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Onore è il complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della persona: più precisamente è l'insieme delle doti morali (onestà, lealtà), intellettuali (intelligenza, educazione, istruzione) fisiche (sanità, prestanza) e delle altre qualità che concorrono a determinare il pregio dell'individuo nell'ambiente in cui vive. L'ordinamento penale, più che l'onore così concepito, ne considera i riflessi, i quali sono di due specie: soggettivo e oggettivo. Il riflesso soggettivo è costituito dall'apprezzamento che l'individuo fa delle sue doti e, in sostanza, del sentimento del proprio valore sociale. Il riflesso oggettivo è rappresentato dal giudizio degli altri, e precisamente dalla considerazione in cui l'individuo è tenuto dal pubblico: dalla reputazione di cui egli gode nella comunità. Il codice vigente configura due delitti contro l'onore: l'ingiuria e la diffamazione. Il codice, a differenza di quello abrogato, il quale distingueva le due figure delittuose a seconde che l'offesa non consistesse o non consistesse nell'attribuzione di un fatto determinato, considera come elemento caratteristico la presenza dell'offeso nell'ingiuria. Dalla disciplina codicistica discende che nell'ingiuria è offeso prevalentemente il sentimento del proprio onore, mentre nella diffamazione è offesa prevalentemente la reputazione.
Ambedue i delitti consistono in una manifestazione di pensiero. Come in tutti i reati del genere, per la consumazione di essi è necessario che l'espressione offensiva pervenga a conoscenza di un'altra persona: sia da altri percepita. Noi riteniamo che i due delitti abbiano a considerarsi di pericolo per la ragione che l'ingiuria non esige che il soggetto passivo si sia sentito offeso nel suo onore: abbia, cioè, provato un'umiliazione, mentre per la diffamazione non è necessario che il biasimo abbia trovato credito presso coloro che lo hanno appreso, e, quindi, non esige che la reputazione sia distrutta o diminuita.
La manifestazione offensiva ha un significato che, per quanto collegato con le parole pronunciate o scritte, oppure con i gesti effettuati, non è sempre identico per tutte le persone. Occorre mettere in rilievo che il valore offensivo di una espressione è assai relativo, variando notevolmente con i tempi, i luoghi e le circostanze. Occorre tenere presente che esiste un onore e decoro minimo che è comune ad ogni persona per il solo fatto di essere uomo. Tale onore e decoro deve essere rispettato in qualsiasi individuo. Questa è un'esigenza della civiltà moderna. Al di sopra del detto minimum, il carattere ingiurioso del fatto dipende dalla posizione sociale dell'offeso.
Chi può essere soggetto passivo dei delitti contro l'onore? Si discute se possano essere offesi gli individui privi della capacità d'intendere o di volere, e cioè gli immaturi e gli infermi di mente. Si afferma che queste persone per le loro condizioni non sono in grado di sentire l'offesa come tale, né di subire una diminuzione della reputazione. Poiché ciò non è sempre vero, e poiché è inammissibile svillaneggiare impunemente tali soggetti, riteniamo che si debba riconoscere anche ad esse la capacità di divenire soggetti passivi dei reati in esame. Si discute se un'offesa penalmente rilevante possa sussistere nei confronti delle persone giuridiche. Esatta pare la tesi positiva, perché, mentre in linea di fatto è ben possibile ingiuriare e diffamare enti collettivi, come una società, dicendo, ad es. che "è un'accolta di filibustieri". I defunti devono invece escludersi dal novero dei possibili soggetti passivi dei delitti contro l'onore. L'offesa alla loro memoria. La quale è espressamente prevista nell'ultimo comma dell'art. 597, colpisce i viventi che hanno interesse a pretendere il rispetto, e cioè i prossimi congiunti, l'adottante e l'adottato, i quali sono i veri soggetti passivi del reato.
Entrambi i reati sono perseguibili a querela di parte. Qualora l'offeso decida prima della presentazione delle querela senza aver espressamente o tacitamente rinunziato al diritto relativo, la querela, per il disposto del terzo comma dell'articolo predetto (597), può essere proposta da un prossimo congiunto oppure dal suo adottante o adottato, sempre che non sia decorso il termine di tre mesi dal giorno in cui l'estinto aveva avuto notizia del fatto che costituisce il reato. Ai prossimi congiunti, all'adottante e all'adottato spetta altresì il diritto di querela per le offese alla memoria dei defunti.
Ai sensi dell'art. 594 questo reato consiste nel fatto di colui che "offende l'onore o il decoro di una persona presente". L'elemento oggettivo del reato consta di due componenti, il primo dei quali è costituito da una offesa all'onore o al decoro di una persona. L'onore è espressione qui usata in senso stretto, e cioè come indicativa delle sole qualità morali. Il decoro va riferito alle altre qualità e condizioni che concorrono a costituire il valore sociale dell'individuo. L'ingiuria, sia che riguardi l'onore nel senso indicato, sia che concerna il decoro, è sempre atto di disprezzo. Ma l'offesa all'onore o al decoro della persona non è sufficiente a costituire l'elemento oggettivo dell'ingiuria: occorre anche la presenza dell'offeso. Il delitto si consuma con la percezione, da parte del soggetto passivo, dell'espressione oltraggiosa: in altri termini, nel momento in cui la parola è udita, l'atto è visto, lo scritto o il disegno è ricevuto dal soggetto stesso. Data la struttura del delitto di ingiuria, il tentativo è certamente configurabile in astratto. In concreto, la possibilità di ravvisarne gli estremi è alquanto limitata dal fatto che il reato è perseguibile a querela di parte, e questa presuppone che il soggetto passivo sia venuto a conoscenza dell'offesa rivoltagli.
L'essenza del dolo richiesto per l'ingiuria è controversa. Una notevole corrente dottrinaria considera necessario il c.d. animus iniurandi, vale a dire, l'intenzione di offendere la persona, di ledere il suo sentimento dell'onore. Se il legislatore avesse voluto esigere l'intenzione, e cioè il fine di ledere l'onore della persona, avrebbe configurato l'elemento soggettivo del reato come dolo specifico. In base a queste considerazioni si deve ritenere che per l'esistenza del dolo dell'ingiuria basti che l'agente, nel realizzare volontariamente, si sia reso conto della capacità offensiva delle parole pronunciate o scritte, oppure gli atti compiuti.
Il codice contempla per l'ingiuria due circostanze aggravanti speciali. La prima consiste nell'attribuzione di un fatto offensivo determinato. Ma quando è che un fatto può dirsi determinato? Per aversi questo risultato, non è necessario che siano precisate tutte le particolarità del fatto addebitato; basta che la sua enunciazione presenti una certa concretezza, sia, cioè, accompagnata da qualche nota che la faccia apparire vera, rendendola credibile. La seconda aggravante ricorre allorché viene commessa in presenza di più persone. In proposito va rilevato che tra le persona presenti, le quali debbono essere naturalmente almeno due, non va compreso né l'offeso né gli eventuali compartecipi dell'agente.
Affine al delitto in esame è la contravvenzione prevista nell'art. 660 del codice, contravvenzione della quale parleremo in sede più opportuna.
Per l'art. 595 si ha la diffamazione allorché taluno, "fuori dai casi indicati nell'articolo precedente", "comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione". L'elemento oggettivo di questo reato implica tre requisiti:
assenza dell'offeso. Questo elemento negativo implica che l'offeso non sia presente nel momento dell'azione criminosa;
l'offesa all'altrui reputazione; la reputazione non è altro che il riflesso oggettivo dell'onore inteso in senso ampio, e cioè la valutazione che il pubblico fa del pregio dell'individuo e, quindi, la stima che questi gode tra i consociati;
l'offesa alla reputazione deve essere effettuata "comunicando con più persone". Con tale modalità si realizza quella divulgazione che è una delle caratteristiche strutturali del reato. Il mezzo con cui si attua la comunicazione, come per l'ingiuria, è indifferente: parole, scritti, disegni e così via. Anche la fotografia, la cinematografia, la radio, la televisione, la videoscrittura possono essere utilizzati a tale scopo. La comunicazione deve essere fatta ad almeno due persone, ma non è necessario che avvenga contemporaneamente, potendo aver luogo in tempi diversi. Essa non perde il carattere criminoso se è fatta in via confidenziale o riservata.
Il delitto si consuma nell'istante in cui si verifica la diffusione della manifestazione offensiva. Si intende che, nel caso di comunicazione fatta separatamente a varie persone, il momento consumativo coincide con la seconda comunicazione. Per il tentativo vale quanto detto per l'ingiuria. Anche per l'elemento soggettivo vale quanto detto per l'ingiuria. Quindi non si reputa indispensabile l'animus diffamandi, inteso come fine di ledere la reputazione di un'altra persona, perché l'art. 595, al pari del precedente, non esige un dolo specifico.
Sono previste tre circostanze aggravanti speciali, le quali ricorrono:
allorché l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad un'Autorità costituita in collegio;
se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato;
quando l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico.
La ratio di questa aggravante sta proprio nel fatto che il mezzo di comunicazione usato importa una maggiore divulgazione dell'addebito disonorante e, quindi, determina un maggior danno. Per quanto concerne in particolare la stampa, permesso che per l'art. 1 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 sono considerate stampe o stampati tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione, va notato che è indifferente che si tratti di stampa periodica o episodica. È pure indifferente che la diffusione si sia verificata con l'osservanza delle prescrizioni di legge o senza.
Trovano larga applicazione le cause di giustificazione che il codice prevede per tutti i reati nella Parte generale. È necessario qui far cenno delle ipotesi principali che rientrano in quegli schemi, anche perché rispetto ad alcune di esse sorgono difficoltà interpretative. Le cause di giustificazione che più ricorrono nel campo dei reati contro l'onore sono l'adempimento di un dovere giuridico e l'esercizio di una facoltà legittima (art. 51). Fra i doveri giuridici che escludono la punibilità delle offese recate al sentimento dell'onore o alla reputazione di una persona ricordiamo in particolare:
l'obbligo di denuncia di reato che incombe ai pubblici ufficiali, agli incaricati di un pubblico servizio, agli esercenti di professioni sanitarie e in alcuni casi a tutti i cittadini;
l'obbligo di esporre determinati fatti imposti ai testimoni, ai periti, agli interpreti nel processo sia penale che civile;
l'obbligo che spetta ai pubblici ufficiali, compresi i giudici di motivare i provvedimenti che adottano;
l'obbligo di rendere note agli interessati le irregolarità riscontrate nella gestione delle imprese commerciali, prescritto dalle leggi civili ai sindacati delle società, ai liquidatori, ai curatori di fallimento ecc.
Assai numerosi sono i casi in cui la punibilità è esclusa per l'esercizio di una facoltà legittima. Le ipotesi più notevoli possono così raggrupparsi:
facoltà di biasimo derivante da un potere disciplinare. Tale potere, che può avere il suo fondamento in rapporti di famiglia, di impiego, di lavoro, di associazione esclude che nel rimprovero rivolto dal superiore all'inferiore possano ravvisarsi gli estremi dell'ingiuria e della diffamazione;
facoltà di critica direttamente o indirettamente riconosciuta dall'ordinamento. Nella categoria rientra anzitutto la critica politica, la critica artistica e scientifica. La facoltà di critica non è senza limiti. Per giustificare il fatto essa deve corrispondere allo scopo per cui la facoltà è concessa e deve essere svolta con correttezza di modi;
facoltà di narrare al pubblico, per mezzo della stampa, i fatti che avvengono. La facoltà in esame, riconosciuta anche all'art. 21 della Costituzione, riguarda anzitutto i resoconti sia degli atti parlamentari che degli atti giudiziari. la Facoltà in parola concerne poi la cronaca vera e propria. Possono ritenersi lecite pubblicazioni che riguardino la vita privata delle persone, ledendone l'onorabilità, a meno che i fatti non siano già oggetto di inchiesta da parte dell'Autorità giudiziaria o non presentino un rilevante interesse pubblico. Da ultimo ricordiamo che le informazioni commerciali, in quanto fornite regolarmente nei modi consentiti dalla legge o dalla consuetudine, non possono dar luogo a responsabilità penale.
Per i delitti contro l'onore sono previste quattro cause speciali di non punibilità.
OFFESE IN SCRITTI E DISCORSI PRONUNCIATI DAVANTI ALLE AUTORITA' GIUDIZIARIE O AMMINISTRATIVE. L'art. 598 del codice stabilisce che "non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa, quando le offese concernano l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo". Per quanto le offese poste in essere nelle circostanze e nei modi sopra indicati vadano esenti da pena, il giudice, pronunciando nella causa, non può solo richiedere provvedimenti disciplinari a carico dell'autore, ma anche ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, ad assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
LA PROVOCAZIONE. Per il disposto dell'art. 599 comma 2 non è punibile chi ha commesso uno dei fatti di cui agli art. 594 e 595 "nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso". La provocazione assurge nei delitti contro l'onore a causa di giustificazione. Perché ciò avvenga, però, la legge esige che la reazione offensiva si verifichi subito dopo il fatto che ha determinato lo stato d'ira, il che, come è noto, non è richiesto nei casi normali di provocazione.
RITORSIONE. Un particolare potere è attribuito al giudice in materia di delitti contro l'onore, e più precisamente per il delitto di ingiuria. Il primo comma dell'art. 599, infatti, stabilisce che nei casi previsti dall'art. 594, "se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori. Nel terzo comma dell'articolo viene precisato che tale disposizione si applica anche all'offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute. Affinché le offese possano considerarsi reciproche è necessario che esista tra di esse un rapporto diretto, e cioè che l'una sia conseguenza dell'altra. Certamente entrambe le offese devono essere illegittime, ma non si esige che siano della stessa qualità. La legge rimette completamente al saggio giudizio del magistrato.
PROVA LIBERATORIA. L'art. 596 del codice nel testo originale recava: "Il colpevole di delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Tuttavia, quando l'offesa e l'offensore possono, d'accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d'onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo". Nel 1944 nel riportato articolo sono state aggiunte le seguenti disposizioni: quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale: a) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni; b) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale; c) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito. Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è condannata dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano di per se stessi applicabili le disposizioni dell'art. 594 comma 1 o dell'art. 595 comma 1 (ingiuria o diffamazione). Una volta richiesta l'estensione ad accertare la veridicità delle affermazioni, la richiesta diviene irrevocabile.
NOTIZIE STORICHE. Nel diritto romano l'onore era il pieno godimento dei diritti civili. L'onore nel rilievo attuale, ebbe netto rilievo nel diritto germanico, il quale lo considerò come bene giuridico a sé sotto il duplice aspetto del sentimento della propria dignità e della reputazione da parte di terzi. L'elaborazione di tali teorie da parte dei giuristi del Medioevo preparò le riforme del periodo dell'illuminismo, alle quali si riallacciano le legislazioni moderne.
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