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Il diritto delle amministrazioni pubbliche
LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE E IL DIRITTO
Il principio giuridico fondamentale del diritto delle amministrazioni pubbliche è considerato il principio di legalità. Questo principio viene ancora inteso nel senso che le amministrazioni pubbliche potrebbero fare solo ciò che è prescritto dalla legge e solo mediante gli atti previsti dalla legge. Quelle pubbliche italiane sono amministrazioni di un ordinamento statale definito stato di diritto, e la Comunità Europea è stata definita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee comunità di diritto. In un qualsiasi stato di diritto vige il principio del dominio della legge (rule of law) nei confronti di qualsiasi soggetto dell'ordinamento; quindi anche le amministrazioni pubbliche come qualsiasi altro soggetto giuridico devono rispettare la legge e sono soggetti ad essa e all'interpretazione che ne danno i giudici. Una parte del diritto privato si può applicare sia ai privati sia alle amministrazioni pubbliche e viene detta diritto comune dei soggetti pubblici e privati; in casi particolari si applica invece un diritto speciale. Secondo l'art. 1 c. 1 -bis, la pubblica amministrazione nell'adozione di atti di natura non autoritativa agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. Quindi secondo tale disposizione l'azione di una pubblica amministrazione è retta dalle norme di diritto privato salvo per due accezioni alla regola generale. La prima accezione riguarda l'ipotesi che gli atti delle amministrazioni abbiano natura autoritativa. Gli atti di natura autoritativa consentono l'esercizio di poteri che vengono attribuiti alle pubbliche amministrazioni in diversi campi e costituiscono dei provvedimenti che limitano la sfera giuridica dei privati a prescindere dal loro consenso, come nel caso dell'espropriazione. Le amministrazioni adottano questi atti soprattutto nell'esercizio della funzione di regolazione. La seconda accezione si ha quando la legge dispone diversamente, ovvero quando la legge può disporre che l'attività delle amministrazioni sia sottoposta a un diritto diverso da quello privato, ovvero al diritto amministrativo. Il regime di diritto amministrativo si applica agli atti chiamati amministrativi. Secondo l'art. 1 c. 1 -ter, i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative devono assicurare il rispetto dei principi generali dell'attività amministrativa secondo criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza. Quindi se il legislatore pretende il rispetto di questi principi anche quando le attività sono svolte secondo le norme di diritto privato, egli ritiene che non ci siano delle contraddizioni, a meno che si richiedesse il rispetto del diritto amministrativo nel suo complesso.
LA LEGALITA' IN FUNZIONE DI INDIRIZZO E IN FUNZIONE DI GARANZIA
Per quanto attiene alla legalità in funzione di indirizzo, per rispettare il principio è necessario che la legge stabilisca i fini che un'amministrazione deve perseguire senza che vengano determinati i modi in cui questi devono essere raggiunti. In relazione a tale principio la legge deve essere intesa in riferimento ai diversi tipi di legge, in riferimento alle altre fonti del diritto e, agli atti che possono indicare obiettivi che devono essere perseguiti dalle amministrazioni; tali atti possono appartenere sia all'ordinamento italiano sia all'ordinamento dell' UE. Il principio di legalità ha anche un altro significato che evidenzia un'altra funzione, cioè quella di garanzia. La Costituzione, in funzione di garanzia delle libertà dei cittadini, prevede delle riserve di legge secondo le quali l'amministrazione può adottare atti autoritativi ai quali oltre al rispetto del principio di legalità con funzione di indirizzo, si richiede il rispetto dello stesso principio ma con funzione di garanzia. In tal senso la legalità indica che tali poteri possono essere esercitati soltanto se, da chi, quando e come la legge stessa lo preveda, ovvero secondo il principio di tipicità. La legalità offre inoltre un'importante garanzia nei confronti di possibili arbitri delle amministrazioni in quanto i poteri dell'amministrazione devono essere esercitati in modo conforme ad un preciso parametro normativo precostituito, che rende possibile la verifica di tale conformità da parte di un giudice, così da garantire la giustiziabilità degli atti dell'amministrazione pubblica.
DIRITTO ITALIANO E DIRITTO COMUNITARIO
Secondo il cosiddetto principio di attribuzione la Comunità Europea agisce nei limiti delle competenze e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato; quindi in base a questo principio alla Comunità non spetta di occuparsi di tutti i possibili interessi pubblici della popolazione europea. La sua azione non può estendersi oltre il necessario raggiungimento degli obiettivi del Trattato, e può intervenire nei settori non di sua competenza secondo il principio di sussidiarietà verticale o istituzionale, solo nel caso in cui gli Stati membri non riescano a raggiungere gli obiettivi che possono essere realizzati a livello comunitario. Secondo il Trattato, sono state attribuite alla Comunità Europea delle competenze di una vasta area di materie: commercio, industria, agricoltura, politiche sociali, istruzione professionale, cultura e ricerca. Secondo il principio dei poteri impliciti oltre alle competenze attribuite in modo esplicito alla Comunità devono ritenersi che ad essa spettino implicitamente anche le competenze strumentali all'esercizio delle prime. Il Consiglio della Comunità può attribuirle delle competenze con la necessità del voto unanime, qualora un'azione risulti necessaria per raggiungere uno scopo della Comunità. Le fonti comunitarie prevalgono su qualsiasi fonte statale degli Stati membri. Possono imporsi anche alla Costituzione italiana solo se vi siano dei contrasti con i diritti inviolabili affermati nella nostra carta. La necessità del rispetto di tali fonti è oggi sancita dal primo comma dell' art. 117 Cost. anche se si ritiene che nell'art. 11 Cost. vi era già un fondamento giuridico della preminenza di tali fonti su quelle italiane. I Trattati, chiamati fonti primarie dell'ordinamento comunitario, prevedono che le istituzioni comunitarie possano emanare atti, detti fonti derivate, che contengono disposizioni mirate ad imporsi agli Stati membri e ai loro cittadini. La Corte di Giustizia della Comunità Europea ha definito questi trattati "la carta costituzionale di una comunità di diritto" e ha riconosciuto loro la natura di una vera e propria costituzione, in quanto possono prevalere su quest'ultima e costituiscono il parametro di legittimità di altri atti comunitari che a loro volta possono prevalere sulle fonti di diritto del nostro ordinamento. Questi trattati sono chiamati comunemente Trattati-Costituzione. Nonostante le disposizioni dei trattati siano spesso formulate in termini di obblighi per gli Stati membri o per le istituzioni comunitarie, la Corte di Giustizia afferma che da tali disposizioni hanno origine dei diritti dei cittadini, nei confronti degli Stati membri o delle istituzioni comunitarie per effetto riflesso degli obblighi imposti a quest'ultimi; questo è il cosiddetto effetto verticale. Successivamente è stato affermato che si può riconoscerle come fonti di diritti, opponibili allo Stato, alle istituzioni e ai soggetti privati; questo è il cosiddetto effetto orizzontale. Il diritto comunitario ha origine anche in altre fonti, dette derivate. Per esempio l'art. 249 TrCE prevede che le istituzioni comunitarie di governo adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni, e formulano raccomandazioni e pareri. In tale disposizione il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Per quanto concerne la cosiddetta disapplicabilità delle fonti statali, quando si hanno dei contrasti con il diritto comunitario si devono applicare le norme comunitarie. Le leggi in contrasto con fonti del diritto comunitarie sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale, e interposte agli effetti del giudizio di costituzionalità. Questa disposizione intendeva stabilire che, le previsioni delle direttive non dovevano essere direttamente applicate in uno Stato membro senza che ne fossero previamente definite le modalità di attuazione con le fonti proprie dell'ordinamento statale. Di solito l'interesse pubblico primario in funzione del quale si svolge l'attività amministrativa è determinato dalle direttive comunitarie. La Corte di Giustizia ha stabilito che coloro a cui una direttiva attribuisca diritti nei confronti dello Stato membro, essi possono pretenderne l'attuazione da parte dello Stato stesso senza aspettare che questo si attivi. Tali direttive sono chiamate self-executing, cioè sono direttamente applicabili agli Stati membri. L'effetto diretto verticale si può vedere nel fatto che per l'attuazione della direttiva non si deve aspettare che lo Stato si attivi. Queste direttive hanno la stessa efficacia di quelle comunitarie e devono essere applicate da qualsiasi amministrazione pubblica anche se contrastano con atti dell'ordinamento statale italiano aventi forza di legge. Quanto appena detto vale anche per le disposizioni contenute in una decisione definita obbligatoria per i destinatari ai quali è designata.
Al fine di interpretare leggi nazionali e completare norme comunitarie vincolanti, devono essere presi in considerazione le cosiddette raccomandazioni che sono atti non vincolanti, e alcuni atti atipici come le comunicazioni. Fonte dell'ordinamento comunitario è anche la giurisprudenza dei giudici comunitari.
L'art. 1 c. 1 della Legge sul Procedimento Amministrativo dispone che l'attività amministrativa deve essere retta anche dai principi dell'ordinamento comunitario. Quindi vi sono principi derivabili direttamente dalle norme comunitarie, come quello della non discriminazione e quello della massima possibile trasparenza del modo in cui sono prese le decisioni, e vi sono anche dei principi a quali si fa ricorso in assenza di norme comunitarie, cioè quelli ricavabili dagli ordinamenti statali. Talvolta non è sempre possibile trovare dei principi comuni ai diversi ordinamenti statali ogni volta sia necessario; infatti, i giudici comunitari determinano tali principi in relazione a un metodo chiamato della "comparazione valutativa" dei principi dei diritti costituzionali e amministrativi degli Stati membri. La giurisprudenza ha enunciato i principi rilevanti per l' attività amministrativa; essi sono: legalità, proporzionalità, sicurezza giuridica, non retroattività degli atti amministrativi e legittimo affidamento, diritto di essere sentito prima che sia presa una decisione sfavorevole e corretto procedimento. Nel 2000 il Consiglio europeo ha proclamato una Carta dei diritti fondamentali dell'UE con la quale ha riaffermato i diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Uno dei principi più importanti di questa Carta è il diritto ad una buona amministrazione che consiste nel diritto di ciascun individuo a che le istituzioni comunitarie trattino le sue questioni in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole. Inoltre secondo un'altra disposizione è consentito a ogni cittadino residente nell'UE di accedere ai documenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione. In più, la Comunità Europea garantisce il risarcimento dei danni provocati dalle sue istituzioni. Per quanto attiene lo svolgimento dell'attività amministrativa comunitaria, secondo il TrCE la Comunità non dovrebbe avere degli apparati amministrativi propri, eccetto quelli necessari al funzionamento degli apparati politici. Infatti l'art. 10 stabilisce che è compito degli Stati membri adottare tutte le misure di carattere generale o particolare idonee ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato. Quindi dal momento che esiste un'attività amministrativa comunitaria svolta esclusivamente da apparati amministrativi comunitari, si ha quella che viene chiamata amministrazione comunitaria indiretta che si manifesta in due modi differenti. In un primo caso si può avere un'attività amministrativa italiana disciplinata da fonti italiane e svolta in diretta attuazione di atti di indirizzo statali che sono solo parzialmente autonomi perché devono conformarsi a direttive comunitarie. In un secondo caso si può avere un'attività amministrativa che persegue obiettivi stabiliti dal diritto comunitario, ma che è anche disciplinata nel suo contenuto da atti comunitari. Si parla di co-amministrazione quando un'amministrazione comunitaria viene svolta congiuntamente da apparati comunitari e statali. Può accadere che alcune leggi italiane operino per qualche aspetto, dei rinvii a fonti dell'ordinamento comunitario o comunque stabiliscono l'applicazione di discipline comunitarie a fattispecie da queste non previste. Si è di fronte alla tendenza di omogeneizzazione dei diritti degli Stati membri di conseguenza alla quale si avrà un processo di ricostituzione di un diritto comune europeo.
FONTI DEL DIRITTO E ATTI DI INDIRIZZO POLITICO DELL'AMMINISTRAZIONE NELL'ORDINAMENTO STATALE ITALIANO
La legalità-indirizzo riguarda i rapporti dell'attività amministrativa con gli atti di indirizzo politico, mentre la legalità-garanzia riguarda i rapporti dell'attività amministrativa con le leggi o almeno con atti normativi. La fonte principale del nostro ordinamento è la Costituzione. La Carta del 1948 rappresenta l'atto nel quale la nostra comunità nazionale mediante l'Assemblea Costituente, indica quelli che possono essere considerati i principali interessi pubblici. Essa può anche essere considerata l'atto di indirizzo politico fondamentale nel nostro ordinamento ed è in essa che si trovano i principali indirizzi.
In tal senso si impone il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, si richiede l'adempimento dei doveri inderogabili rappresentati dalla solidarietà politica, economica e sociale e occorre che si rimuovano gli ostacoli di tipo socio-economico che possono limitare la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impedendo il pieno sviluppo della persona e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Si tratta di principi contenuti in articoli che trattano le libertà personali e i diritti sociali. Per quanto concerne le libertà personali, si chiede all'amministrazione di non violarle, mentre per i secondi è necessario che l'amministrazione li attui rendendo disponibili per i cittadini beni e servizi. Vi è poi un altro gruppo di disposizioni molto importanti contenute nella Costituzione che riguardano le attività economiche. Vengono riconosciute la proprietà privata e la libertà d'iniziativa economica; è poi sancita la funzione sociale della proprietà e sono autorizzati interventi pubblici che possono limitare tali libertà fino a sottrarre settori di attività economica all'esercizio dell'iniziativa privata. Le libertà economiche e la tutela della concorrenza sono disciplinate anche dai Trattati europei. In relazione a quest'ultime disposizioni, si pongono problemi di compatibilità delle norme della Costituzione con quelle del diritto comunitario; infatti il TrCE appare più restrittivo nell'ammettere limitazioni alla concorrenza. Nel nostro sistema, se gli atti amministrativi sono ritenuti incostituzionali, devono conformarsi alla legge; solo il giudice che ritiene una legge incostituzionale può sospendere un giudizio richiedendo una decisione in merito alla Corte Costituzionale; l'amministrazione non può farlo. La legalità-garanzia si fonda sul meccanismo delle riserve di legge previsto dalla Costituzione a tutela delle libertà e del patrimonio dei cittadini. Infatti gli interventi "autoritativi" delle amministrazioni sono consentiti solo in casi limitati e sono ammissibili solo se sono previsti dalla legge. La maggior parte delle libertà personali è ammissibile solo per disposizione o con approvazione dell'autorità giudiziaria. Prima della Costituzione la fonte più importante nel nostro sistema era la legge statale in quanto atto proveniente dal Parlamento e rappresentante dell'insieme dei cittadini. La legge statale ha perso la sua preminenza per la grande ampiezza dell'ambito della potestà legislativa regionale acquistata dopo la riforma del Titolo V Cost. operata con la legge Cost. n. 3/2001. La potestà legislativa regionale concorrente e quella generale residuale possono essere in qualche caso limitate all'esercizio della competenza legislativa esclusiva statale. La fonte regionale, ovvero lo statuto, può considerarsi sopraordinato alle leggi regionali. In molti statuti regionali ci sono delle disposizioni che indicano obbiettivi prioritari dell'attività regionale proponendosi come atti contenenti indirizzi politici. La Corte Costituzionale stabilisce che lo statuto non può fissare tali indirizzi e ha negato alle relative disposizioni qualsiasi efficacia giuridica. Le leggi statali e quelle regionali devono rispettare i vincoli derivanti dal diritto comunitario e dalla Costituzione. Per quanto riguarda i regolamenti, il nuovo Titolo V della Cost. ha previsto nuove competenze. I regolamenti che possono svolgere funzioni di indirizzo politico sono quelli che il Governo può fare solo nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale. I regolamenti governativi possono essere di diverso tipo a seconda dei loro rapporti con la legge. Nei regolamenti di esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi le innovazioni sul piano dell'indirizzo politico dovrebbero essere ridotte al minimo dal momento che le loro disposizioni dovrebbero contenere norme dirette a consentire l'esecuzione di quanto già disposto da una legge o da una decreto legislativo. I regolamenti per l'attuazione e integrazione di leggi e di decreti legislativi si limitano a dettare norme di principio. I regolamenti indipendenti possono disciplinare solo materie nelle quali manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge. Nei regolamenti di delegificazione, l'esercizio della potestà regolamentare del Governo deve essere autorizzato da leggi che determinano le norme generali che regolano la materia e che dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dell'entrata in vigore delle norme regolamentari. Tale autorizzazione consente al Governo di emanare le norme regolamentari e di abrogare la legge che regola la materia per la quale è stato autorizzato il regolamento. Questo procedimento è detto di delegificazione in quanto operato da una legge ordinaria; il suo effetto permane fino a quando la legge non torni a disciplinare la materia; questi regolamenti sono deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati con decreto dal PdR.
I regolamenti ministeriali sono ammessi su espressa previsione della legge nelle materie di competenza dei Ministri i quali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Vengono chiamati regolamenti anche fonti di livello regionale e degli enti locali. La potestà regolamentare regionale è quella che ha il più ampio ambito di esplicazione dopo la riforma del nuovo Titolo V Cost. dato che può riguardare tutte le materie eccetto quelle riguardanti la legislazione esclusiva statale. Il Presidente regionale viene eletto direttamente dai cittadini e può revocare i componenti della giunta. Il secondo comma dell'art. 114 stabilisce che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Nel primo comma di questo stesso articolo gli enti locali vengono equiparati allo Stato e alle Regioni in quanto anch'essi elementi che costituiscono la Repubblica. E' previsto che gli enti locali siano titolari di funzioni amministrative proprie e spetta allo Stato stabilire le funzioni fondamentali nell'esercizio della sua potestà legislativa esclusiva. Agli enti locali spettano anche altre funzioni che vengono conferite loro, con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze. Gli enti locali hanno la potestà regolamentare ed adottano regolamenti che riguardano soprattutto gli aspetti organizzativi e dello svolgimento delle funzioni. I regolamenti dei pubblici poteri sono atti di indirizzo politico e fonti del diritto; ad essi si applicano i principi e le regole riguardanti l'amministrazione pubblica e sono sottoposti a quello che viene definito il regime degli atti amministrativi. I regolamenti degli apparati politici hanno contenuto essenzialmente tecnico e non svolgono funzioni di indirizzo politico nei confronti delle amministrazioni; non sono atti amministrativi. Un altro tipo di atto che ha natura di atto di indirizzo è la direttiva. Le direttive, per quanto concerne le attribuzioni del PdC, vengono da lui adottate per assicurare l'imparzialità, il buon andamento e l'efficienza degli uffici pubblici. I programmi invece sono atti amministrativi con i quali vengono esercitate funzioni regolatorie e talvolta indicano obiettivi che dovranno essere perseguiti dalle amministrazioni pubbliche, ad esempio i piani sanitari. I programmi possono essere anche gli atti fondamentali che vengono attribuiti alle competenze dei consigli comunali e provinciali.
PRINCIPI GENERALI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
L'amministrazione pubblica è caratterizzata da un particolare rapporto con la legge. Quest'ultima indirizza l'amministrazione che agisce utilizzando poteri autoritativi e svolge una funzione di garanzia nei suoi confronti. La particolare funzione che devono svolgere le amministrazioni sono caratterizzate da norme generali, criteri e regole alcune delle quali dettate direttamente dalla Costituzione; vengono definite principi generali. Secondo l'art. 97 Cost. i pubblici uffici devono essere organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Quello di imparzialità è un concetto che richiama la funzione del giudice il quale nel decidere le controversie tra persone con interessi opposti, deve applicare la legge senza preferire nessuna delle parti. L'attività amministrativa è completamente vincolata da norme così che il compito degli apparati amministrativi è quello di far rispettare delle regole; in questi casi per essere imparziale un'amministrazione deve tenere un comportamento il più possibile vicino a quello di un giudice. Per garantire l'imparzialità può risultare necessaria la massima indipendenza degli apparati amministrativi da quelli politici. L'imparzialità è connessa col principio di terzietà: le persone che agiscono per l'amministrazione non devono avere nelle vicende in cui sono chiamati ad intervenire interessi contrastanti con quelli curati dall'amministrazione, cioè non devono trovarsi in situazioni di conflitto di interessi. Il principio di imparzialità coincide anche con il principio di eguaglianza secondo il quale l'amministrazione non deve operare discriminazioni prive di un fondamento giustificativo. Quindi per garantire l'imparzialità è necessario che l'amministrazione pubblica deve essere attenta agli interessi di tutti cosicché le sue decisioni corrispondano ad una composizione dei diversi interessi.
La necessità di attuare l'imparzialità mediante la partecipazione dei diversi interessi non può essere intesa in senso assoluto in quanto la stessa disposizione normativa prevede anche il buon andamento dell'amministrazione e se i due principi fossero assolutizzati potrebbero venire a trovarsi in contraddizione insanabile; essi si limitano reciprocamente. Il fatto che gli interessati possano partecipare al provvedimento garantisce loro un vero e proprio contraddittorio e ciò può considerarsi l'attuazione del principio del giusto procedimento. Tale principio è indispensabile per il principio di imparzialità e viene affermato anche nel diritto comunitario. Il principio del buon andamento esprime l'esigenza di un'amministrazione efficace, efficiente ed economica. Un'amministrazione per essere efficace deve riuscire effettivamente a raggiungere gli obiettivi. Per essere efficiente deve impiegare il minimo dispendio di risorse per il perseguimento dei suoi scopi. Per essere economica deve procurarsi le risorse col minimo dispendio di mezzi. Il principio del buon andamento comporta che gli obiettivi posti alle amministrazioni e le regole che le riguardano dovrebbero essere formulate con precisione per rendere possibile la verifica del rispetto di questi principi. Le risorse devono essere impiegate nel modo migliore per ottenere buoni risultati e senza sprechi. Un altro importante principio sancito dall'art. 28 Cost. è quello della responsabilità secondo cui gli atti adottati dalle amministrazioni devono essere sanzionati in caso di violazione di diritti; in tali casi si estende loro la cosiddetta responsabilità civile. Quando vi è una responsabilità per i danni provocata dai funzionari e dipendenti alle amministrazioni pubbliche si ha la cosiddetta responsabilità amministrativa. Quando invece c'è una connessione con la gestione di denaro pubblico svolta dai funzionari e dipendenti di un'amministrazione pubblica, con i relativi obblighi di rendiconto, si ha la cosiddetta responsabilità contabile. Nell'art. 97 Cost. viene disciplinata la responsabilità dei funzionari la quale stabilisce che nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Con questa disposizione normativa, la Costituzione, impone che si stabilisca come i funzionari devono rendere conto dei compiti che svolgono e a chi devono renderne conto. Si parla di responsabilità dirigenziale quando i dirigenti burocratici devono rendere conto del modo in cui svolgono le proprie funzioni agli apparati politici di Governo. Tale principio implica inoltre che l'operato dei funzionari delle amministrazioni deve essere valutato dai cittadini ed è in base a questa esigenza che si ispira un altro principio, il cosiddetto principio di trasparenza, secondo il quale tutti gli individui possono sapere e capire cosa succede all'interno delle amministrazioni pubbliche. La trasparenza viene assicurata mediante la pubblicità, l'obbligo di motivazione dei procedimenti e il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Essa rappresenta un obiettivo delle amministrazioni pubbliche per quanto riguarda il loro utilizzo delle tecnologie dell'informazione. Nella giurisprudenza amministrativa italiana si fa frequente ricorso in modo implicito od esplicito alla cosiddetta ragionevolezza. Essa si riferisce a quel determinato modo di pensare che costituisce l'elemento unificante e caratterizzante della comunità e che è dato da caratteristiche storico-antropologiche comuni. Viene talvolta considerata un principio autonomo; altre volte viene collegata al principio di imparzialità in quanto considerata espressiva del divieto di trattamenti arbitrari visti come lesivi del principio di eguaglianza. Pretendere ragionevolezza significa considerare sufficiente ciò che può ritenersi attendibile secondo modi di ragionare condivisi in una comunità, tenendo conto della diversità dei problemi, delle situazioni, dei tempi e così via; d'altro canto la ragionevolezza o irragionevolezza di un'azione o di una decisione è definibile solo in relazione a un risultato consapevolmente o inconsapevolmente atteso. La ragionevolezza più che un principio sembra essere un criterio attraverso il quale si valuta il rispetto di norme o principi quando non sarebbe possibile o sarebbe troppo difficile raggiungere delle certezze. A tale criterio viene ricondotta la proporzionalità con la quale si tenta di adeguare una certa norma a un determinato risultato sulla base di regole che vorrebbero garantire il rigore del ragionamento in relazione al quale verrà presa una decisione. Le amministrazioni pubbliche sono tenute anche al rispetto di principi generali del diritto come la certezza del diritto, la buona fede, la correttezza e il legittimo affidamento.
PRINCIPI E REGOLE COSTITUZIONALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
I principi generali dell'amministrazione pubblica e i principi generali del diritto insieme alle regole che ne costituiscono l'articolazione e la integrazione e alle modalità della tutela giurisdizionale rappresentano gli elementi costitutivi del regime di diritto amministrativo. Per quanto attiene alle modalità particolari della tutela giurisdizionale, si ritiene che debbano trovare applicazione ma è possibile che in tale attività possa insorgere qualche dubbio. I privati nei confronti delle amministrazioni pubbliche e di qualsiasi altro soggetto possono vantare dei diritti soggettivi imponendo loro di rispettare la disciplina che costituisce attuazione degli specifici principi costituzionali. In una situazione nella quale un soggetto può disporre in modo autonomo del proprio bene mediante un contratto, gli interessati la cui richiesta non sia stata accolta sarebbero in una posizione di mera soggezione e i loro interessi non potrebbero essere tutelati dal momento che su un contratto intercorso tra altri soggetti, i terzi non possono avere parola; per quest'ultimi tale contratto è giuridicamente irrilevante. Il potere discrezionale di una pubblica amministrazione è soggetto ai principi generali e alla disciplina che li attua. I portatori di interessi potrebbero soddisfarli mediante l'esercizio di tale potere non trovandosi in una posizione di mera soggezione. Per interesse legittimo si intende la posizione giuridica di una pubblica amministrazione di scegliere un potere discrezionale in relazione ad un potere che può essere esercitato solo rispettando delle regole le quali non possono garantire con certezza la soddisfazione degli interessi dei portatori di interessi legittimi. Per interesse legittimo si intende anche la posizione del singolo protetta nei confronti di quella della pubblica amministrazione quando l'osservanza da parte di quest'ultima delle regole che ne disciplinano l'attività corrisponde a un interesse del singolo che si differenzia da quelli della generalità dei cittadini. Ad esempio, un individuo che partecipa a un concorso chiede che la pubblica amministrazione rispetti le regole che ne disciplinano lo svolgimento; se questa non rispetta tali regole, il concorsista può chiedere al giudice l'annullamento del concorso. Ci sono inoltre poteri dell'amministrazione che possono incidere su diritti soggettivi di cui i terzi sono già titolari, per esempio sottraendoli e trasferendoli ad altri, come avviene con l'esercizio del potere di espropriazione. Secondo alcune disposizioni della Costituzione, i diritti soggettivi hanno piena tutela giurisdizionale anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni e tale tutela riguarda anche gli interessi legittimi. Si occupano di tale tutela i giudici ordinari e quelli amministrativi. Di regola i primi tutelano i diritti soggettivi, mentre i secondi tutelano gli interessi legittimi. In certi casi la legge prevede che i giudici amministrativi possono tutelare anche diritti soggettivi. Per quanto riguarda il potere di annullamento degli atti amministrativi, questo può essere di competenza sia dei giudici ordinari che dei giudici amministrativi.
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