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I MEZZI DI PROVA
Con l'espressione "mezzo di prova" si vuole indicare quello strumento processuale che permette di acquisire un elemento di prova.
Il codice prevede sette mezzi di prova tipici: essi sono la testimonianza, l'esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, la perizia e i documenti.
Il codice consente che possano essere assunte prove atipiche, e cioè non regolamentate dalla legge.
Tuttavia è possibile ammettere una prova atipica solo se questa è idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona.
Occorre che il giudice senta le parti sulle modalità di assunzione della prova prima di decidere con ordinanza sulla richiesta di ammissione.
L'ordinanza del giudice che accoglie o respinge la richiesta è controllabile mediante l'impugnazione della sentenza.
Il codice pone una netta distinzione tra due mezzi di prova: la testimonianza e l'esame delle parti.
La distinzione riguarda aspetti sia di diritto processuale, sia di diritto penale sostanziale.
Il testimone ha l'obbligo penalmente sanzionato di presentarsi al giudice e di dire la verità.
Viceversa l'imputato, e più in generale le parti private, quando vengono esaminate ai sensi del 208 (Richiesta dell'esame) non hanno l'obbligo di presentarsi, né l'obbligo di rispondere alle domande, né l'obbligo di dire la verità.
La qualità di testimone è di regola incompatibile con la qualità di parte privata e, in particolare, di imputato; un'eccezione è la parte civile, che può esser sentita come testimone coi relativi obblighi penali.
Le altre parti private (responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) non possono essere chiamate a deporre come testimoni, né possono offrirsi spontaneamente in tale ruolo.
Il testimone ha i seguenti obblighi:
a. l'obbligo di presentarsi al giudice; se non si presenta senza un legittimo impedimento, il giudice può ordinare il suo accompagnamento coattivo e può condannarlo al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa.
b. l'obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali (198);
c. l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte: se tace ciò che sa, afferma il falso o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza.
La deposizione è resa in dibattimento con le forme dell'esame incrociato.
Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova.
Le domande devono essere pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all'imputazione, sia i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.
Il 194 pone un secondo limite alle domande: esse devono avere ad oggetto "fatti determinati".
Di conseguenza, il testimone di regola non può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali, salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.
Infine, non può deporre su voci correnti nel pubblico.
Le deposizioni sulla moralità dell'imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici.
Le domande che riguardano la persona offesa dal reato incontrano due limiti.
Il primo è posto dal 194.2: nella seconda parte esso dice che La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona.
Il secondo riguarda i procedimenti per i delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone: le domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato sono di regola vietate; sono consentite se sono necessarie alla ricostruzione del fatto.
Dei fatti da provare il testimone può avere una conoscenza diretta o indiretta.
Il codice pone alcune condizioni all'utilizzabilità della deposizione indiretta:
a. il testimone indiretto deve indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame;
b. quando una delle parti chiede che venga sentita nel processo la persona che ha avuto conoscenza diretta del fatto, il giudice è obbligato a disporne la citazione.
È vietato assumere deposizioni su fatti appresi da persone vincolate da segreto professionale o d'ufficio, salvo che queste abbiano comunque divulgato tali fatti (195.6).
La prova delle dichiarazioni rese dall'imputato e dall'indagato in un atto del procedimento deve ricavarsi unicamente dal verbale che deve essere redatto ed utilizzato con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento.
In primo luogo, il divieto ha natura oggettiva, e cioè pare riferirsi a chiunque riceva le dichiarazioni.
In secondo luogo, il divieto ha per oggetto dichiarazioni in senso stretto, e cioè espressioni di contenuto narrativo: risultano quindi riferibili per sentito dire quelle dichiarazioni che costituiscono espressioni di volontà o meri comportamenti.
In terzo luogo, le dichiarazioni nei cui confronti opera il divieto sono quelle rese nel corso del procedimento: l'espressione deve essere intesa nel senso di "in occasione" di un atto tipico e non "durante la pendenza" del procedimento.
Infine, il divieto riguarda le dichiarazioni dell'imputato che abbiano una valenza di prove, e non quelle che siano rilevanti come fatti storici di reato (che devono essere accertati mediante un processo penale).
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle sommarie informazioni assunte da testimoni o imputati connessi, e sul contenuto delle denunce, querele o istanze, delle informazioni e delle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato.
Ex 195.4 fuori delle ipotesi di espresso divieto la testimonianza indiretta della polizia è ammessa.
Il codice pone, in via generale, la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare.
Non possono essere assunti come testimoni (bensì sono sentiti con l'esame ai sensi del 210) gli imputati concorrenti nello stesso reato (o situazioni assimilate in base al 12).
Di regola non possono essere assunti come testimoni, bensì sono sentiti con l'esame ai sensi del 210:
gli imputati in procedimenti connessi nel caso in cui i reati per cui si procede sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri (c.d. connessione teleologica);
gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati ai sensi del 371.2 lettera b).
A tale regola sono state poste due eccezioni:
a. i soggetti menzionati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi del 444;
b. gli imputati menzionati divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell'interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti altrui: in questo caso la compatibilità è parziale perché è limitata ai fatti altrui.
Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
Esse possono rendere dichiarazioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti e, quindi, senza l'obbligo penalmente sanzionato di dire il vero.
Non possono essere assunti come testimoni coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario.
Sono altresì incompatibili il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione dell'intervista.
Il codice accoglie la regola generale in base alla quale il testimone ha l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell'esame.
Alla posizione soggettiva del teste non corrisponde, a carico di chi lo interroga, l'obbligo di informarlo che può non rispondere, né è vietato alle parti fare domande autoincriminanti al testimone.
Quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, la legge vieta al giudice di costringerlo a parlare.
La violazione di un divieto probatorio comporta l'inutilizzabilità del dato che è stato acquisito (191.1).
Una volta che il testimone abbia reso una dichiarazione dalla quale emergano indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente, e cioè in questo caso il giudice, deve interrompere l'esame ed avvertire il soggetto che a seguito di tali dichiarazioni potranno esser svolte indagini nei suoi confronti, ed invitare lo stesso a nominare un difensore.
I prossimi congiunti dell'imputato non possono essere obbligati a deporre come testimoni.
Sono prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti; fra i prossimi congiunti non si comprendono gli affini allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole (307.4 c.p.).
Il codice di procedura penale impone che il testimone prossimo congiunto dell'imputato sia avvisato dal giudice della facoltà di astenersi dal rendere la deposizione.
Se l'avviso è omesso, la dichiarazione resa è affetta da nullità relativa e l'eventuale reato di falsa testimonianza non è punibile.
Nel caso in cui il prossimo congiunto decida di non astenersi e, quindi, deponga come testimone, egli va incontro all'obbligo di verità e non può più rifiutarsi di rispondere alle singole domande.
Prima che inizi l'esame incrociato, il giudice avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità e lo informa della conseguente responsabilità penale.
Quando appare che il testimone violi l'obbligo di rispondere secondo verità, solo il giudice può rivolgergli l'ammonimento a rispettare l'obbligo di dire il vero.
Le parti non possono ammonire il testimone, ma possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere.
Può accadere che il testimone rifiuti di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
In tal caso il giudice provvede ad avvertirlo sull'obbligo di deporre secondo verità.
Se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge (207.1).
In ogni caso è fatto divieto di arrestare in udienza il testimone per reati concernenti il contenuto della deposizione (476.2), e cioè per la testimonianza falsa o reticente.
Il professionista non rientrante nelle
categorie indicate nel
Per "segreto" si intende una notizia che non deve essere portata alla altrui conoscenza e che, pertanto, non è già di per sé notoria.
Il professionista "comune", non rientrante nelle categorie del 200, è penalmente tenuto a non rivelare senza giusta causa i segreti dei quali è venuto a conoscenza per ragione della propria professione, arte, stato od ufficio quando ciò possa nuocere al cliente, ma deve rispondere secondo verità quando è sentito come testimone nel processo penale (giusta causa).
Il professionista "qualificato", rientrante nelle categorie del 200, può invece rifiutarsi di rispondere alla singola domanda che lo induca a narrare un fatto segreto appreso nell'esercizio della sua professione.
Possono opporre il segreto professionale, quando sono sentiti in qualità di testimoni:
i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano
gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai
i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria
gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale
Il segreto professionale è esteso ai giornalisti, con alcuni limiti:
a. esso può essere mantenuto relativamente ai nomi delle persone dalle quali è stata appresa una notizia di carattere fiduciario nell'esercizio della professione;
b. possono opporre questo segreto solo i giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale;
c. il giornalista è comunque obbligato ad indicare al giudice la fonte delle sue informazioni quando le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia.
Il segreto d'ufficio vincola il pubblico ufficiale e l'incaricato di un pubblico servizio (326 c.p.).
Una particolare specie di segreto d'ufficio è il segreto di Stato, che copre ogni notizia la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità dello Stato democratico [.], alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato.
Quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio oppone il segreto di Stato, la valutazione sulla fondatezza dell'eccezione è sottratta al giudice ed è attribuita al presidente del consiglio dei ministri.
Se la prova è essenziale per la definizione del processo, il giudice deve dichiarare di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato.
Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei Ministri non dia conferma del segreto, il giudice ordina che il testimone deponga.
Un'altra specie di segreto è quella che consente di non rivelare i nomi degli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza (ma tutto quello che si afferma di aver "sentito dire" da loro non può essere acquisito né utilizzato, se non quando l'informatore sia stato esaminato).
È denominato esame delle parti il mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire all'accertamento dei fatti nel processo penale.
Possono definirsi "generali" le seguenti regole:
a. il dichiarante non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità, né di essere completo nel narrare i fatti; inoltre egli ha la facoltà di non rispondere alle domande;
b. le dichiarazioni sono rese secondo le norme sull'esame incrociato; pertanto le domande sono formulate di regola dal p.m. e dai difensori delle parti private nell'ordine indicato nel 503.1 (parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e imputato);
c. le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova.
L'esame delle parti è sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che rilascia la dichiarazione.
Il primo regime giuridico riguarda l'esame dell'imputato nel proprio procedimento.
L'esame ha luogo solo su richiesta o consenso dell'interessato.
Il mancato consenso non può essere valutato dal giudice in senso negativo per l'imputato.
L'imputato che ha chiesto l'esame (o vi ha consentito) non è vincolato all'obbligo di rispondere secondo verità; infatti egli non è testimone.
L'imputato può dire il falso senza incorrere in conseguenze penali finché è coperto dalla causa di non punibilità prevista dal 384.1 c.p.; viceversa, è punibile se incolpa di un reato un'altra persona, sapendola innocente (368 c.p.: Calunnia) o se afferma falsamente essere avvenuto un reato che nessuno ha commesso (367 c.p.: Simulazione di reato).
Nel corso dell'esame l'imputato può rifiutarsi di rispondere ad una qualsiasi domanda (e cioè, su di un fatto proprio o altrui); del suo silenzio deve essere fatta menzione nel verbale.
L'imputato ha il privilegio di poter affermare di aver "sentito dire" qualcosa, senza essere vincolato alle condizioni di utilizzabilità poste dal 195 (Testimonianza indiretta); infatti egli può non indicare la fonte (persona o documento) da cui ha appreso l'esistenza di un fatto.
La sua dichiarazione per sentito dire può essere usata.
L'esame del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e della parte civile che non debba essere esaminata come testimone si svolge con regole identiche a quelle che valgono per l'imputato, salvo un particolare.
Se le parti private diverse dall'imputato affermano di aver "sentito dire", valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità previste dal 195.
Il regime ordinario dell'esame delle parti comporta che i soggetti menzionati siano esaminati solo se richiedono l'esame o vi consentono; essi non hanno l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità.
Occorre sottolineare che la parte civile, quando è chiamata a testimoniare, è obbligata a deporre in tale qualità e non come parte privata; di conseguenza, assume l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità.
Per quanto riguarda l'esame di persone imputate in procedimenti connessi, l'imputato connesso o collegato può dare quattro tipi di contributi probatori in dibattimento.
Possiamo definire "imputato connesso o collegato" l'imputato di quel procedimento che ha rispetto al procedimento principale un rapporto di connessione (12: Casi di connessione) o di collegamento probatorio (371.2 lett. b) a prescindere dalla circostanza che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati.
Il codice detta una disciplina apposita per l'imputato di un procedimento connesso nelle ipotesi di concorso nel medesimo reato e situazioni assimilate.
Tale soggetto, che d'ora in poi chiameremo "imputato concorrente", è incompatibile con la qualifica di testimone fino a che nei suoi confronti non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
In linea generale l'imputato concorrente gode delle stesse garanzie riconosciute all'imputato principale.
Tuttavia egli è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui: sotto questo profilo l'imputato concorrente viene assimilato al testimone perché ha l'obbligo di presentarsi.
Per tutto il resto egli è assimilato alla figura base dell'imputato: il dichiarante ha la facoltà di non rispondere e di mentire impunemente; inoltre è obbligatoriamente assistito da un difensore.
Inoltre, l'imputato concorrente è avvisato che ha la facoltà di non rispondere, salvo che si tratti di una domanda sulla sua identità personale.
Ancora, se l'imputato concorrente decide di rispondere, non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità (restano punibili solo la calunnia e la simulazione di reato).
L'imputato concorrente può tacere anche se la domanda non è suscettibile di assumere un significato autoincriminante.
Vi è un regime peculiare per gli imputati connessi teleologicamente o collegati che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato (tali soggetti, se hanno reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri, possono essere chiamati a deporre come testimoni assistiti).
I predetti imputati, che per semplificare chiameremo "connessi teleologicamente o collegati", sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere e sono altresì avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno la qualifica di teste limitatamente a tali fatti.
A quel punto inizia l'escussione.
L'imputato connesso teleologicamente o collegato ha facoltà di tacere e, se parla, non ha obbligo di verità.
Tuttavia, se rende dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altro imputato (collegato o connesso teleologicamente), da quel momento egli diventa compatibile con la qualifica di testimone assistito limitatamente ai fatti dichiarati e deve rispondere su di essi con obbligo di verità.
Ogni domanda su nuovi temi di prova concernenti la responsabilità altrui pone l'imputato connesso teleologicamente o collegato nell'alternativa tra tacere o rispondere.
Una volta che abbia reso dichiarazioni su fatti altrui, egli è idoneo ad assumere la qualifica di testimone assistito.
Quando è sentito eccezionalmente in qualità di testimone, l'imputato è assistito obbligatoriamente dal difensore di fiducia (o d'ufficio) in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre.
Il legislatore ha introdotto due categorie di testimonianza assistita:
a. la prima scatta dopo che è concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell'imputato collegato o connesso di qualsiasi tipo: l'imputato giudicato può essere "sempre" chiamato come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l'avviso previsto dal 64.3 lett. c).
Nel corso della deposizione egli gode del normale privilegio contro l'autoincriminazione, in relazione ad ulteriori reati che abbia commesso.
Viceversa, il testimone assistito "giudicato" di regola non gode di alcun privilegio contro l'autoincriminazione sul fatto proprio coperto dalla sentenza irrevocabile, a meno che nel procedimento originario abbia negato la propria responsabilità o non abbia reso alcuna dichiarazione;
b. la seconda categoria opera quando non è ancora concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell'imputato collegato o connesso teleologicamente: affinché scatti l'obbligo di deporre come testimone è necessario in primo luogo che l'imputato sia stato ritualmente avvisato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà l'ufficio di testimone; in secondo luogo, una volta avvertito, l'imputato collegato o connesso teleologicamente deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui.
Per "riscontro" si intende comunemente il controllo di attendibilità di una dichiarazione.
Tutte le dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale devono essere sottoposte ad un riscontro.
Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.
Il codice pone il riscontro come una condizione per l'impiego della dichiarazione del coimputato, senza però eliminare in alcun modo il libero convincimento del giudice; non afferma che se il riscontro ha avuto esito positivo il fatto affermato deve ritenersi "vero".
Ai fini del riscontro il codice impone di valutare "altri elementi di prova".
Ogni dichiarazione è frazionabile, cioè deve essere riscontrata per ogni fatto asserito e per ogni soggetto indicato come responsabile.
E parliamo ora di confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali.
Il confronto è ammesso esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti.
Il giudice richiama ai soggetti le precedenti dichiarazioni, chiede se le confermano e li invita a contestare reciprocamente le dichiarazioni contrastanti.
La ricognizione è il mezzo di prova mediante il quale ad una persona che abbia percepito coi propri sensi una persona o una cosa si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili.
Secondo il 213 (Ricognizione di persone. Atti preliminari) Quando occorre procedere a ricognizione personale, il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese. L'inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità della ricognizione.
Il 214.1 dice come debba essere predisposta la scena: Allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone [c.d. distrattori] il più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest'ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti, sin dove è possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione.
Sempre il 214.1 dice come avviene la ricognizione: Nuovamente introdotta quest'ultima [la "persona chiamata alla ricognizione"], il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa
Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima
Quando occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato, si osservano modalità analoghe a quelle esposte: il 215 (Ricognizione di cose) richiama il 213, per cui il giudice dispone che siano procurati almeno due oggetti simili a quello da riconoscere.
L'esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo
L'esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso.
La perizia ha la duplice natura di mezzo di prova e di mezzo di valutazione della prova.
Essa è necessaria quando occorre compiere una valutazione per la quale sono necessarie specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
Per legge scientifica si intende quella legge che esprime una relazione certa o statisticamente significativa tra due fatti della natura.
La perizia non è l'unico strumento che permette di raggiungere le finalità indicate nel 220: esiste anche la consulenza tecnica di parte entro e fuori dei casi di perizia; inoltre sia il p.m. sia le parti private possono avvalersi dell'opera di esperti fin dalla fase delle indagini preliminari.
Il giudice deve utilizzare le valutazioni operate da un consulente tecnico di parte o disporre una perizia.
La perizia si caratterizza per essere un mezzo di prova particolarmente garantito: sin dalla fase del conferimento dell'incarico si instaura un contraddittorio tra il perito ed i consulenti delle parti, i quali possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste.
Di regola la perizia è disposta a richiesta di parte, eccezionalmente può esser disposta d'ufficio nel dibattimento.
Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli: tra gli iscritti negli appositi albi o [al di fuori di tali albi] tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina.
Il perito deve presentarsi in udienza ed impegnarsi ad adempiere al proprio ufficio secondo verità.
I consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia, presentare al giudice osservazioni e riserve e, infine, proporre specifiche indagini.
Il perito può conoscere solo gli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento.
Il prodotto finale di questo particolare mezzo di prova è la relazione che il perito svolge.
Al pari di quanto avviene per gli altri mezzi di prova, il giudice non è vincolato dalla perizia.
Le parti possono nominare consulenti tecnici sia in relazione ad una perizia già disposta (225), sia al di fuori della perizia (233) ed anche per contrastare il risultato di una perizia già svolta.
La parte privata non ha l'obbligo di scegliere il consulente all'interno di albi.
Non può esser nominato consulente tecnico colui che è chiamato a prestare l'ufficio di testimone.
Il perito svolge indagini ed acquisisce risultati probatori per conto del giudice; gli esiti delle operazioni tecniche sono destinati a confluire direttamente nel fascicolo per il dibattimento e sono utilizzabili nella decisione finale.
Il consulente di parte propone valutazioni tecniche, che si traducono in un parere esposto oralmente o in memorie.
Identico è lo strumento col quale il perito ed il consulente tecnico sono sentiti in dibattimento: essi sono sottoposti all'esame incrociato, che si svolge in forme simili a quelle con le quali è escusso il testimone.
A differenza del perito, che assume l'obbligo penalmente sanzionato di far conoscere la verità, nessun obbligo del genere è previsto dal codice per il consulente di parte.
Gli elementi di prova, che siano stati raccolti, possono essere prodotti o meno dalla parte privata in dibattimento; essi devono necessariamente esser prodotti ed entrano a far parte del fascicolo per il dibattimento qualora si tratti di accertamenti tecnici non ripetibili.
Occorre chiedersi cosa accada quando il giudice si trovi a dover risolvere un contrasto tra pareri di esperti: non si può imporre al giudice di adottare una motivazione tecnica entrando nel merito delle argomentazioni degli specialisti, ma si ritiene sufficiente che il giudice dimostri di aver preso in considerazione le diverse ricostruzioni tecniche e di averle, poi, scartate sulla base di motivi oggettivi.
L'obbligo spettante al p.m. di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore dell'indagato deve intendersi riferito al consulente tecnico nominato dalla parte pubblica.
Nella sola fase delle indagini preliminari il p.m. può nominare consulenti tecnici in base ad una normativa che costituisce una specificazione del 233.
I risultati delle consulenze devono essere inseriti nel fascicolo delle indagini.
E passiamo infine alla prova documentale.
Perché vi sia un documento è sufficiente in alternativa che si tratti di uno "scritto" o di un oggetto comunque "idoneo a rappresentare" un fatto, una persona o una cosa.
L'oggetto rappresentato deve essere un atto compiuto "fuori" dal procedimento nel quale si chiede o si dispone che il documento faccia ingresso: infatti, se l'oggetto rappresentato è un atto del medesimo procedimento, il codice non utilizza il termine "documento", bensì il termine "documentazione".
La forma di "documentazione" di un atto del procedimento è, di regola, il verbale (134).
Per "atto del procedimento" si intende comunemente quell'atto che persegue le finalità del procedimento e che è compiuto da uno dei soggetti legittimati.
Tradizionalmente si riteneva che essi fossero il giudice, il p.m., la polizia giudiziaria o i loro ausiliari, ma la legge 397/2000 ha stabilito che il difensore debba redigere un verbale dell'intervista difensiva applicando gli articoli 134 (Modalità di documentazione) e seguenti; ha precisato altresì che tale atto costituisce una forma di "documentazione".
Se si considera il "contenuto probatorio", si può definire documento la "rappresentazione di un fatto incorporata in una base materiale".
Viceversa, se si considera l'oggetto in sé, si può definire documento "la base materiale che incorpora la rappresentazione di un fatto".
La prova documentale può esser valutata dal giudice nella sua attendibilità quando è noto l'autore del documento.
Nel solo caso in cui si sia in presenza di una "dichiarazione" anonima, il codice prevede la sanzione dell'inutilizzabilità (240: Documenti anonimi: I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato).
Del documento anonimo che contenga una rappresentazione diversa dalla dichiarazione il codice non dà alcuna regolamentazione.
Il documento cessa di essere anonimo quando il suo autore ne riconosce la paternità.
È anonima quella rappresentazione della quale non è identificabile l'autore.
In base al 240 sono utilizzabili le dichiarazioni che costituiscano corpo del reato e quelle che provengano comunque dall'imputato.
La prima eccezione costituisce un'applicazione del 235 (Documenti costituenti corpo del reato: I documenti che costituiscono corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga), che impone che il corpo del reato sia sempre acquisito al procedimento.
Il codice vieta l'acquisizione di documenti aventi determinati oggetti.
La violazione del divieto comporta l'inutilizzabilità dell'elemento di prova che se ne potrebbe ricavare.
Il 234.3 vieta l'acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti dei quali si tratta nel processo, o di documenti concernenti la moralità delle persone che partecipano al processo.
È consentita l'acquisizione dei certificati del casellario giudiziale, della documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale degli enti pubblici e presso gli uffici di sorveglianza nonché delle sentenze irrevocabili di qualunque giudice italiano e delle sentenze straniere riconosciute, ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato o della persona offesa dal reato, se il fatto per il quale si procede deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali di questa
Ai fini della valutazione della credibilità dei testimoni sono utilizzabili solo le sentenze sopra menzionate ed i certificati del casellario giudiziale (236.2).
Ai sensi del 235.2 Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
È consentita l'acquisizione, anche di ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto
Tale disposizione trova un limite nel divieto di sequestro in presenza di segreti tutelati dal codice di procedura penale (256), quale è ad es. il segreto professionale.
Vi è anche il divieto di sequestrare presso il difensore carte o documenti relativi all'oggetto della difesa e la corrispondenza tra l'imputato ed il proprio difensore.
Il 238 (Verbali di prove di altri procedimenti) permette alle parti di ottenere che siano acquisite le prove e gli atti che sono stati assunti in un altro procedimento penale o civile.
Le parti del procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l'esame della persona le cui dichiarazioni sono state acquisite.
Vige un regime differente a seconda della ripetibilità o meno nel procedimento ad quem:
a. se gli atti assunti nel procedimento a quo sono ripetibili nel procedimento ad quem:
i verbali degli atti di indagine sono utilizzabili in due ipotesi:
se l'imputato del procedimento ad quem vi consente;
se la persona che ha reso le dichiarazioni viene esaminata nel procedimento ad quem e risulta che essa è stata sottoposta a condotta illecita;
i verbali delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio o in dibattimento sono utilizzabili sia nelle due ipotesi appena menzionante (consenso dell'imputato o minaccia sul dichiarante), sia se il difensore dell'imputato del procedimento ad quem ha partecipato all'assunzione della prova;
b. se gli atti assunti nel procedimento a quo non sono ripetibili nel procedimento ad quem, i relativi verbali sono utilizzabili in due ipotesi:
se si tratta di impossibilità di ripetizione originale;
se si tratta di non ripetibilità sopravvenuta, purché essa sia dovuta a circostanze non prevedibili nel momento in cui l'atto è stato compiuto.
Un principio peculiare è stato stabilito in merito alle prove formate in un giudizio civile chiuso con sentenza irrevocabile: se si tratta di dichiarazioni, esse sono utilizzabili contro l'imputato, se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile.
Il 238-bis consente che le sentenze irrevocabili possano essere acquisite allo scopo di accertare l'esistenza di fatti oggetto di prova.
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