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Il giudizio




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IL GIUDIZIO


La fase del giudizio è ripartita nei tre momenti degli atti preliminari al dibattimento, del dibattimento e degli atti successivi al dibattimento.

Nel dibattimento è previsto il massimo delle garanzie, poiché la formazione della prova avviene nel contraddittorio: le parti pongono direttamente le domande alle persone esaminate.

Inoltre si vuole assicurare un rapporto di immediatezza tra la formazione delle prove e la decisione: il giudice che decide deve aver assistito all'assunzione delle prove.

Infine, il dibattimento dovrebbe tendenzialmente svolgersi in udienze concentrate nel tempo.

Il dibattimento non recepisce tutte le caratteristiche del sistema accusatorio, poiché non accoglie la struttura del "processo di parti" (che si ha quando queste ultime dispongono sia dell'oggetto del processo, sia dei mezzi di accertamento della verità):

a. l'azione penale non è disponibile, bensì obbligatoria;

b.  una volta che sono state acquisite le prove richieste dalle parti, il giudice può assumere nuove prove d'ufficio se risulta "assolutamente necessario";

c.  il giudice nel decidere non è vincolato nei limiti delle richieste delle parti, ma solo alla legge.

L'unico limite al potere decisionale del giudice consiste nel fatto storico enunciato nell'imputazione: il giudice può dare al fatto storico una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza; pertanto può modificare solo il titolo di reato.

La fase degli atti preliminari al dibattimento ha inizio nel momento in cui la cancelleria del giudice competente riceve il decreto che dispone il giudizio ed il fascicolo per il dibattimento, e termina nel momento in cui, in udienza, il presidente dell'organo giudicante dichiara aperto il dibattimento.

La fase degli atti preliminari al dibattimento svolge varie funzioni.

La funzione che viene necessariamente espletata è quella di svelare quali sono i testimoni, consulenti tecnici, periti ed imputati connessi dei quali una parte intende chiedere l'ammissione in dibattimento al momento delle richieste di prova.

La fase degli atti preliminari al dibattimento può svolgere altre tre funzioni eventuali.

La prima funzione che può essere eventualmente svolta dalla fase degli atti preliminari al dibattimento è quella di ottenere dal presidente del collegio giudicante l'autorizzazione alla citazione dei testimoni, consulenti tecnici, periti ed imputati connessi: le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni, periti, consulenti tecnici ed imputati connessi o collegati, devono a pena di inammissibilità depositare in cancelleria, almeno 7 giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame.

Il presidente deve in ogni caso disporre la citazione del perito nominato nell'incidente probatorio.

Le parti potrebbero presentare testimoni e consulenti tecnici direttamente in udienza, ma se vogliono renderne obbligatoria la presenza, hanno l'onere di chiederne la citazione.

La seconda funzione che può essere eventualmente svolta dalla fase degli atti preliminari al dibattimento è quella di permettere l'emissione di una sentenza anticipata di proscioglimento nei casi nei quali l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita: questa sentenza può essere emessa solo quando, per accertare l'improcedibilità o l'estinzione del reato, non è necessario assumere prove in dibattimento; occorre inoltre che l'imputato ed il p.m. non si oppongano.

La sentenza di non doversi procedere è inappellabile.

La terza funzione della fase in esame è quella di permettere l'assunzione delle prove "urgenti", e cioè non rinviabili al dibattimento: qualora il presidente accolga la richiesta, le prove urgenti sono assunte in una vera e propria udienza dibattimentale anticipata, che si celebra con la presenza del pubblico.

Una volta emesso il decreto che dispone il giudizio, il p.m. ed il difensore delle parti private e dell'offeso possono compiere attività integrativa di indagine con esclusione degli "atti per i quali è prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore di questo".

Le indagini integrative sono sottoposte ad un contraddittorio successivo.

La documentazione delle indagini integrative è inserita nei fascicoli del p.m. e del difensore soltanto quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice del dibattimento e quest'ultimo le ha accolte (433.3).

L'udienza è il tempo di una singola giornata dedicato allo svolgimento di uno o più dibattimenti.

Il dibattimento è la trattazione in udienza di un determinato processo.

Il verbale di udienza è redatto dall'ausiliario che assiste il giudice ed è inserito nel fascicolo per il dibattimento.

Devono essere riprodotte non solo le risposte, ma anche le domande rivolte alla persona esaminata.

Valgono per il dibattimento le tre forme di redazione del verbale previste dal 134.

Uno dei princìpi fondamentali del dibattimento è la pubblicità delle udienze.

La pubblicità immediata si realizza quando soggetti estranei al processo sono presenti in aula ed assistono direttamente all'udienza.

La pubblicità mediata si attua attraverso la possibilità di pubblicare gli atti del dibattimento tramite la stampa o altro mezzo di diffusione.

La decisione di procedere a porte chiuse per l'intero dibattimento (o per alcune parti di esso) non costituisce per il giudice l'espressione di una facoltà, bensì di un dovere imposto dalla legge.

Si deve procedere a porte chiuse ed è altresì vietata la pubblicazione degli atti del dibattimento, per esempio, quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell'autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato (472.1); quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene, quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze ovvero quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati (472.3).

Il 147 disp. att., rubricato "Riprese audiovisive dei dibattimenti", stabilisce che Ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla decisione.          L'autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento. Anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 e 2, il presidente vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto. Non possono in ogni caso essere autorizzate le riprese o le trasmissioni dei dibattimenti che si svolgono a porte chiuse [.].

Il dibattimento ha per oggetto l'addebito che è stato contestato all'imputato col decreto che dispone il giudizio.

Per quanto concerne il fatto storico, questo può risultare "diverso" da quello contestato, nel senso che risultano modificate le modalità del fatto di reato: in tale evenienza il p.m. provvede direttamente a modificare l'imputazione e a contestarla all'imputato.

L'imputato ha diritto che il dibattimento venga sospeso ed ha altresì la facoltà di chiedere l'ammissione di nuove prove (519).

In secondo luogo, nel corso dell'istruzione dibattimentale può risultare l'esistenza di una circostanza aggravante, o che è stato commesso un reato connesso: in questa ipotesi il p.m. contesta all'imputato il reato concorrente, purché la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice "superiore".

Anche in questi casi l'imputato ha diritto ad ottenere la sospensione del dibattimento e l'ammissione di nuove prove.

Infine, nel corso del dibattimento può risultare a carico dell'imputato un "fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e per il quale si debba procedere di ufficio".

Il fatto "nuovo" può essere contestato solo in presenza di queste condizioni:

a. deve trattarsi di un reato procedibile d'ufficio;

b.  l'imputato deve esser presente e consentire alla contestazione;

c.  il presidente deve accertare che da tale contestazione non derivi un pregiudizio per la speditezza del procedimento.

Quando è contestato il fatto nuovo, l'imputato gode del diritto di ottenere la sospensione del dibattimento e di chiedere l'ammissione di nuove prove (519).

In tutte le ipotesi nelle quali la contestazione sia avvenuta fuori dei casi consentiti, il giudice dispone la trasmissione degli atti al p.m. perché proceda nelle forme ordinarie.

Lo stesso avviene quando il giudice accerta che il fatto storico è diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio o nella contestazione effettuata dal p.m. in dibattimento.

Il giudice nella sentenza può dare al fatto una diversa definizione giuridica, purché il reato non ecceda la sua competenza, né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica.

L'inosservanza delle disposizioni a tutela della correlazione tra accusa e sentenza è causa di nullità (ma soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante: 522.2).


Il principio del contraddittorio è attuato, nel suo significato debole, negli atti garantiti durante la fase delle indagini preliminari e, nel suo significato forte, nella fase del dibattimento.

Nel suo significato debole, il principio assicura il diritto del difensore ad esser presente ad un atto di indagine o a conoscere il relativo verbale.

Nel suo significato forte, il principio del contraddittorio comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova.

Nel caso della prova orale, la partecipazione avviene attraverso lo strumento dell'esame incrociato.

Le domande sono poste dapprima dalla parte (p.m. o difensore) che ha chiesto l'esame di una determinata persona (esame diretto); quindi, la parte che ha un interesse contrario può procedere al controesame; infine, la parte che ha chiesto l'esame può proporre nuove domande (riesame).

L'esercizio del diritto di porre domande è controllato dal presidente dell'organo collegiale, che valuta la pertinenza e l'ammissibilità della singola domanda.

Il principio della concentrazione impone che non vi siano intervalli di tempo tra l'assunzione delle prove in udienza, la discussione finale e la deliberazione della sentenza.

477.1-2: Quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo.            Il giudice può sospendere il dibattimento soltanto per ragioni di assoluta necessità e per un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i festivi.

La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento

Per quanto riguarda il principio di oralità, con tale termine può intendersi la forma verbale di comunicazione del pensiero consistente nella pronuncia di parole destinate ad essere udite.

L'oralità è la regola che il codice di procedura penale accoglie per le dichiarazioni.

Vi sono prove che non sono "orali": ciò vale per tutte le prove reali, e cioè per il corpo del reato, le cose pertinenti al reato e i documenti; vale, inoltre, per tutte le "attività" compiute e non più ripetibili.

Il principio di immediatezza comporta un rapporto privo di intermediazione tra l'acquisizione delle prove e la decisione dibattimentale.

Il principio di immediatezza può essere scisso in due corollari.

In primo luogo, deve esservi identità fisica tra il giudice che decide ed il giudice di fronte al quale si svolge il dibattimento.

In secondo luogo, la decisione deve essere basata sulle prove che sono state acquisite in tale fase.

In udienza, prima che inizi il dibattimento, si svolgono alcune attività che fanno parte ancora degli atti preliminari al dibattimento stesso.

Il presidente controlla se si sono verificate le condizioni indispensabili per la costituzione in giudizio delle parti: è questo il termine ultimo entro il quale il danneggiato dal reato ha facoltà di costituirsi parte civile, comparendo per mezzo di un difensore.

Se risulta che non vi è stata assoluta impossibilità a comparire (e che quindi l'assenza è volontaria), il giudice dichiara la contumacia dell'imputato; quest'ultimo è rappresentato dal difensore.

L'imputato può chiedere o consentire che l'udienza si svolga in sua assenza.

Se comunque questi, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di udienza, è considerato presente.

Come nell'ipotesi di contumacia, l'imputato assente è rappresentato dal difensore.

Se il difensore dell'imputato non è presente, il presidente designa un sostituto che sia immediatamente reperibile.

Nel caso in cui risulti che l'assenza del difensore è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento (purché prontamente comunicato), il giudice fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione all'imputato.

Dopo che è stato compiuto l'accertamento della costituzione delle parti, vi è la possibilità per le parti stesse di proporre eventuali questioni preliminari.

A questo punto il presidente dichiara aperto il dibattimento e fa dare lettura dell'imputazione.

Le richieste di prova sono presentate dal p.m. e, nell'ordine, dai difensori delle parti private eventuali (parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) e dal difensore dell'imputato.

Nelle richieste la singola parte indica i fatti che intende provare e chiede l'ammissione delle relative prove.

Nel corso delle richieste di prova Il presidente impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari (493.4).

La prova deve essere ammessa quando è pertinente e quando vi sia anche solo il dubbio che possa essere rilevante e non sovrabbondante; deve essere esclusa la prova vietata dalla legge.

Le parti hanno un vero e proprio "diritto alla prova": ciò comporta per il giudice il dovere di motivare l'ordinanza che rigetta la richiesta di ammissione.

L'impugnazione contro l'ordinanza potrà essere proposta solo unitamente alla sentenza.

Il giudice decide sulle richieste di ammissione delle prove senza ritardo con ordinanza.

Ove il nome del singolo dichiarante (testimone, imputato connesso, perito o consulente tecnico) non sia stato inserito nella lista testimoniale, la richiesta di sentirlo in dibattimento è inammissibile.

Tuttavia, È ammessa l'acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall'articolo 468 quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente (493.2).

A parte questa ipotesi, le parti che non abbiano adempiuto all'onere di presentare le liste possono ancora chiedere l'ammissione di prove, ma non hanno il diritto di ottenere un provvedimento in tal senso.

Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva (si tratta di una previsione identica a quella che opera al momento della formazione del fascicolo per il dibattimento al termine dell'udienza preliminare).

Dopo che le parti hanno formulato le proprie richieste di prova, il presidente informa l'imputato che egli ha la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino l'istruzione dibattimentale (494.1).

Le dichiarazioni spontanee possono in astratto essere usate dal giudice ai fini della decisione.

Il secondo momento del dibattimento è costituito da quella che è denominata dal codice istruzione dibattimentale: in tale momento sono assunte le prove.

L'istruzione dibattimentale inizia con l'assunzione delle prove richieste dal pubblico ministero e prosegue con l'assunzione di quelle richieste da altre parti, e cioè dalla parte civile e dall'imputato.

Il caso dell'accusa precede il caso della difesa (spetta a colui che accusa provare la reità dell'imputato).

L'ultimo caso è quello dell'imputato, poiché questi ha il diritto di conoscere l'esito delle prove a carico.

La successione dei casi prevista dal codice può essere modificata ove tutte le parti concordino un ordine diverso: ciò costituisce espressione del principio di disponibilità della prova.

L'esame delle parti non è inserito né nel caso dell'accusa, né nel caso della difesa.

Ricordiamo che l'esame di una parte può essere chiesto dalla stessa; se è chiesto da un'altra parte, può avvenire solo col consenso della parte che deve esservi sottoposta.

L'esame delle parti ha luogo subito dopo il caso del p.m. (ed, eventualmente, quello della parte civile).

All'interno del singolo caso l'ordine nel quale vengono assunte le prove è stabilito dalla parte che ha chiesto le stesse (principio argomentativo della prova: la parte "argomenta" le sue richieste provando i fatti; la successione e la concatenazione delle prove è la sua argomentazione).

Fra le prove "richieste" vi sono tutti i mezzi di prova, eccettuato solo l'esame delle parti, per il quale vi è un momento apposito nel corso dell'istruzione dibattimentale.

Le prove orali sono tutte assunte mediante l'esame incrociato.

Le regole poste dal codice per l'esame diretto, il controesame ed il riesame valgono per i testimoni, per gli imputati connessi o collegati, per i periti, per i consulenti tecnici e per le parti che abbiano consentito all'esame o lo abbiano richiesto.

Tuttavia gli obblighi ai quali sono sottoposti i predetti soggetti sono differenti.

Il testimone ha l'obbligo, penalmente sanzionato, di rispondere secondo verità; deve essere avvisato dal presidente dell'esistenza di tale obbligo e delle responsabilità previste dalla legge per i testimoni falsi o reticenti.

Quindi il presidente invita il testimone a rendere solennemente e pubblicamente una dichiarazione con la quale si impegna a dire la verità.

Dopodiché il presidente invita il testimone a fornire le proprie generalità.

Il perito, al momento in cui gli viene conferito l'incarico da parte del giudice, assume l'obbligo di "far conoscere la verità"; tale obbligo è sanzionato penalmente.

Il consulente tecnico di parte può esser nominato da una delle parti anche quando non è disposta perizia; è esaminato su richiesta della parte che lo ha nominato; le altre parti possono sottoporlo a controesame.

Le parti sono sottoposte ad esame solo su loro richiesta o col loro consenso; non hanno un obbligo penalmente sanzionato di dire la verità; se rifiutano di rispondere ad una domanda, ne è fatta menzione nel verbale.

Il rifiuto può essere valutato dal giudice come argomento di prova, e cioè può incrinare la credibilità del soggetto esaminato.

L'esame del testimone deve avvenire in modo che nel corso dell'udienza nessuna delle persone citate possa, prima di deporre, comunicare con alcuna delle parti o coi difensori o consulenti tecnici, assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di ciò che si fa nell'aula di udienza.

Durante l'esame incrociato il presidente dell'organo giudicante ha la funzione di assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni.

L'esame incrociato si articola nei tre momenti dell'esame diretto, del controesame e del riesame.

I soggetti che pongono le domande sono il p.m. ed i difensori delle parti private.

L'esame diretto è condotto dalla parte che ha chiesto di interrogare il soggetto che rende dichiarazioni.

Il controesame è eventuale, nel senso che le parti che non hanno chiesto l'ammissione di quel teste possono a loro volta porre domande.

Il riesame è doppiamente eventuale, perché si svolge solo se vi è stato il controesame; nel riesame la parte che ha condotto l'esame diretto può proporre nuove domande.

L'esame diretto tende ad ottenere la manifestazione dei fatti conosciuti dal testimone; tali fatti dovrebbero essere utili a dimostrare la tesi di colui che lo ha citato.

Sono vietate le "domande-suggerimento" (499.3).

Il controesame è condotto dalla parte che ha un interesse contrario a quella che ha chiesto l'esame del testimone (od altro dichiarante).

Il controesame può avvenire sui fatti, sulla credibilità del testimone, o su entrambi gli oggetti.

Nel controesame sono ammesse le domande-suggerimento perché il loro scopo è sia quello di saggiare come reagisce il testimone, sia quello di far cadere quest'ultimo in contraddizione.

Il riesame è condotto dalla persona che ha chiesto l'assunzione della testimonianza.

L'esame incrociato non può esser sottoposto ad interruzioni.

Nel corso del suo svolgimento le parti hanno unicamente la possibilità di formulare opposizioni sulle quali il presidente decide immediatamente senza formalità.

Solo al termine della sequenza "esame diretto - controesame - riesame" il presidente può porre d'ufficio domande al testimone (o altro dichiarante).

Le regole per le domande sono queste:

a. 499.1: L'esame testimoniale si svolge mediante domande su fatti specifici;

b.  194.3: Il testimone è esaminato su fatti determinati. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti;

c.  499.2: Nel corso dell'esame sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte: non sono ammesse le domande intimidatorie o, viceversa, suadenti;

d.  sono vietate le domande che violano il rispetto della persona umana, e cioè che ledono l'onore o la reputazione del deponente; tuttavia nel controesame il diritto alla prova prevale sul rispetto della persona (su richiesta dell'interessato, il presidente dispone che il dibattimento si svolga a porte chiuse).

Fra le regole che riguardano le risposte, il testimone ha facoltà di non deporre:

a. su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale;

b.  su fatti coperti da segreto professionale;

c.  su fatti coperti da segreto d'ufficio o di Stato;

d.  in certi casi, previsti dal 199, quando è prossimo congiunto dell'imputato.

499.6: Durante l'esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni.

Quando deve essere esaminato un testimone minorenne (o un maggiorenne infermo di mente) il codice prevede forme particolari, che escludono l'esame incrociato e che proteggono il dichiarante.

Tema importante è quello delle dichiarazioni rese prima del dibattimento e loro utilizzabilità.

Nel testo originario del codice il principio di oralità era affermato in modo assoluto.

Alla oralità, affermata in senso assoluto, il Giudice delle leggi ha contrapposto il principio di "non dispersione della prova raccolta prima del dibattimento" e ne ha sostenuto la rilevanza costituzionale.

Il nuovo 111 afferma il principio del contraddittorio nella formazione della prova (comma IV: Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore).

Al principio del contraddittorio il comma V pone tre eccezioni.

La prima eccezione si ha col consenso dell'imputato, ed ha due ambiti applicativi distinti:

a. il primo si riferisce alla legittimità costituzionale dei riti semplificati che omettono il dibattimento.

Nel rito abbreviato si consente al giudice di valutare la necessità di un'integrazione probatoria da disporre anche d'ufficio;

b.  il secondo ambito applicativo riguarda la disciplina della prova nell'ambito del rito ordinario: col consenso dell'imputato è possibile acquisire al dibattimento prove formate fuori dal contraddittorio.

Malgrado la formulazione letterale del 111.5, probabilmente l'uso di atti raccolti in modo unilaterale può essere ammesso solo se vi consentono quelle parti che non hanno partecipato all'acquisizione dell'elemento di prova e che potrebbero subire un pregiudizio dalla utilizzabilità dello stesso.

La seconda deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova è consentita in caso di accertata impossibilità di natura oggettiva.

Il termine "oggettiva" sembra alludere a quelle cause indipendenti dalla volontà di taluno.

L'impossibilità di natura oggettiva non deve apparire "a sorpresa" per la prima volta nella motivazione della sentenza, bensì deve essere oggetto di prova e di discussione tra le parti.

Sul punto vi deve essere un apposito provvedimento incidentale del giudice.

L'ultima eccezione è consentita nell'ipotesi in cui la mancata attuazione del contraddittorio costituisca effetto di provata condotta illecita: si tratta di comportamenti contrari al diritto finalizzati ad indurre il dichiarante a sottrarsi (lecitamente o meno) al contraddittorio.

Il 526.1 stabilisce che Il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento.

Secondo il 514 non costituisce "legittima acquisizione" la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento, salvo i casi espressamente menzionati.

Le norme che consentono l'utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni hanno natura eccezionale e, come tali, non sono estensibili per analogia.

Il 526 comma I-bis ripropone testualmente il dettato del 111.4 Cost.: esso dice infatti che La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore.

Tale regola non implica, a contrario, l'utilizzabilità di tutto il resto.

Occorre ora esaminare le singole ipotesi, eccezionali, nelle quali il codice consente di usare dichiarazioni formate fuori del dibattimento.

Per quanto riguarda la consultazione, ai sensi del 499.5 Il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti.

Il dichiarante può "consultare" il documento nel senso che, dopo averlo visionato, deve rispondere alle domande senza leggerlo.

Il documento deve essere reso conoscibile alle controparti, le quali hanno il diritto di usarlo ai fini del controesame.

La seconda modalità di utilizzazione delle precedenti dichiarazioni è la contestazione: a colui che depone (sia egli testimone o parte) viene contestato di aver reso una differente dichiarazione in un momento anteriore al dibattimento.

Essa deve essere contenuta nel fascicolo del p.m.

Sono posti alcuni requisiti:

a. deve trattarsi di precedenti dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero;

b.  è necessario che le precedenti dichiarazioni siano state rese dalla stessa persona che in dibattimento sta cambiando versione;

c.  la contestazione deve avvenire solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare il testimone o la parte ha già deposto;

d.  la modalità di effettuazione della contestazione consiste nel leggere la dichiarazione rilasciata prima del dibattimento e nel chiedere conto al deponente dei motivi della diversità.

Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste.

La contestazione serve al massimo per togliere valore alla dichiarazione dibattimentale, ma non è utile per formare la prova dell'esistenza del fatto narrato, come è ricavabile dal verbale.

Una volta operata la contestazione, vi sono alcune eccezioni, in presenza delle quali le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili come prova del fatto narrato; in base al principio del libero convincimento resta fermo che la valutazione in punto di attendibilità è rimessa al giudice.

La prima eccezione è consentita quando si accerti che il teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinché non deponga o deponga il falso (si tratta di un'applicazione del 111.5 Cost., che consente un'eccezione al principio del contraddittorio in caso di provata condotta illecita).

Nelle ipotesi di intimidazione o subornazione, devono essere acquisite al fascicolo per il dibattimento non solo le precedenti dichiarazioni utilizzate per la contestazione, bensì l'intero verbale.

In secondo luogo, le dichiarazioni rese in udienza preliminare e lette per le contestazioni dibattimentali sono utilizzabili come prova del fatto solo nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione.

Vi è infine una terza eccezione, in base alla quale le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero sono utilizzabili se vi è accordo delle parti.

Anche l'acquisizione col consenso delle parti si riferisce all'intero verbale.

Se il testimone (o altro dichiarante) rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte, salve restando le sanzioni penali eventualmente applicabili al dichiarante (500.3).

Le prove precedentemente acquisite, raccolte sia nel dibattimento, sia in momenti anteriori, possono costituire oggetto di quel tipo di contestazione che è definibile come "non probatoria": la contestazione non probatoria impone al dichiarante di fornire precisazioni od ammettere di aver errato.

Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.

Sempre nella motivazione, il giudice deve enunciare le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie.

A nostro avviso, la "contestazione" delle precedenti dichiarazioni presuppone che sia in corso l'esame del dichiarante che le ha rese, mentre la "lettura" viene disposta quando tale esame non ha avuto luogo.

La lettura deroga al principio di immediatezza, che impone al giudice di decidere in base alle prove assunte nel corso del dibattimento.

Gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento sono consultabili dal giudice; se consistono in dichiarazioni, occorre distinguere tra due situazioni.

Se l'esame del dichiarante ha luogo, i verbali contenuti nel fascicolo per il dibattimento possono esser letti solo dopo l'esame della persona e, pertanto, danno luogo ad un istituto simile alla contestazione.

Se l'esame del dichiarante non ha luogo, si procede alla lettura integrale dell'atto.

Nei due casi predetti, gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento possono esser posti a fondamento della motivazione della sentenza.

Il fascicolo del pubblico ministero può esser consultato solo dalle parti e non dal giudice.

La lettura degli atti è permessa con certe restrizioni che hanno il presupposto comune che l'atto sia diventato "non ripetibile" in dibattimento.

Altri limiti riguardano la persona che ha reso le dichiarazioni anteriormente al dibattimento.

Per i testimoni e per l'imputato connesso o collegato è prevista una disciplina molto simile.

Le dichiarazioni rese prima del dibattimento possono esser lette solo se sono diventate non ripetibili per fatti o circostanze non prevedibili nel momento in cui sono state assunte; infatti, ove la non ripetibilità fosse stata prevedibile, le parti avrebbero dovuto chiedere l'incidente probatorio.

Le precedenti dichiarazioni rese dall'imputato o dal coimputato nel loro processo possono esser lette a richiesta di parte se l'imputato è contumace od assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame.

Il legislatore attribuisce al giudice un potere di supplenza che incide sull'iniziativa probatoria.

Tale potere si configura come un'eccezione rispetto alla regola posta dal 190.1, pertanto deve essere previsto espressamente dal codice.

Il presidente del collegio giudicante può rivolgere domande al testimone (od altro dichiarante) solo al termine dell'esame incrociato.

Inoltre il giudice (e cioè il collegio giudicante) può disporre l'assunzione di nuovi mezzi di prova se risulta assolutamente necessario, una volta che sia "terminata l'acquisizione delle prove", e cioè dopo che si sono svolti interamente il caso per l'accusa ed il caso per la difesa.

Il giudice può disporre l'assunzione dei mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento su accordo delle parti: anche in questa ipotesi deve ricorrere il presupposto dell'assoluta necessità.

Al termine delle indagini preliminari, quando è stata presentata richiesta di archiviazione, il giudice può ordinare al p.m. di compiere nuove indagini e può costringerlo a formulare l'imputazione.

Nel corso dell'udienza preliminare il giudice, se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, può disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere.

I poteri esercitabili d'ufficio dal giudice non rappresentano una deroga ai divieti probatori, che devono essere osservati anche da tale soggetto.

Nel corso dell'istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunziare, con il consenso dell'altra parte, all'assunzione delle prove ammesse a sua richiesta (495 comma IV-bis).

In base al 507 (Ammissione di nuove prove) il giudice ha il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di una prova e, quindi, anche di quella prova che sia stata rinunciata dalle parti.

Ovviamente può farlo nei limiti previsti dal codice: l'assunzione deve essere assolutamente necessaria.

Il concetto di "altra parte" deve essere interpretato in modo estensivo: vi rientrano, cioè, tutte le parti diverse rispetto al rinunciante.

La discussione finale, che ha inizio quando è terminata l'istruzione probatoria, permette al p.m. ed ai difensori delle parti private di formulare le proprie conclusioni (523).

La discussione finale è diretta dal presidente dell'organo giudicante, che ha il potere di impedire ogni divagazione, ripetizione ed interruzione.

Le conclusioni del difensore del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria precedono quelle del difensore dell'imputato.

Le conclusioni sono formulate oralmente; tuttavia, è posto a carico della parte civile l'onere di presentare comunque conclusioni scritte, che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare (523.2): se il difensore non adempie all'onere delle conclusioni scritte, la costituzione di parte civile si intende revocata ex lege.

Il p.m. ed i difensori delle parti private possono replicare, ma la replica è ammessa una sola volta.

La discussione non può essere interrotta per l'assunzione di nuove prove, se non in caso di assoluta necessità.

Se la prova richiesta da una parte è decisiva, il giudice è obbligato ad ammetterla (un eventuale diniego può essere sottoposto a controllo mediante l'impugnazione della sentenza).

L'imputato ed il suo difensore devono avere (a pena di nullità) la parola per ultimi, se la chiedono.

Secondo il 525.2, parte I, Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

Sotto il profilo dei tempi, il codice pone la regola della concentrazione.

Da un lato, la sentenza è deliberata "subito dopo la chiusura del dibattimento"; dall'altro, la deliberazione non può esser sospesa "se non in caso di assoluta impossibilità".

Il codice regola le modalità con cui l'organo collegiale deve deliberare: Tutti i giudici enunciano le ragioni della loro opinione e votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre. Il presidente raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per ultimo. Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per età (527.2).

In caso di parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all'imputato (principio del favor rei).

La deliberazione si svolge in segreto in camera di consiglio.

Conclusa la deliberazione, il presidente dell'organo giudicante redige il dispositivo e lo sottoscrive.

Se il giudice ha deciso il proscioglimento, deve riassumere i motivi in una delle formule tipiche.

Se ha deciso di condannare, il capo penale del dispositivo contiene l'indicazione della pena che viene applicata al colpevole; se vi è stata costituzione di parte civile, il capo civile del dispositivo contiene la decisione sul risarcimento del danno.

Una volta sottoscritto il dispositivo, l'organo giudicante rientra nell'aula di udienza ed il presidente (od altro giudice) lo legge.

Di regola, accade che la motivazione non possa esser redatta immediatamente: il codice prescrive il termine entro cui l'intera sentenza (motivazione e dispositivo) deve esser depositata in cancelleria.

Ai sensi del 546, la sentenza ha il seguente contenuto:

l'intestazione "in nome del popolo italiano" e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata;

le generalità dell'imputato nonché le generalità delle altre parti private;

l'imputazione;

l'indicazione delle conclusioni delle parti;

la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie;

il dispositivo con l'indicazione degli articoli di legge applicati;

la data e la sottoscrizione del giudice (e cioè del presidente e dell'estensore della sentenza).

Il capo della sentenza è identificabile con la singola imputazione; il punto della sentenza è costituito da una tematica di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per giungere alla decisione in merito ad una o più imputazioni.

Nel caso in cui occorra completare la motivazione insufficiente ovvero manchino o siano insufficienti gli altri requisiti previsti dal codice, purché si tratti di errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto, si deve attivare il procedimento per la correzione degli errori materiali: questo procedimento è disposto d'ufficio o su richiesta di parte dal giudice che ha emesso il provvedimento.

Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (192.1): il giudice espone i motivi del suo convincimento indicando le "prove poste a base della decisione" ed enunciando le ragioni della loro attendibilità e le ragioni della non attendibilità delle prove contrarie.

Ex 111.6 Cost. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

All'interno della generale categoria delle sentenze di proscioglimento, il codice pone una fondamentale distinzione tra sentenza di non doversi procedere e sentenza di assoluzione: le sentenze di assoluzione contengono un vero e proprio accertamento che il giudice ha operato mediante le prove, pertanto esse sono idonee a fondare l'efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari; viceversa, le sentenze di non doversi procedere si limitano a statuire su aspetti processuali che impediscono tale accertamento.

Le formule terminative sono previste dalla legge in modo tassativo negli artt. 529-531.

Sentenza di non doversi procedere perché l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita: manca la condizione di procedibilità prevista dalla legge per quella determinata fattispecie incriminatrice (querela, istanza, richiesta, autorizzazione a procedere).

Sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato: il codice penale prevede varie cause di estinzione del reato: la morte del reo prima della condanna; l'amnistia; la remissione di querela; la prescrizione del reato; l'oblazione nelle contravvenzioni; il perdono giudiziale per i minorenni.

Il riconoscimento delle predette cause estintive non vincola il giudice civile nel momento in cui questi accerterà la sussistenza del fatto coi conseguenti effetti civili.

L'imputato ha interesse ad ottenere l'assoluzione nel merito.

Le formule terminative ampiamente liberatorie hanno efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi.

Con la sentenza di assoluzione il giudice compie un accertamento sull'esistenza o meno del fatto storico addebitato all'imputato.

Nelle situazioni in cui sarebbe possibile applicare insieme più formule, il giudice deve pronunciare quella più ampiamente liberatoria.

Assoluzione perché il fatto non sussiste: tale formula deve essere usata ove il fatto storico ricostruito mediante le prove non rientri nella fattispecie incriminatrice dal punto di vista degli elementi oggettivi.

Assoluzione perché l'imputato non ha commesso il fatto: la formula è usata quando il reato non è stato commesso dall'imputato, bensì da un'altra persona.

Assoluzione perché il fatto non costituisce reato: in questo caso il fatto addebitato nell'imputazione è stato commesso dall'imputato e sussiste nei suoi elementi oggettivi, ma manca o quello specifico elemento soggettivo che è richiesto dalla norma incriminatrice (dolo, colpa, preterintenzione) o uno degli elementi oggettivi che costituiscono il presupposto della condotta o dell'evento.

Il giudice usa la formula "il fatto non costituisce reato" anche quando sono integrati sia l'elemento oggettivo, sia quello soggettivo, ma il fatto è stato commesso in presenza di una delle cause di giustificazione: infatti, queste eliminano l'antigiuridicità e rendono lecito il fatto.

Assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato: in questo caso il fatto storico indicato nell'imputazione non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo: siamo di fronte ad un'assoluzione in punto di diritto (in iure).

Assoluzione perché il reato è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione: la formula è usata quando il giudice accerta che il fatto è stato commesso ed è penalmente illecito, ma l'imputato non è punibile in concreto: egli può essere non imputabile, o coperto da una causa di non punibilità, o penalmente immune.

Se il giudice accerta che l'autore del reato è non imputabile, ma pericoloso socialmente, deve applicargli la misura di sicurezza prevista dalla legge.

Con la sentenza di proscioglimento il giudice ordina la liberazione dell'imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventualmente disposte (532.1).

Con la sentenza che assolve l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile (se non ricorrono giustificati motivi per la compensazione totale o parziale).

Se il danneggiato ha esercitato l'azione civile nel processo penale "per colpa grave", il giudice può condannare la parte civile al risarcimento dei danni causati all'imputato assolto.

Nel caso di assoluzione da un reato perseguibile a querela con le formule ampiamente liberatorie "il fatto non sussiste" o "l'imputato non lo ha commesso", il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato ed alla rifusione delle spese ed al risarcimento del danno a favore dell'imputato assolto.

I punti essenziali della sentenza penale di condanna sono l'accertamento della sussistenza del fatto storico, la sua qualificazione come illecito penale, l'affermazione che l'imputato lo ha commesso e, infine, la determinazione della pena.

Vi sono poi altri punti eventuali: fra gli aspetti penali ricordiamo l'applicazione delle pene accessorie, delle misure di sicurezza, della sospensione condizionale, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e la dichiarazione di falsità di documenti od atti.

Fra gli aspetti civili importante è la pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno formulata dalla parte civile nelle sue conclusioni.

Quando pronuncia sentenza di condanna e vi è stata costituzione di parte civile, il giudice è tenuto a decidere sulla domanda relativa alle restituzioni ed al risarcimento del danno.

La domanda risarcitoria non è accolta automaticamente: il giudice deve valutare se il danneggiato era legittimato a costituirsi parte civile e se ha subìto un danno derivante dal reato.

Il "punto" della sentenza che liquida il danno non è provvisoriamente esecutivo; la provvisoria esecutività è dichiarata solo su richiesta di parte quando ricorrono giustificati motivi (540.1).

Quando le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, il giudice pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile (539.2).

In previsione di una simile eventualità il difensore della parte civile, nelle conclusioni che presenta al termine del dibattimento, chiede che il giudice penale conceda una provvisionale, e cioè liquidi una determinata somma nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova (539.2).

Se il giudice accoglie la richiesta, la condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva (540.2).

Inoltre, con la sentenza che accoglie la domanda sulle restituzioni e sul risarcimento del danno il giudice penale condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile salvo che ritenga di disporre, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale (541.1).

Infine, il giudice su richiesta della parte civile ordina la pubblicazione della sentenza di condanna qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato.


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