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I limiti comuni a tutte le specie della potestà legislativa regionale
Malgrado la loro varietà, tutte le potestà legislative regionali sottostanno ad una vasta serie di limiti comuni. Ciò rende possibile conglobare diverse specie in un unico genere: con tanto maggiore evidenza in quanto la giurisprudenza costituzionale ha determinato una progressiva riduzione del distacco intercorrente fra i diversi tipi di legislazione locale.
In effetti qualsiasi legge regionale, a qualsiasi specie appartenga, rappresenta in primo luogo il frutto di una competenza legislativa specializzata, gli oggetti della quale sono tassativamente attribuiti dalla Costituzione o dagli statuti speciali. In ciò consiste il cosiddetto limite delle materie, che la corte costituzionale ha rigorosamente inteso alla stregua di un criterio normativo di definizione: cioè sostenendo che le formule in questione "si debbono interpretare secondo il significato che hanno nel comune linguaggio legislativo e nel vigente ordinamento giuridico". Per altro la Corte ha variamente ritagliato particolari settori, sottraendoli alla potestà legislativa regionale. Valga per tutti l'esempio dei rapporti di diritto privato, che in nome della necessaria unità dell'ordinamento giuridico sono stati riservati alla legislazione statale.
In secondo luogo, ogni potestà legislativa regionale è naturalmente soggetta ad un limite territoriale. È infatti evidente che le leggi locali non possono disciplinare oggetti non localizzati nei territori delle corrispondenti Regioni. Ed ove gli oggetti in questione trascendano anche in parte il territorio regionale, come ad esempio si verifica per le linee di trasporto o per i bacini fluviali collocati in più Regioni, la competenza regionale è di regola esclusa, a meno che norme legislative statali non prevedano intese fra le varie amministrazioni cointeressate. Senonché il tema dei riflessi che le scelte legislative regionali possono determinare al di là dei rispettivi territori investe in realtà, oltre al limite territoriale, altri limiti della legislazione locale, da quello degli interessi nazionali fino allo stesso limite della materie.
In terzo luogo, per tutte le leggi regionali si può ragionare di un limite costituzionale, da non confondere con i restanti limiti costituzionalmente o statutariamente previsti. Allorché gli statuti speciali ragionano della necessaria armonia con la costituzione, essi intendono anzitutto evidenziare che varie prescrizioni costituzionali, vincolano le regioni stesse: con particolare rigore nel caso delle sanzioni penali, su cui le regioni non possono comunque incidere, ostando il principio di legalità dei reati e delle pene.
In quarto luogo vanno sempre rispettati gli obblighi internazionali dello Stato. Ciò implica che sono di regola riservati alle autorità centrali "gli apprezzamenti di politica estera e la formulazione di accordi con soggetti propri di altri ordinamenti", fatto soltanto eccezione per le "attività promozionali" e per gli "atti di mero rilievo internazionale". Non a caso per derogare al rigore di questo principio, quanto all'adempimento degli obblighi comunitari interessanti le materie medesime, sono occorse apposite leggi statali attributive di specifici poteri alle regioni.
Ancora tutte le leggi regionali debbono attenersi, in quinto luogo, alle grandi riforme economico-sociali della Repubblica. Con questo fondamento è accaduto più volte che tali riforme abbiano prodotto rilevanti compressioni delle potestà legislative già spettanti alle regioni, tanto ordinarie quanto differenziate.
In sesto luogo, nessuna disciplina legislativa locale può legittimamente derogare ai principi generali dell'ordinamento. Sul piano concettuale si tratta di un limite dotato d'una notevole importanza, giacché ne risulta definitivamente confermata la fondamentale unità del sistema normativo vigente sull'intero territorio nazionale: con la conseguenza che gli ordinamenti delle singole regioni non sono tali nel senso pieno del termine, ma rappresentano altrettante parti dell'ordinamento giuridico statale.
Del tutto a sé stante parrebbe il settimi ed ultimo limite costituzionale, formato dagli interessi nazionali. Secondo il testo costituzionale dovrebbe infatti trattarsi d'uno straordinario limite politico, non riguardante la legittimità delle leggi regionali. Malgrado le critiche subite la giurisprudenza costituzionale è tuttora così ferma, da generare sul punto una sorta di diritto vivente. Sicché l'interesse nazionale si è trasformato da "limite negativo. in presupposto positivo di competenza statale", dando corpo all'idea che nei rapporti fra stato e regioni spetti al potere centrale una posizione di "supremazia".
In difesa di tale giurisprudenza va tuttavia rilevato che la cosiddetta conversione del limite di merito in limite di legittimità fa si che gli interessi nazionali non vengano quasi mai utilizzati da soli; bensì concorrano ora con il limite territoriale, ora con il limite delle materie. In altre parole, i vari limiti della potestà legislativa regionale non sono concepiti isolatamente bensì interpretati ed applicati in maniera combinata e sistematica.
Le leggi-cornice nella materie di competenza delle regioni ordinarie; leggi statali e leggi regionali nel sistema delle fonti (pagina 218).
Nelle materie assegnate alla potestà legislativa concorrente, le regioni subiscono il limite dei principi assai più gravemente di quanto non avvenga per la legislazione primaria od esclusiva. Le leggi locali in questione sono infatti assoggettate ai "principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato". Ne segue che in tali materie la competenza legislativa è costituzionalmente bipartita, spettando appunto allo stato la normazione di principio, mentre alle regioni è generalmente riservata la normazione di dettaglio.
L'espressione stabiliti ha fatto anzi pensare che occorressero allo scopo apposite leggi-cornice: in mancanza delle quali le regioni astrattamente competenti non avrebbero affatto potuto esercitare la loro potestà legislativa.
Dal 1970 ad oggi, tuttavia, un'apposita legislazione statale di principio è stata adottata in parecchie materie rientranti nella competenza regionale concorrente. Ciò ha reso concreto l'ulteriore problema della sorte spettante alle leggi regionali già entrate in vigore nelle materie medesime, ma contrastanti con le sopravvenute leggi-cornice. Si era però espressa la legge n. 62 del 1953, disponendo come segue: "le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali.abrogano le norme regionali in contrasto con esse".
La corte costituzionale ha ritenuto che quest'ultima impostazione sia pienamente legittima. Ciò spiega, allora, che varie leggi statali del genere accompagnino le norme di principio con una transitoria normativa di attuazione. L'abrogazione di tutta la previdente legislazione regionale diviene in tal modo inevitabile.
Tali circostanze valgono ad illuminare i rapporti fra le leggi statali ordinarie e le leggi regionali, nelle materie in cui si svolge la potestà legislativa concorrente. Malgrado la competenza costituzionalmente attribuita alle regioni, non si può certo affermare che le leggi statali siano comunque escluse dagli ambiti in questione. Lo conferma la prassi consistente nell'inserire nelle leggi-cornice le occorrenti norme statali di attuazione o di integrazione dei nuovi principi: prassi in vista della quale si è ragionato di preferenza e non di riserva della legislazione regionale di dettaglio negli ambiti della competenza bipartita.
Quanto alla stessa legislazione regionale primaria o "esclusiva", le leggi statali s'impongono al più vario titolo, sia quando dettano i principi dell'ordinamento, sia quando realizzano "grandi riforme", sia quando eseguono accordi internazionali, sia quando perseguono interessi nazionali od ultraregionali. In tutte queste ipotesi, la legislazione della Repubblica può ben abrogare le leggi regionali incompatibili, pretendendo immediata applicazione anche nei territori delle Regioni ad autonomia differenziata. Ciò basta per contestare la pur diffusa opinione che le leggi regionali siano parificate alle leggi dello Stato, nel senso che a ciascuno dei due tipi di fonti spetterebbero ambiti "rigorosamente distinti". Ma la separazione delle rispettive competenze non è poi così netta, come per esempio nei rapporti fra leggi statali ordinarie e regolamenti parlamentari. Sicché i relativi conflitti si risolvono presupponendo che, almeno a questi effetti, il criterio gerarchico interferisca con il criterio della competenza e la legge statale ordinaria sia dunque dotata di una forza prevalente.
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