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Il matrimonio
La Chiesa, per il raggiungimento del suo fine, utilizza mezzi che si classificano in due diversi ordini: l'insegnamento e la santificazione. Con l'insegnamento vengono trasmesse le verità rivelate e i principi morali, costituisce un vero diritto e dovere della Chiesa, definito "nativo" perché originario e coessenziale alla stessa natura dell'istituzione ecclesiastica (can. 747). Questo comporta la predicazione evangelica a tutte le genti, l'annuncio dei precetti morali, l'espressione del giudizio morale su qualsiasi realtà umana. La funzione di insegnare (munus docendi) costituisce una manifestazione della potestà di magistero o potestas magisterii; essa viene esercitata attraversi il magistero ecclesiastico, cioè l'ufficio di interpretare ed esporre la parola di Dio con autorità da parte del Papa e dei Vescovi. Questa funzione viene esplicitata in modi diversi: con la predicazione, la catechesi, l'azione missionaria, l'educazione cattolica nella famiglia, nelle scuole e nelle università cattoliche, attraverso le pubblicazioni e gli altri mezzi di comunicazione sociale. Tutto questo viene disciplinato nel Libro III del codice di diritto canonico. L'altra funzione, di santificazione o munus sanctificandi, si riferisce alla potestà d'ordine o potestas ordinis. Si esplicita attraverso l'amministrazione dei mezzi soprannaturali che Cristo ha affidato alla Chiesa, cioè i sacramenti: battesimo, confermazione (cresima), eucaristia, penitenza (confessione), unzione degli infermi, ordine sacro, matrimonio. Attraverso i sacramenti si rende culto a Dio e si opera la santificazione degli uomini; insieme ai sacramenti abbiamo poi i sacramentali, le esequie ecclesiastiche, il culto dei santi. Tutto questo viene disciplinato nel Libro IV del codice.
Il sacramento del matrimonio è sempre quello oggetto di speciale attenzione poiché è l'unico preesistente all'istituto di questi mezzi di grazia. Si tratta infatti di un istituto naturale, che tra i battezzati è stato elevato da Cristo alla dignità di sacramento (can. 1055). Lo stato matrimoniale è lo stato di vita più diffuso tra i fedeli, da qui l'interesse della Chiesa per un sacramento che sostiene quei christifideles (laici) che sono chiamati a santificarsi nel mondo e ad animare cristianamente l'ordine temporale.
Il matrimonio come istituto naturale
Un istituto naturale, una società durevole tra uomo e donna voluta da entrambi allo scopo di dar vita ad altri individui e di aiutarsi reciprocamente. Il matrimonio è un istituto comune a tutti gli uomini e ha una struttura essenziale non mutevole. Il mutare della storia, infatti, incide sulla concreta configurazione socio-giuridica di questo istituto ma solo in elementi non essenziali e di contorno. Per comprendere meglio la struttura del matrimonio possiamo fare riferimento alla Sacra Scrittura, un testo scritto per un popolo semplice, e in particolare al libro della Genesi in cui troviamo la struttura del matrimonio come istituto naturale in quattro passaggi:
a) "non è bene che l'uomo sia solo": mette in evidenza la consapevolezza della propria difettività e debolezza, quindi l'esigenza di rapportarsi con gli altri; manifesta la natura relazionale dell'uomo nel senso che nessuno è capace di piena autonomia ma tutti hanno bisogno dell'aiuto e della solidarietà degli altri; questo passo apre il racconto della creazione della donna e indica il superamento della condizione di difettività in una relazione uomo-donna caratterizzata dalla complementarietà; quindi la relazione nuziale tra l'uomo e la donna è la relazione fondamentale.
b) "i due formeranno una sola carne": "una caro", carne della stessa carne, ossa delle stesse ossa; sottolinea il superamento del limite individuale e l'aspetto donativo del rapporto tra uomo e donna nel matrimonio; è una relazione che va sino alla più profonda intimità, nella quale si supera il limite di ciascun individuo nel vicendevole completamento tra marito e moglie; il matrimonio deve essere considerato come una liberazione dai limiti che segnano la condizione di ogni individuo.
c) "crescete e moltiplicatevi": indica la continuità nel tempo; il processo di approfondimento della coscienza di se stessi, detto personalizzazione, non è completo se resta in balia del tempo ma deve affermarsi oltre il tempo, che quindi è oggettivamente un limite; la finalità procreativa del matrimonio indica il soddisfacimento del bisogno di ogni uomo di durare nel tempo.
d) "per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre": acquisita la maturità, l'uomo va incontro al mare grande della vita, ma lasciare suo padre e sua madre lo metterà nella condizione di essere solo e gli farà avvertire la debolezza dell'essere solo e il bisogno dell'altro; il circolo si chiude.
Dunque il Libro Sacro svela in parole semplici la struttura fondamentale del matrimonio. Come istituto naturale, è disciplinato dal diritto naturale ed integrato dal diritto secolare o dalle consuetudini sociali. Il diritto secolare, però, non può riformare o modificare le basi naturali dell'istituto. Il matrimonio canonisticamente denominato matrimonio legittimo (matrimonium legitimum) è considerato vero dalla Chiesa se contratto da non battezzati; su di esso la Chiesa non ha competenza giuridica perciò rientra nell'ambito del munus docendi, cioè la funzione di insegnare la verità oggettiva del matrimonio.
Il matrimonio sacramento
Il matrimonio sacramento è un patto mediante il quale l'uomo e la donna pongono in essere un consorzio per tutta la vita. Se il matrimonio è elevato a sacramento significa che il matrimonio validamente contratto tra battezzati produce gli effetti della grazia sacramentale. La dottrina sul matrimonio è stata elaborata dal Concilio di Trento, essa indica che tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia esso stesso un sacramento (can. 1055). Quindi contratto e sacramento non sono opposti ma dal contratto scaturiscono effetti sacramentali. Il matrimonio è l'alleanza fra un uomo ed una donna che danno vita ad una comunità di vita e di amore, ordinata al bene dei coniugi ed alla procreazione ed educazione dei figli (can. 1055). Per assumere pienamente queste finalità, le caratteristiche essenziali del matrimonio sono: l'unità, esclusione della poligamia, e l'indissolubilità, l'impossibilità di scioglimento del vincolo matrimoniale durante la vita dei coniugi. I fini e le proprietà del matrimonio sono considerati i "bona matrimonii", espressione derivata da s. Agostino che parla di "bonum prolis, fidei et sacramenti" cioè i tria bona, che nello specifico riguardano la sostanza del matrimonio: il "bonum prolis" attiene alla procreazione ed educazione della prole; il "bonum fidei" alla fedeltà vicendevole tra i coniugi; il "bonum sacramenti" alla indissolubilità. Il Concilio Vaticano II con la costituzione pastorale "Gaudium et spes" parla del matrimonio come intima comunità di vita e di amore e ha rivalorizzato il rapporto interpersonale, sottolineando la connessione tra la felicità dell'individuo nella società e il buon rapporto coniugale.
Quindi, se il matrimonio è sia contratto sia sacramento, ne deriva che qualora il contratto sia valido sussiste anche il sacramento, se invece il contratto fosse invalido sarà invalido anche il sacramento. Per il matrimonio fra battezzati, la competenza a disciplinarlo giuridicamente spetta alla Chiesa, competenza che ha sempre rivendicato rispetto ai poteri civili, soprattutto dalla fine del Settecento in poi quando gli Stato hanno iniziato ad intromettersi con una disciplina propria (matrimonio civile). La Chiesa rivendica in particolare la competenza a disciplinare il matrimonio dei battezzati cattolici, infatti il can. 1059 afferma che il matrimonio dei cattolici è retto non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico, salva la competenza dell'autorità civile circa gli effetti puramente civili. Le fonti normative che regolano il matrimonio canonico sono: il diritto divino naturale, che forgia la struttura del matrimonio in maniera comune a tutti gli uomini (la diversità sessuale, l'unità e l'indissolubilità, le finalità del bene dei coniugi e della procreazione ed educazione dei figli; il diritto divino positivo o rivelato, che riguarda tutti i battezzati e indica ad esempio la peculiare stabilità in ragione del sacramento (can. 1056), in questo senso si può anche intendere il precetto evangelico "l'uomo non separi ciò che Dio ha unito (Marco); il diritto ecclesiastico, l'insieme delle norme che hanno la funzione di regolamentare dettagliatamente l'istituto matrimoniale; il diritto civile, poiché il diritto canonico riconosce che il matrimonio produce anche effetti meramente civili. A questo proposito il can. 1061 afferma che il matrimonio validamente contratto tra battezzati si dice "matrimonio rato" (matrimonium ratum) e una volta che sia intervenuta la consumazione, cioè gli atti sessuali, si dice "matrimonio rato e consumato" (matrimonium ratum et consummatum). Secondo il diritto canonico la consumazione deve avvenire in modo umano (can. 1061) cioè secondo natura e con libera accettazione e si configura anche nel caso in cui all'atto non segua la procreazione. Si chiama invece "matrimonio canonico" quello celebrato a norma dal diritto canonico da due battezzati nella Chiesa cattolica o da un cattolico e un non cattolico. La dottrina distingue inoltre tra "matrimonium in fieri", quindi come atto costitutivo della famiglia, e il "matrimonium in facto esse" cioè il rapporto matrimoniale che dura nel tempo o famiglia. Per il diritto canonico è prevalente il suo interesse per l'atto costitutivo della famiglia, nel quale tutto il vissuto successivo è voluto dagli sposi, minore invece è l'attenzione per la famiglia come insieme di rapporti. Bisogna precisare che il diritto canonico coglie soltanto alcuni aspetti, attinenti alla validità del contratto, lasciando gli altri all'attenzione e cura dell'attività pastorale della Chiesa.
Struttura giuridica del matrimonio canonico
Il matrimonio canonico è un patto (foedus) o contratto, che sorge esclusivamente dalla libera volontà dei soggetti contraenti, cioè gli sposi; volontà che non può essere supplita da nessuna potestà umana, neppure ecclesiastica (can. 1057), quindi nessuno può vincolare altri al matrimonio. Il consenso contrattuale è la causa efficiente del sacramento; il sacerdote che assiste allo scambio del consenso è solo un testimone pubblico (testis qualificatus). Materia e forma del matrimonio sono nelle parole o nei segni (can. 1101) con cui gli sposi esprimono il consenso, cioè l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (can. 1057). La materia è costituita dalla reciproca dazione di se, mentre la forma è la manifestazione della reciproca accettazione del dono di sé. Per essere validamente celebrato il matrimonio ha bisogno di tre elementi: un consenso prestato da persona giuridicamente abile, non viziato né nella sua formazione né nella sua manifestazione; l'assenza di impedimenti; la forma prescritta.
Il consenso
Il matrimonio è costituito dal libero consenso delle parti. Per il diritto sono irrilevanti i motivi che possono aver indotto l'individuo a sposarsi, ciò che conta è la volontà di entrambi. La struttura essenziale del matrimonio è predefinita, la libertà dei soggetti contraenti si esaurisce nella libera adesione al modello giuridicamente predeterminato; in particolare le parti non possono alterare il carattere eterosessuale del matrimonio o modificarne le proprietà e le finalità. Vista la centralità del consenso, un difetto o vizio di quest'ultimo produce l'invalidità del matrimonio anche se, per essere rilevante in foro esterno, deve essere accertata dal competente giudice ecclesiastico. La validità del consenso, dunque, dipende dalla capacità di coloro che debbono prestarlo, dalla conoscenza oggettiva di ciò che vogliono, dalla libertà di cui devono godere, dai reali contenuti della volontà esternamente manifestata. Un difetto o vizio del consenso rende invalido il matrimonio: l'incapacità di contrarre matrimonio, l'ignoranza, l'errore, il dolo, la violenza e il timore, la simulazione, la condizione. Per capacità si intende l'idoneità del soggetto a valutare il proprio comportamento determinandosi coscientemente ad esso, quindi la capacità di contrarre matrimonio significa avere una conoscenza sufficiente della natura e dei fini del matrimonio e l'idoneità a volerlo. Quindi l'incapacità è la mancanza di tale idoneità, che può riguardare la sfera intellettiva e della conoscenza, quella volitiva, quella attuativa o operativa.
I vizi del consenso:
a) L'incapacità a contrarre matrimonio
Secondo il can. 1095 sono incapaci a contrarre matrimonio:
coloro che per ragioni diverse, temporanee o permanenti, mancano di sufficiente uso di ragione e quindi non sono in grado di raggiungere una seppur minima conoscenza di che cosa sia il matrimonio, questi sono i casi delle alterazioni mentali temporanee contingenti come ad esempio l'alcool e l'ipnosi.
coloro che, per immaturità o per cause patologiche, difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente, riguarda quindi soggetti che non sono portatori di vere e proprie affezioni psicotiche ma che per ragioni permanenti o temporanee della loro personalità non sono in grado di avere sufficiente consapevolezza e libertà nell'assumersi obblighi, questi sono i casi in cui anche se l'individuo sa di contrarre matrimonio non può discernere gli obblighi per alterazioni di carattere o anche detti conflitti di personalità (isterico, narcisista, immaturo psichico-affettivo).
coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, poiché non essendo in grado di adempiere gli obblighi non possono assumerli con la celebrazione del matrimonio; questa incapacità è simile al caso precedente ma attiene a casi psicofisici nell'ambito della sfera sessuale (omosessuale, ninfomane e satiro, sadico e masochista) perché sono incapaci di condurre una sana vita coniugale, ad esempio non sono in grado di assumersi il dovere della fedeltà.
b) L'ignoranza
L'ignoranza è l'insufficiente conoscenza di cos'è il matrimonio e cosa comporta. Secondo il can. 1096 è necessario che i contraenti sappiano almeno che il matrimonio è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale. Essendo il matrimonio un rapporto al quale l'uomo è incline per natura, acquisisce in via autonoma la conoscenza essenziale di che cosa il matrimonio sia e comporti. Quindi è richiesta una consapevolezza non specifica ma solo degli elementi essenziali: l'unione solidale tra uomo e donna, la sua durata nel tempo, la sua apertura alla procreazione attraverso il rapporto sessuale. E' una conoscenza minimale ma sufficiente ad individuare l'oggetto specifico che si presume sussistere in ogni persona dopo la pubertà, cioè dopo la pubertà (14 anni per la donna, 16 anni per l'uomo) non c'è più ignoranza ma una piccola conoscenza.
c) L'errore
Esiste il vizio per errore di diritto (error iuris) o per errore di fatto (error facti). L'errore di diritto riguarda le proprietà essenziali e la sacramentalità del matrimonio. Il can. 1099 afferma che l'errore circa l'unità o l'indissolubilità o la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale, purché non ne determini la volontà. Quindi se l'errore riguarda solo la conoscenza delle proprietà e dei fini del matrimonio è irrilevante giuridicamente. Diviene causa di invalidità quando, dalla sfera intellettiva, si passa in quella volitiva determinando così il consenso. Ad esempio l'erronea convinzione che il matrimonio sia dissolubile incide se viene ad oggettivarsi nella volontà, allora l'errore diviene rilevante invalidando il consenso. L'errore di fatto invece riguarda la persona dell'altro contraente il matrimonio, ad esempio è l'errore sull'identità fisica della persona che rende invalido il matrimonio (can. 1097) perché il consenso è viziato in ragione del fatto che il matrimonio riguarda una persona concreta e determinata. Più complesso è il caso dell'errore su una qualità della persona, perché in genere questo errore non incide sulla validità. Qualora la qualità della persona sia voluta direttamente e principalmente all'atto di esprimere il consenso, il matrimonio è nullo (can. 1097), in questo caso la qualità diventa l'oggetto del consenso matrimoniale. Un caso particolare è l'error redundans in errorem personae, cioè errore sulle qualità della persona che diviene errore di persona; è una fattispecie contemplata nel codice del 1917 ma non più in quello vigente anche se è tuttora giuridicamente configurabile.
d) Il dolo
Il dolo (can. 1098) è stato inserito nell'ultimo Codice (1983) perché in passato non si riteneva opportuno dare importanza a questo vizio poiché la maggior parte dei matrimoni erano basati su questo. Il consenso è viziato quando si pone in essere dolosamente un inganno, cioè il contraente venga indotto in errore su una qualità dell'altra parte e per ciò presti il consenso. La qualità può essere fisica, morale, sociale ecc. ma deve essere essenziale per il matrimonio o deve avere una natura tale da turbare gravemente la vita coniugale. Il dolo può essere posto dall'altra parte contraente o da una terza persona, può consistere in un comportamento attivo o anche passivo od omissivo, purché esplicitamente diretto ad indurre in errore. Un esempio può essere il caso di sterilità taciuta con inganno all'altra parte per evitare il sottrarsi di quest'ultima al matrimonio. E' una disposizione di diritto umano o di diritto divino? Esistono due teorie: di diritto umano perché posta dal legislatore, di diritto naturale perché il consenso non è prestato validamente.
e) La violenza e il timore
Nessuno può validamente obbligarsi se non liberamente, questo principio si collega al diritto fondamentale del fedele ad essere immune da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita (can. 219). Di conseguenza un consenso matrimoniale estorto con violenza o timore non è valido. Nel caso della violenza fisica, il consenso viene addirittura a mancare (can. 125). Più frequente è il caso della violenza morale o del timore (metus), qui il consenso sussiste ma è viziato (can. 125). Per provare l'invalidità occorre che la violenza sia: oggettivamente grave, tale da annullare la libertà di determinazione; incussa dall'esterno; prodotta dal comportamento volontario di un'altra persona e non da eventi naturali; efficace, cioè colui il quale subisce la violenza ha come unica via per sottrarsi ad essa il matrimonio. Una fattispecie particolare è il timore reverenziale (metus reverentialis), che si produce in un rapporto caratterizzato da vincoli di dipendenza affettiva o psicologica. La caratteristica di questo metus è che non produce elementi di violenza fisica o morale, ma condizionamenti del consenso derivanti da ricatti affettivi o da abusi di autorità. Le preghiere, le suppliche, le espressioni di dolore o di disappunto, i ricatti psicologici, sono fattori che costringono un soggetto a contrarre matrimonio. Ordinariamente questi fattori non invalidano un matrimonio, ma quando oggettivamente diventano forme di pressione gravi e soggettivamente vengono da persone con forte personalità allora possono invalidare un matrimonio.
f) La simulazione
Si parla di
simulazione (can. 1101) quando ricorra una divergenza tra la manifestazione
esterna del consenso matrimoniale e l'interno volere, esternamente si esprime
la volontà di contrarre matrimonio ma internamente non si vuole. In questo caso
il nubente vuole un matrimonio diverso rispetto a quello che intende la Chiesa,
quindi vi è una finzione del consenso. La simulazione può essere totale o
parziale: totale quando non si vuole
il matrimonio o si vuole per finalità diverse; parziale quando la volontà del soggetto è diretta a costituire il
matrimonio ma con esclusione di elementi essenziali. La fattispecie si verifica
quando esternamente il nubente esprime il consenso matrimoniale, ma
internamente esclude l'unità del matrimonio (bonum fidei), o la sua indissolubilità (bonum sacramenti), o il bene dei coniugi (bonum coniugum), o la generazione della prole (bonum prolis), o il valore della sacramentalità. La simulazione può
essere bilaterale o unilaterale (riserva mentale); la simulazione unilaterale è giuridicamente
irrilevante in diritto civile, lo è invece in diritto canonico. Perché il
matrimonio sia invalido per simulazione non è sufficiente una generica
intenzione contro il matrimonio, bensì ci vuole un atto positivo di volontà
diretto ad escludere il matrimonio stesso. Secondo il can. 1101 il consenso
interno dell'animo si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel
celebrare il matrimonio, si ha cioè la presunzione di conformità della
dichiarazione esterna alla volontà interna. Si tratta di una praesumptio iuris, cioè una congettura
probabile di un fatto incerto stabilito dalla legge, inoltre è una presunzione iuris tantum poiché ammette la prova
contraria. La presunzione è da collegare al can.
g) La condizione
Il consenso si può viziare a causa di una condizione, per cui la validità o meno del contratto matrimoniale dipende dalla sussistenza di una determinata circostanza (can. 1102). Il diritto canonico esclude la validità del matrimonio contratto con condizione propria, cioè condizione de futuro con effetti sospensivi, perché non si possono lasciare in sospeso gli effetti giuridici e spirituali del matrimonio-sacramento al verificarsi futuro ed incerto di un determinato fatto. Un caso particolare è quello della condizione potestativa, la quale riguarda un fatto la cui realizzazione dipende dalla volontà dell'altra parte. Invece il caso della condizione de futuro con effetti risolutivi è una condizione al verificarsi della quale il matrimonio verrebbe meno, quindi in realtà si verserebbe in una simulazione per esclusione della indissolubilità. Viceversa il diritto canonico ammette la celebrazione del matrimonio sotto condizione passata o presente, per cui il matrimonio è valido o meno a seconda se sussista o meno il fatto dedotto in condizione (can. 1102). La ragione per cui il diritto canonico ammette rilievo giuridico alla condizione è di garantire il reale consenso degli sposi. L'apposizione di condizioni de praeterito o de praesenti costituisce tuttavia un elemento di grave turbativa del consenso e del bene spirituale degli sposi, per questo esiste una disposizione nello stesso can. 1102 secondo cui non si può porre la condizione se non con la licenza scritta dell'Ordinario del luogo. Tale licenza è richiesta ad liceitatem e non ad validitatem, quindi il matrimonio contratto sotto condizione passata o presente senza detta licenza sarebbe illecito ma non invalido.
Gli impedimenti
Gli
impedimenti sono fatti o circostanze che rendono la persona inabile a contrarre
matrimonio validamente (can. 1073). Si classificano in dirimenti (rendono
invalido il matrimonio) e impedienti (lo rendono illecito ma non invalido), il
codice del 1983 contempla però solo i dirimenti.
Si distinguono in impedimenti di diritto divino o di diritto
ecclesiastico: i primi sono dichiarati tali dalla suprema autorità della
Chiesa (can. 1075) e non possono mai essere dispensati; i secondi sono sempre
posti dalla stessa autorità suprema (can. 1075) però possono essere dispensati.
Nel primo caso la suprema autorità svolge una funzione magisteriale (munus docendi) cioè l'insegnamento dei
limiti posti dal legislatore divino, nel secondo caso svolge il proprio munus regendi ponendo ulteriori ostacoli
alla celebrazione del matrimonio. Il potere di stabilire impedimenti è
riservato alla suprema autorità ecclesiastica, quindi gli impedimenti sono
legislativamente predefiniti e le norme che li contemplano sono soggette ad
interpretazione restrittiva così il legislatore canonico particolare non può
porre nuovi impedimenti o derogare impedimenti vigenti (cann. 1075 e 1077); per
lo stesso motivo non è ammessa in materia di impedimenti la consuetudine (can.
1076). L'Ordinario del luogo può soltanto stabilire un divieto temporaneo al
matrimonio per un caso peculiare, per una causa grave e limitatamente alla
permanenza di questa; tale divieto ha forza impediente e non dirimente quindi
il matrimonio è illecito ma non invalido. Gli impedimenti, da un punto di vista
probatorio, si distinguono in pubblici e occulti: sono pubblici quelli che possono essere provati in foro esterno (can.
1074), gli altri sono detti occulti.
Il potere di dispensa per gli impedimenti di diritto ecclesiastico spetta alla
Santa Sede e all'Ordinario del luogo (cann. 1078 - 1082):
- L'età
Secondo il
can. 1083 non possono contrarre validamente matrimonio l'uomo che non abbia
compiuto i sedici anni e la donna che non ne abbia compiuto quattordici. Questo
impedimento nasce con l'esigenza di garantire che i nubendi abbiano raggiunto
la maturità biologica e psicologica necessaria, quindi il legislatore ha
fissato un limite minimo che ovviamente può non coincidere con l'effettiva
maturazione del singolo, da qui la possibilità di dispensa
dall'impedimento. Il legislatore canonico ha anche previsto che le Conferenze
episcopali possono fissare un'età maggiore per la lecita celebrazione del
matrimonio (can. 1083) altrimenti il matrimonio sarebbe valido ma illecito. Ad
esempio
- L'impotenza
L'impedimento di impotenza può essere di due tipi: impotentia coeundi, cioè l'incapacità di avere rapporti sessuali causata da malformazioni fisiche o cause psicologiche, e impotentia generandi, cioè l'individuo non è in grado di procreare ma solo di compiere l'atto. L'impotentia coeundi è quindi l'impossibilità di compiere, per anomalie organiche o psichiche, la copula coniugale, cioè l'atto con cui i coniugi divengono una caro. Può essere dell'uomo o della donna, può essere assoluta, cioè nei confronti di tutti, o relativa, solo nei confronti di una persona determinata. E' un impedimento di diritto divino naturale e quindi non può essere dispensato. Per rendere nullo il matrimonio l'impotenza deve essere (can. 1084) precedente al matrimonio, cioè sussistente al momento del consenso, e perpetua, cioè non curabile; se l'impedimento è dubbio, il matrimonio non può essere impedito (can. 1084). L'impotentia generandi o sterilità, invece, che può riguardare sia l'uomo che la donna, non impedisce il matrimonio né lo rende invalido (can. 1084) poiché la sterilità non impedisce ai coniugi di porre in essere l'atto sessuale naturale.
- Il precedente matrimonio
L'impedimento del precedente vincolo matrimoniale (can. 1085) vuole tutelare le proprietà del matrimonio: l'unità, quindi l'esclusività del rapporto fra i coniugi, e l'indissolubilità, per cui il matrimonio si scioglie solo con la morte di uno dei due coniugi. Quindi è un impedimento di diritto divino e non può mai essere dispensato. Per far sì che l'impedimento sussista è necessario che ci sia un matrimonio validamente contratto. L'eventuale divorzio civile non fa venire meno l'impedimento perché il matrimonio per la dottrina cattolica è indissolubile; l'impedimento viene meno se il precedente matrimonio sia stato dichiarato nullo o nei casi specifici in cui il diritto canonico ammette lo scioglimento (dispensa dal matrimonio rato e non consumato, privilegio paolino e petrino).
- La disparità di culto
L'impedimento è fra una persona battezzata nella Chiesa cattolica e una persona non battezzata (can. 1086). Questo impedimento nasce dalle difficoltà che possono insorgere nei matrimoni misti sia per la fede, sia per l'educazione cattolica dei figli (can. 226; can. 793). E' un impedimento di diritto ecclesiastico perciò è dispensabile, ma ad alcune condizioni tra cui la promessa sincera della parte cattolica di fare quanto è in suo potere perché i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica (can. 1125).
- L'ordine sacro e il voto religioso perpetuo
L'impedimento per ordine sacro (can. 1087) deriva dall'obbligo del celibato previsto nella Chiesa (can. 277), si tratta quindi di un obbligo di non sposare che si è affermato nell'età medievale per due ragioni: una ragione spirituale, per una piena ed indivisa adesione a Cristo, e una ragione pratico-pastorale, per una maggiore disponibilità al servizio divino e dei fedeli. E' dispensabile ma solo dalla Santa Sede in caso di vocazione viziata o nel caso in cui il chierico abbia abbandonato la vita sacerdotale. L'impedimento per voto religioso perpetuo riguarda coloro che hanno emesso il voto pubblico e perpetuo di castità in un istituto religioso (can. 1088). In questo caso il divieto non deriva da un obbligo esterno ma è la conseguenza della libera scelta del soggetto che rinuncia all'esercizio della sessualità (can. 573). E' un impedimento di diritto ecclesiastico per cui è dispensabile ma solo dal Pontefice.
- Il ratto
Questo impedimento è diretto a garantire pienamente la libertà della donna a contrarre matrimonio e a sposare una persona determinata, inserito all'epoca del concilio per tutelare il sesso debole da questa usanza. Secondo il can. 1089 non è possibile costituire un valido matrimonio fra l'uomo e la donna rapita purché ciò sia fatto allo scopo di contrarre matrimonio. L'impedimento non è dispensabile, ma viene meno una volta che la donna separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro, abbia la libertà di determinarsi e scegliere spontaneamente di contrarre matrimonio con l'uomo che l'ha rapita. Ci sono due requisiti: è la donna che deve essere rapita, l'autore deve agire con l'intento di contrarre matrimonio.
- Il crimine
Questo impedimento sorge nel caso di coniugicidio. Per il can. 1090 esistono due diverse fattispecie: il caso di chi uccide (o fa uccidere) il coniuge di un'altra persona con cui vuole contrarre matrimonio o il proprio; il caso di coloro che hanno cooperato fisicamente o moralmente all'uccisione del coniuge di uno dei due, anche se non al fine di sposarsi. La ragione di questo impedimento è la tutela della vita e la salvaguardia della positività del modello matrimoniale. E' un impedimento di diritto ecclesiastico e quindi è dispensabile, ma la gravità ha indotto il legislatore a riservare alla Santa Sede il potere di dispensa.
- La consanguineità e l'affettività
L'impedimento di consanguineità riguarda tutti coloro che discendono da un antenato comune. Secondo il can. 1091 è nullo il matrimonio contratto tra consanguinei in linea retta, in qualsiasi grado; quello contratto tra consanguinei in linea collaterale è nullo fino al quarto grado incluso (fratelli, zio e nipote, cugini primi). E' un impedimento di diritto divino e quindi non dispensabile. Secondo il can. 1094 c'è il divieto di contrarre matrimonio a coloro che sono uniti, in linea retta o nel secondo grado della linea collaterale, da parentela sorta da adozione. Questo impedimento è detto di parentela legale e nasce dal fatto che l'adozione conferisce all'adottato lo stato di figlio legittimo riconosciuto dal diritto canonico; è un impedimento di diritto umano quindi dispensabile anche se è molto difficile. L'affinità è il vincolo che sussiste tra il coniuge e i consanguinei dell'altro coniuge. E' riservato in linea retta ai consanguinei dell'altro coniuge legati a quest'ultimo da un rapporto di discendenza l'uno dall'altro, altrimenti è in linea collaterale. Per il can. 1092 l'affinità in linea retta rende nullo il matrimonio in qualunque grado; è un impedimento di diritto ecclesiastico e quindi è dispensabile.
Il sistema romanistico ci ha tramandato che l'impedimento di consanguineità è infinito in linea retta (padre, figlio, nonno) mentre in linea collaterale fino al quarto grado incluso (dal codice del 1983) e indica tutti quelli che hanno in comune un capostipite.
- La pubblica onestà
La pubblica onestà (publica honestas) è un impedimento che nasce dal matrimonio invalido in cui c'è stata vita comune, cioè il matrimonio putativo, o da concubinato pubblico e notorio (can. 1093). Questo impedimento è sorto perché quando vi è una sentenza di nullità di un matrimonio cessa anche l'affinità, allora la Chiesa ha previsto questo impedimento perché riteneva sconveniente un matrimonio con il consanguineo di una persona con la quale si sia intrattenuta una relazione intima. L'impedimento di pubblica onestà rende nulle le nozze nel primo grado della linea retta tra il coniuge e i consanguinei dell'altro; è di diritto ecclesiastico e perciò può essere dispensato.
La forma canonica di celebrazione
Il matrimonio
è un negozio a forma vincolante, quindi l'inosservanza della forma di
celebrazione comporta l'invalidità del matrimonio. Ovviamente si tratta della forma
giuridica o canonica che si distingue dalla forma liturgica, la
quale non è un requisito di validità del matrimonio. L'obbligo di scambiare il
consenso matrimoniale in una forma giuridica predeterminata ad valitatem è stato introdotto dal
Concilio di Trento, con il decreto Tametsi
del 1563. Prima del Concilio bastava lo scambio di consensi e non era
obbligatoria la pubblicità quindi era nato il problema dei matrimoni
clandestini, cioè quei matrimoni celebrati al di fuori di qualunque forma
solenne e pubblica. Questi matrimoni portavano delle conseguenze negative sul
piano morale e sociale anche perché risultavano di difficile o impossibile
prova, lasciando incerto lo stato giuridico delle persone coinvolte nel
rapporto. In particolare era difficile l'accertamento della effettiva volontà
delle parti: il matrimonio, con la nascita di una legittima convivenza,
l'acquisto dello status giuridico di coniugi e la legittimità dei figli
eventualmente generati; o solo una promessa di matrimonio, con conseguente
illegittimità di convivenza e della prole e non acquisto dello stato coniugale.
Con il decreto Valenzi fu stabilito
che i matrimoni celebrati fino a quel momento erano considerati validi anche se
celebrati in altre forme, mentre da quel momento in poi i matrimoni per essere
validi dovevano essere celebrati con la forma stabilita dalla Chiesa. L'entrata
in vigore di questo decreto era prevista entro trenta giorni ma non fu subito
pubblicato in tutte le diocesi quindi troviamo una situazione di incertezza
poiché i luoghi tridentini avevano ricevuto il decreto e gli altri invece no.
Dal 1907 invece questo decreto venne esteso a tutta
Sono obbligati alle disposizioni canoniche tutti i battezzati nella Chiesa cattolica (can. 1117). La forma ordinaria (can. 1108) consiste nello scambio del consenso tra gli sposi alla presenza di un testimone qualificato (testis qualificatus), l'Ordinario del luogo o il parroco (o un sacerdote o un diacono se delegati), e di almeno due testimoni comuni (testes communes). Il ministro sacro assiste alla celebrazione, in quanto chiede la manifestazione del consenso e la riceve in nome della Chiesa, ma non amministra il sacramento perché a farlo sono gli stessi sposi. Lo scambio del consenso deve avvenire con parole alla contemporanea presenza degli sposi, sia di persona che tramite procuratore (can. 1104). Prima della celebrazione sono effettuate le pubblicazioni, con cui si accerta che nulla impedisca che il matrimonio sia contratto lecitamente e validamente (cann. 1066 - 1067). Le pubblicazioni sono sostituibili con altri mezzi di accertamento.
Vi sono anche forme straordinarie di celebrazione:
lo scambio del consenso davanti ai soli testimoni comuni (coram solis testibus) senza la presenza del ministro sacro (can. 1116) in caso di pericolo di morte di uno o di entrambi gli sposi e non è possibile avere la presenza di un ministro di culto entro un mese; questo caso ricorre in particolare nei territori di missione
il matrimonio segreto (omissis denunciationibus et secreto) (cann. 1130 - 1133), al quale si ricorre per ragioni pastorali, cioè per togliere da una situazione di peccato, ad esempio, due concubini o due persone conviventi da anni e che tutti ritengono sposati; infatti la pubblica celebrazione potrebbe suscitare disappunto o addirittura scandalo, di qui la segretezza della celebrazione alla presenza del ministro sacro e dei due testimoni ma senza le previe pubblicazioni e con il vincolo di segretezza per coloro che intervengono; il matrimonio così celebrato non viene annotato nel registro parrocchiale dei matrimoni ma in uno speciale registro conservato presso la curia della diocesi
matrimoni misti tra un battezzato e un non battezzato (cann. 1124 ss), in questo caso l'autorità ecclesiastica può persino dispensare dall'obbligo della forma canonica purché rimanga la necessità della celebrazione del matrimonio in una qualche forma pubblica (can. 1127) e il consenso venga espresso contemporaneamente; questa potrebbe essere la forma del matrimonio civile che in tal caso sarebbe matrimonio canonico.
Gli effetti del matrimonio
Sacramento è il matrimonio come atto, non il rapporto che dura nel tempo. Per questa ragione il diritto canonico si occupa dell'atto e non del rapporto. Infatti nei cann. 1134 - 1140 il legislatore canonico si limita a dettare alcune disposizioni precisando che una volta celebrato il matrimonio sorge tra gli sposi un vincolo perpetuo ed esclusivo, e che gli stessi sposi sono sostenuti dalla speciale grazia conferita loro dal sacramento. E' posto il principio dell'eguaglianza in quanto a doveri e diritti dei coniugi; il diritto dovere di curare l'educazione non solo fisica, sociale e culturale, ma anche morale e religiosa della prole; l'attribuzione dello stato di figlio legittimo a chi è nato da matrimonio valido. Il diritto canonico considera padre il legittimo marito della donna che ha partorito e presume come legittimi i figli nati almeno 180 giorni dopo la celebrazione del matrimonio o entro 300 giorni dallo scioglimento della vita coniugale; è una presunzione iuris tantum quindi ammette una prova contraria. Il diritto canonico prevede anche l'istituto della legittimazione del figlio nato fuori dal matrimonio, che può avvenire qualora i genitori naturali si sposino (legittimazione per susseguente matrimonio) o per provvedimento della Santa Sede (con rescritto pontificio). I figli legittimati sono del tutto equiparati ai legittimi perché l'ordinamento canonico non pone trattamenti giuridici discriminatori.
Per quanto
riguarda gli effetti civili, se gli Stati hanno ritenuto di istituire un
proprio matrimonio (matrimonio civile) non tutti gli Stati hanno ritenuto di
doverlo rendere obbligatorio per tutti (come
Nullità e convalidazione del matrimonio
Il matrimonio è contratto invalidamente se c'è un vizio del consenso, un impedimento non dispensabile o non dispensato, un vizio di forma. A differenza del diritto civile, che contempla la nullità (anomalia radicale dell'atto che coinvolge la sua essenza ontologica) e l'annullabilità (anomalia più limitata e relativa che non coinvolge l'atto nella sua essenza), il diritto canonico contempla solo casi di nullità. Il contratto matrimoniale, quindi, è inefficace e senza effetto sin dall'origine e la relativa nullità può essere giudizialmente accertata in ogni tempo. Infatti la sentenza di nullità produce effetti retroattivamente (ex tunc) fatti salvi gli effetti del cosiddetto matrimonio putativo, che si ha quando sia stato celebrato in buona fede da almeno una delle parti e fintanto che entrambe le parti non divengano consapevoli della sua nullità (can. 1061). Quindi il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio validamente contratto per quanto riguarda la legittimità dei figli (can. 1137) o la loro legittimazione per susseguente matrimonio (can. 1139). Il matrimonio canonico è considerato inesistente qualora manchi addirittura l'atto o esso si presenti anomalo rispetto alla fattispecie delineata dal legislatore; ad esempio il caso del consenso matrimoniale posto per scherzo (ioci causa) o sulla scena teatrale da due attori. Il matrimonio è oggetto di particolare favore nell'ordinamento canonico (favor matrimonii), che si esprime nella presunzione (iuris tantum) per cui nel dubbio il matrimonio si deve ritenere valido fino a prova contraria (can. 1060) e che si manifesta nella possibilità offerta dall'ordinamento agli sposi di convalidare il matrimonio, solo nel caso in cui venga meno il motivo che ha prodotto l'invalidità. Questo principio non si applica sempre, come ad esempio nel matrimonio legittimo tra infedeli, perché la salus animarum (favor fidei) è considerata più importante del favor matrimonii. Dunque in presenza di vizi i coniugi possono scegliere se: chiedere l'annullamento, continuare a convivere come fratello e sorella, chiedere la convalida.
La convalidazione del matrimonio si ha nella forma della convalidazione semplice (convalidatio simplex) (cann. 1156 - 1160) cioè la rinnovazione del consenso di entrambe o almeno una delle parti purché l'altra perseveri nel consenso dato all'atto della celebrazione. Se il matrimonio è nullo a causa di un impedimento, il consenso può essere rinnovato solo se l'impedimento è venuto meno o è stato dispensato; se è nullo a causa di un vizio del consenso, chi è stato causa della nullità deve rinnovare il consenso e l'altra parte deve perseverare il suo; se il vizio deriva dalla forma, il consenso deve essere rinnovato secondo le modalità prescritte dal diritto. La convalidazione semplice può avvenire in modalità diverse, a seconda se il motivo sia pubblico o occulto (can. 1074): se il motivo è pubblico, la volontà matrimoniale deve essere nuovamente espressa in forma pubblica; se il motivo è occulto, è sufficiente il rinnovo del consenso in segreto. Un altro tipo di convalida è la sanazione in radice (sanatio in radice) mediante la quale, quando il matrimonio è invalido per un impedimento o vizio di forma ma il consenso era valido, può essere sanato per concessione dell'autorità ecclesiastica competente. Questa concessione può essere data anche all'insaputa delle due parti o di una di esse, purché perseveri il consenso e l'impedimento sia venuto meno o sia stato dispensato. E' quindi un atto amministrativo che comporta la dispensa dell'impedimento o del vizio. La sanatio in radice non può applicarsi nel caso di matrimonio nullo per mancanza o per vizio del consenso perché per il diritto canonico il consenso delle parti non può essere supplito da nessuna potestà (can. 1057).
Separazione e scioglimento del matrimonio
L'essenza della condizione matrimoniale è data dalla comunità per tutta la vita (consortium totius vitae: can. 1055) che comporta il dovere di osservare la coabitazione tra gli sposi, quindi la comunanza di letto, di mensa e di abitazione (communio tori, mensae et habitationis). Questo dovere può venire meno solo per: adulterio, grave compromissione del bene spirituale o corporale di uno dei coniugi o della prole, la durezza della vita comune (cann. 1151 - 1155). La separazione consiste nella possibilità di vivere separatamente per cause legittime mantenendo fermo il vincolo coniugale. Il diritto canonico tende a favorire sia il perdono sia la riconciliazione tra i coniugi, ferma restando che la separazione non fa venire meno l'obbligo della fedeltà e della indissolubilità come gli obblighi per il sostentamento e l'educazione dei figli. La separazione personale dei coniugi battezzati è di competenza dell'autorità ecclesiastica (can. 1692) anche se non esclude una competenza dell'autorità civile (can. 1692). Tuttavia la possibilità di deferimento della causa al giudice civile non legittima i coniugi cattolici a separarsi a condizioni diverse da quelle previste dal diritto canonico. Il matrimonio canonico è perpetuo e indissolubile, una volta che sia rato e consumato non può essere sciolto per nessuna ragione e da nessuna autorità, pertanto viene meno solo con la morte di uno dei coniugi (can. 1141). Esistono tuttavia due casi di scioglimento del vincolo matrimoniale, la ragione è che solo il matrimonio rato e consumato è per diritto divino assolutamente indissolubile, gli altri matrimoni non godono di una indissolubilità estrinseca assoluta mancando l'elemento della consumazione o della sacramentalità.
Il primo caso
è quello del matrimonio rato e non consumato tra battezzati o tra una parte
battezzata ed una non battezzata, viene detta dispensa dal matrimonio rato e
non consumato (can. 1142; per il procedimento cann. 1697 - 1706).
Se è vero che il matrimonio canonico ha come unica causa efficiente il
consenso, è anche vero che solo con la consumazione si realizza quell'una caro in cui gli sposi divengono integralmente
una cosa sola e si compie radicalmente il dono reciproco di sé, dono che non
può più essere ripetuto. Nella dispensa super
rato la mancata consumazione impedisce l'attuazione nella sua pienezza del
segno sacramentale dell'unione fra Cristo e
L'altro caso è il cosiddetto privilegio paolino, perché trova fondamento teologico nella prima lettera ai Corinti di s. Paolo. Il can. 1143 prevede le condizioni per sciogliere un matrimonio naturale anche se sia stato consumato ma che sia contratto: tra non battezzati; se successivamente uno dei coniugi ha ricevuto il battesimo; se la parte non battezzata non voglia farsi battezzare e non viva pacificamente con il coniuge. Lo scioglimento avviene quando la parte battezzata celebra a norma del diritto canonico un nuovo matrimonio. A questa fattispecie ne viene assimilata un'altra detta privilegio petrino (cann. 1148 - 1149), cioè quando il pagano poligamo riceve il battesimo e non può o gli è gravoso rimanere solo con il primo coniuge, può scegliere uno fra i vari coniugi e sposarlo canonicamente; oppure quando il pagano che riceve il battesimo non può ristabilire la convivenza con il coniuge naturale a causa della prigionia o della persecuzione. Nel privilegio paolino lo scioglimento è giustificato dal fatto che il bene della fede prevale sull'indissolubilità; è una rescissione del contratto matrimoniale perché concluso a condizioni inique fra i soggetti che erano ottenebrati dall'intelletto in quanto si trovavano in infidelitate; cioè essi da non battezzati non potevano percepire il primato assoluto del bene della fede. Nel caso della dispensa super rato è una risoluzione del contratto per un vizio attinente al funzionamento dello stesso: la mancata consumazione, la dissociatio animorum.
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