Il problema della forma statuaria di governo
Lo Stato albertino presentava due caratteristiche essenziali. Si
trattava di una Carta costituzionale ottriata, i quanto concessa per sovrana
volontà del Re, malgrado in quelle circostanze il gesto di Carlo Alberto sia
stato pressoché necessitato. Nel preambolo stesso, lo Statuto veniva
espressamente definito come "Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della
Monarchia"; e questa dizione fece in un primo tempo dubitare che le disposizioni
statuarie fossero legittimamente rivedibili oppure derogabili. Comunque si era
di fronte ad una costituzione flessibile, ossia modificabile in ogni sua parte
per mezzo di leggi ordinarie.
L'Art. 3 prevedeva che il potere legislativo fosse esercitato collettivamente
dal Re e da un Parlamento composto di due camere, fra le quali il senato era di
nomina regia; sebbene alla camere spettasse predisporre il contenuto delle
leggi che il re si limitava a sanzionare, senza potervi apportare modifiche ma
disponendo della sola facoltà di rifiutarne in blocco la promulgazione. "Al re
solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo supremo dello Stato;
comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara guerra, fa trattati di
pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che
l'interesse e la sicurezza dello Stato lo permettano, ed unendovi le
comunicazioni opportune..". In questo quadro assumevano una particolare
importanza gli articolo 65 e 67 dai quali si potrebbe evincere che gli autori
della Carta costituzionale avessero di mira una forma di governo a due,
incentrata sul Re e sul Parlamento, senza un governo come organo costituzionale
intermedio. Da un lato cioè, riusciva naturale pensare che i ministri
rispondessero del loro operato verso il Re. D'altro lato tale responsabilità si
prestava a venir configurata anche nei confronti della Nazione e dei suoi
rappresentanti. Vero è che l'istituto della controfirma ministeriale può avere
una sua ragion d'essere anche in un regime di monarchia costituzionale:
nell'ambito del quale esso serve ad attestare che l'atto controfirmato proviene
legittimamente dal Re e che il ministro si impegna a farlo eseguire
dall'apparato statale sottostante; sicché il controfirmante copre solo
formalmente la responsabilità politica del re nei confronti delle Camere e
della Nazione. Ma l'art. 67 non escludeva a priori una diretta responsabilità
dei ministri verso il Parlamento, tale che fra gli stessi dovesse intercorrere
una relazione fiduciaria; e questo per l'appunto fu l'appiglio formale per
giustificare l'instaurazione di una monarchia tendenzialmente parlamentari.
Tuttavia non si deve immaginare la trasformazione della progettata monarchia
costituzionale in un regime parlamentare sia stata immediata e repentina.
Contestualmente per altro si compiono vari atti e si verificano vari fenomeni
caratteristici di un regime monarchico costituzionale. In sostanza le
interferenze regie nel rapporto fra il Governo e la maggioranza della Camere
cessarono soltanto con la proclamazione di Roma a capitale d'Italia; sicché il
regime parlamentare poteva dirsi del tutto affermato negli ultimi anni del
regno di Vittorio Emanuele II, per poi consolidarsi sotto il regno di Umberto
I. Ma già nel decennio 1860-70 s'era venuto configurando come un organo a sé
stante il Presidente del Consiglio dei ministri, dotato di specifiche funzioni
nell'ambito dell'esecutivo.