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La dottrina tradizionale considerava il rapporto di lavoro subordinato nel settore privato l'oggetto esclusivo del diritto del lavoro in senso stretto. Di tale branca del diritto si registra, invece, oggi una tendenza espansiva; la tendenza cioè a regolamentare anche altri rapporti di lavoro, diversi da quello dipendente, ma ritenuti parimenti meritevoli di tutela giuridica.
Ciò detto, si pone innanzitutto il problema dell'individuazione dei caratteri costitutivi del rapporto di lavoro subordinato (c.d. 'locatio operarum'), di quello autonomo (c.d. 'locatio operis' o contratto d'opera) e di quello parasubordinato.
La distinzione tra questi diversi tipi di rapporto non è questione di poco momento: basti pensare, a titolo esemplificativo, che la disciplina particolarmente favorevole dettata in tema di recesso del datore di lavoro ovvero di previdenza ed assistenza si applica, in linea di principio, al solo rapporto di lavoro subordinato.
L'art. 2094, c.c., riferendosi al rapporto di lavoro alle dipendenze di un'impresa, definisce il prestatore di lavoro subordinato come colui che 'si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore'. Se il legislatore ha collocato la disciplina del rapporto di lavoro nell'ambito della disciplina dell'impresa posta dal libro V del codice civile, la ragione di tale sistemazione è da ricercare nella prospettiva adottata dal Codice del 1942, secondo cui il rapporto di lavoro, anche quando non sia inerente all'esercizio di un'impresa, viene tuttavia modellato sulle esigenze tipiche di questa (Ghera). Per i rapporti di lavoro con datori non imprenditori provvede l'art. 2239, c.c., che dispone l'applicabilità anche a questi ultimi della normativa del lavoro nell'impresa, in quanto compatibile con la specialità del rapporto.
Sulla base del dettato dell'art. 2094, c.c., gli elementi di qualificazione del lavoro subordinato vengono individuati nella subordinazione e nella collaborazione del prestatore.
La subordinazione rappresenta l'elemento qualificante del rapporto di lavoro in oggetto, indipendentemente dal luogo in cui questo si svolge, e ciò in quanto esso implica per definizione una prestazione non autonoma, ma svolta alle dipendenze e sotto la direzione del datore o di chi per lui.
Il grado di subordinazione effettiva varia, riducendosi via via che si passa dal lavoro meno qualificato alle prestazioni di alta specializzazione: questa, però, è solo un'implicazione di fatto, non conferente sul piano giuridico-formale.
La subordinazione del lavoratore presenta i seguenti caratteri:
Come osserva la dottrina prevalente (SANTORO, PASSARELLI, PERA), la subordinazione è una notazione non meramente economica - da intendere cioè in termini di inferiorità socio-economica e, dunque, di condizione sociale - ma propriamente giuridica - imposta cioè dalla normativa del codice. Essa comporta, infatti, che l'osservanza delle disposizioni a cui è tenuto il prestatore sia garantita dalle sanzioni che colpiscono le infrazioni del lavoratore, così come anche gli abusi del datore.
Proprio perché nel rapporto di lavoro di cui trattasi il prestatore si mette a disposizione del datore per svolgere l'attività dedotta nel contratto, i rischi connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa gravano sul datore. Più precisamente, su quest'ultimo gravano il rischio economico e la responsabilità verso i terzi per i danni causati dai dipendenti, mentre è coperto per legge da assicurazioni sociali obbligatorie il rischio dell'inabilità al lavoro e ricadono sugli istituti di assistenza e previdenza obbligatori - e solo indirettamente sul datore - i rischi per gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali.
Venendo all'altro carattere costitutivo del rapporto di lavoro subordinato, e cioè la collaborazione, va rilevato che autorevole dottrina ritiene che il riferimento ad essa, contenuto nell'art. 2094, c.c., sia da considerare quale 'omaggio ideologico' alle tesi dominanti all'epoca dell'emanazione del codice. Secondo tali tesi, l'ordinamento del rapporto di lavoro doveva essere proiettato al superamento del conflitto tra le classi sociali; conflitto inconciliabile con il sistema corporativo di disciplina dei rapporti di produzione (GHERA).
Tuttavia, l'elemento della collaborazione può ritenersi ancora oggi attuale se inteso come descrittivo, per così dire, del fenomeno della partecipazione di un soggetto all'attività lavorativa di un altro soggetto.
Nel contratto di lavoro subordinato, la funzione o causa è
individuata preventivamente in astratto dal legislatore il quale la identifica
con lo scambio tra la collaborazione o prestazione di attività alle dipendenze
e sotto la direzione dell'imprenditore e
Più in dettaglio, si ritiene che la collaborazione si specifichi:
Anche il grado di collaborazione effettiva, come quello di subordinazione, varia col variare dell'intensità del vincolo che lega il prestatore al datore.
Se è vero che quelli di cui si è appena detto sono i caratteri costitutivi del rapporto di lavoro subordinato, è anche vero che non sempre nel caso concreto è facile stabilire se un determinato rapporto di lavoro partecipi oppure no di tali caratteri.
L'elemento della subordinazione, in particolare, non sempre può agevolmente apprezzarsi. Tale difficoltà ha dato vita ad un nutrito contenzioso che ha portato la giurisprudenza ad individuare determinate circostanze di fatto, ricavate per massima d'esperienza dalla realtà sociale, da considerarsi come indici o spie della sussistenza dell'elemento della subordinazione. Se ne menzionano alcune, e cioè:
Si sottolinea, però, che nessuno di tali criteri - e degli altri che pure sono stati individuati dalla giurisprudenza - è decisivo ai fini dell'esatta qualificazione del rapporto di lavoro, essendo la stessa sempre rimessa alla prudente valutazione del giudice. Devono quindi considerarsi come elementi sussidiari, con un rilievo distintivo soltanto complementare e secondario, indiziari rispetto all'unico elemento avente calore determinante rappresentato dalla dimostrazione dell'esistenza del vincolo della subordinazione, intesa prevalentemente come assoggettamento gerarchico del lavoratore al potere direzionale e di controllo del datore di lavoro (Cass. 10043/2004).
La qualificazione del rapporto di lavoro subordinato è determinante sotto il profilo degli effetti giuridici. Infatti i rapporti di lavoro subordinato sono regolati da una disciplina caratterizzata da una marcata finalità protettiva e garantista e nettamente distinta da quella applicata al lavoro autonomo o parasubordinato. Tra le principali conseguenze che derivano dalla natura subordinata del rapporto di lavoro, rilevano:
un determinato trattamento fiscale della retribuzione percepita dal lavoratore e una specifica tutela previdenziale;
l'obbligo del datore di lavoro di provvedere al finanziamento delle assicurazioni sociali, mediante il pagamento di contributi previdenziali e dei premi assicurativi previsti dalla normativa vigente;
l'obbligo del datore di lavoro di registrare i lavoratori nei libri obbligatori, di comunicare agli uffici competenti l'avvenuta assunzione, nonché per tutta la durata del rapporto di provvedere alle denunce obbligatorie al fine di documentare l'esistenza del rapporto di lavoro nei confronti dell'ente previdenziale;
i limiti alla estinzione del rapporto di lavoro che, dal lato del datore di lavoro, è condizionata dalla necessità di una giusta causa e di un giustificato motivo (legge 604 del 1966 - art. 18. legge 300 del 1970) e dai divieti di licenziamento per motivi discriminatori e in determinate circostanze (maternità e paternità, matrimonio, malattia ecc. ecc.);
una particolare disciplina delle controversie di lavoro (art. 409 c.p.c.), volta a garantire una celere risoluzione delle stesse al fine di una immediata soddisfazione dei diritti e dei crediti dei lavoratori.
Ai sensi dell'art. 2222, c.c., si ha lavoro autonomo o 'locatio operis' o contratto d'opera 'quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente'.
Come si evince dalla lettura di tale norma, nel rapporto di lavoro autonomo, l'oggetto della prestazione è rappresentato dall''opus perfectum', ossia dal risultato finale dell'attività organizzata dallo stesso prestatore; risultato che potrà essere ovviamente assai diverso a seconda della specifica natura dell'opera o del servizio il cui compimento è dedotto in obbligazione.
Dunque, il lavoratore autonomo si trova in una posizione di autonomia, essendo rimessa alla sua piena discrezionalità la scelta circa le modalità, il luogo ed il tempo di organizzazione della propria attività e ricadendo completamente su di lui il rischio inerente all'esercizio dell'attività lavorativa (salva l'ipotesi di cui all'art. 2228, c.c.).
Tale posizione di autonomia rappresenta l'elemento che differenzia il lavoratore autonomo dal lavoratore dipendente, che si trova, al contrario, in una posizione di subordinazione, dovendo prestare il proprio lavoro secondo le direttive, la vigilanza ed il controllo del datore sul quale incide il rischio connesso allo svolgimento dell'attività lavorativa. Ancora, nel rapporto di lavoro dipendente oggetto della prestazione non è il risultato, ma le 'operae' (pertanto si parla di 'locatio operarum'), ossia le energie lavorative che il datore impiega per conseguire un risultato utile a proprio rischio.
La giurisprudenza ha anche chiarito che nel caso di contemporanea sussistenza di rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo va applicata la disciplina del rapporto i cui caratteri assumono prevalente rilevanza qualitativa e quantitativa.
Per determinare la natura del rapporto di lavoro (autonomo o subordinato) è irrilevante la denominazione attribuita dalle parti al contratto (c.d. volontà cartolare o nomen iuris), in quanto compete solo al giudice l'esatta qualificazione del rapporto. Ciò in ossequio al principio generale in base al quale si privilegia il comportamento tenuto dalle parti durante lo svolgimento del rapporto rispetto alla volontà da essi manifestata all'atto della stipulazione del contratto. In giurisprudenza è prevalso, da ultimo, il criterio dell'effettivo e concreto atteggiarsi del rapporto su quello delle manifestazioni espresse dalla volontà negoziale, tuttavia allorché dallo svolgimento del rapporto non possono trarsi elementi certi di qualificazione è proprio il nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto di lavoro che diviene un elemento indiziario di giudizio valendo una presunzione di corrispondenza tra il rapporto voluto (e dichiarato) ed il rapporto di fatto realizzatosi. Ma, adducendo una delle parti la natura diversa del rapporto di fatto rispetto al dichiarato, l'onere, su di essa incombente, di provare la vera identità del rapporto di lavoro non può limitarsi semplicemente a contrastare tale presunzione di corrispondenza, dovendo fornirsi elementi della sussistenza delle caratteristiche proprie del rapporto rivendicato.
Il rapporto di lavoro parasubordinato può essere definito come quel rapporto che, a prescindere dalla sua formale ed incontestata autonomia, si caratterizza, oltre che per la continuità, per il carattere strettamente personale della prestazione, integrata dall'impresa e da questa coordinata (PERA). Il rapporto di lavoro parasubordinato è di derivazione prettamente giurisprudenziale e dottrinale, che però ha trovato riscontro normativo nell'art. 409 c.p.c. il quale, come vedremo, ha esteso l'applicazione delle norme sul processo del lavoro ai rapporti di agenzie e rappresentanza commerciale.
Quindi, tale rapporto di lavoro è caratterizzato dalla:
Tali requisiti sono desumibili dall'art. 409, n. 3, c.p.c..
Del rapporto di lavoro in oggetto manca, allo stato attuale,
una regolamentazione sostanziale diretta e protettiva. Tuttavia, la
considerazione della posizione di inferiorità socio-economica in cui versa il
lavoratore rispetto al committente, ha indotto il legislatore ad estendere, con
Le forme tipiche di rapporto parasubordinato sono dunque:
La giurisprudenza ha, poi, ritenuto che rientrino, tra gli altri, nello schema del rapporto di lavoro parasubordinato:
Una nuova lettura dei requisiti della parasubordinazione è stata offerta dalla copiosa prassi amministrativa emanata all'indomani dell'introduzione, ad opera del Dlgs 276 del 2003, della tipologia contrattuale del lavoro a progetto in cui deve essere inquadrata oggi la maggior parte dei rapporti di parasubordinazione. Tuttavia, ciò non significa che sia stato creato un nuovo genere di lavoro alternativo al lavoro autonomo e a quello subordinato, posto che il provvedimento di riforma si è limitato ad individuare le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore, utili ai fini della qualificazione della fattispecie nel senso dell'autonomia o della subordinazione, senza mutare o sostituire la nozione di parasubordinazione desumibile dall'art. 409, comma 3, c.p.c., che era e resta fattispecie di natura autonoma malgrado le vicinanze con il lavoro subordinato.
Nel concreto svolgimento dei rapporti di lavoro, spesso lo
strumento delle collaborazioni coordinate e continuative, diffusamente
denominate co.co.co, è stato utilizzato per eludere la normativa sul lavoro
subordinato. Il Dlgs n. 276 del
Il contratto di lavoro a progetto è un contratto di collaborazione coordinata e continuativa caratterizzato dal fatto di:
essere riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente;
essere gestito autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa
La disciplina prevista in materia di lavoro a progetto è finalizzata a prevenire l'utilizzo improprio delle collaborazioni coordinate e continuative e a tutelare maggiormente il lavoratore.
La previsione del legislatore, dell'obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad un contratto di lavoro a progetto si traduce nel divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici, comportando l'illegittimità dei rapporti co.co.co. al di fuori di questo schema negoziale tipico. L'apparato di sanzioni, predisposto dal legislatore al fine di reprimere sia la trasgressione del divieto di co.co.co. atipiche, sia l'abuso della forma giuridica del lavoro a progetto per dissimulare rapporti di lavoro subordinato, prevede che:
in difetto di uno specifico progetto, il rapporto di lavoro del collaboratore si trasforma in lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall'origine (art. 69, comma 1);
in caso di accertamento giudiziale di un rapporto di natura subordinata, il rapporto simulato di lavoro a progetto si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti (art. 69, comma 2).
Il contratto di lavoro a progetto può essere stipulato da tutti i lavoratori e per tutti i settori e le attività, con determinate esclusioni (agenti e rappresentanti di commercio, coloro che esercitano professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione a specifici albi professionali, componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società ecc.).
Il lavoro subordinato ha natura autonoma e i relativi elementi qualificanti, desunti dallo stesso Dlgs 276/2003, sono:
le modalità di svolgimento dell'attività dedotta in contratto, che sono quelle della collaborazione coordinata e continuativa;
il progetto, il programma di lavoro o fase di esso, che deve essere individuato dal committente ed a cui deve essere ricondotta o riconducibile l'attività che viene svolta dal collaboratore. Per progetto deve intendersi una attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale; per programma di lavoro deve invece intendersi una attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale ma che è destinata ad essere integrata con altre prestazioni o collaborazioni parziali;
l'autonomia del collaboratore nello svolgimento dell'attività lavorativa e la gestione della stessa in funzione del risultato.
Il contratto di lavoro a progetto deve essere redatto in forma scritta e deve indicare, a fini della prova, i seguenti elementi:
durata della prestazione di lavoro: può essere determinata (indicata specificamente) o determinabile in quanto il rapporto dura finché non sia stato realizzato il progetto, il programma o la fase di lavoro
individuazione e descrizione del contenuto caratterizzante del progetto o programma di lavoro, o fase di esso
corrispettivo e criteri per la sua determinazione, tempi e modalità di pagamento, disciplina dei rimborsi spese
forme di coordinamento tra lavoratore a progetto e committente sull'esecuzione (anche temporale) della prestazione lavorativa
eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto (oltre a quelle previste in applicazione delle norme relative all'igiene e sicurezza del lavoratore sul luogo di lavoro)
Il contratto termina quando il progetto, il programma o la fase vengono realizzati. Il recesso anticipato può avvenire per giusta causa o in base alle modalità previste dalle parti nel contratto individuale.
Il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del contratto.
Il Dlgs 276/2003 prevede una maggior tutela, rispetto alle collaborazioni coordinate e continuative, del lavoratore in caso di malattia, infortunio e gravidanza:
la malattia e l'infortunio del lavoratore comportano solo la sospensione del rapporto che però non è prorogato e cessa alla scadenza indicata nel contratto o alla fine del progetto, programma o fase di lavoro. Il committente può comunque recedere se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto (quando determinata) ovvero superiore a 30 giorni per i contratti di durata determinabile
la gravidanza comporta la sospensione del rapporto e la proroga dello stesso per 180 giorni
Sono stati inoltre previsti a favore del lavoratore:
facoltà di svolgere la propria attività per più committenti (salvo diversa previsione del contratto individuale). Permane però l'obbligo di fedeltà e riservatezza, pertanto il collaboratore non po' svolgere la sua attività in concorrenza con i committenti; inoltre non può diffondere notizie relative all'attività svolta dal committente né arrecarvi un pregiudizio;
diritto a essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del lavoro a progetto
Pare infine opportuno ricordare che il Dlgs 276 del
La disciplina relativa al lavoro a progetto si applica alle collaborazioni coordinate e continuative stipulate dopo l'entrata in vigore della norma (24 ottobre 2003). Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate prima del 24 ottobre 2003 senza il riferimento a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e in ogni caso non oltre un anno dall'entrata in vigore del Dlgs 276/2003, senza possibilità di rinnovo o proroga. Decorso il termine del 24 ottobre 2004 le collaborazioni non ricondotte a un progetto cessano automaticamente.
Possono essere stipulati accordi aziendali che stabiliscano che le collaborazioni non riconducibili a un progetto siano trasformate in una forma di lavoro subordinato che può essere individuata sia fra quelle previste dal decreto 276/2003 (lavoro intermittente, ripartito, distacco, somministrazione, appalto), sia fra quelle già disciplinate (contratto a termine o a tempo parziale). Questi accordi possono anche prevedere un termine di efficacia più ampio di quello del 24 ottobre 2004.
Per i rapporti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto, nonché per i contratti d'associazione in partecipazione le parti possono avvalersi di una procedura di certificazione volontaria. Essa è rimessa ad enti bilaterali formati dalle organizzazioni più rappresentative di datori e lavoratori, Direzioni provinciali del lavoro, Università pubbliche e private. La certificazione mira prevalentemente ad un'esatta qualificazione del rapporto di lavoro (nomen iuris).
Nei confronti delle certificazioni si potrà proporre ricorso in giudizio per erronea qualificazione negoziale oppure per discrepanza tra certificazione ed esecuzione o, ancora, per vizi del consenso. Viene previsto che il preventivo tentativo di conciliazione di cui all'art 410 c.p.c. sia effettuato davanti alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione. Il meccanismo della certificazione potrà essere utilizzato anche per individuare ipotesi d'appalto lecito e somministrazione, distinguendole dall'illecito appalto di manodopera.
E' datore di lavoro chi dà ad altri un lavoro alle proprie dipendenze in cambio di una retribuzione. Per essere datore di lavoro non è necessario svolgere una attivià organizzata nella forma dell'impresa: pertanto ogni soggetto di diritto che operi nel campo economico o sociale può assumere la veste di datore di lavoro (persone fisiche, imprenditori, società, persone giuridiche e stato). Per lo status giuridico di datore di lavoro non sono previsti requisiti particolari, applicandosi senza eccezioni le norme generali dettate per la capacità giuridica e di agire.
I datori di lavoro possono essere distinti in vari modi. La più usuale classificazione è tra datori di lavoro non professionali e professionali[1].
Prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 29/'93, la natura giuridica pubblica o privata del datore di lavoro rivestiva un'importanza fondamentale. Infatti, qualora il datore di lavoro fosse lo Stato od un Ente Pubblico non economico, non si applicava la disciplina del lavoro subordinato bensì la normativa relativa al pubblico impiego. In seguito al citato D.Lgs. e ad una serie di successivi provvedimenti, si è giunti ad una quasi totale equiparazione del rapporto di impiego alle dipendenze della P.A. al rapporto privato di lavoro subordinato.
Ai sensi dell'art. 2094 c.c. è prestatore di lavoro subordinato colui che "si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". Tale definizione, tuttavia, risulta incompleta in quanto esclude le forme di lavoro subordinato che non vengono prestate nell'ambito dell'impresa come il lavoro domestico o il lavoro a domicilio. La dottrina è pertanto pervenuta a definire il lavoratore subordinato come "colui che si obbliga, dietro retribuzione, a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione di un altro soggetto".
In alcuni rapporti associativi è rinvenibile la situazione in cui il socio e l'associato si trovi ad eseguire una attività di lavoro: è il caso del socio d'opera nelle società di persone, dell'associato in partecipazione e del socio lavoratore nelle cooperative di lavoro.
La peculiarità in tali ipotesi è che lo svolgimento di una attività lavorativa è di regola una conseguenza stessa del vincolo associativo. Ciò può far si che vengano a mancare quegli elementi indispensabili per l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e per l'applicazione della relativa disciplina.
Il socio d'opera. Il socio d'opera è colui che nelle società di persone conferisce, anziché beni, la propria attività lavorativa. In tal caso la causa del rapporto di lavoro che si realizza tra il socio e la società è nel contratto di società e non nello scambio tra lavoro e retribuzione. Inoltre il socio partecipa allo scopo societario ed è titolare dei poteri di amministrazione e decisione degli altri soci. Pertanto nelle società di persone il rapporto di lavoro subordinato risulta incompatibile con quello associativo ogni qual volta che l'attività prestata dal socio costituisca proprio l'oggetto del conferimento per la partecipazione alle società.
Il lavoro dei membri di organi sociali. Il lavoro prestato in organi sociali (amministratori delle S.p.a. e delle S.r.l.), comportando una immedesimazione del soggetto nella persona giuridica, non può qualificarsi come lavoro subordinato perché non si rinvengono gli elementi qualificanti della subordinazione. Può invece esistere un rapporto di lavoro subordinato nel caso di amministratori delegati, purché essi operino sotto il diretto controllo del Consiglio di amministrazione o di altro amministratore delegato.
L'associazione in partecipazione. L'associazione in partecipazione è il contratto col quale l'associante attribuisce all'associato la partecipazione agli utili dell'impresa o di singoli affari, come corrispettivo di un certo apporto che, per opinione comune, può consistere anche in una prestazione di lavoro. Tale ultima situazione è però incompatibile con un rapporto di subordinazione in quanto non si rinvengono gli elementi qualificanti la subordinazione (infatti l'associato non è obbligato a prestare la propria collaborazione sotto la direzione dell'asssociante, può controllare l'andamento dell'affare e partecipa ai risultati dell'attività svolta. Al fine di evitare fenomeni, il Dlgs 276/03 ha però stabilito che la mancanza di una effettiva partecipazione e di adeguare erogazioni all'associato che presti la propria attività comporta il diritto, in favore di quest'ultimo, ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato (art. 86, comma 2).
Il socio lavoratore nelle cooperative. Le società cooperative sono caratterizzate dallo svolgimento di un'attività economica organizzata con l'utilizzazione del lavoro dei soci, i quali sono istituzionalmente titolari del diritto alla partecipazione agli utili dell'impresa. Tale fattispecie, in relazione alla quale dovrebbe decisamente affermarsi l'incompatibilità di un rapporto di lavoro subordinato, stante la sussistenza del vincolo mutualistico, è oggi disciplinata dalla n. 142 del 2001 cui si è provveduto alla revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore, poi modificata ed integrata dalla legge 30/01. Le disposizioni della legge riguardano espressamente le cooperative nelle quali il rapporto mutaualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio (cooperative di lavoro), sulla base di previsioni di regolamento che definiscono l'organizzazione del lavoro dei soci. In base all'art. 1 della legge 142 del 2001 tra socio e lavoratore e cooperativa si instaura un rapporto di tipo associativo dal quale deriva, tuttavia, un ulteriore rapporto, connesso all'attività prestata dal socio e con cui egli contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali. Il rapporto di lavoro tra socio lavoratore e cooperativa deve essere concordato e formalizzato all'atto dell'adesione, o successivamente, e può assumere la forma della subordinazione o del lavoro autonomo compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale.
Dal rapporto associativo derivano, in capo al socio lavoratore, i tipici poteri e doveri dello status di socio di cooperativa: potere gestionale, mediante la partecipazione alla formazione degli organi sociali, alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell'imprese e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, partecipazione al rischio di impresa e obbligo di contribuire alla formazione del capitale sociale, obbligo di mettere a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell'attività svolta nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa. Il rapporto di lavoro è regolato dalle disposizioni della legge 142 del 2001, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, dalle leggi o dai contratti collettivi applicabili in base alla specie di lavoro realizzatesi tra le parti. Quando il rapporto di lavoro del socio lavoratore e cooperativa abbia natura subordinata, data la preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro, si applica in maniera parziale la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. In particolare:
si applica lo statuto dei lavoratori, ma l'esercizio dei diritti sindacali deve avvenire con le modalità individuate in sede di appositi accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori che tengano conto del suddetto principio di compatibilità;
le società cooperative sono tenute a corrispondere un trattamento economico complessivo proporzionato alla qualità e quantità de lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine;
si applicano tutte le disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro e altri istituti quali TFR, ferie ecc. ecc.. Il regolamento interno della cooperativa può stabilire però anche deroghe peggiorative rispetto alle condizioni di lavoro spettanti in base alla disciplina legislativa.
Il principio della preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro, cui è informata l'intera legge 142 del 2001, è ben comprensibile se si guardano le disposizioni che regolano le cause e le conseguenze dell'estinzione del rapporto di lavoro, ed in specie:
se si ha recesso o esclusione del socio dalla cooperativa, si estingue anche il rapporto di lavoro, sia esso di natura subordinata, autonoma o di collaborazione. Nel primo caso non trova applicazione l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori;
se si estingue il rapporto di lavoro con il socio, il rapporto associativo non decade automaticamente. In tal caso, all'eventuale atto di licenziamento da parte della cooperativa dovranno applicarsi le garanzie dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Il rapporto di lavoro subordinato si presume oneroso: è infatti lavoratore subordinato, ai sensi dell'art. 2094 c.c., chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa. Secondo un indirizzo consolidato in dottrina e giurisprudenza è esclusa l'ammissibilità del lavoro gratuito poiché l'eventuale accordo volto ad eliminare qualsiasi tipo di retribuzione è invalido con la conseguente sostituzione della clausola nulla con il diritto alla retribuzione minima prevista dalla contratto collettivo. Un accordo del genere è legittimo solo ove vi sia un rilevante interesse del prestatore, che può consistere nello scopo di solidarietà per cui si è svolto il lavoro, ma si tratta di ipotesi molto limitate in cui la giurisprudenza ha tenuto conto di una serie di elementi quali la relazione intercorrente tra le parti, le modalità di lavoro ecc. ecc.. L'attività effettauta gratuitamente in virtù di un vincolo di cortesia, affetto o compiacenza si colloca quindi al di fuori dell'ordinamento giuridico del lavoro, nell'ambito delle relazioni sociali. L'esempio tipico è il lavoro prestato nell'ambito dell'attività della famiglia, anche se la legge (art. 230 bis c.c.) riconosce poi determinati diritti di contenuto economico ai familiari che collaborano nell'impresa.
L'art. 2 della L. 266/91 (legge quadro sul volontariato) definisce come attività di volontariato quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organiz-zazione cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà. Tale attività non può essere retribuita ed è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, con l'organiz-zazione di appartenenza. Al lavoro di volontariato non si applica la disciplina del lavoro, eccetto l'obbligo di assicurazione dei volontari contro gli infortuni e le malattie connessi all'attività prestata e per la responsabilità civile verso i terzi.
Può configurarsi come volontariato l'attività dei soci delle cooperative di solidarietà finalizzate alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini; l'attività prestata in favore delle organizzazione non lucrative di utilità sociale (ONLUS) ovvero associazioni, fondazioni o cooperative aventi come esclusivo oggetto sociale il perseguimento di finalità di solidarietà sociale e delle associazioni di promozione sociale.
Le prestazioni di lavoro rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro sono state oggetto anche del Dlgs 276 del 2003 che ha disciplinato, con disposizione che tuttavia appaiono di improbabile attuazione, il lavoro occasionale di ripo accessorio. Esso comprende una serie di prestazioni, rese da soggetti socialmente deboli, limitate nella durata e nel compenso. Le attività lavorative riguardano:
i piccoli lavori domestici di carattere straordinario e l'assistenza domiciliare a bambini, anziani ecc.;
l'insegnamento privato supplementare;
i piccoli lavori di giardinaggio e pulizia condominiale;
la realizzazione di manifestazioni, sociali, sportive o culturali;
la collaborazione con enti pubblici o associazioni di volontariato per lavori di emergenza per calamità;
l'impresa familiare, limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi.
Soggetti legittimati a svolgere tale tipo di attività sono però solo i disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti e pensionati, i disabili o le persone in comunità di recupero, i lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornati, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro.
Tale prestazioni, nella prassi latenti allo stato di lavoro irregolare, ma che ben potrebbero incardinarsi nell'ambito di rapporti di lavoro subordinato, autonomo o di collaborazione continuativa, sono sottratte da qualsiasi schema negoziale tipico per essere invece oggetto di una peculiare disciplina, che non comporta per il beneficiario della prestazione l'assunzione di oneri diversi da quello meramente retributivo.
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