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I procedimenti e i sistemi di elezione delle camere
Ovviamente comuni sono i principi che governano l'elettorato, tanto attivo quanto passivo. Da un lato, la stessa costituzione proclama che deputati e senatori sono eletti a suffragio universale e diretto. D'altro lato, comune è il regime delle cause d'ineleggibilità e d'incompatibilità. Assolutamente in eleggibili ad entrambi i rami del parlamento sotto pena d'invalidità, salvo che l'esercizio delle relative funzioni sia cessato almeno 180 giorni prima della scadenza del quinquennio delle camere, sono i presidenti delle province, i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, gli alti gradi e i funzionari della pubblica sicurezza, i capi di gabinetto dei ministri, i prefetti e i viceprefetti, gli alti gradi delle forze armate, i magistrati e i diplomatici. L'esclusione "risponde a imprescindibili esigenze di interesse generale" le quali richiedono, per un verso, "che l'espressione del voto rappresenti la libera e genuina manifestazione di volontà dell'elettore, donde l'ineleggibilità delle persone e dei funzionari che possono esercitare pressione sugli elettori stessi. Al di fuori di questi tipi d'ipotesi, si pongono invece numerose cause d'incompatibilità, che non rendono annullabile l'elezione, ma sono sanabili qualora gli interessati optino entro un breve termine fra le cariche da essi ricoperte ed il mandato parlamentare.
Le sole differenze già segnalate, attengono invece a quella che si suole definire la capacità elettorale: vale a dire all'età minima richiesta per votare e per essere votati. Fondamentalmente comuni si dimostrano, altresì, i rispettivi procedimenti elettorali. In entrambi i casi l'iter si suddivide in quattro o cinque momenti fra loro distinti: cioè nella fase dell'iniziativa, nella fase preparatoria, nella fase della votazione e nella fase dello scrutinio. A mettere in moto la macchina elettorale è il decreto con il quale il presidente della repubblica effettua la convocazione dei comizi elettorali. Si apre a questo punto la complessa fase preparatoria, con la costituzione dei vari uffici elettorali. Ed è agli uffici stessi che i partiti od i gruppi politici organizzati presentano le candidature nei collegi uninominali e le rispettive liste di candidati. Quanto alla fase della votazione, s'impone in ogni caso il rispetto delle proclamazioni sulla personalità, libertà e segretezza del voto. In ogni seggio, dopo che gli elettori hanno votato nel corso dell'unica giornata elettorale si svolgono le prime operazioni di scrutinio. Ed è su quella base che gli uffici medesimi provvedono alla proclamazione degli eletti.
Le sole varianti significative discendono dalla diversità dei sistemi di elezione delle due assemblee. I sistemi elettorali sono complessi "meccanismi per la trasformazione dei voti in seggi": nella definizione dei quali rileva anzitutto la varia tipologia dei collegi elettorali e delle corrispondenti circoscrizioni. Di norma, il territorio dello stato viene a questi fini suddiviso in più circoscrizioni e dunque in più collegi. Tali collegi si dicono uninominali, quando ognuno di essi dispone di un solo seggio; plurinominali, quando i seggi rispettivamente assegnati sono più d'uno e concretamente possono assommare anche a varie decine di unità. Al di là della nota contrapposizione fra i sistemi elettorali maggioritari e i sistemi elettorali proporzionali, i meccanismi in questione si presentano a venire quanto meno quadripartiti: in primo luogo si danno i sistemi maggioritari estremi o puri, per cui la forza politica che consegue nel collegio la maggioranza relativa si vede con ciò stesso attribuiti il seggio o i seggi disponibili; in secondo luogo, seguono i sistemi proporzionali corretti, per mezzo dei quali la ripartizione dei seggi si effettua in proporzione ai suffragi ottenuti dai vari partiti concorrenti; in quarto luogo, il quadro è completato dai sistemi proporzionali estremi o puri, in cui non vigono correttivi di sorta, sicché il parlamento tende ad essere lo specchio fedele del paese politicamente considerato. Ora in presenza dei collegi uninominali, occorre per definizione avvalersi dei sistemi maggioritari; ma i sistemi stessi possono essere ad unico turno, come nel caso della Gran Bretagna, ovvero a doppio turno, come si verifica tuttora in Francia. Per contro, i collegi plurinominali richiedono generalmente l'applicazione dei sistemi proporzionali; ma non mancano alcune eccezioni, rappresentate da quei sistemi maggioritari "di schiacciamento", per mezzo dei quali le forze politiche prevalenti s'impadroniscono di tutti i seggi spettanti al collegio.
Quanto alla elezione del Senato, la riforma è stata resa indispensabile dal referendum abrogativo del 18 aprile 1993. Il referendum fu ammesso in quanto manipolativo, anziché produttivo di un paralizzante vuoto: "conseguenza dell'abrogazione" sarebbe stata "la sostituzione del sistema attuale con un sistema misto prevalentemente maggioritario e precisamente maggioritario con unico turno per 238 seggi da assegnare nei collegi. Ogni territorio regionale è stato perciò "ripartito in collegi uninominali, pari a tre quarti dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento per difetto"; mentre, "per l'assegnazione degli ulteriori seggi spettanti", in primo luogo del sistema maggioritario uninominale, "ciascuna regione è costituita in un'unica circoscrizione elettorale". Ciò comporta "candidature individuali". Per altro i gruppi meno forti sono avvantaggiati dalla scorporo, consistente nel fatto che dalla cifra elettorale regionale di ciascun gruppo vanno "sottratti i voti dei candidati già proclamati eletti".
Le nuove norme per l'elezione della camera dei deputati, sono fondamentalmente in linea con quelle introdotte per il Senato. Anche dalla camera, infatti, si prevede che, "in ogni circoscrizione, il settantacinque per cento del totale dei seggi" venga "attribuito nell'ambito di altrettanti collegi uninominali"; mentre il residuo venticinque per cento deve essere "attribuito in ragione proporzionale mediante riparto tra liste concorrenti". Le tecniche utilizzate non coincidono però: in primo luogo agli elettori spetta un doppio voto. In secondo luogo, lo scorporo dalla cifra elettorale di ciascuna lista non tiene conto di tutti i voti ottenuti dai relativi candidati eletti nei collegi uninominali; in terzo luogo, al riparto della quota proporzionale non partecipano tutte le liste presentate nelle singole circoscrizioni. Ciò che più conta, le riforme in questione non sono riuscite a rendere possibile la formazione di forti maggioranze entro il parlamento e la conseguente investitura di governi destinati a durare per l'intera legislatura.
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