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IL MATRIMONIO
Il matrimonio, in relazione alla sua essenza e alla qualifica dei suoi contraenti, si può distinguere in due tipi fondamentali: il matrimonio legittimo e il matrimonio rato. Se i contraenti non sono battezzati il matrimonio non è, in senso proprio, un Sacramento: e si dice matrimonio legittimo, per sottolineare che esso è disciplinato dalla legge naturale e dalla legge civile del luogo ove viene incluso. Il matrimonio legittimo è indissolubile. La dottrina afferma che tale indissolubilità si ancora al diritto divino naturale, con la conseguenza che il divorzio è negato anche ai non battezzati. Tuttavia il Concilio di Trento ha ancorato l'indissolubilità al diritto divino positivo che vincola solo i battezzati. Non sempre, però, per la Chiesa il matrimonio civile è considerato un matrimonio legittimo; se esso infatti, viene contratto da due battezzati è "turpe concubinato": la Chiesa ritiene che il battesimo conferisca un carattere indelebile, e che determina per il battezzato l'obbligo di osservare non solo le norme di diritto divino naturale, ma anche quelle di diritto divino positivo e quelle di diritto umano. Se, viceversa, i nubendi sono battezzati e contraggono il matrimonio secondo il rito della Chiesa il matrimonio è un Sacramento: e si dice matrimonio rato a sottolineare che l'elemento costitutivo del sacramento è il solo consenso degli sposi e che la Chiesa si limita a prenderne atto e certificarlo. Il matrimonio rato è di per sé indissolubile. Vi è però una differenza, sotto il profilo dell'indissolubilità del matrimonio, tra il matrimonio ratum tantum (che si è concretato con la sola celebrazione) e il matrimonio ratum et consumatum (che è stato seguito dalla consumazione). Il primo può essere sciolto in casi determinati come quello della giusta causa, il secondo è assolutamente indissolubile.
Un'altra distinzione è quella tra matrimonio in fieri e matrimonio in facto: il matrimonio in fieri è l'atto costitutivo del vincolo (che è sia atto giuridico che Sacramento); il matrimonio in facto è il rapporto che da quel vincolo sorge e che è destinato a durare sino alla morte dei nubenti. Il matrimonio può poi essere in contrasto, nel fatto, con il modello ideale previsto dall'ordinamento: e a seconda della gravità di tale contrasto si distingue in matrimonio inesistente, matrimonio invalido (o nullo) e matrimonio illecito. Il matrimonio si dice inesistente quando manca in esso persino l'apparenza del matrimonio, ossia quel minimo di elementi tipici che consentono di identificare il matrimonio (es. matrimonio tra persone dello stesso sesso, o per gioco a una festa.). Il matrimonio si dice invalido quando ha l'apparenza esterna del matrimonio, ma non può produrre i suoi effetti per un vizio coevo alla sua costituzione. Se il matrimonio invalido è contratto in buona fede da uno o entrambi i coniugi si dice matrimonio putativo: i suoi effetti rimangono salvi nei confronti della prole, che si considera legittima, nonché nei confronti del coniuge in buona fede. Il matrimonio si dice illecito quando sia stato contratto in spreto di una norma che non prevede un effetto invalidante, ma solo l'applicazione di una sanzione.
Il matrimonio tra i battezzati è, per la Chiesa della Controriforma, nella sua essenza un Sacramento. Nel matrimonio vi sono due Sacramenti: il Sacramento delle Nozze e il Sacramento dello Stato Coniugale. Le nozze consistono nell'alleanza d'amore, lo stato coniugale è ordinato alla generazione della prole. La dottrina della Controriforma esamina gli elementi costitutivi del Sacramento: il ministro, la materia, la forma. Un'opinione minoritaria afferma che la materia del Sacramento è il contratto, la forma è la benedizione del sacerdote, il ministro è il sacerdote stesso. Fu il Lambertini, divenuto Papa col nome di Benedetto XIV, a fissare nel 1758, la dottrina ufficiale della Chiesa. I ministri del Sacramento sono gli stessi sposi, il sacerdote è solo un testis qualificatus, un testimone che certifica l'avvenuto scambio dei consensi. Ne segue che il legittimo contratto è insieme la materia e la forma del Sacramento del matrimonio. All'inizio la dottrina controriformistica aveva avvertito la necessità di tenere distinta la volontà, il consensus, che è l'essenza del Sacramento, dalla sua veste giuridica caduca che è il contractus. L'identificazione del contratto avrebbe lasciato nell'ombra un elemento essenziale del sacramento: l'intentio e il suo contenuto. Un'altra conseguenza negativa, sul piano della dottrina dei sacramenti, dell'identificazione del sacramento col contratto è stata di ancorare l'idea di sacramentalità, in maniera statica, al solo matrimonio in fieri, e non anche al matrimonio in facto, allo stato coniugale.
Il problema specifico che si è presentato ai canonisti dell'età della Controriforma, è stato quello di dare una veste formale al Sacramento del matrimonio. Solo dopo la codificazione del 1917 affiorano i primi dubbi sulla liceità dell'uso della categoria del contratto per il fatto che il termine contratto è improprio perché i contratti sogliono avere un oggetto patrimoniale, e che di conseguenza è preferibile il termine "accordo"; si è anche osservato che nei contratti gli interessi delle parti sono divergenti, mentre nel matrimonio gli interessi dei coniugi convergono nella formazione della società coniugale. Ma il punto saliente, risale nel fatto che normalmente nei contratti, la volontà si indirizza a conseguire il suo oggetto: che nel caso di specie, dice il codice del 1917, è la mutua "traditio dello jus in corpus perpetuum et exclusivum". Se scomponiamo questa formula nei suoi elementi costitutivi ci accorgiamo che essa si articola in tre nuclei: il trasferimento dello jus in corpus (diritto agli atti idonei alla procreazione), il carattere di perpetuità e indissolubilità (perpetuum), il carattere di esclusività (exclusivum). Ciascuno di questi tre nuclei coincide con uno di quegli elementi che la dottrina indica col nome di bona matrimonii: il bonum prolis, il bonum fidei, il bonum sacramenti. Nella letteratura canonistica, dopo l'emanazione del codice del 1917, affiora un'altra categoria: la categoria del negozio giuridico. Con l'uso di questa categoria, i canonisti, ritengono di superare le obiezioni relative alla patrimonialità dell'oggetto o al contrasto di interessi tra le parti, che sono elementi caratteristici della nozione di contratto. Di recente si è assistito al tentativo di calare il matrimonio canonico entro lo schema del negozio giuridico, che è una dichiarazione di volontà volta ad un fine protetto dall'ordinamento giuridico. Questa categoria è il frutto maturo della pandettistica tedesca, la quale ne ha elaborato la teoria utilizzando i materiali che provenivano da due scuole precedenti, la scuola del diritto naturale e la scuola storica. La pandettistica pone al centro della propria rielaborazione della teoria generale del negozio giuridico la volontà individuale. Il negozio giuridico appariva quindi come una estrinsecazione di volontà del privato tendente ad uno scopo pratico che l'ordinamento giuridico riconosce e attua coi mezzi che ha predisposto.
La verità è che tanto la teoria, prima medioevale e poi controriformistica, del matrimonio come contratto quanto la teoria postcodicistica del matrimonio come negozio giuridico sono delle traduzioni infedeli della sostanza del Sacramento. Più propriamente il matrimonio Sacramento deve esser qualificato come atto giuridico in senso stretto. L'atto giuridico si differenzia tanto dal contratto quanto dal negozio giuridico perché anch'esso è un atto volontario: ma una volta posto in essere l'atto, nulla il soggetto può o deve fare per rimuovere gli effetti tipici che al medesimo sono ricollegati direttamente dall'ordinamento. Nel matrimonio, infatti, gli sposi non esprimono una volontà diretta alla produzione di specifici effetti, ma solo un'intenti di facere. Alla manifestazione di tale intentio l'ordinamento riconnette direttamente gli effetti essenziali del matrimonio. La qualificazione del matrimonio come atto gli dà una coloritura pubblicistica, o comunque attenua e quasi annulla il ruolo dell'autonomia privata. Ma ciò è coerente con l'essenza di libertà contrattuale dei nubenti , con l'essere il matrimonio canonico un sacramento e col suo incardinarsi nella struttura pubblica della Chiesa, con la linea di fondo dell'evoluzione del diritto matrimoniale della Chiesa nell'età della controriforma.
Per quanto riguarda i fini del matrimonio, il codice del 1917, ha dichiarato fine primario la procreazione ed educazione della prole.
Altra figura peculiare, che non trova riscontro nella dottrina laica del contratto o del negozio giuridico, è costituita dai cosiddetti bona matrimonii. Questi sono tre: il bonum prolis, ossia il diritto-dovere alla procreazione ed educazione dei figli, il bonum fidei, ossia il diritto-dovere alla fedeltà e il bonum sacramenti, ossia il diritto-dovere alla indissolubilità. Essi costituiscono gli effetti essenziali del matrimonio. La caratteristica di questi bona è che essi non devono essere espressamente e direttamente voluti dalle parti, ma che essi si ricollegano alla manifestazione del consenso. Solo la loro espressa esclusione determina la nullità del matrimonio. Le proprietà del matrimonio sono l'unità e l'indissolubilità.
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