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Il popolo di Dio
La struttura sociale: la Chiesa come popolo di Dio
Una delle più importanti operazioni effettuate dal legislatore canonico è la traduzione sul piano del diritto positivo di una categoria del tutto estranea alla tradizione culturale del giurista: la categoria di "popolo di Dio" assunta dalla codificazione canonica del 1983. All'inizio il giurista vedeva con diffidenza la trasposizione nel codice di una categoria di derivazione biblico - patristica, eppure tale categoria fu addirittura assunta tra i principi fondamentali del diritto costituzionale della Chiesa: Libro II del codice canonico del 1983, le norme relative ai fedeli, alla costituzione gerarchica della Chiesa, agli istituti di vita consacrata ed alle società di vita apostolica, è intitolato "De populo Dei". La riflessione dottrinale e l'esperienza giuridica hanno messo in evidenza le potenzialità sul piano giuridico, infatti la nozione di popolo di Dio non nega la dimensione giuridica della Chiesa e contribuisce a porre in evidenza le particolarità che distinguono l'ordinamento giuridico della Chiesa dagli ordinamenti giuridici secolari. Il termine "popolo" fa riferimento all'elemento sociale; il riferimento a Dio sta a significare che non si tratta di un popolo qualunque, ma di un popolo costituitosi in seguito alla chiamata divina, nella quale erano predeterminate le finalità, i mezzi con cui perseguirle e l'autorità costituita. La Chiesa, quindi, è di istituzione divina. Con l'assunzione di questa categoria, il legislatore canonico applica l'ecclesiologia del Concilio Vaticano II (Lumen gentium). Questa categoria comporta una serie di conseguenze: innanzitutto il carattere strumentale o funzionale che il diritto della Chiesa ha, connesso con la dimensione storica ed escatologica di un popolo che vive nella storia ma è chiamato a trascenderla. L'universalità di questo popolo, aperto a tutti, ciò comporta per il diritto la singolarità data dal riconoscimento di diritti anche in capo a chi non è ancora incorporato nella Chiesa (can. 96); infatti ai non battezzati e ai catecumeni sono riconosciuti alcuni diritti, ad esempio il diritto di libertà religiosa (can. 748) o il diritto all'istruzione cristiana (can. 788) o ancora il diritto a ricevere il battesimo (can. 843). L'unità di questo popolo, che non nasce da fattori sociologicamente ricorrenti nelle altre società, ma dalla fede e dalla partecipazione alla vita divina attraverso l'azione sacramentale; questo particolare fondamento dà ragione delle diverse condizioni personali e discipline giuridiche. La nozione di popolo di Dio dà ragione dell'eguaglianza sostanziale e della diversità funzionale che caratterizza la condizione giuridica delle persone: uguaglianza sul piano della fede, del battesimo, della comune dignità di redenti; diversità sul piano dei carismi, dei ministeri, dell'esperienza di fede, sia pure nel quadro di una comune responsabilità nella missione della Chiesa, sulla corresponsabilità di tutti i componenti del popolo di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Dalla diversità sussistente tra i fedeli, sul piano funzionale discende di conseguenza la diversità di diritti e di doveri.
I "Christifideles" e i diversi stati di vita
I richiami al
Concilio Vaticano II sono essenziali per comprendere l'impostazione data dal
codice vigente alle norme sulle persone. Il libro secondo del codice intitolato
"Il popolo di Dio" si apre con una disposizione che pone una nozione
fondamentale: la nozione di "christifidelis"
o fedele. Si trova nel can. 204 e dice che i fedeli sono coloro che sono stati
incorporati a Cristo mediante il battesimo e sono costituiti popolo di Dio,
inoltre sono chiamati ad attuare, secondo la condizione giuridica di ciascuno,
la missione che Dio ha affidato alla Chiesa. Connesso a questo è il can. 96 secondo
cui mediante il battesimo l'uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo, con i
doveri e i diritti che ai cristiani sono propri. In passato parte prevalente
della dottrina riteneva che il termine "persona" adottato dal legislatore
volesse dire "soggetto di diritto"; in realtà indica l'individuo umano membro
della Chiesa. Questo termine quindi non è assunto dal legislatore canonico in
un senso strettamente tecnico - giuridico, in effetti dal punto di vista
formale il can. 96 parla di "persona nella Chiesa di Cristo" e non di "persona
in diritto canonico", quindi il soggetto di diritto nell'ordinamento canonico
non è solo il battezzato. I non battezzati non godono della piena capacità
giuridica nell'ordinamento canonico ma tuttavia hanno una soggettività
giuridica canonica perché sono destinatari di norme canoniche: ad esempio
richiedere e ricevere il battesimo, che riflette la volontà di Cristo a che
tutti gli uomini siano salvi (can. 864). Esistono poi delle situazioni particolari
all'interno dell'ordinamento, un primo
caso è dato dalle persone che hanno ricevuto il battesimo ma non fanno
parte della Chiesa cattolica, disciplinato dal can. 205 che pone i criteri per
accertare la piena comunione con la Chiesa, costituiti dai vincoli della
professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico. Queste persone
sono il battezzato che non professa la fede cattolica, il battezzato che non
accetta uno o più dei sette sacramenti, cioè i mezzi di salvezza istituiti
nella Chiesa, e il battezzato che non accetta il vincolo del governo
ecclesiastico. Nel primo caso si parla di eresia (ostinata negazione ad una
verità), nel secondo di scisma (rifiuto alla sottomissione al Papa o alla
comunione dei membri della Chiesa) (can. 751). Il can. 205 determina l'ambito
dell'obbligatorietà della legge ecclesiastica che non si applica ai cristiani
non cattolici, cioè ai battezzati che non appartengono alla Chiesa
cattolica. Un secondo caso è dato da coloro che non sono battezzati, in generale
non sono soggetti all'ordinamento canonico poiché non hanno il presupposto
essenziale per far parte di questa società. Tuttavia, come ogni uomo sono
soggetti alla legge naturale e quindi possono essere destinatari di norme
canoniche in determinate circostanze, in particolare qualora entrino in
rapporti giuridici con persona battezzata: ad esempio il matrimonio tra un
battezzato e un non battezzato. Il non battezzato è legittimato però ad
amministrare il sacramento del battesimo, purché intenda fare ciò che fa la
Chiesa e qualora il ministro ordinario del battesimo mancasse o fosse impedito
(can. 861). Il codice contiene una esplicita previsione normativa riguardante i
catecumeni che sono uniti con vincoli speciali alla Chiesa (can. 206), è una
disposizione importante perché disciplina la vita di un consistente numero di
persone che intendono entrare nella Chiesa e prevede esplicitamente che i non
battezzati possano essere attualmente destinatari di diritti e doveri, come da
interpretazione del canone
Lo statuto giuridico comune: i doveri e diritti fondamentali
Dal canone
208 al canone 223 viene delineato lo stato comune a tutti i fedeli, cioè il
legislatore ha formulato una catalogo di doveri e diritti comuni sotto il
titolo "Obblighi e diritti di tutti i fedeli" o "De omnium christifidelium obligationibus et iuribus". In questa
parte del codice sono confluite le disposizioni contenute nel progetto "Lex Ecclesiae fundamentalis" mai portato
a termine. Queste disposizioni aprono con l'affermazione del principio di
eguaglianza che è formalmente entrato nella legislazione ecclesiastica solo con
il codice ora in vigore; infatti in passato si preferiva il principio
dell'ineguaglianza, presente nella Chiesa da un punto di vista sacramentale -
ministeriale. Il can. 208 invece afferma che fra tutti i fedeli c'è una vera
uguaglianza nella dignità e nell'agire, grazie alla rigenerazione in Cristo, e
dunque tutti cooperano all'edificazione del Corpo di Cristo. Questo risponde
anche ai principi dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II e specialmente
nella Lumen gentium dove troviamo che
uno solo è il popolo eletto da Dio, esiste un solo Signore, una sola fede, un
solo battesimo, quindi non c'è nessuna ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa.
Questa affermazione del principio di eguaglianza è la premessa al manipolo di
libertà, diritti e doveri fondamentali di tutti i fedeli che troviamo al canone
208 poiché non vi possono essere libertà, diritti e doveri comuni a tutti i
fedeli se questi non godono di una posizione di eguaglianza all'interno
dell'ordinamento. In passato invece la Chiesa era organizzata come una società
giuridicamente organizzata per ceti, cioè una società in cui l'appartenenza ai
vari ceti comportava la titolarità di uno status
e di diritti e doveri propri. Oggi invece l'ordinamento canonico ha fatto
proprio il principio di eguaglianza per cui le differenze di trattamento
giuridico non derivano da uno status
ma dalle differenti funzioni che ciascuno è chiamato a svolgere. A questo
principio sono connessi i diritti e doveri fondamentali del cristiano ovvero i
canoni 209 - 222, che possiamo riassumere così: dovere di mantenere la
comunione della Chiesa e soddisfare le obbligazioni personali verso la Chiesa
(can. 209); dovere di condurre una vita santa e di contribuire all'incremento
ed alla santificazione della Chiesa (can. 210); diritto - dovere di partecipare
all'opera di diffusione del messaggio evangelico (can. 211); dovere dei fedeli
di obbedire ai propri pastori, nonché il diritto - dovere di manifestazione del
pensiero nella Chiesa su questioni concernenti il bene comune (can. 212);
diritto ai sacramenti e agli altri beni spirituali (can. 213); diritto
all'esercizio di culto ed alla propria spiritualità (can. 214); diritto alla
libertà di associazione e di riunione nella Chiesa (can. 215); diritto di
esercitare personalmente l'apostolato (can. 216); diritto all'educazione
cristiana (can. 217); diritto alla libertà di ricerca nelle sacre discipline
(can. 218); diritto alla libera scelta dello stato di vita (can. 219); diritto
al buon nome nella comunità ecclesiastica (can. 220); diritto alla tutela dei
propri diritti e alla difesa in giudizio, nonché diritto a non essere colpiti
da sanzioni penali non a norma di legge (can. 221); l'obbligo di sovvenire alle
necessità della Chiesa provvedendo alle necessità dei poveri e degli emarginati
(can. 222). A differenza di quanto accade negli ordinamenti giuridici secolari,
il legislatore canonico contempla, quasi prima dei diritti, i doveri
fondamentali del fedele; nel senso che il legislatore della Chiesa ha preferito
esplicitare i doveri mentre negli ordinamenti statali sono impliciti nella
formulazione dei diritti, basta pensare al principio di reciprocità o al
principio dei limiti che la libertà di ciascuno incontra nella libertà
dell'altro. Si tratta di una differenza che nasce dalla concezione canonistica
fortemente tributaria dei diritti fondamentali. Inoltre si deve notare
l'eterogeneità dei diritti fondamentali del cristiano nell'ordinamento canonico
rispetto ai diritti dell'uomo e del cittadino racchiusi nelle costituzioni
contemporanee, non solo perché esistono diritti sanciti dal codice che non
hanno alcun riscontro negli ordinamenti giuridici secolari, ma anche perché,
pure se si tratta di diritti rinvenibili negli ordinamenti secolari, il loro
ambito di operatività e le modalità del loro esercizio nella Chiesa non possono
che essere particolari. Un esempio è il diritto di libertà di associazione, per
rendersi conto che tali diritti devono essere intesi in maniera coerente con le
caratteristiche strutturali e finalistiche della Chiesa. Il can. 223 infatti
afferma che ad ogni fedele incombe il diritto di tener conto sia del bene
comune della Chiesa, sia dei diritti degli altri e dei propri doveri verso gli
altri. Queste disposizioni sono la diretta traduzione del principio della
comunione (communio) già affermato
nel can.
Appunti: Nell'ordinamento canonico sono contemplati i diritti fondamentali?
E' una
questione ambigua perché si può essere d'accordo sulla loro applicazione ma non
sul loro fondamento. Negli anni '40 appare
I fedeli laici
Un famoso testo di s. Girolamo, riportato nel Decretum di Graziano, inizia precisando che esistono due categorie di fedeli ("Duo sunt genera christianorum"). Questo manifesta la radicalizzazione, nell'età medievale, della distinzione fra chierici e laici e l'accentuazione del processo di "clericalizzazione" poiché il Decretum di Graziano viene inserito nel Corpus Iuris Canonici, entrando a far parte delle fonti del diritto canonico del tempo. Il testo spiega che i cristiani si dividono in due categorie: nella prima troviamo sia i deputati al culto divino (chierici) sia coloro che ricercano il miglioramento dei propri costumi attraverso la scelta di un preciso stato di vita (monaci); nella seconda troviamo i fedeli laici che, come spiega san Girolamo, solo coloro a cui è permesso possedere beni temporali per i propri bisogni, sono autorizzati a sposarsi. possono essere salvati se evitano i vizi e fanno del bene. Questo testo mostra una concezione clericale della Chiesa quindi manifesta una riaffermazione della Chiesa come società ineguale; al tempo stesso riflette una gerarchia di valori, mostrando una concezione restrittiva del fedele laico poiché vista come concessione alle umane debolezze e quindi non come la condizione migliore. Ci sono molte ragioni per questo modo di pensare ai fedeli laici ma principalmente sono due. Nel medioevo la rivendicazione della libertà della Chiesa (libertas Ecclesiae) da parte del Papato nei confronti del potere civile ebbe un forte influsso nella distinzione tra chierici e laici; in sostanza l'istituzione ecclesiastica lottò col potere imperiale per emanciparsi dalla sudditanza e riacquistare la propria autonomia. Questo ha portato ad un processo di identificazione della Chiesa con il ceto clericale perché la libertà della Chiesa dal potere secolare fu perseguita attraverso la progressiva emarginazione dei laici. Nell'età moderna, invece, ci fu il Concilio di Trento che dovette reagire alla riforma protestante di Martin Lutero, riaffermando l'importanza della mediazione ecclesiale tra il fedele e Dio. Per questo si è dovuta rimarcare l'esistenza di un sacerdozio ordinato e distinto dalla comunità dei fedeli; infatti il Concilio si occupò quasi esclusivamente del clero. Dopo Trento la distinzione tra chierici e laici si accentuò fino al codice del 1917 compreso. In conclusione alla prima età della Chiesa chierici e laici svolgono un ruolo attivo nella comunità ecclesiale, segue un lungo periodo in cui si radicalizza la distinzione tra chierici e laici, i primi chiamati a svolgere un ruolo attivo nella Chiesa (populus ducens), i secondi chiamati a svolgere un ruolo passivo (populus ductus). Questa separazione si prolunga fino al Concilio Vaticano II il quale opera una rivalutazione del laicato, attraverso un approfondimento della natura della Chiesa. Il Concilio, senza negare le concezioni gerarchico - giuridiche della Chiesa come istituzione e carismatico - spirituale come Corpo Mistico di Cristo, presenta la Chiesa come popolo di Dio, cioè comunità dei fedeli. Nella Lumen gentium, con il termine laici si intendono tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa. Nel decreto conciliare sull'apostolato dei laici "Apostolicam actuositatem" si dice che nella Chiesa c'è diversità di ministero ma unità di missione, cioè anche i laici hanno il proprio compito nella missione del popolo di Dio. Quindi la missione della Chiesa non è esclusiva né si identifica con quella dei chierici ma è propria di tutto il popolo di Dio. Ovviamente il fedele laico ha un ministero diverso da quello dei chierici in ragione della sua condizione secolare, ovviamente la sua vocazione è cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali, deve santificare sé stesso ed il mondo in cui vive. Dopo il Concilio Vaticano II il laico viene inteso come la Chiesa stessa nel mondo. Il codice di diritto canonico disciplina lo stato dei fedeli laici con una serie di disposizioni che possono essere sistematizzate secondo una triplice prospettiva (cann. 224 - 231). Innanzitutto le disposizioni che riguardano la partecipazione dei fedeli laici all'unica missione della Chiesa, ad esempio can. 225 per il quale i fedeli laici hanno il diritto e il dovere di lavorare perché il messaggio di salvezza sia conosciuto e fatto proprio da tutti gli uomini, soprattutto in quelle circostanze concrete nelle quali l'azione dei chierici è difficile o impossibile. Perciò i fedeli laici godono nell'ordinamento giuridico di una vera eguaglianza sostanziale, che comporta la titolarità dei diritti e dei doveri relativi a tutti i fedeli (can. 224). La caratteristica dei fedeli laici è data dal compito di ordinare le cose temporali in conformità con lo spirito evangelico e di rendere testimonianza di Cristo nella trattazione delle cose temporali (can. 225). I fedeli laici hanno anche una specifica funzione all'interno della Chiesa, ad esempio i laici possono presiedere associazioni pubbliche di fedeli (can. 317), possono partecipare ai concili particolari e provinciali (can. 443), possono prendere parte al sinodo diocesano (can. 460), entrano a comporre il consiglio pastorale diocesano e parrocchiale (can. 512), possono essere consultati sulla nomina dei Vescovi e dei parroci (can. 377), sono chiamati a cooperare col parroco (can. 519), possono essere uditi dall'Ordinario del luogo per la predisposizione pastorale della famiglia (can. 1064). Per quanto riguarda la funzione dei laici nel mondo, cioè contribuire alla santificazione del mondo, anche qui ci sono diversi canoni. Ad esempio il can. 226 dispone che coloro che vivono nello stato coniugale sono tenuti all'obbligo di lavorare ad edificare il popolo di Dio attraverso il matrimonio e la famiglia; nel can. 227 viene riconosciuta ai fedeli laici la libertà nelle cose civili che spetta a tutti i cittadini. Si tratta di norme di principio chiamate a costituire criteri di interpretazione delle più specifiche disposizioni riguardanti i fedeli laici. A proposito del matrimonio il diritto canonico non tende a definire il fedele laico in relazione allo status coniugale, poiché il matrimonio è la condizione di vita più comune tra i laici. Il diritto vigente nella disciplina di matrimonio e famiglia tiene conto di una duplice prospettiva, interna ed esterna. All'interno della famiglia i coniugi devono essere apostoli reciprocamente e devono essere i primi annunciatori di Cristo ai propri figli, verso l'esterno devono offrire viva testimonianza della santità e della indissolubilità del matrimonio cristiano. Il codice contiene un'ampia parte dedicata al matrimonio sacramento, ma prevede anche disposizioni relative alla famiglia che riguardano profili più attinenti alle competenze della Chiesa. In relazione ai rapporti tra genitori e figli, mantenendo l'antico primato dell'eguaglianza tra i coniugi, pone a carico di entrambi i genitori l'obbligo di formare i figli nella fede cristiana (can. 774); inoltre i genitori hanno il diritto - dovere di educare la prole e hanno il diritto di ricevere un aiuto dalla società civile per provvedere all'educazione cattolica dei figli (can. 793); hanno il diritto di scegliere liberamente la scuola per i propri figli (can. 797) ma hanno il dovere di scegliere una scuola che dia un'educazione cattolica ai propri figli (can. 796). Soprattutto su entrambi i genitori grava l'obbligo di seguire i propri figli per ricevere a tempo debito i sacramenti.
La cooperazione dei laici alle funzioni gerarchiche
I fedeli laici possono essere chiamati a collaborare con i ministri sacri (chierici) all'esercizio delle loro tre funzioni. Per quanto riguarda la funzione profetica, o di insegnare, appartiene a tutto il popolo di Dio in ragione del carattere missionario della Chiesa. Esistono infatti modi diversi di partecipare alla funzione di insegnare (munus docendi): è esercitata in modo ufficiale, autentico, autorevole, pubblico dai chierici; in modo non ufficiale e privato dai fedeli comuni. Esistono dei casi però in cui i fedeli laici sono chiamati a cooperare al munus docendi della gerarchia, come si afferma nel can. 759. Si configura una partecipazione del laicato all'insegnamento pubblico della Rivelazione divina, ad esempio il can. 766 dispone che i fedeli laici possono in certe circostanze predicare in una chiesa o in un oratorio, escludendo l'omelia che è riservata ai chierici. Invece il can. 776 afferma che la formazione catechetica è funzione del parroco ma può farsi aiutare anche dai fedeli laici, in particolare dai catechisti che sono chiamati in modo speciale alla prima predicazione del cristianesimo ai non cristiani (can. 784). Un altro caso si ha nelle associazioni pubbliche di fedeli con lo scopo di insegnare la dottrina cristiana (can. 301), poiché queste associazioni possono essere presiedute da laici (can. 317) ma hanno finalità che si connettono con il munus docendi della gerarchia, quindi sono di diritto pubblico, vengono costituite dalla competente autorità e ricevono la missio per i fini che si propongono di conseguire. Una modalità di insegnamento della gerarchia è l'insegnamento scientifico o dottorale di scienza sacra e secondo il can. 229 anche i laici idonei possono insegnare le scienze sacre. La funzione di santificare gli uomini (munus sanctificandi), per renderli partecipi della santità di Cristo, è partecipata da ogni fedele in virtù del sacerdozio comune; una speciale funzione di santificazione (es. celebrazione dei sacramenti) spetta solo ai chierici. Questa funzione si trova nel can. 835 in cui sono precisate le varie funzioni che spettano alla gerarchia, in particolare ai Vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, e poi è distinta la particolare forma in cui tutti i fedeli partecipano a questa funzione. Il diritto canonico prevede anche casi in cui i fedeli comuni possono cooperare alla funzione di santificare propria della gerarchia. Il can. 230 dispone ad esempio che i laici di sesso maschile, con l'età e le doti giuste, possono essere stabilmente assunti, mediante rito liturgico, ai ministeri di lettori e di accoliti, cioè dei ministeri istituiti (ufficialmente determinati per speciali compiti e mansioni) distinti dai ministeri di fatto (categoria aperta di servizi alla comunità ecclesiale). Lo stesso canone permette ai laici di svolgere temporaneamente delle funzioni come lettore, commentatore o cantore, nonché, in caso di mancanza di chierici, di svolgere uffici non richiedenti l'ordine sacro. I laici possono inoltre assistere alla celebrazione del matrimonio e amministrare alcuni sacramentali. Più complessa la cooperazione dei laici alla funzione regale o di governo della Chiesa (munus regendi). Nel can. 129 troviamo che sono abili alla potestà di governo (nella Chiesa per istituzione divina) coloro che hanno ricevuto l'ordine sacro, cioè i chierici, aggiungendo che i fedeli possono cooperare a norma del diritto. A questa disposizione occorre aggiungere il can. 228 secondo cui i laici che risultano idonei sono giuridicamente abili ad essere assunti in quegli uffici ecclesiastici secondo le disposizioni del diritto. Poi sulla base del can. 145, l'ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito per disposizione sia di diritto divino sia di diritto umano, da esercitarsi per un fine spirituale. Nel diritto canonico vigente gli uffici ecclesiastici non sono riservati ai chierici ma possono essere conferiti anche ai laici, dunque tra gli uffici si devono distinguere quelli strettamente clericali (stricte clericalia) e quelli meramente laicali per i quali non è richiesto l'ordine sacro. Esistono casi nei quali il diritto canonico configura la possibilità di conferire ai laici uffici ecclesiastici che comportano la titolarità della potestas regiminis, sia nell'ambito amministrativo che in quello giudiziario. Ad esempio nell'ambito amministrativo la partecipazione dei laici ai consigli pastorali (can. 512), ai consigli per gli affari economici (can. 492) e ai consigli in genere (can. 228); nell'ambito giudiziario i laici possono essere assunti all'ufficio di giudice (can. 1421) così come possono svolgere l'ufficio di assessore (can. 1424). Non è facile quindi comprendere il canone 274 secondo il quale solo i chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà di governo, perché sembra contraddire le altre disposizioni. Per risolvere questo problema la dottrina ha trovato varie soluzioni. Secondo alcuni solo i chierici avrebbero un'abilità permanente alla potestas regiminis e i laici possono solo collaborare con i chierici titolari. Secondo altri nella Chiesa esiste una duplice giurisdizione: una sacramentale e l'altra non sacramentale, detta ecclesiale, che potrebbe essere conferita anche a chi non ha l'ordine sacro. Altri ancora sostengono che solo gli ordinati in sacris avrebbero una pretesa giuridicamente tutelata nell'ordinamento ad ottenere uffici ecclesiastici e i laici di conseguenza potrebbero ottenere uffici ecclesiastici con tale potestà senza che ciò risponda ad un preciso diritto. Si potrebbe più semplicemente dire che in via generale gli uffici ecclesiastici che comportano esercizio della potestà di governo sono riservati ai soli chierici, fatta eccezione per i casi in cui il diritto ammette anche i fedeli laici. In questi casi si tratta di una potestà di governo per il cui esercizio non è necessaria la sussistenza del presupposto dell'ordine sacro. In conclusione possiamo dire che la cooperazione dei fedeli laici alle funzioni dei ministri sacri possono essere considerate come forme di supplenza.
Le associazioni di fedeli
Con il diritto di libertà di associazione riconosciuto dal can. 215, il codice detta un'ampia disciplina al fenomeno associativo nella Chiesa. In particolare nei canoni 298 - 299 è sancito il diritto dei fedeli di formare associazioni con fini di pietà, culto, apostolato, carità, che possono essere erette dalla competente autorità ecclesiastica. Il codice distingue due tipi di associazioni:
associazioni private: sono costituite per iniziativa dei fedeli (can. 299)
associazioni pubbliche: costituite direttamente dall'autorità ecclesiastica o aventi lo scopo di insegnare la dottrina cristiana in nome della Chiesa, di incrementare il culto pubblico (can. 301).
Questa distinzione si ricollega alla più generale distinzione operata dal codice canonico tra persone giuridiche private e pubbliche (can. 116), le persone giuridiche private nascono per libera iniziativa dei fedeli e agiscono in nome propria per il perseguimento delle finalità proprie della Chiesa, le persone giuridiche pubbliche sono costituite dall'autorità competente e agiscono in nome di questa, esercitando funzioni autoritative. Questa distinzione si riflette sul regime giuridico delle associazioni, in particolare i beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche entrano a comporre il patrimonio ecclesiastico (bona ecclesiastica). Tra le disposizioni di carattere generale troviamo la necessità di avere il consenso da parte della competente autorità per poter dire che l'associazione è cattolica (can. 300); la necessità di avere propri statuti, propria denominazione e prevedere le modalità di iscrizione e dimissione dei soci (can. 305). Le associazioni senza personalità giuridica possono possedere beni con l'effetto di far sorgere diritti in capo ai consociati intesi come comproprietari (can. 310). Alle associazioni di fedeli laici si applicano anche alcune norme speciali, in particolare è incoraggiata la loro costituzione per il perseguimento di fini spirituali. In altre parole il diritto positivo viene a favorire la formazione di quelle associazioni che rispondono alla funzione dei fedeli laici nel mondo e che si ispirano al Concilio Vaticano II, secondo cui esistono azioni che i fedeli compiono individualmente in nome proprio e azioni che compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. Coloro che presiedono a queste associazioni devono favorire la cooperazione con altre associazioni affinché siano di aiuto alle opere cristiane (can. 328). Soprattutto i responsabili devono curare la formazione dei consociati, non solo una formazione cristiana e generale in relazione alle finalità dell'associazione ma anche una preparazione professionale specifica sulle attività dell'associazione (il cosiddetto volontariato). Possiamo dire che il canone 215 positivizza un diritto naturale proprio di ogni uomo, ma sarebbe riduttivo poiché se è vero che il diritto di associazione non è mai fine a sé stesso, ma trova riconoscimento e disciplina nella misura in cui l'associazione persegue le finalità, ciò è tanto più vero in relazione all'ordinamento canonico nel quale si realizza una compenetrazione della vita e del destino del singolo con la vita ed il destino del tutto e viceversa. Il fondamento del diritto di associazione in realtà è duplice: naturale e soprannaturale. Quest'ultimo è individuato nel Concilio Vaticano II che guarda alla Chiesa come popolo di Dio. La missione della Chiesa non è propria ed esclusiva della gerarchia ma di tutto il popolo di Dio, perciò l'associarsi dei membri della comunità ecclesiale è opportuno. In questo diritto di associazione si riflette la duplice missione dei laici: nella Chiesa e nel mondo e nella cooperazione al ministero gerarchico. Nella figura dell'associazione si trova lo strumento tecnico giuridico con cui realizzare strutture più complesse per esplicitare le funzioni propriamente laicali (associazioni private) o le funzioni derivate dal ministero gerarchico (associazioni pubbliche).
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