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I diritti costituzionali e la legge penitenziaria
L'esecutività della sentenza irrevocabile che condanna un soggetto alla pena detentiva comporta il passaggio da una fase cognitiva, finalizzata all'accertamento del fatto e della responsabilità dell'imputato, ad una fase successiva in cui si dà esecuzione a quanto stabilito dal giudice nella sentenza[1]. Tale fase, detta esecutiva, è regolata da uno specifico complesso di norme procedurali, accanto alle quali, recentemente, si è posta una serie di norme sostanziali finalizzate, prima, ad individuare e, poi, a tutelare i diritti dei detenuti .
Rispetto alla condizione giuridica del soggetto condannato alla pena detentiva si verifica immediatamente il venir meno della presunzione di non colpevolezza sancita dall'art. 27, comma 2 Cost., essendo stato accertato il contrario nel giudizio di cognizione.
L'attuazione dell'ordine d'esecuzione, emanato nel rispetto delle disposizioni dettate dall'art. 656 c.p.p., comporta - se il condannato non è già detenuto - la perdita della libertà personale, nei limiti presupposti dalla sentenza e dall'inserimento in un istituto penitenziario[3]. E' necessario, pertanto, rilevare che, nonostante s'intervenga in maniera "aggressiva" su un diritto fondamentale dell'uomo, quale, appunto, quello all'inviolabilità della libertà personale - sancito nell'art. 13, comma 1 Cost. - la detenzione non comporta la perdita della capacità d'essere titolari di diritti . Accanto, quindi, al godimento dei diritti riconosciuti ai detenuti giacché, scaturenti dall'ordinamento penitenziario e riguardanti la vita carceraria, trovano applicazione anche i diritti civili e pubblici, nei limiti in cui non vengono compressi dal provvedimento di condanna e dall'inserimento del soggetto in un circuito penitenziario .
In un'analisi complessiva avente ad oggetto i diritti dei detenuti, non si può prescindere dall'operare un confronto tra le norme della Carta costituzionale e le disposizioni ordinarie riguardanti la condizione dei reclusi previste dall'ordinamento penitenziario e, più in generale, dal diritto penale sostanziale e processuale.
Tra le disposizioni costituzionali, occorre rilevare che, di fianco alle norme che hanno ad oggetto l'uomo, senza operare alcuna distinzione in base alla sua condizione, ve ne sono altre che si riferiscono espressamente al soggetto recluso. Si pensi ad esempio al contenuto del 3° comma dell'art. 27 Cost., il quale sembra riguardare più la fase esecutiva della pena che il momento di determinazione dell'ammontare della stessa[7]. Nella norma in esame, il Costituente stabilisce con un duplice livello di previsione - in negativo - che " le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità" e - in positivo - che le stesse "devono tendere alla rieducazione del condannato". In ogni caso entrambe le disposizioni presuppongono, per la relativa applicazione, che la pena abbia esecuzione .
Il richiamo al contenuto dell'art. 27, comma 3 Cost., è fatto dalla legge penitenziaria laddove afferma che il trattamento deve essere "conforme ad umanità" (art. 1 comma 1 ord. penit.): l'aver utilizzato l'espressione positiva del "dover essere", senza ribadire la mera prospettiva del "non contrasto" con il valore intriso nel principio di umanità appare come una precisa scelta di campo del legislatore ordinario volta a dare concreta attuazione all'idea del trattamento penitenziario teleologicamente orientato verso la risocializzazione del soggetto interessato. La disposizione normativa non ha una valenza puramente teorica, ma punta a tradurre i principi costituzionali nella materia penitenziaria. Infatti, con l'affermazione che il trattamento "deve essere conforme ad umanità" e che allo stesso tempo deve "assicurare il rispetto della dignità della persona" l'ordinamento penitenziario opera una grande rivoluzione - estranea al disposto costituzionale - rappresentata dal porre al centro del sistema la persona detenuta, con la sua capacità di autodeterminazione, escludendo, pertanto, la necessità di strumenti coercitivi per il raggiungimento delle finalità rieducative[10]. Il 6° comma dell'articolo 1 ord. penit. stabilisce che la rieducazione del detenuto si realizzi "anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno" proprio in ragione della considerazione che la rieducazione, prima di essere un interesse individuale è, senza dubbio, un interesse della collettività .
I diritti fondamentali riconosciuti e garantiti anche a chi è recluso in un istituto penitenziario, possono essere brevemente elencati in tal modo:
- Il diritto alla vita, all'integrità fisica e alla salute[12].
Si tratta di diritti che trovano tutela sia nel codice penale, che punisce reati quali l'omicidio (art. 575 c.p.) e le lesioni personali (art. 582 c.p.) sia nel codice civile, che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo qualora "cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica" (art. 5 c.c.).
Il naturale prolungamento di tali disposizioni all'interno dell'ordinamento penitenziario è rappresentato dagli artt. 5 e 6 ord. penit., disposizioni che indicano le modalità da utilizzare nella realizzazione delle nuove strutture penitenziarie[13]; nell'art. 7 ord. penit., che si occupa sia del vestiario da fornire al detenuto "in quantità sufficiente, in buono stato di conservazione e di pulizia", sia dell'uso di corredo proprio comprendente oggetti cui i detenuti sono legati moralmente o affettivamente; nell'art. 8 ord. penit., che richiede l'adeguatezza e la sufficienza di lavabi, bagni o docce per consentire un buon grado d'igiene personale; nell'art. 9 ord. penit., relativo alla somministrazione del vitto ; nell'art. 10 ord. penit., che impone la permanenza all'aperto per almeno due ore, non riducibili a meno di un'ora e solo per "motivi eccezionali" ed, infine, l'art. 11 ord. penit. in tema di servizi sanitari . In particolare, per la tutela della salute psichica, ogni istituto di pena usufruisce "dell'opera di almeno uno specialista in psichiatria" (art. 11 comma 1 ord. penit.); inoltre, l'ordinamento penitenziario prevede tutta una serie di disposizioni specifiche per il trattamento degli infermi e dei seminfermi di mente (art. 20 reg. esec.) nella circostanza in cui, non potendo essere trasferiti in appositi luoghi di cura a norma dell'art. 148 c.p., questi rimangano in carcere
- Il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, nonché il diritto all'integrità morale e culturale[18]
Le modalità attraverso le quali il ristretto può professare la propria fede religiosa - stabilite per ciascun individuo nell'art. 19 Cost. - non sembrano essere particolarmente modificate dall'art. 26 ord. penit. che assicura sia la celebrazione dei riti cattolici sia il diritto, per gli appartenenti a diversa religione, di ricevere l'assistenza dei ministri del proprio culto per celebrarne i relativi riti. Ad ogni modo, la partecipazione ai riti di ciascuna confessione religiosa, deve avvenire nel rispetto dell'ordine e della sicurezza degli istituti e sempre se questi non siano contrari alla legge (art. 58 reg. esec.).
Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, attraverso la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione, la libertà di stampa (art. 21 Cost.), la libertà dell'arte e della scienza (art. 33 Cost.), il diritto allo studio (art. 34) sono i principi costituzionali che trovano applicazione anche nella fase esecutiva della pena. L'istruzione[19] è concepita, dal legislatore del 1975, in funzione dell'elevazione culturale e del potenziamento delle capacità professionali del detenuto, prevedendo una cura particolare per i reclusi al di sotto dei venticinque anni d'età .
- Il diritto alla tutela dei rapporti con la famiglia e con l'ambiente esterno.
Le novità salienti della legge di riforma si sostanziano, proprio nelle disposizioni riguardanti i rapporti con la famiglia e i contatti con il mondo esterno.
Le norme costituzionali che riguardano la famiglia (artt. 29, 30, 31 Cost.) assumono un valore particolarmente importante nell'ambito del diritto penitenziario; infatti, le relazioni affettive sono considerate un bene di alto valore umano, da garantire e proteggere, soprattutto in considerazione degli effetti devastanti derivanti dall'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare (art. 28 ord. penit.). Ecco, quindi, la possibilità, prevista dall'ordinamento penitenziario, di concedere colloqui ai ristretti, nonché di trascorrere, insieme alle persone ammesse ai colloqui, parte della giornata in locali all'aperto e di consumare un pasto in loro compagnia (artt. 18 ord. Penit. e 61 reg. esec.)
Dunque i "contatti con il mondo esterno" - specialmente con il nucleo familiare - sono stati considerati anch'essi, alla stregua dell'istruzione e del lavoro, elementi del trattamento a norma dell'art. 15 ord. penit.; e ciò in considerazione del fatto che un trattamento penitenziario finalizzato alla risocializzazione, ma limitato entro il perimetro delle mura carcerarie, è destinato ad impartire modelli di vita innaturali se manca il necessario rapporto con l'ambiente sociale [24]. In particolare, per quel che concerne la segretezza e la libertà della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15 Cost.), occorre sottolineare la possibilità che queste, in regime detentivo, vengano limitate solo su disposizione del magistrato di sorveglianza, con provvedimento motivato, a norma dell'art. 18 ord. penit.; i colloqui, invece, si svolgono sotto il controllo a vista e non uditivo del personale del Corpo di polizia penitenziaria (artt. 18 comma 2 ord. penit. e 37 comma 5 reg. esec.) ; la corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in partenza, è sottoposta ad ispezione e può essere trattenuta se la direzione ritiene che in essa siano inseriti elementi di reato
Nel lavoro di elencazione e composizione dei diritti costituzionali e di analisi dei riflessi che essi riverberano nell'ambito dell'ordinamento penitenziario, si deve tener conto del principio secondo il quale il detenuto conserva, intatta, la titolarità di tutte le situazioni giuridiche soggettive, che non siano in contrasto con quanto disposto dalla sentenza penale di condanna e con lo stato privativo della libertà. Ciò a maggior ragione, se si considera la conferma che tale principio ha trovato nella pronuncia della Consulta 8 - 11 febbraio 1999, n. 26. La Corte, in tale circostanza, ha affermato che "l'idea che la restrizione della libertà personale possa comportare conseguenzialmente il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all'organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento costituzionale, il quale si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti"
Tale passaggio comporta alcuni cambiamenti sia di natura processuale sia di natura sostanziale, produttivi d'effetti anche nella sfera giuridica del condannato.
Esiste in dottrina l'opinione secondo la quale il condannato, inserito in un istituto penitenziario, diventa oggetto del governo altrui, in particolare dell'amministrazione penitenziaria, cui è rimessa l'esecuzione della pena detentiva. In tal senso, PATETE, Manuale di diritto penitenziario, Roma, 2001, pag. 135; CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2000, pag. 133.
La libertà personale può essere limitata solo, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge e attraverso un atto motivato dell'autorità giudiziaria (art. 13 Cost.). Ciò vale, necessariamente e secondo una diversa accezione, anche per i soggetti che hanno subito, a mezzo di un provvedimento di condanna, una limitazione della libertà. La legge penitenziaria, infatti, stabilisce che la condizione privativa della libertà, non deve essere ulteriormente aggravata, se non come conseguenza di una delle infrazioni elencate dall'art. 77 reg. esec., ed in seguito ad un regolare processo innanzi al consiglio di disciplina, nella cui udienza "l'accusato ha facoltà di essere sentito e di esporre le proprie discolpe" (art. 81 comma 5 reg. esec.)
Facendo, infatti, riferimento al fondamentale principio d'eguaglianza, formale e sostanziale, dei cittadini davanti alla legge (art. 3 Cost.), il Costituente non ha inteso operare una distinzione tra cittadini liberi o in vinculis, e, pertanto, la condizione detentiva, non comporta la perdita della dignità sociale o l'applicazione in via discriminante della legge.
Ciò si afferma senza dimenticare che la funzione rieducativa della pena, inizia dalla sua irrogazione; tuttavia si tiene ben presente che, tale funzione si realizza anche e soprattutto nel caso di non espiazione, giacché, come si afferma, la pena detentiva, scontata in carcere, può avere effetti, completamente opposti, di desocializzazione. In tale ottica, infatti, si pone la logica delle misure alternative alla detenzione. In tal senso CORSO, Manuale della esecuzione penitenziaria, Bologna 2000, pag. 3.
L'affermazione tiene conto dei seguenti presupposti: 1) la pena detentiva, di per se, non è contraria al senso di umanità, ma che potrebbe diventarlo nel momento in cui non si provvede ad una corretta esecuzione della stessa; 2) la funzione rieducativa non sussiste esclusivamente nell'individuazione della durata della pena proporzionata alla gravità del fatto, giacché, dal momento dell'applicazione della pena al momento del rientro in società del soggetto, intercorre tutto il periodo della reclusione. In tal senso, CORSO, Manuale della esecuzione penitenziaria, Bologna, 2000, pag. 2.
Si veda DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 44 e ss.
In tal senso GREVI, Trattamento e rieducazione, in AA. VV., L'ordinamento penitenziario commento articolo per articolo, Padova, 2000, pag. 10 e ss.
Il carcere non deve essere un luogo in cui il tempo migliore sia quello speso o rimpiangere lo stato di libertà, né, tanto meno deve rappresentare un luogo di assenza del diritto in cui tutto ciò che succede è pienamente giustificato, essendo rilevante solo l'esigenza che quel che succede non si sappia all'esterno. In tal senso, CORSO, Manuale della esecuzione penitenziaria, Bologna, 2000, pag. 67.
Tali diritti riguardano l'applicazione dell'art. 32 Cost., il quale, tutelando la salute "come fondamentale diritto dell'individuo", stabilisce nel 2° comma che "la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". In tal senso CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano 2001, pag. 134.
Nell'art. 5 si parla di istituti che accolgano "un numero non elevato di detenuti o internati", e di "locali per lo svolgimento di attività in comune", accanto a quelli riservati ad ogni singolo detenuto. Pertanto, ne deriva, che nella progettazione di un edificio, si dovrebbe tener presenti i programmi di trattamento che in esso devono essere attuati. L'art. 6 aggiunge che i locali "devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati, areati, riscaldati e dotati di servizi igienici riservati, decenti", nel riflesso delle previsioni contenute nelle Regole minime dell'O.N.U. In tal senso DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 61 e ss.
Le limitazioni alimentari, un tempo costituivano un mezzo afflittivo, oggi le quantità sono stabilite attraverso apposite tabelle, approvate con decreto ministeriale, in base "all'età, al sesso allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima". I parametri sono quindi rappresentati dalla normalità espressa nelle parole "sana", "sufficiente" e "adeguata". Così DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 74 e ss.
Un tempo si parlava di passeggio nei cortili in file ordinate e in silenzio. Oggi, la previsione risponde sicuramente ad esigenze diverse, di natura psicologica ed igienica.
In particolare, il servizio sanitario, opera in ciascun istituto penitenziario, in collaborazione con le Aziende Sanitarie Locali, attraverso medici e farmaceutici che effettuano la visita medica generale obbligatoria all'atto dell'ingresso in un istituto penitenziario - al fine di individuare prontamente i casi che necessitano di interventi terapeutici e al fine di verificare che il soggetto non abbia subito lesioni o maltrattamenti all'atto dell'arresto. In ambienti ristretti come le carceri, acquista un'importanza fondamentale diagnosticare prontamente lo stato di tossicodipendenza, e le sindromi affettive come l'HIV, l'AIDS conclamato e le epatiti, al fine di predisporre idonee misure di prevenzione. Ancora, si vuole rilevare, la particolare attenzione data allo stato di gestazione o di puerperio per il quale occorre predisporre interventi sanitari specifici.La norma contenuta nell'art. 11 ord. penit. contiene in se, inoltre, la obbligatorietà della sottoposizione a visita medica generale da parte dei detenuti che entrano in un istituto penitenziario. La cassazione in sent. 14 giugno 1993, in Cass. Pen. 1994, pag. 3111, ha ritenuto che le verificazioni mediche ed i relativi prelievi a scopo diagnostico su detenuti ed internati costituiscono attività amministrativa di controllo, legittimate dall'art. 11 ord. penit..
L'art. 148 c.p., infatti, prevede il differimento o la sospensione della pena detentiva, se prima o durante l'esecuzione della stessa, sopravviene, nei confronti del condannato, un'infermità psichica ritenuta dal giudice impeditiva dell'esecuzione stessa. Il giudice può, infatti, ordinare che il condannato sia ricoverato in un ospedale psichiatrico giudiziario ovvero in una casa di cura o di custodia.
Tali diritti sono collegabili a quelli sanciti dalla Costituzione negli art. 19, 21, 33 e 34, rispettivamente in tema di libertà di professare la propria fede religiosa; di manifestare il proprio pensiero; di arte, di scienza e del loro insegnamento; di frequentare la scuola.
E' stata abbandonata l'idea secondo la quale la criminalità o la delinquenza erano indirettamente proporzionali al grado d'istruzione, per tanto non si attribuisce più alla cultura una funzione preventiva del reato. In una visione moderna del diritto penitenziario, il legislatore ha guardato all'istruzione come un momento irrinunciabile nell'ambito di un procedimento di risocializzazione, ed è in quest'ottica che l'istruzione entra a far parte degli elementi del trattamento penitenziario a norma dell'art. 15 ord. penit.
A tal fine l'art. 19 ord. penit. Ha previsto che si organizzino "corsi di addestramento professionale" e "corsi della scuola d'obbligo", nonché la possibilità di istituire "scuole di istruzione secondaria superiore", agevolando, ove possibile gli studi universitari e la frequenza dei corsi per corrispondenza. In tal senso GREVI, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981, pag. 37 e ss. Ma gli interventi si spingono oltre, e, ad esempio, nell'art. 19 ord. penit. è stato previsto l'allestimento di una biblioteca presso ogni istituto; nell'art. 27 ord. penit., invece, si è parlato d'impegno per l'organizzazione delle attività culturali, sportive e ricreative; nonché il diritto del ristretto di tenere presso di se quotidiani, libri o periodici in libera vendita all'esterno (art. 18 comma 6). Così CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano 2001, pag. 150 e 151.
Tali disposizioni, ricordiamo, definiscono la famiglia come una società naturale fondata sul matrimonio e sull'uguaglianza giuridica dei coniugi cui spetta il dovere e il diritto di provvedere ai figli.
Particolare attenzione è rimessa alla cura dei rapporti familiari dei detenuti, pertanto, il regolamento esecutivo nell'art. 61 prevede la possibilità che il direttore dell'istituto penitenziario, possa "concedere colloqui oltre quelli normalmente previsti dall'art. 37 (reg. esec.)". Quest'ultimo stabilisce che, in condizioni normali, i "detenuti e gli internati usufruiscono di sei colloqui al mese"; in caso di detenuti e internati ex art. 4-bis l. 354, se sussiste il divieto di benefici, i colloqui non devono essere superiori a quattro al mese. Se il detenuto o l'internato presentano condizioni di grave infermità, ovvero se, quest'ultimi hanno prole di età inferiore a dieci anni o, infine, laddove sussistono particolari circostanze, i limiti numerici previsti dal comma 8 art. 37 possono essere superati.
Nella stessa ottica sono da considerare le specifiche disposizioni previste dal legislatore nel codice penale quali il differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena, nei confronti della donna incinta o madre di prole d'età inferiore ad un anno (art. 146 commi 1 e 2 c.p.); il differimento facoltativo della medesima nei confronti di madri con prole d'età inferiore a tre anni (art. 147 comma 3 c.p.); la possibilità di espiare la pena in casa, nelle forme della detenzione domiciliare, nel caso di prole d'età non superiore a dieci anni. In tal senso, CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, pag. 147.
I rapporti con la famiglia e con il mondo esterno, possono essere mantenuti anche grazie alla corrispondenza epistolare o telefonica, nonché attraverso i colloqui, i permessi, l'ammissibilità del lavoro all'esterno, ed, in fine, le misure alternative alla detenzione.
Al contrario, la corrispondenza epistolare con organismi internazionali preposti alla tutela dei diritti dell'uomo, di cui l'Italia fa parte, non può essere sottoposta ad alcun controllo (art. 38 ord. penit.); infine, i colloqui telefonici necessitano di autorizzazione e, se disposto dal magistrato di sorveglianza, la conversazione telefonica può essere ascoltata e registrata (art. 39 reg. esec.). Si veda DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alterative alla detenzione, Milano, 1997, relativamente al commento degli artt. 18 e 38 ord. penit.
La Corte, quindi, afferma che i diritti inviolabili dell'uomo trovano, nella condizione detentiva, una limitazione, giustificata dalla particolare situazione vissuta del recluso, ma che non sono affatto annullati da tale condizione.Si trova, pertanto, nella sentenza costituzionale n. 26 del 1999, conferma di quanto sopra è stato riportato.
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