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Il sistema penitenziario come istituzione totale




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Il sistema penitenziario come istituzione totale


Il sistema penitenziario italiano reclude gli individui a lui affidati seguendo tre direttive logiche: primo quale sia la situazione giudiziaria del detenuto, secondo di che durata sia la condanna comminata nei suoi confronti e terzo che tipo di reato abbia condotto l'individuo alla detenzione.

Queste suddivisioni sono funzionali ad una sanzione che se omogenea nella struttura, cerca di essere individualizzata nell'applicazione.

In linea di principio si cerca quindi di recludere le persone seguendo delle direttive che indirizzino ogni recluso verso un proprio percorso da svolgersi insieme a persone che avendo commesso un reato simile ricevono una condanna simile, in realtà questa condizione rimane spesso operativa solo in linea di principio e nelle carceri italiane spesso i detenuti sono reclusi in sezioni miste, senza prestare attenzione a che tipo di persone si stanno recludendo nella medesima situazione.

Dal punto di vista giudiziario il detenuto può essere considerato: giudicabile, in quanto un procedimento di condanna non è stato ancora pronunciato nei suoi confronti ed è ancora in attesa di una condanna di primo grado; appellante se a condanna avvenuta il detenuto ricorre in appello per cambiare la sentenza; ricorrente se in seguito alla condanna in appello il detenuto ricorre al terzo grado di giudizio in Cassazione. Il detenuto è considerato definitivo quando nei suoi confronti è stata pronunciata una sentenza di condanna definitiva, condanna che abbia superato dunque tutti i gradi di giudizio al termine cioè di tutti i gradi di giudizio.

A seguito di questo il sistema penitenziario italiano si costituisce di:


. Case mandamentali: la reclusione è di durata massima di un anno.

. Case circondariali: la reclusione è di durata massima fino a tre anni.

. Case di reclusione: dove la reclusione è di durata superiore a tre anni.


Vorrei adesso, prima di aprire una disamina sulla realtà penitenziaria, inscrivere questo circuito istituzionale all'interno del più ampio sistema delle istituzioni totali della nostra società per poter così in seguito dare per scontate alcune caratteristiche generali di queste istituzioni. Le istituzioni che svolgono per la società la funzione di controllo e regolamento di alcune classi sociali, nel nostro caso quelle considerate pericolose e quindi escluse dalla normale vita sociale vivono di logiche indipendenti dalla libera società, e possono essere chiamate istituzioni totali nel senso che inscrivono nelle proprie pratiche e procedure la vita complessiva dell'individuo di cui si occupano, ogni singolo aspetto della vita del detenuto è preso in carica dall'amministrazione penitenziaria, così come ogni singolo aspetto della vita del malato di mente è preso in carica dalla dirigenza degli istituti psichiatrici.

Le istituzioni totali hanno dunque un' effetto inglobante, totalizzante sulla condotta degli internati, se normalmente, in libertà, abbiamo la possibilità quantomeno di organizzare le nostre attività e suddividerle in campi differenti di azione, ognuno con la propria cornice di riferimento, ciò non avviene nella vita all'interno di tali istituzioni, "caratteristica principale delle istituzioni totali può essere appunto la rottura delle barriere che separano le sfere di vita. Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità.[.]. Le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito,[.] dato che il complesso di attività è imposto dall'alto da un sistema di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione. [.] Le attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell'istituzione". ( Goffman, 1961, in Italia tradotto nel 1968, pp. 35-36).

Prima caratteristica di questi luoghi è la netta separazione con il mondo esterno, tramite muri, recinti e, nel caso delle carceri, guardie di vedetta e filo spinato. il contatto con l'esterno è vietato e l'unica realtà che acquista pregnanza è appunto quella interna della reclusione, questa realtà si viene a sovrapporre a quella vissuta prima dell'internamento la sovrasta e ne ridefinisce le sembianze; vi è un prima e un dopo che era e sarà vita libera, il durante è un susseguirsi di privazioni che, a seconda dell'istituzione, cambiano in merito al tipo di persone che recludono.

All'entrata nell'istituto, che sia carcere, manicomio, accademia militare o monastero la persona viene spogliata della sua identità al fine di acquistarne una nuova e su misura alla situazione detentiva futura, un'identità istituzionale verrà fornita dalle prime pratiche di ammissione alla vita di istituto, la procedura di ammissione può essere definita come una sorta di perdita e di acquisto.[.] Una volta che l'internato è spogliato di ciò che possiede, l'istituzione deve provvederne un rimpiazzamento, che tuttavia consiste in oggetti standardizzati, uniformi nel carattere ed uniformemente distribuiti.( Goffman, 1961, p. 48). Siccome un'istituzione totale come la prigione oltre alla custodia della persona mira anche ad un suo cambiamento, o meglio ad una manipolazione implicita dell'animo della persona custodita, della sua moralità considerata non accettabile dal punto di vista dell'etica sociale, si pongono come necessarie alcune pratiche che privino la persona delle sue peculiarità, a partire appunto dagli oggetti personali posseduti, dei meccanismi che, intromettendo la logica istituzionale e l'ampio spettro delle sue esecuzioni come unico metro di riferimento nella vita dell'internato, accelerino la costituzione di una massa istituzionale suppostamente uniforme e creino dunque un individuo più facilmente plasmabile e assoggettabile alle regole della nuova opprimente realtà.[1]

Oltre alla reclusione, l'identità del recluso è violata attraverso la burocratizzazione della sua storia e del suo passato, il suo nome diventa un numero, la sua vita un curriculum di infrazioni, i suoi vestiti un'uniforme, i suoi oggetti personali come, sottolineato precedentemente, vengono trattenuti e sostituiti con oggetti standard appartenenti all'amministrazione, viene in questo modo preso in carico nei suoi termini assoluti e sottoscritto da una nuova identità, il detenuto viene sovrapposto alla sua oggettivazione, egli diventa il reato che ha commesso. Le procedure che innestano l'individuo in un circuito a lui estraneo ed anonimo, hanno una forza contaminante, si impongono sulla considerazione che ognuno ha di se stesso e come un virus occupa una cellula e la degenera, esse riprogrammano questa visione, in termini svilenti e degradanti, degradano l'importanza che ogni persona attribuisce a se stesso e alle proprie emozioni ed esperienze, rendono la stima di sé, un concetto superfluo e privo di dimensioni.

Concludendo, di pari passo al periodo che il recluso di un istituto penitenziario è condannato a trascorrere all'interno dell'istituzione, si sviluppano inevitabilmente dei meccanismi di significato paralleli e alternativi a quelli che hanno luogo nella società libera[2], l'unica dimensione di riferimento diventa la cornice amministrativa istituzionale ed è nel possibile grado di autonomia da questa che ogni detenuto deve negoziare, come nella vita in libertà ma in termini più passivi, individualmente il proseguo della propria detenzione.

Affronterò nel prossimo paragrafo come questa negoziazione venga ad attualizzarsi all'interno dell'universo penitenziario.





"Le procedure di ammissione potrebbero meglio essere definite come un'azione di " smussamento" o una " programmazione" dato che in seguito ad un tale procedimento, il nuovo arrivato si lascia plasmare e codificare in un oggetto che può essere dato in pasto al meccanismo amministrativo dell'istituzione, per essere lavorato e smussato dalle azioni di routine". Erving Goffman. "Asylum", 1961, p 46.

" In prigione i simboli più ovvi dello status sociale sono stati largamente asportati e troviamo nuove gerarchie con nuovi simboli che vengono a giocare." Gresam M. Sykes in " The society of captives", 1958, p. XIV, traduzione mia.


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