. non applicano gli studi di settore nel periodo suddetto per cause di esclusione o di inapplicabilità;
  2. esercitano un’attività diversa da quella precedentemente esercitata;
  3. non hanno esercito attività d’impresa o di lavoro autonomo in almeno uno dei periodi in corso al primo gennaio 2002, primo gennaio 2003 o primo gennaio 2004;
  4. hanno omesso la dichiarazione dei redditi (o quella dell’IVA) per l’attività esercitata in almeno uno dei periodi in corso al primo gennaio 2002 ed al primo gennaio 2003;
  5. hanno omesso la comunicazione dei dati rilevanti per gli studi di settore per il periodo in corso al primo gennaio 2003.

Adesione
Di fronte alla proposta del fisco, il contribuente può:

  1. ignorarla completamente, se non desidera accettare l’adesione alla Pfc;
  2. accettarla entro 60 giorni, se vuole aderire alla pianificazione fiscale concordata per il successivo triennio;
  3. rilanciare, cioè presentare una proposta alternativa a lui più favorevole, ma questa possibilità è concessa solo quando è dimostrabile la palese infondatezza della proposta originaria dell’amministrazione finanziaria. Infondatezza che presuppone a sua volta una sostanziale diversità dei dati o degli elementi strutturali utilizzati nell’attività, rispetto a quelli considerati nella formulazione della proposta.

L’adesione alla pianificazione fiscale concordata vincola il contribuente a dichiarare per tre anni almeno il reddito concordato, tuttavia qualora ritenga che avvenimenti straordinari ed imprevedibili abbiano impedito il raggiungimento del reddito pattuito con il fisco, egli può sempre dichiarare il minor reddito (inferiore all’imponibile pianificato) da lui contabilizzato. In quest’ultimo caso l’amministrazione finanziaria procederà ad accertamento parziale per la differenza fra reddito dichiarato e concordato, e ciò sia per le imposte sul reddito che per l’IVA. A questo accertamento il contribuente opporrà per l’appunto i documentati avvenimenti imprevedibili e straordinari che, secondo lui, hanno influito negativamente sulla determinazione del reddito e quindi si potrà instaurare tra le parti il procedimento ordinario di accertamento con adesione.
Oltre al caso appena esposto, anche una variazione nel triennio di riferimento dell’attività esercitata comporta inevitabilmente la cessazione dell’accordo stabilito nella pianificazione fiscale.

Effetti del Pfc
In ordine agli effetti della pianificazione fiscale concordata, consideriamo separatamente i due possibili casi che si potrebbero verificare nel periodo triennale considerato, ricordando che la Pfc niente cambia per quanto riguarda gli obblighi dell’IVA:

  1. Il reddito contabilizzato è inferiore a quello concordato.
    Tranne il caso sopra considerato di volontaria apertura di un contenzioso con il fisco per giungere successivamente all’accertamento con adesione, il contribuente non ha altra possibilità che quella di “integrare” in dichiarazione il reddito risultante dalla contabilità fino ad arrivare a quello pattuito nella Pfc. Così facendo egli sarà tassato comunque sul reddito concordato e questo anche ai fini dell’IVA, per la quale l’integrazione comporterà che ai maggiori ricavi si applicherà la media delle aliquote di vendita, qualora esse siano differenziate.
  2. Il reddito contabilizzato è superiore a quello concordato.
    In questa eventualità il contribuente sarà tassato per la parte eccedente il reddito pianificato applicando delle aliquote inferiori di 4 punti a quelle ordinarie (es. 33% diventa 29%), agevolazione dalla quale è però esclusa l’aliquota del 23% prevista sul primo scaglione dell’IRE (ex Irpef) che rimane uguale.
    I vantaggi non finiscono qui, perché sempre sulla parte eccedente il reddito pianificato il contribuente non pagherà i contributi previdenziali, ad eccezione di quelli stabiliti sul minimale di reddito. Agevolazione che non spetta ai professionisti per i versamenti alle Casse autonome di previdenza.

Un ulteriore beneficio a favore dei contribuenti che decidono di aderire alla pianificazione fiscale concordata è quello derivante dall’inibizione, per tutto il triennio, dei poteri d’accertamento degli uffici finanziari. Tuttavia questo vantaggio è sicuramente da ridimensionare, stante l’esistenza di casi che fanno venir meno la suddetta inoperatività dei poteri d’accertamento del fisco. In particolare, l’amministrazione finanziaria potrà procedere con atti d’accertamento nei confronti del contribuente che ha aderito alla Pfc, qualora:

  1. il reddito dichiarato diverge da quello effettivamente conseguito;
  2. non sono stati rispettati gli obblighi previsti per l’IVA;
  3. ci sono stati comportamenti penalmente sanzionabili;
  4. la definizione dell’imponibile pianificato, avvenuta su controproposta del contribuente, è stata basata su dati ed elementi non corrispondenti a verità.

IVA: liquidata e versata normalmente (la Pfc non incide sul calcolo e sugli adempimenti dell’IVA)

Contributi previdenziali: il contribuente non pagherà i contributi eccedenti il minimale.

IRE: il risparmio per l’imposta non pagata sarà di € 160,00

Scaglione

Reddito

Aliquota
ordinaria

Aliquota
agevolata

Imposta IRE

Imposta IRE
in Pfc

Differenza















oltre 33.500







Totali








Imposta sul Reddito (IRE): la nuova Irpef

Vediamo con un semplice schema come si calcola l’imposta sul reddito (IRE), erede della vecchia e cara Irpef.

Il 2005 sarà ricordato nella storia del sistema fiscale italiano come l’anno di addio all’Irpef (Imposta sul Reddito delle PErsone Fisiche), l’imposta diretta più conosciuta e temuta dai contribuenti. Al suo posto adesso c’è l’IRE (Imposta sul REddito), che presenta, rispetto all’Irpef, le seguenti novità:

  • 3 sole aliquote, ripartite in tre scaglioni di reddito (ma, solo per l’anno 2005, sono previste 4 aliquote)
  • scomparsa delle detrazioni d’imposta per dipendenti, pensionati, imprenditori e lavoratori autonomi
  • sostituzione delle detrazioni per carichi di famiglia (moglie, figli ed altri parenti conviventi) con una nuova deduzione chiamata della “family area”
  • conferma della deduzione già applicata detta “no tax area”
  • conferma ed ampliamento dell’importante “clausola di salvaguardia”
  • conseguente riduzione del carico fiscale per ogni contribuente (si paga di meno!)

L’IRE, che è l’imposta fondamentale del nostro sistema tributario, è personale, diretta, progressiva e colpisce il reddito. Queste caratteristiche sono tutte ereditate dall’Irpef ed hanno questo significato:

  • Personale. In quanto tassa i singoli contribuenti (persone fisiche) tenendo conto delle loro condizioni e situazioni particolari. In pratica questa condizione è operata attraverso la previsione di una serie di deduzioni (=diminuzioni dell’imponibile sul quale si applicano le aliquote) e di detrazioni (=diminuzioni dell’imposta da pagare).
  • Diretta. Perché colpisce la ricchezza (il reddito) nel momento della sua formazione e non nel momento in cui si trasferisce da un soggetto ad un altro, come le imposte indirette (IVA, registro, etc…).
  • Progressiva. Perché grava di più sui ricchi (=coloro che hanno più reddito imponibile) che sui poveri (=contribuenti con reddito meno elevato). Infatti, la previsione di aliquote crescenti con il reddito fa sì che l’imposta da pagare cresca più che proporzionalmente al crescere dell’imponibile. Più tecnicamente parleremo di “progressività a scaglioni di reddito”, dato che le aliquote aumentano in corrispondenza di classi di reddito sempre più alte.
  • Sul reddito. In quanto l’IRE ha per oggetto il reddito prodotto dal contribuente e non il suo patrimonio. Dovendo definire il reddito possiamo dire che esso è, semplificando per esigenze espositive, l’incremento annuale del patrimonio.

Ricordiamo inoltre che l’imposta sul reddito (IRE) si calcola su una ricchezza monetaria che è data dal “reddito complessivo” (al netto delle deduzioni) prodotto dal contribuente/persona fisica nel corso dell’anno di riferimento. Il reddito complessivo è a sua volta la somma delle seguenti componenti:

  1. Redditi fondiari, derivanti da case e terreni.
  2. Redditi di lavoro dipendente, derivanti dai salari e stipendi percepiti.
  3. Redditi d’impresa, derivanti dai profitti conseguiti nell’esercizio d’imprese commerciali. Nel caso di società il reddito d’impresa è detto reddito “da partecipazione”.
  4. Redditi di lavoro autonomo, conseguenti all’esercizio della libera professione e quindi di arti e mestieri intellettuali.
  5. Redditi di capitale, conseguenti ai dividendi ed interessi percepiti dai titoli di credito o per la partecipazione in società di capitali.
  6. Redditi diversi. Sono tutti gli altri redditi percepiti nell’anno diversi da quelli dei punti precedenti.

Nelle future dichiarazioni dei redditi (dall’Unico 2006), riferite agli anni d’imposta 2005 e seguenti, sarà pertanto necessario operare dei calcoli nuovi ed in gran parte diversi, rispetto a quelli cui eravamo finora abituati, per giungere alla quantificazione dell’imposta netta da versare. Ma già da ora dobbiamo tener conto, in alcuni casi, delle modifiche, come ad esempio per il calcolo della nuova imposta in busta paga.

Operazioni da compiere

Indicazioni operative, formule e parametri

Si sommano tutti i redditi

Reddito complessivo
(lordo)

Categorie di reddito

  • fondiari
  • di lavoro dipendente
  • d’impresa
  • di lavoro autonomo
  • di capitale
  • diversi

Si tolgono le spese deducibili

meno

oneri deducibili (compresa la deduzione per la prima casa e le sue pertinenze)

gli oneri deducibili sono quelli indicati nel TUIR (Testo Unico Imposte Redditi)

principali oneri deducibili

  • rendita prima casa + pertinenze
  • contributi previdenziali e assistenziali
  • erogazioni liberali a istituti religiosi
  • assegno periodico al coniuge separato
  • previdenza complementare

Si toglie la
“no tax area

meno

no tax area

no tax area

26.000 + deduzione teorica + oneri deducibili – reddito complessivo
__________ ______ ____ _____ _______ ______ _______
26.000

se dalla formula si ottiene:

  • un valore uguale o maggiore di 1, spetta l’intera deduzione teorica
  • un valore uguale a zero o negativo, non spetta alcuna deduzione per la no tax area
  • un valore compreso tra zero e 1, la deduzione spetta in proporzione ed è quindi pari alla deduzione teorica moltiplicata per il valore ottenuto, considerato con i primi quattro decimali (p. es. 0, 3427)

deduzione teorica = € 3.000 + (eventualmente) uno dei seguenti importi:

€ 4.500 per i lavoratori dipendenti (da rapportare al periodo di lavoro nell’anno)

€ 4.000 per i pensionati (da rapportare al periodo di pensione nell’anno)

€ 1.500 per gli imprenditori e lavoratori autonomi

Si toglie la deduzione per la “family area”

meno

deduzione per familiari a carico (family area)

family area

78.000 + deduz. family area + oneri deducibili – reddito complessivo
__________ ______ ____ _____ _______ ______ _______
78.000

se dalla formula si ottiene:

  • un valore uguale o maggiore di 1, spetta l’intera deduzione family area
  • un valore uguale a zero o negativo, non spetta alcuna deduzione per family area
  • un valore compreso tra zero e 1, la deduzione spetta in proporzione ed è quindi pari alla deduzione per family area moltiplicata per il valore ottenuto, considerato con i primi quattro decimali (p. es. 0, 3427)

deduzione family area (solo per familiari a carico) =

coniuge, € 3.200

figlio con più di 3 anni e non disabile, € 2.900

figlio con meno di 3 anni, € 3.450

figlio disabile, € 3.700

primo figlio quando l’altro genitore manca, € 3.200

altri familiari, € 2.900

(i suddetti importi spettano per i soli familiari a carico, sono da ripartire in proporzione all’effettivo onere sostenuto da ciascun contribuente e vanno eventualmente rapportati ai mesi dell’anno in cui i familiari sono stati a carico)

+ spese sostenute per assistenza personale (propria e dei familiari a
carico) in caso di non autosufficienza, per un max di € 1.820

Si arriva al reddito da assoggettare a tassazione

uguale

Reddito imponibile


Si applicano le aliquote percentuali a ciascun scaglione di reddito

Aliquote fiscali

Scaglioni e aliquote

scaglione

aliquota


fino € 26.000



da € 26.000 a € 33.500



da € 33.500 a € 100.000



oltre € 100.000 (solo per il 2005)



Calcolo veloce dell’imposta

scaglione

correttivo


fino € 26.000

zero


da € 26.000 a € 33.500



da € 33.500 a € 100.000



oltre € 100.000 (solo per il 2005)


per calcolare facilmente l’imposta è sufficiente applicare al reddito l’aliquota del corrispondente scaglione e sottrarre dal risultato ottenuto il correttivo indicato a fianco dello stesso scaglione

Si arriva così all’importa lorda

uguale

Imposta lorda


Si tolgono dall’imposta lorda le spese detraibili (il 19%)

meno

19 % delle detrazioni per oneri e spese

gli oneri detraibili sono quelli indicati nel TUIR (Testo Unico Imposte Redditi)

principali oneri e spese detraibili

  • spese sanitarie
  • interessi passivi su mutui ipotecari per l’acquisto della prima casa
  • premi per assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni
  • spese d’istruzione
  • spese funebri
  • erogazioni liberali alle Onlus

Si arriva finalmente all’imposta netta da pagare

uguale

Imposta netta

Applicazione della clausola di salvaguardia

Il contribuente può pagare di meno dell’imposta netta.
E’ infatti possibile pagare la minore delle seguenti imposte nette:

quella calcolata con le attuali aliquote e deduzioni

quella calcolata con le aliquote e detrazioni in vigore fino al 2002

quella calcolata con le aliquote e detrazioni in vigore nel 2003/2004

Occorre quindi procedere al calcolo dell’imposta anche con le vecchie normative, le cui aliquote si riportano, per opportunità, nei riquadri sottostanti.

Aliquote 2002

scaglioni (euro)

aliquota

fino a 10.329,14


da 10.329,15 a 15.493,71


da 15.493,72 a 30.987,41


da 30.987,42 a 69.721,68


oltre 69.721,68



Aliquote 2003/2004

scaglioni (euro)

aliquota

fino a 15.000


da 15.000 a 29.000


da 29.000 a 32.600


da 32.600 a 70.000


oltre 70.000







Le imposte dirette nella fase di passaggio tra il sistema tributario attuale
e quello previsto dalla riforma.

La legge del 7 aprile 2003 (G.U. n. 91 del 18 aprile 2003) prevede un profondo riassetto del sistema tributario, con la riduzione delle varie imposte oggi esistenti a cinque principali forme di tassazione, raccolte in un unico codice: imposta sul reddito, imposta sul reddito delle società, imposta sul valore aggiunto, imposta sui servizi, accisa. La riforma prevede anche la graduale eliminazione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

Per attuare i principi contenuti nella delega il Governo ha il compito di adottare uno o più decreti legislativi, da emanare entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge delega. Il decreto legislativo che introduce l’IRES (Imposta sul reddito delle società) e sostituisce l’IRPEG (Imposta sul reddito delle persone giuridiche) è appena stato emanato nel Dicembre 2003 ed entrato in vigore dal 1° Gennaio 2004, quindi con la dichiarazione del 2005.

Principali imposte dirette previste nel sistema tributario attuale e principi generali della riforma

IRPEF e principi generali dell’IRE

L’IRPEF, introdotta con la riforma del ‘71, è considerata la “regina” delle imposte dirette, sia perché da sola provvede i due terzi del gettito delle imposte dirette, sia perché è l’imposta che, in teoria, meglio si presta a realizzare il principio dell’efficienza e dell’equità:

  • efficienza perché il reddito nazionale di un paese si risolve nella somma dei redditi di tutti i cittadini e quindi, colpendo il reddito personale si colpisce la misura più rappresentativa della capacità contributiva;
  • equità perché, con la possibilità di variare le aliquote a seconda del reddito, si può facilmente obbedire all’indicazione della Costituzione “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” (art.53)

La struttura di base dell’imposta resta la stessa anche per l’IRE, la nuova Imposta sui redditi prevista con la Legge delega; è un’imposta generale sui redditi delle persone fisiche: per “reddito” si intende qualsiasi elemento di ricchezza proveniente da ognuna delle fonti indicata dalla legge:

  • redditi di lavoro dipendente
  • redditi di lavoro autonomo
  • redditi di capitale
  • redditi di impresa
  • redditi fondiari
  • redditi diversi

Sono considerati redditi da lavoro dipendente, oltre a salari e stipendi, le pensioni, le indennità di disoccupazione e di cassa integrazione, nonché i compensi corrisposti da Stato ed Enti Locali per l’esercizio di pubbliche funzioni (come le indennità dei parlamentari). E’ invece esclusa dal reddito tassabile quella parte di reddito che viene obbligatoriamente prelevata dallo stato per i contributi sociali.

I redditi da lavoro dipendente sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di acconto, sistema che consiste nel sottrarre ogni mese l’imposta dallo stipendio, per poi ricalcolare a fine anno, tenuto conto di tutti i redditi percepiti, a quanto ammonta l’imposta da versare e fare quindi il conguaglio tra quanto eventualmente sia ancora dovuto e quanto già versato a titolo, appunto, di acconto.

I redditi di lavoro autonomo sono quelli percepiti per l’ esercizio di arti e professioni da professionisti, collaboratori, scrittori, cantanti, ecc. Il reddito che deriva da lavoro autonomo è determinato come si determina quello di impresa: ricavi meno costi. E’ quindi costituito dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute per l’esercizio del proprio lavoro durante il periodo d’imposta.
Gran parte di questi redditi sono anch’essi soggetti al sistema della ritenuta alla fonte a titolo di acconto.

Il reddito di impresa è quello che deriva dall’esercizio di imprese commerciali (tra le quali sono comprese ai fini fiscali anche le attività agricole) ed è costituito dal risultato contabile del conto economico dell’esercizio, rilevato dalle scritture contabili, oppure stabilito in via forfettaria per le piccole imprese.

Per evitare la disparità di trattamento tra i redditi da lavoro, soggetti a ritenuta man mano che vengono percepiti, e i redditi di impresa, il contribuente è obbligato a versare un acconto sull’imposta che risulterà dovuta a fine esercizio. Il versamento d’acconto avviene nei mesi di giugno e novembre dello stesso anno in cui i redditi sono percepiti e si basa sui redditi dell’anno precedente.

Se l’impresa ha la forma di ditta individuale, ovviamente il reddito è imputato al titolare dell’impresa.
Se l’impresa ha la forma di società di persone (snc o sas), il reddito sarà imputato ai soci in proporzione alla quota da ciascuno posseduta.

Quando si tratta di redditi da capitale (interessi su titoli, conti correnti e depositi, dividendi su azioni), cominciamo ad allontanarci dalla nozione di reddito complessivo che in teoria dovrebbe essere alla base di un’imposta personale quale l’IRPEF. Infatti in Italia i redditi da capitale percepiti dalle persone fisiche hanno un trattamento particolare, cioè vengono tassati tramite una ritenuta alla fonte (applicando un’aliquota del 12,5 o del 27%) che sino ad ora poteva essere d’acconto o definitiva, stava al contribuente scegliere (fermo restando che le persone fisiche imprenditori erano obbligati alla scelta della ritenuta d’acconto). Se sceglieva la tassazione come ritenuta d’acconto, poi il reddito da capitale confluiva nel complesso dei suoi redditi entrando a far parte della base imponibile per calcolare l’imposta dovuta (e rispettando, così, il principio della tassazione sul reddito complessivo), ma poi il contribuente aveva diritto al riconoscimento di un credito d’imposta, in base al principio di evitare la doppia tassazione, dato che questi redditi da capitale vengono già tassati alla fonte in capo alla società che li produce con l’IRPEG; ma in pratica quasi tutti i non imprenditori sceglievano la tassazione con ritenuta definitiva, così che questi redditi vengono normalmente tassati separatamente, non entrano a far parte della base imponibile complessiva sfuggendo così alla progressività dell’imposta, ma non danno neanche diritto al credito d’imposta perché non vengono dichiarati nell’IRPEF. La riforma prevede l’abolizione del credito d’imposta sugli utili distribuiti dalle società, perciò ormai l’unico sistema per le persone fisiche non imprese resta quello della tassazione alla fonte con ritenuta definitiva, mentre per le imprese è prevista una esenzione parziale di questi redditi (il 60% è esente) al posto del credito d’imposta soppresso.

Le aliquote previste erano due:

    • 12,5% sui titoli di stato, dividendi su azioni e interessi su obbligazioni
    • 27% su redditi di conti correnti, depositi bancari e postali

Oggi l’aliquota resta per tutti quella minima del 12,5%.

Una ragione del regime sostitutivo dei redditi da capitale sta nel fatto che questi sono molto più facilmente occultabili dei redditi da lavoro, il fisco, quindi, si accontenta di tassarli (poco) alla fonte rinunciando alla progressività.

L’altra ragione di una tassazione favorevole dei redditi da capitale sta nel fatto che lo stato ha avuto il problema del finanziamento del deficit di bilancio ed emettendo titoli del debito pubblico in quantità invogliava i sottoscrittori prima con una totale esenzione dall’imposta sugli interessi dei titoli, poi (dal 1986) una tassazione molto “soffice” con l’aliquota ridotta.

Dal punto di vista economico, si tratta di una situazione ingiusta sul piano distributivo (nella misura in cui i redditi da capitale sono più concentrati tra i ricchi che tra i poveri) e dannosa sul piano dell’occupazione (perché se un paese tassa meno il capitale, per procurarsi il gettito di cui ha bisogno dovrà tassare di più il lavoro scoraggiando le assunzioni e mantenendo alta la disoccupazione).

Per redditi fondiari si intende il reddito prodotto dai terreni e fabbricati iscritti nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano. Il reddito non è quello effettivamente percepito dal proprietario di un terreno o di un fabbricato, ma è quello che risulta dalla applicazione delle tariffe di estimo catastale (il reddito medio ordinario che si presume possa derivarne).

Per il fabbricato adibito ad abitazione principale il contribuente ha diritto a dedurre dalla base imponibile la rendita catastale dell’immobile. Se un fabbricato viene affittato, allora si considera il reddito effettivo netto (reddito annuo derivante dalla locazione meno una quota forfetaria del 15% per le spese di manutenzione).

I redditi diversi costituiscono una categoria residuale che comprende principalmente le plusvalenze realizzate mediante operazioni immobiliari (acquisto e rivendita di immobili) e le plusvalenze realizzate mediante cessione di titoli, valute ed altri valori a scopo speculativo (i cosiddetti capital gains), Anche per questi redditi si applica un regime particolare, che consiste in una imposta sostitutiva che può essere del 27% o del 12,5% (a seconda che si tratti di cessione di partecipazioni qualificate o meno). Il contribuente può tuttavia optare per la tassazione d’acconto, e quindi riportare i guadagni di capitale nel reddito complessivo dell’IRPEF.

La legge prevede infine una tassazione separata per alcuni redditi che vengono percepiti “una tantum”, ma sono maturati in più anni, come le retribuzioni arretrate dei lavoratori dipendenti e il trattamento di fine rapporto. Infatti se tali redditi venissero sommati al reddito abituale, il contribuente verrebbe penalizzato data la progressività dell’imposta.

Come si calcola l’imponibile IRPEF e l’imposta dovuta

Dopo aver sommato tutti i redditi, si calcola il reddito complessivo, ma da questo si possono operare delle deduzioni, che sono quindi delle somme sottratte al reddito complessivo per determinare la base imponibile da assoggettare all’IRPEF.

Gli oneri deducibili sono imputabili a ragioni sociali, e vi rientrano le spese mediche per invalidità o handicap, i contributi previdenziali, i versamenti per le pensioni integrative, l’assegno corrisposto al coniuge in caso di separazione o divorzio, le erogazioni versate alla chiesa cattolica o altre chiese indicate dalla legge entro certi limiti, i contributi per i paesi in via di sviluppo, oltre alla già vista deduzione per l’abitazione principale. Infine, sul reddito complessivo al netto degli oneri deducibili viene applicata una ulteriore “deduzione per la progressività” solo ai redditi medio-bassi.

Una volta determinata la base imponibile (reddito complessivo al netto degli oneri deducibili e della deduzione per la progressività, ove spettante) si può procedere alla determinazione dell’imposta dovuta.

Poiché l’IRPEF è un’imposta progressiva, la tassazione avviene applicando alla base imponibile aliquote crescenti per scaglioni di reddito.

La determinazione della scala delle aliquote è una scelta di politica economica. Se il legislatore considera prioritario l’obiettivo della redistribuzione, l’imposta è congegnata in modo tale che le aliquote aumentino, anche se di poco, a ogni piccolo incremento del reddito, con un notevole divario tra l’aliquota minima e quella massima. Nel nostro paese, inizialmente, il reddito delle persone fisiche era suddiviso in 32 scaglioni con aliquote che andavano da un minimo del 10% ad un massimo del 72%.

Se invece si intende privilegiare l’obiettivo della crescita economica la progressività è meno accentuata, le aliquote aumentano solo in corrispondenza di consistenti variazioni di reddito e il differenziale tra aliquota massima e minima è attenuato. Attualmente gli scaglioni sono 5. L’aliquota minima, che fino al 2002 era del 18%, con la legge finanziaria per il 2003 è stata elevata al 23%, e corrispondentemente è stata introdotta la deduzione per la progressività in modo da esentare i redditi minimi e alleggerire i medio-bassi.

    • 23% per il primo scaglione, comprendente la parte di reddito fino a 15.000 €
    • 29% per il secondo tra 15.000 e 29.000 €
    • 31% per il terzo tra 29.000 e 32.600 €
    • 39% per il quarto, tra 32.600 e 70.000 €
    • 45% per il quinto, oltre 70.000 €

Ad ogni scaglione di reddito si applica l’aliquota corrispondente, poi si sommano le imposte da pagare su ogni scaglione e si ottiene l’imposta lorda totale. Nella Legge delega per la riforma sono previste solo due aliquote: il 23% per i redditi fino a 100.000 € e il 33% per i redditi superiori.

A questo sistema a due aliquote si affianca un sistema di deduzioni non ancora precisate, circolano tuttavia ipotesi di una deduzione che azzeri l'imposta per i primi 6500€ e di ulteriori deduzioni, decrescenti al crescere del reddito. E' evidente che il sistema di deduzioni è decisivo per mantenere almeno in parte il principio di progressività previsto dalla Costituzione (l'aliquota del 23% abbraccia il 99.5% degli attuali contribuenti e quindi si configura nei fatti come una aliquota unica).

La riduzione del gettito, applicando queste aliquote, secondo il governo sarebbe in parte compensata dal fatto che la minore imposizione sarebbe da stimolo ai consumi e, di conseguenza produrrebbe un significativo aumento del gettito IVA. Ne risulta un evidente modificazione dell’attuale equilibrio tra imposte dirette e indirette che non va nella direzione dell’equità, essendo l’imposta indiretta un’imposta dall’effetto sostanzialmente regressivo perché l’aliquota fissa incide in modo più gravoso sui contribuenti a basso reddito.

L’imposta lorda totale ottenuta calcolando l’aliquota su ogni scaglione di reddito va distinta dall’imposta netta, che sarà quella alla fine pagata dal contribuente, e che si ottiene dopo aver sottratto le detrazioni attualmente previste dalla legge.

Le detrazioni hanno la funzione di adeguare ulteriormente il prelievo alla situazione personale del contribuente e sono di tre tipi:

    • per carichi di famiglia : (somme da detrarre per figli, coniuge o altri familiari a carico, graduate in base al reddito complessivo del contribuente e al numero dei figli) Tali detrazioni recentemente sono state aumentate, anche se di poco, per i figli fino a 3 anni, nel (tardivo) riconoscimento che in Italia gli incentivi finanziari alla famiglia sono troppo bassi, e questa è almeno una delle cause di un tasso di natalità tra i più bassi del mondo.
    • Per la natura del reddito: spettano al reddito da lavoro dipendente(incluse le pensioni) in modo graduato rispetto all’ammontare del reddito. Rispondono alla filosofia di dare un certo riconoscimento anche a questi redditi (come al reddito di impresa che si calcola ricavi meno costi) alle spese sostenute per la produzione del reddito.
    • Detrazioni per oneri, che non rientrano tra quelli deducibili: si tratta di spese personali che prima della riforma del ’97 potevano essere dedotte dalla base imponibile, e oggi invece costituiscono 'oneri detraibili”, cioè da detrarre dall’imposta lorda, nella misura del 19% delle spese sostenute (spese sanitarie per la parte eccedente i 130 €, spese per l’istruzione, interessi passivi sui mutui per l’acquisto della prima abitazione, ed altre).

Queste detrazioni vengono abolite dalla riforma per essere sostituite dal sistema di deduzioni di cui sopra.

Dall’ammontare dell’imposta netta vanno ulteriormente detratte le ritenute alla fonte a titolo di acconto (per i lavoratori dipendenti e in certi casi gli autonomi), i versamenti di acconto e i crediti d’imposta ora aboliti.

IRES

Il 16 dicembre 2003 è stato pubblicato nella 'Gazzetta Ufficiale' il decreto legislativo di riforma della tassazione delle società di capitali, secondo le linee previste dalla delega per la riforma fiscale . Si tratta di un provvedimento molto ampio e complesso, che muta radicalmente oltre al nome (da Irpeg a Ires), anche il disegno della tassazione societaria nel nostro paese. Il decreto entrerà in vigore il 1° gennaio 2004. Da quanto si legge nel comunicato del Consiglio dei ministri del 12 settembre: 'L´imposta sul reddito delle società che sostituisce l’Irpeg adegua tutte le regole del prelievo sugli utili prodotti dalle società all´evoluzione in atto nei paesi europei (riduzione delle aliquote, semplificazione)'. È in realtà impossibile individuare un modello europeo di riferimento o un’evoluzione comune per la tassazione societaria. I sistemi vigenti restano ampiamente differenziati.

Soggetti passivi dell’imposta, come per l’IRPEG, sono le società di capitali e le cooperative, oltre agli enti non commerciali (associazioni, onlus). Sono soggetti passivi anche le società e gli enti di ogni tipo, non residenti nel territorio dello Stato, per i redditi prodotti in Italia.

L’aliquota passa dal 34% al 33% del reddito imponibile (base imponibile), costituito dalla differenza tra i ricavi considerati tassabili e i costi ammessi in deduzione, ottenuti nell’ambito di un certo periodo di tempo denominato periodo d’imposta. La riduzione delle aliquote dell’imposta societaria è un fenomeno iniziato nella generalità dei paesi occidentali negli anni Ottanta.
L’Italia è andata in controtendenza per lunghi anni, fino alla riforma Visco del 1997-98 che aveva ridotto l’aliquota sugli utili societari dal 53,2 per cento a un valore compreso fra il 31,25 e il 41,25 per cento (sistema di tassazione a due aliquote, noto come Dit, la dual income tax cioè un modello di tassazione duale a due aliquote che consentiva la detassazione degli utili reinvestiti, mediante l’applicazione su di essi di un’aliquota ridotta). Successivamente la riduzione dell’aliquota era stata portata avanti sino ad arrivare all’attuale 34%, con il congelamento però della aliquota Dit (che intanto era scesa al 19%).

Con la nuova riforma alla ulteriore riduzione dell'aliquota al 33% si accompagna la soppressione definitiva della Dit. Il modello di tassazione duale, che già era stato sospeso nel 2001, viene dunque definitivamente abbandonato a favore di un modello di tassazione unica. A proposito di modello europeo, i paesi nordici e l’Austria adottano sistemi di tassazione duale che, seppure molto diversi fra loro, hanno alcuni punti in comune con il sistema introdotto in Italia nel 1997 e ora abolito. Il vecchio sistema, con la Dit, premiava chi capitalizzava le imprese accordando più basse aliquote di tassazione, mentre le nuove regole tendono a favorire la capitalizzazione delle imprese seguendo una strada totalmente diversa, perché chi non si capitalizza a sufficienza e sostiene il costo di interessi passivi, non potrà dedurre interamente tale costo dalla base imponibile: si passa quindi dal premio ai virtuosi alla punizione per chi non capitalizza.

Per quel che riguarda la base imponibile, vi sono diverse variazioni ed esenzioni.

In primo luogo la misura della thin capitalization, appena accennata, che riguarda le imprese di medio-grandi dimensioni, che rende indeducibili gli interessi passivi sui finanziamenti direttamente erogati dai soci o da questi ultimi soltanto garantiti, al fine di scoraggiare l’indebitamento, a meno che non sia la forza economica stessa della società che garantisce l’indebitamento.

Come già osservato, scompare il meccanismo dei crediti d’imposta per i redditi da capitale, e viene introdotto il principio della esenzione. Infatti per evitare la doppia tassazione sulla società che distribuisce e la società che percepisce questi redditi, i dividendi percepiti dalle società divengono quasi totalmente esentati da imposta: le società si vedranno tassare il 5% dei redditi percepiti con prelievo definitivo ed aliquota IRES del 33%. La abolizione del credito d’imposta comporta un aggravio minimo per le società di capitali, mentre risulta più onerosa per le ditte individuali e le società di persone, perché oggi queste si vedranno tassati con prelievo definitivo e con aliquota IRE (del 23 o del 33%) il 40% dei dividendi percepiti che rientrano nel reddito d’impresa. Il risultato sarà quello di tassare la società dalla quale scaturisce il reddito, di esentare di fatto i percettori intermedi che siano a loro volta società di capitali e di esentare solo parzialmente il percettore finale (persona fisica), che sarà quindi soggetto a doppia imposizione su una parte dei dividendi percepiti.

Per ciò che riguarda i redditi consistenti in plusvalenze derivanti da cessioni di azioni o di partecipazioni in società non rappresentate da titoli, che prima erano tassate con regime sostitutivo ed aliquota del 19%, la nuova normativa introduce il regime della “participation exemption”, ossia una esenzione totale, purché si verifichino determinate condizioni (ad es. siano iscritte da almeno un anno nelle immobilizzazioni finanziarie). Sistemi di 'esenzione da partecipazione' esistono in diversi paesi della Ue, ma sono solitamente caratterizzati da condizioni più restrittive.

L’istituto in commento trova una sua applicazione seppur parziale anche per i soggetti IRPEF (futura IRE), in quanto per le imprese individuali e le società di persone è prevista un’esenzione parziale del 60% (plusvalenze tassabili al 40%), mentre non ha alcuna rilevanza nel possesso di partecipazioni da parte di persone fisiche non imprenditori, che continueranno a pagare l’imposta sostitutiva interamente.

Tra i nuovi istituti introdotti, quello che maggiormente potrebbe definirsi 'europeo' è il consolidato fiscale, ossia la possibilità di compensare a fini fiscali utili e perdite delle società appartenenti a un gruppo (solo il Belgio e la Grecia, oltre all’Italia, non hanno una tassazione di gruppo). Anche sul consolidato, i paesi europei adottano criteri e regole diversi sia nella definizione di gruppo, sia nelle modalità di consolidamento. Il nuovo istituto introdotto si ispira soprattutto alla riforma tedesca dell’estate 2000, sistema tra quelli più favorevoli in ambito Ue per le holding e per i gruppi.

Per accedere al consolidato fiscale è sufficiente una partecipazione superiore al 50 per cento, mentre negli altri paesi europei occorre una partecipazione dell’80 o del 90 %. Inoltre, il sistema introdotto in Italia prevede che la possibilità di compensazione sia estesa alle controllate estere (cosiddetto consolidato mondiale), con l’obbligo di escludere dalla compensazione le società con sede nei paradisi fiscali. Il consolidato fiscale internazionale è consentito all’interno della Ue solo dalla Danimarca, ma esclusivamente nel caso di possesso al 100 per cento dell’azienda partecipata, e dalla Francia, in casi limitati valutati di volta in volta dalle autorità fiscali. Una recente proposta avanzata dalla Commissione europea era invece di adottare un sistema di tassazione societaria a base comune consolidata in ambito Ue, anziché in ambito nazionale o mondiale, con successiva ripartizione dei profitti secondo criteri predefiniti, quali la localizzazione dei fattori produttivi e delle vendite (c.d. formula apportionment).

Secondo molti analisti, se da una parte la riduzione dell’aliquota, l’esenzione dei capital gains e l’introduzione del consolidato fiscale avranno effetti positivi soprattutto sulle grandi società, d’altra parte le aziende avranno probabilmente un aggravio legato all’abolizione del credito d’imposta sui dividendi e all’indeducibilità degli interessi passivi.



La manovra di bilancio dello stato: dalla finanziaria omnibus verso la legge di stabilità.

La manovra di bilancio racchiude un complesso di provvedimenti di competenza del Governo e sottoposti all’approvazione parlamentare, che non si esauriscono nella presentazione ed approvazione del bilancio, preventivo e consuntivo. Alti atti precedono e accompagnano l’iter di approvazione del bilancio, per inserirlo in un quadro di programmazione economica e così correggerne i risultati nel senso desiderato. Per fare questo occorre impostare una programmazione, non si può fare direttamente in sede di discussione del bilancio. Anche perché l’art. 81 vieta espressamente di apportare le correzioni di entrata o di spesa direttamente nella legge di bilancio.

Questi altri atti che compongono la manovra sono il Dpef, (Documento di programmazione economico-finanziaria), da presentare entro il 30 giugno, che costituisce in pratica il progetto iniziale; poi entro il 30 Settembre devono essere presentati il bilancio annuale e pluriennale a legislazione vigente (che riporta le entrate e le spese così come previste dalle norme in vigore) insieme con la legge finanziaria, che apporta alle leggi di entrata e di spesa le modifiche necessarie per indirizzare i conti verso gli obiettivi desiderati (riduzione del deficit, sviluppo, ecc).

All’esame della finanziaria è dedicata una “sessione di bilancio” apposita, da ottobre a dicembre (con due passaggi per ogni Camera, in commissione bilancio e poi in aula), per arrivare entro la fine dell’anno ad approvare la finanziaria e il bilancio annuale e pluriennale “programmatico” (adeguato agli obiettivi programmati perché ha recepito le variazioni previste in finanziaria ).

In mancanza di approvazione del bilancio prima dell’inizio dell’anno, la Costituzione all’art. 81 c. 2, stabilisce che è possibile superare il limite del 31 dicembre per non più di quattro mesi (cioè entro il 30 Aprile), ma solo con legge apposita che conceda l’esercizio provvisorio del bilancio (contenendosi per ciascun mese nei limiti di un dodicesimo della spesa dell’anno precedente).

  1. Il Dpef. Non è presentato come disegno di legge, ma ha la natura di un documento di programmazione elaborato dal Ministro dell’Economia e approvato dal Consiglio dei Ministri, che deve essere presentato al Parlamento entro il 30 di Giugno per il dibattito e la votazione nella forma della risoluzione (che deve avvenire entro il 31 Luglio).

    Il Dpef prevede le grandi linee dei conti pubblici per i prossimi quattro anni (e ogni anno si aggiorna per scorrimento andando avanti di un anno), inserendoli nel quadro più ampio dell’economia nazionale, europea e mondiale, perché solo tenendo conto dell’andamento del PIL e della congiuntura nel paese e nel mondo si possono prevedere correttamente i conti pubblici (sappiamo che entrate e spese sono influenzate dal ciclo economico) ed apportare aggiustamenti e correzioni, insomma realizzare la propria politica di bilancio.

    Il Dpef risulta quindi costituito da tre parti:
    1. proiezione del quadro macroeconomico internazionale e interno (andamento previsto del PIL e dei prezzi nel mondo, nell’area dell’euro e in Italia)
    2. andamento tendenziale delle grandezze di bilancio, cioè a dire a quali risultati di bilancio si giungerebbe lasciando le politiche invariate all’interno del prospettato andamento dell’economia
    3. obiettivi programmatici, cioè risultati di bilancio a cui si decide di pervenire, e interventi correttivi da apportare alle entrate e alle spese per ottenere i saldi desiderati e realizzare gli altri obiettivi di politica economica compatibili.

Dagli anni Novanta accade abbastanza costantemente che, siccome dalla proiezione tendenziale risulta un deficit pubblico troppo elevato, la manovra ha l’obiettivo prioritario di ridurre il deficit. Essa consiste in un pacchetto di misure del valore di tot miliardi di correzione, indicando quanto della correzione deve insistere sulle entrate e quanto sulle spese per ridurre il deficit al livello desiderato. Naturalmente non deve trattarsi necessariamente (e non sempre si è trattato) di misure tutte restrittive, perché contemporaneamente possono e devono essere finanziati altri obiettivi importanti.

A titolo di esempio, il DPEF per il 2004-2007 prevede per quest’anno 2004 una manovra correttiva di circa 16 miliardi di euro, per un terzo tagli di spesa e due terzi nuove entrate “una tantum”, e che sarà utilizzata per la maggior parte al fine di ridurre l’indebitamento all’1,9% del rapporto deficit/PIL (il cui andamento tendenziale, cioè senza manovra, risulterebbe del 3,1%) e per il resto a finanziare interventi per lo sviluppo.

  1. Il bilancio preventivo annuale e pluriennale a legislazione vigente, cioè il bilancio tendenziale senza le correzioni indicate nel Dpef, è redatto dalla Ragioneria generale dello Stato (presso il Ministero dell’Economia), che raccoglie e coordina tutte le previsioni di entrata e di spesa che pervengono dagli uffici centrali del bilancio di ciascun Ministero. Quello annuale è analiticamente dettagliato, mentre il pluriennale contiene solo le grandi cifre di entrata e di spesa (e non ha la valenza giuridica di atto di autorizzazione).

    Il Consiglio dei Ministri delibera il relativo disegno di legge entro il 30 Settembre e lo presenta al Parlamento.
  2. Occorrerà contemporaneamente predisporre il disegno di legge finanziaria, a cura del Ministro dell’Economia e delle Finanze e deliberato dal Consiglio dei Ministri, attraverso il quale si apportano alle leggi in vigore le modifiche necessarie per l’attuazione degli obiettivi programmati.


    La finanziaria fissa il tetto massimo del rapporto deficit/PIL che si vuole ottenere, e indica gli interventi correttivi di entrata e di spesa per l’anno prossimo e più a grandi linee nei tre anni a venire.

    L’esperienza dei primi dieci anni di funzionamento della finanziaria (introdotta con L. 468/1978) ha dimostrato che essa tendeva a trasformarsi in una sorta di calderone dove confluivano, spesso all’ultimo momento, decine di articoli che regolamentavano microsettori dell’economia che, non essendo riusciti a prendere in esame attraverso i normali canali parlamentari, venivano infilati nella finanziaria (si parla di “assalto alla diligenza” dei parlamentari e di “finanziaria omnibus”) con il risultato di ampliare la portata delle misure di spesa corrente fuori dai limiti programmati e di un sostanziale aggiramento dell’art. 81 della Costituzione. Inoltre la mancanza di vincoli agli emendamenti e ai tempi di esame portava al ricorso abituale all’ esercizio provvisorio con lo slittamento del voto dopo il 31 dicembre.

    Per queste ragioni la legge 362/1988 ha modificato il meccanismo della manovra del bilancio prevedendo una legge finanziaria “snella” nei contenuti (ossia strettamente limitata alla definizione dei vincoli di bilancio come il saldo netto da finanziare e il ricorso al mercato, e alla definizione delle grandi scelte di carattere generale) e nei tempi di approvazione, con nuove regole più rigide per la presentazione degli emendamenti e, soprattutto,l’adozione del voto palese in Aula..
    La normativa sostanziale necessaria alla copertura della legge finanziaria è stata così affidata a disegni di legge collegati alla finanziaria, che venivano esaminati fuori dalla sessione di bilancio pur godendo di una corsia preferenziale perché determinanti per la copertura della manovra.

    Dopo undici anni però è stata necessaria un’ulteriore riforma a causa dell’uso aberrante dei collegati che, nonostante la corsia preferenziale, prolungavano a dismisura l’attuazione della manovra non permettendo la tempestiva trasformazione in legge degli interventi programmati. Per far fronte a tale situazione è intervenuta la legge 208/99, che ha eliminato i collegati con corsia preferenziale il cui contenuto viene di nuovo trasfuso nella Finanziaria, escludendo però ogni provvedimento non immediatamente necessario alla copertura della manovra, come quelli di carattere localistico o ordinamentale o di delega al governo per realizzare riforme strutturali, da inserire invece in un collegato fuori sessione.

    La tendenza però rimane quella dell’assalto alla diligenza, ed ancora è accaduto che gli articoli della finanziaria nel corso della sessione di bilancio siano aumentati sino a raddoppiare. Ormai maggioranza e opposizione ritengono che è arrivato il momento di intervenire di nuovo sulla materia. Sembra indispensabile tenere sotto controllo il rispetto del patto di stabilità che ci lega all’Europa ed escludere l’effetto omnibus da tutti deprecato.

    Nel corso dell'attuale legislatura sono stati presentati al Senato due disegni di legge di riforma dell’attuale legge finanziaria. In particolare, è prevista la ridenominazione della legge finanziaria in legge di stabilità con una conseguente ristrutturazione del contenuto, per includervi norme di coordinamento dei vari livelli della finanza pubblica e distribuire tra Stato centrale ed enti pubblici (tenendo conto del sistema federale o devolutivo) il carico dell'aggiustamento. Infatti il concorso di Stato centrale ed enti pubblici è necessario per assicurare il raggiungimento degli obiettivi cui il nostro Paese è obbligato a seguito della sottoscrizione del Patto di stabilità e di crescita.

    Obbligo che fa capo allo Stato e alle Regioni di tenere fede agli impegni internazionali ed europei (articolo 117, primo comma, della Costituzione), e competenza esclusiva dello Stato centrale nel garantirne il rispetto (articolo 117, secondo comma, della Costituzione).

    Inoltre, l’attuale meccanismo di approvazione parlamentare della legge finanziaria risulta farraginoso: quattro letture dello stesso testo (prima in Commissione e poi in aula, per ambedue i rami parlamentari) con la possibilità in ogni lettura di modificare il testo originario. Si vuole, pertanto, prevedere una procedura più snella di approvazione, con la Commissione bilancio che definisce il testo (il cui potere emendativo sarebbe circoscritto alla redistribuzione delle risorse disponibili tra settori e tra funzioni, senza introdurre materie nuove o disposizioni di dettaglio o modificare i risultati generali) e le assemblee che potrebbero solo approvare o respingere i singoli articoli, con un risparmio notevole di tempo. In tal senso si parla di una legge di bilancio “blindata”.
    Si ritiene necessario, inoltre, rivalutare la portata dei provvedimenti collegati alla finanziaria garantendo loro la corsia preferenziale che hanno perso uscendo dalla sessione di bilancio per far sì che siano approvati prima del successivo Dpef.

    VARIAZIONI DI BILANCIO e RENDICONTO

    Se nel corso dell’esercizio finanziario si rendesse necessario aumentare lo stanziamento di fondi che si rivelano insufficienti alla copertura di determinate spese espressamente indicate, si può ricorrere ai fondi speciali o fondi di riserva previsti appositamente (es. fondi di riserva per le spese obbligatorie, come gli stipendi o gli interessi sui titoli del debito pubblico) e la variazione di bilancio avviene con decreto del Ministro dell’Economia.

    Ulteriori modifiche del contenuto del bilancio che non rientrano nelle voci di spesa di cui sopra, possono essere apportate solo con una legge di variazione del bilancio.

    Nel tempo alla finanziaria si è aggiunta la cosiddetta “manovrina” , una manovra correttiva che si inserisce a metà anno con un apposito disegno di legge per l’assestamento del bilancio, preparato dal governo, allo scopo da una lato di recepire in un solo documento tutte le note di variazione, e dall’altro di “fare il punto” della situazione ed aggiungere ulteriori correttivi in corso d’opera per avvicinarsi agli obiettivi di bilancio spesso sottovalutati in sede di finanziaria.

    Per evitare un’espansione incontrollata della spesa, l’art. 81 Cost. dispone che “ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”, e per applicare in modo stringente il dettato costituzionale, la legge dell’’88 ha indicato in maniera tassativa i modi attraverso i quali si può prevedere la copertura, e cioè l’utilizzo dei fondi speciali iscritti in bilancio, la riduzione di altre spese, o l’aumento delle entrate, con esplicita esclusione del ricorso all’indebitamento.

    L’atto con cui termina la procedura di bilancio è il Rendiconto (presentato entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio finanziario), approvato con legge del Parlamento dopo aver passato il “giudizio di parificazione” da parte della Corte dei conti (art.100 c.2 Cost.), che esercita il controllo successivo sulla gestione del bilancio al fine di accertare che la gestione delle entrate e delle spese sia stata effettuata in conformità con il bilancio di previsione e in generale con le norme vigenti.

    La manovra economica per il 2004

    La manovra e' di circa 16 miliardi di euro di correzione dei conti pubblici.
    La correzione dei conti consiste in maggiori entrate per circa 12,3 miliardi di euro (di cui 3,3 miliardi dal condono edilizio, 3 miliardi dal concordato preventivo e riapertura termini condono fiscale, 5 miliardi dall’alienazione di immobili e 1 miliardi di euro di storno dei residui) e tagli di spesa per 3,5 miliardi di euro (di cui1,8 miliardi di tagli agli Enti Locali, 0,7 miliardi di tagli dalle pensioni d’oro, invalidità ecc., 1,5% miliardi di stretta sulle spese dei ministeri).

    Queste risorse saranno utilizzate per circa 10 miliardi al fine di ridurre l’indebitamento e per 6 miliardi a interventi per lo sviluppo (di cui 1 miliardo di euro per tecno-incentivi, 1 miliardo infrastrutture, 0,5 miliardi di spese per bonus figli e 2,5 miliardi di euro di spese già impegnate nell’esercizio precedente per la difesa e interventi vari)

    La manovra è composta da tre provvedimenti distinti:
    • la LEGGE 24 novembre 2003, n. 326, dal titolo “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)”;
    • da un unico decreto legge collegato D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (chiamato decreto omnibus) “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”;
    • dalla “delega al governo in materia previdenziale” (già collegata alla Finanziaria dell’anno scorso, ma non ancora approvata) che non è parte formale della Finanziaria, ma ne è parte strutturale.

Già le precedenti manovre per il 2002 e per il 2003 erano state accompagnate da decreti legge che concorrevano, anche in misura significativa, alla manovra complessiva, innovando la prassi procedurale nel senso di adottare provvedimenti d’urgenza in chiave “preventiva” rispetto alla manovra adottata con la legge finanziaria.

Questa volta tre quarti della manovra sono stati varati con decreto-legge, un provvedimento assai complesso che contiene disposizioni di vario genere volte a garantire le maggiori entrate “una tantum” (condoni edilizio e fiscale, vendita di immobili e “lease back” - cioè la vendita e il riaffitto - degli edifici adibiti a uffici pubblici, ecc.) necessarie a finanziare interventi di spesa contenuti non solo nel decreto-legge stesso, ma anche in larga parte nella legge finanziaria, e altre misure di carattere ordinamentale.

In via di prassi, senza discussione sul disegno di riforma, si è giunti alla configurazione di una sessione di bilancio rapida e realmente blindata nella quale spetta al Governo dettare i contenuti, mentre l’intervento parlamentare è ridotto al minimo.

Infatti il cosiddetto “decretone” collegato con la manovra per il 2004 ha ulteriormente velocizzato la tempistica della sessione parlamentare di bilancio, considerato il termine ridotto per la conversione in legge. Inoltre, per evitare l’approvazione di emendamenti riduttivi degli effetti finanziari complessivi del decreto-legge, è stata più volte posta la questione di fiducia (complessivamente vi sono stati sulla manovra cinque voti di fiducia: due sul decreto-legge e tre sul disegno di legge finanziaria).



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