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IL WELFARE STATE E IL DIRITTO INTERNAZIONALE
Questi progetti nati al fine di promuovere lo sviluppo locale si muovono in direzione delle pari opportunità, ma soprattutto dell'uguaglianza fra gli individui che in molti Paesi poveri non viene ancora riconosciuta.
IL WELFARE STATE
Che il benessere dell'individuo - in termini di salute, istruzione, sicurezza economica, tutela dell'infanzia e della vecchiaia - sia un diritto che lo stato deve garantire a tutti i cittadini è un concetto di recente acquisizione. Fino alla fine dell'Ottocento lo stato si faceva carico solo della difesa dai nemici esterni e dell'ordine pubblico, lasciando alla carità privata o religiosa la soluzione del problema della povertà. Con la rivoluzione industriale emerse drammaticamente la questione sociale, poiché non erano più solo gli emarginati a rischio di povertà, ma anche chi aveva un lavoro, gli operai, non riusciva a ricavare un reddito sufficiente per uscire dalla miseria. Dopo i primi interventi legislativi a tutela dei lavoratori, contro i rischi di infortunio e a favore delle donne e dei bambini, fu nella Germania di Bismarck che prese l'avvio lo "stato sociale", nella convinzione che il lavoratore dovesse essere tutelato perché con il suo lavoro non perseguiva solo il proprio interesse privato, ma adempiva a una funzione sociale. La crisi attuale del welfare state, nella quale si dibattono tutti i Paesi a economia avanzata, deriva non solo dal disavanzo tra contributi previdenziali incassati e contributi erogati, ma anche dal costo e dal potere degli enti pubblici preposti alla gestione dei servizi
Una delle caratteristiche peculiari dello stato costituzionale contemporaneo è l'aver incluso progressivamente nel suo sistema quello che ormai si usa definire con il termine anglosassone di welfare state e che viene variamente tradotto come stato del benessere, stato sociale, stato assistenziale. Non si tratta solo di un dato di fatto: la nozione di "benessere" è entrata ormai nel novero di quelle che si ritiene debbano essere tutelate dai diritti fondamentali. È lo stato stesso che deve fornire ragionevoli garanzie affinché siano assicurate a tutti le principali condizioni materiali per una buona condizione di vita (la salute, l'istruzione, la tutela delle "età deboli" dell'uomo come infanzia e vecchiaia, una minima sicurezza economica contro il rischio di povertà, ecc.). La tutela di questo tipo di "benessere" viene ormai considerata a tal punto parte della garanzia dei diritti fondamentali, che si discute se si tratta di un diritto riservato solo ai membri di una comunità politica, cioè a coloro che sono legati ad essa da un rapporto di cittadinanza, o se si tratti di un diritto fondamentale che va riconosciuto a tutti gli uomini in quanto tali, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un legame di appartenenza allo stato che deve erogare i servizi necessari per rendere quelle garanzie effettive.
Un approccio di questo tipo al problema del "benessere" dei cittadini è un fenomeno relativamente recente: solo a partire dalla fine del XIX secolo si è realmente iniziato a discutere a fondo di questi problemi e solo dopo la seconda guerra mondiale essi sono divenuti problemi di rilevanza "costituzionale" nell'ambito dei sistemi occidentali.
Lo Stato sociale che deve garantire il benessere di ogni individuo adempie così anche al rispetto del principio di uguaglianza riconosciuto dalla Costituzione italiana.
I primi dodici articoli della Costituzione italiana enunciano i principi fondamentali, sui quali si basa l'intera costruzione della nostra Carta costituzionale.
Nell'ambito di tali principi il riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo assume un'importanza particolare e consente di comprendere meglio i diritti e i doveri dei cittadini disciplinati negli articoli successivi della Costituzione.
Uno dei principi fondamentali è il principio d'uguaglianza.
<< Art. 3 - Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.>>
L'uguaglianza formale o giuridica, espressa dal comma 1 dell'art. 3, significa riconoscere che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.
Dal principio di uguaglianza in senso formale derivano due conseguenze importanti:
La soggezione alla legge, in quanto di regola la legge si applica a tutti, senza alcuna eccezione o esenzione;
Il divieto di discriminazioni, perché la legge deve riconoscere a tutti i cittadini uguali diritti e uguali doveri;
Dall'uguaglianza in senso formale si distingue quella in senso sostanziale o di fatto.
L'uguaglianza sostanziale consiste nel garantire pari opportunità o uguali condizioni di partenza a tutti i cittadini e, in particolare, a coloro che sono più svantaggiati sotto l'aspetto economico e sociale.
All'affermazione astratta di un diritto deve seguire la sua realizzazione concreta perché non è sufficiente essere titolari di un diritto, ma è necessario anche disporre dei mezzi materiali per potere esercitarlo e per metterlo in pratica.
È da notare che la nostra Costituzione non si pone come obiettivo l'uguaglianza finale di tutti i cittadini, ma soltanto uguaglianza iniziale o dei cosiddetti "punti di partenza": lo Stato, in altre parole, si deve impegnare per ridurre le ingiustizie sociali, rimovendo le disuguaglianze di fatto e garantendo pari opportunità o possibilità di sviluppare la propria personalità a tutti ( ai poveri, ai disoccupati, agli anziani, ai malati, agli invalidi.).
L'uguaglianza sostanziale è contenuta in una norma costituzionale di carattere programmatico, che non è immediatamente efficace, ma impegna lo Stato a svolgere una determinata attività; l'attuazione di tale principio dipenderà poi, in concreto, dal programma politico del Governo e dalla sua capacità di realizzarlo.
Per concludere osserviamo che, in base al principio di uguaglianza formale, la legge deve trattare tutti in modo uguale mentre, in base al principio di uguaglianza sostanziale, la legge può, e anzi in alcuni casi deve, trattare in modo diverso alcuni soggetti rispetto ad altri, per favorire dal punto di vista giuridico coloro che sono più svantaggiati dal punto di vista economico e sociale.
Per conciliare queste due affermazioni possiamo dire che il principio di uguaglianza davanti alla legge non significa soltanto trattare in modo uguale delle situazioni che sono obiettivamente uguali ma, anche, trattare in modo diverso delle situazioni che sono obiettivamente diverse: una diversità di trattamento quindi è ammissibile soltanto se è ragionevole, cioè se è giustificata da un'effettiva diversità di condizioni o, in caso contrario, costituisce una discriminazione ingiustificata ed è vietata perché contraria al principio di uguaglianza formale.
Prendendo alla
lettera questo ultimo compito richiederebbe una continua opera di redistribuzione
delle risorse da parte dei pubblici poteri e, al limite, una totale
disponibilità delle risorse da parte di questi: solo disponendo direttamente di
tutti i beni
Ma il compito di
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, non è un programma di
giustizia distributiva. Esso vale piuttosto a legittimare singoli interventi
correttivi di disuguaglianze di fatto, e in questo senso riassume le specifiche
previsioni a favore delle categorie e dei soggetti meno protetti di cui è
costellata
Per quanto riguarda l'uguaglianza sostanziale comporta soprattutto interventi che adeguano a situazioni diseguali trattamenti diseguali, in funzione correttiva o compensativa della disuguaglianza.
Crisi dello Stato sociale
Nella maggior parte dei Paesi dove esistono programmi di assistenza sociale, essi sono gestiti dallo stato oppure, sempre più frequentemente, degli enti locali (in Italia dalle regioni). Questi programmi sono stati però criticati per varie ragioni, soprattutto per il divario crescente tra i costi dell'assistenza e le entrate fiscali. Gli economisti e i politici neoliberisti affermano ad esempio che i servizi forniti sono eccessivamente onerosi per lo stato e sono di bassa qualità in quanto forniti da operatori non adeguatamente preparati, e che una riforma dei programmi di assistenza sociale dovrebbe basarsi su una revisione dei meccanismi di spesa e di selezione degli utenti che hanno diritto all'assistenza e sull'introduzione di una certa concorrenzialità tra diversi operatori che forniscono servizi assistenziali.
In applicazione di questi principi, numerosi Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, hanno proceduto alla privatizzazione degli enti che forniscono assistenza e a una drastica diminuzione degli individui che ne hanno diritto. In Europa continentale si è scelta una strada diversa, affidando un numero sempre maggiore di compiti a organizzazioni private senza fine di lucro (no profit) e ad associazioni di volontariato.
In Italia l'assistenza sociale è gestita in prevalenza dagli assessorati comunali, che operano attraverso fondi a loro destinati dallo stato o utilizzando le imposte locali. Sempre più spesso accade peraltro che i Comuni, per diminuire le spese, affidino a cooperative sociali la fornitura di determinati servizi assistenziali. Alcuni osservano che questi cambiamenti, sebbene consentano una diminuzione della spesa pubblica, non sempre aumentano la qualità dei servizi prestati.
LO STATO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE
Lo stato assolve a funzioni "sovrane": assicurare la difesa mediante un esercito, l'ordine mediante la polizia, la giustizia mediante i tribunali. Lo stato può battere moneta e può delegare alcune funzioni, come nel caso dell'Unione Europea, a istituzioni sovranazionali. Può anche estendere il suo intervento ad altri ambiti, ad esempio all'economia, attraverso la partecipazione a imprese oppure costituendo un sistema di previdenza sociale. Tutte le attività dello stato vengono finanziate con il prelievo fiscale.
In teoria, l'esistenza di uno stato a livello internazionale è provata dalle condizioni fondamentali, e cioè un territorio, una popolazione e un governo sovrano. In realtà, l'esistenza deve essere riconosciuta dagli altri stati per diventare effettiva. Oggi, questo riconoscimento è sancito soprattutto dall'ammissione all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Gli stati sono sottoposti al rispetto del diritto internazionale e non possono interferire negli affari degli altri stati, se non in situazioni eccezionali previste dallo stesso diritto internazionale.
Soprattutto nel corso del XX secolo, sono sorte molte istituzioni internazionali, allo scopo di affrontare problemi comuni: lo sviluppo economico e sociale, le guerre, la minaccia nucleare, la questione ecologica ecc. Le Nazioni Unite sono solo una delle tante istituzioni nate dalla crescente collaborazione tra gli stati.
Tuttavia, gli stati si trovano oggi a fronteggiare una situazione che mette in discussione la loro stessa legittimità ed esistenza. La globalizzazione dell'economia, i flussi migratori, la diffusione dell'informazione concorrono a circoscrivere l'azione degli stati. A questa evoluzione del panorama internazionale corrisponde la nascita di istituzioni che rilevano alcune funzioni proprie degli stati, mentre in alcune aree si sviluppano progetti di integrazione, come nel caso dell'Unione Europea, vista da alcuni come alternativa allo stato nazionale e da altri come evoluzione verso nuove e più grandi entità statali.
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
Il diritto internazionale è costituito dall'insieme delle norme giuridiche che disciplinano la comunità internazionale.
Le norme che disciplinano i rapporti tra gli Stati formano nel loro complesso il diritto internazione pubblico e si distinguono dal diritto internazionale privato, che disciplina i rapporti tra i cittadini di uno Stato e gli stranieri oppure tra gli stranieri e costituisce una parte del diritto statale, in quanto è valido soltanto all'interno di uno Stato.
Nel diritto internazionale rientra anche il diritto comunitario, che è costituito dalle norme dell'Unione europea direttamente efficaci all'interno dei singoli Stati membri.
L'ordinamento giuridico internazionale, che è formato da Stati indipendenti e sovrani, è diverso da quello statale perché non esiste un'autorità dotata di un potere di comando o di supremazia.
Il diritto internazionale, infatti, è un diritto volontario o non coattivo, nel senso che si fonda sull'adesione spontanea da parte dei soggetti che ne osservano le disposizioni.
La mancanza di un'autorità, però, rende più facile la violazione di tali norme e più difficile, in caso di inosservanza, l'applicazione delle relative sanzioni ai trasgressori.
In ambito internazionale, si può ricordare parte dell'art. 11 della Costituzione italiana che afferma che lo Stato italiano << consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni>>.
La disposizione venne approvata dall'Assemblea costituente per consentire l'adesione dell'Italia alle nazioni Unite, ma, in seguito, ha rappresentato il presupposto costituzionale della partecipazione dell'Italia alle Comunità europee.
Al riguardo ci si
può chiedere fino a che punto uno Stato può accettare delle limitazioni di
sovranità senza rinunciare di fatto alla sua sovranità e, quindi, senza
produrre l'estinzione dello Stato stesso:
L'ultima parte dell'art. 11 attribuisce allo Stato italiano un compito di propulsione e sostegno delle organizzazioni internazionali dirette a promuovere la pace e la sicurezza tra le Nazioni.
Nel complesso possiamo dire che la nostra Costituzione delinea le linee fondamentali della politica estera dello Stato italiano, qualificandolo come uno Stato nazionale ma non nazionalistico: l'Italia afferma e difende la propria identità nazionale, ma, allo stesso tempo, promuove rapporti di collaborazione e di integrazione con gli altri Stati fino al punto di arrivare a riconoscere, sia pure nel rispetto della sua indipendenza e della sua autonomia, l'autorità di organizzazioni o istituzioni sovranazionali come l'Unione europea o l'ONU.
Proprio negli ultimi anni, in seguito all'Anno internazionale per il microcredito (2005), l'ONU ha invitato gli Stati Membri a costituire Comitati Nazionali rappresentativi dell'intera società civile al fine di facilitare il raggiungimento degli "Obiettivi del Millennio", anche attraverso la diffusione delle attività di microcredito e microfinanza per ridurre il fenomeno della povertà e dell'esclusione finanziaria.
In Italia è nato il Comitato Nazionale Italiano Permanente per il Microcredito.
Nell'anno
Il Comitato Nazionale Italiano Permanente per il Microcredito nasce con
il presupposto di dare continuità, di potenziare e di estendere le azioni
intraprese dal Comitato per il 2005.
La lotta alla povertà estrema ed all'esclusione finanziaria, anche attraverso
il sostegno e lo sviluppo di microimprese, rappresentano, quindi, gli obiettivi
prioritari del Comitato Permanente. Tali obiettivi vengono perseguiti sia in
un'ottica di cooperazione internazionale, quindi orientati alle aree depresse
ed alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo (PVS), che su un piano
domestico, ovvero localizzati sul territorio nazionale e orientati ai residenti
nel nostro Paese, immigrati e non, ed alle microimprese operanti nell'area.
Ciò, nella convinzione che, in presenza di sacche di povertà emergenti, in
particolar modo nelle aree sottoutilizzate del Paese, e di flussi migratori
sempre più rilevanti e trasversali, sia necessario programmare azioni di
sistema più integrate e meno settoriali, secondo una logica bottom-up.
Obiettivi:
In particolare, la mission del Comitato è
esplicitato dai seguenti obiettivi:
Sulla base di tale
prospettiva, il piano operativo del Comitato Permanente è ispirato a disegnare
una "via italiana al microcredito" che faccia leva sulle potenzialità, sulle
professionalità e sul patrimonio di conoscenze già presenti all'interno del
nostro sistema-Paese, sviluppando altresì sinergie positive con gli altri Paesi,
europei e non, impegnati nella stessa direzione. Dunque, un piano operativo che
viaggia su un percorso domestico e su quello internazionale.
A tal fine, il Comitato si è dotato di due Dipartimenti - "Dipartimento
Attività Nazionali" e "Dipartimento Attività Internazionali" - a cui faranno
riferimento le azioni programmatiche di seguito definite. I principali campi di
intervento del Comitato sono individuate in 6 aree operative:
Area Networking
Area Progetti Operativi
Area Piattaforma, Help Desk e Servizi
Area Ricerca, Osservatorio e Formazione
Area Normativa
Area Comunicazione
Tali aree sono riconducibili sia al Dipartimento Attività Nazionali che al Dipartimento Attività Internazionali.
Dipartimento Internazionale
In seno al Comitato Nazionale Italiano Permanente per il Microcredito, il Dipartimento Internazionale costituisce un centro nevralgico, punto di convergenza di sinergie provenienti da una molteplicità di attori istituzionali e rappresentativi della società civile. E' qui che tutte le iniziative di carattere internazionale concepite e definite dal Comitato Nazionale sono implementate.
Conformemente a quanto previsto dal Piano Operativo del Comitato, in seno al Dipartimento Internazionale, con la collaborazione dei Membri del Comitato Nazionale, sono perseguite le seguenti attività:
Creazione di una rete microfinanziaria capace di sostenere le azioni di microcredito e microfinanza promosse dal Comitato sul piano internazionale. Il Dipartimento funge da canale di comunicazione tra donatori istituzionali e donatori privati, istituzioni internazionali, Ong, istituzioni e fondazioni no-profit, istituzioni di microfinanza, enti pubblici centrali e locali, associazioni di categoria, fondazioni bancarie, banche ed intermediari finanziari non bancari (società finanziarie, fondi di investimento, fondi pensione, assicurazioni, agenzie di rating), imprese ed enti di ricerca.
Definizione di programmi comuni condivisi e di partenariati strategici con i diversi partner del network.
Programmazione di specifiche strategie e promozione di specifici programmi di microfinanza direttamente sostenuti dal Comitato.
Gestione dei programmi e delle azioni sostenute dal Comitato Nazionale a favore del microcredito e della microfinanza anche per via indiretta, ovvero senza l'apporto diretto di fondi monetari.
Formazione di laureandi e neolaureati, tramite stage in cui i giovani collaboratori possono confrontarsi in modo diretto con l'attività estera del Comitato nelle varie aree di interesse, avvantaggiandosi dell'assistenza di professionisti di rinomanza internazionale.
Realizzazione di
studi e ricerche volte a finalizzare proposte regolamentari condivise per
Disseminazione delle informazioni sulle attività del Dipartimento e diffusione della cultura della microfinanza, attraverso la programmazione di incontri, conferenze, eventi speciali e il conferimento di awards per iniziative di merito.
Dipartimento Nazionale
Al Dipartimento Nazionale del Comitato fanno
riferimento le azioni programmatiche di microfi-nanza domestica, finalizzate al
sostegno di persone fisiche in stato di esclusione finanziaria (quali ad
esempio gli immigrati residenti in Italia) e di persone giuridiche (quali
cooperative e microim-prese) in fase di start-up o con difficoltà di accesso al
credito.
In particolare, in pieno coordinamento con le linee strategiche dettate dal
Comitato Nazionale e dal Comitato Esecutivo, il Dipartimento Nazionale sviluppa
progetti e favorisce partnership volte a so-stenere la nascita e il
consolidamento di microimprese, avvalendosi delle risorse pubbliche e private
messe a disposizione dal Comitato Nazionale.
Il sostegno ai progetti domestici di microcredito e di microfinanza,
rispondenti ai requisiti di eleg-gibilità stabiliti dal Comitato Nazionale, può
realizzarsi attraverso: . la costituzione di Fondi di garanzia volti a ridurre
il rischio a carico delle banche che, sulla base di apposite convenzioni,
effettuano operazioni di microcredito a favore dei soggetti esclusi dal normale
circuito finanziario e creditizio;
. la costituzione di Fondi di rotazione per la concessione diretta di microcrediti,
secondo schemi di finanziamento 'totalitario' o di cofinanziamento a
valere su risorse aggiuntive, anche prove-nienti da investitori privati;
. la costituzione di Fondi di investimento chiusi per la microfinanza, a valere
su risorse di terzi investitori e donatori.
Per la gestione di tali Fondi, il Comitato Nazionale si avvale di intermediari
finanziari specializzati.
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