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Ministero della sanità: linee guida sulla riduzione del danno
Premessa
L'OMS, con l'emanazione delle direttive note come "Principio di equivalenza delle cure" sancisce come inderogabile la necessità di garantire al detenuto le stesse cure, mediche e psico-sociali, che sono assicurate a tutti gli altri membri della comunità, diritto tra l'altro previsto dall'art. 32 della nostra Costituzione.
Nonostante sia valutata intorno al 30% la presenza dei detenuti che dichiarano di essere consumatori di stupefacenti (dato già di per sé allarmante, ma probabilmente anche sottostimato rispetto alla realtà, perché basato sull'auto-dichiarazione, e, comunque, non comprendente il dato, ulteriormente poco attendibile, relativo agli alcolisti - meno di 600 unità), molto resta da fare non solo per uniformare i livelli di assistenza, ma, in molti casi, per garantire un minimo qualitativamente accettabile di intervento all'interno degli Istituti.
Una grande opportunità per un'adeguata assistenza ai detenuti tossicodipendenti e per un ruolo attivo e centrale dei SerT all'interno delle carceri è l'entrata in vigore del Decreto legislativo n. 230 del 1999, recante il trasferimento della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale e che assegna già dal 1-1-2000, la piena responsabilità della tutela della salute dei tossicodipendenti detenuti alle Regioni e, conseguentemente alle Aziende USL e ai Ser.T.
Anche se la fase di transizione tra i due modelli di intervento assistenziale è tuttora in corso e si prolungherà per qualche tempo, alcuni atti di attuazione della riforma e, in particolare il "Progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario" (DM 21 aprile 2000, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 120 del 25.5.2000) delineano con chiarezza, anche per il settore tossicodipendenze, gli ambiti di responsabilità del Servizio sanitario nazionale e i livelli minimi uniformi di assistenza da garantire sul territorio nazionale.
Integrazione degli interventi
Sino ad oggi, all'interno delle carceri dove è operativo l'intervento dei servizi, si è assistito al sovrapporsi di interventi di équipe che, a vario titolo e per le loro specifiche competenze, operavano sullo stesso target. Al di là della migliore situazione che si dovrebbe verificare al termine del processo di trasferimento della sanità penitenziaria alle Aziende USL, è indispensabile eliminare con immediatezza lo spreco di risorse dovuto al cattivo coordinamento, che, inoltre, espone gli operatori a tentativi di manipolazione da parte dei detenuti. Il detenuto tossicodipendente deve avere programmi terapeutici concordati tra le eventuali diverse équipe, la sua storia deve essere raccolta con modalità standard dai diversi operatori e la conservazione dei dati in archivio deve consentire ogni necessario confronto sul caso. Comunque, tutte le attività terapeutiche nei confronti dei tossicodipendenti devono avvenire in condizione di subordinazione funzionale ad un operatore designato dal direttore/responsabile del Ser.T esterno come referente/coordinatore all'interno della struttura penitenziaria.
Una più razionale programmazione degli interventi e il confronto e scambio di conoscenze fra operatori del Ser.T, eventuali medici del presidio per le tossicodipendenze, medici del presidio interno, specialisti convenzionati (infettivologi, ecc.), nonché con gli educatori, équipe di osservazione, operatori del CSSA può contribuire a superare molte delle problematiche di rigidità dell'ambiente carcerario.
Interventi farmacologici
Terapia sostitutiva
Attualmente, in molte realtà, la presa in carico del detenuto da parte della équipe interna all'istituto avviene a seguito di dichiarazione volontaria fornita al momento dell'arrivo, sulla base della quale vengono richiesti l'accertamento tossicologico e la visita medica. Successivamente, ma ad intervallo di tempo variabile, è possibile intraprendere un intervento farmacologico. Molto spesso questo tipo di intervento, che dovrebbe essere immediato per evitare l'insorgenza di una sindrome astinenziale, è procrastinato nel tempo e condizionato da scelte determinate non da valutazioni cliniche, ma da problemi organizzativi propri della struttura carceraria.
Secondo la rilevazione del Ministero della sanità relativa al 1999, i detenuti in trattamento metadonico nel carcere rappresentano solo il 2,2% del totale dei soggetti in carico ai SerT, rilevando così la disparità di intervento cui è sottoposto il soggetto tossicodipendente che, se ristretto nel corso di un programma sostitutivo, è frequentemente costretto a modificare o sospendere il programma terapeutico stesso.
Un'ulteriore problema legato alla ridotta possibilità di attuare trattamenti con il metadone in carcere è costituito dal maggiore rischio di overdose al momento della scarcerazione, in caso di ricaduta nel consumo di oppiacei; durante il periodo di astinenza che si verifica durante la detenzione, infatti, la tolleranza cala rapidamente e l'assunzione delle sostanze anche a dosi precedentemente abituali rappresenta una situazione di elevato pericolo.
Mentre nei soggetti che debbono scontare lunghe pene è effettivamente da valutare il beneficio di un trattamento di mantenimento con farmaco sostitutivo, nel caso di brevi periodi di detenzione (evenienza molto frequente), l'interruzione del programma terapeutico all'interno del carcere determina un elevato rischio di overdose alla scarcerazione. Da qui la necessità di assicurare una continuità terapeutica per i detenuti tossicodipendenti, rinviando la eventuale modifica del programma farmacologico al momento in cui siano stati effettivamente avviati tutti gli interventi di sostegno che possano consentire una diversa strategia terapeutica.
Scelte diverse da parte degli operatori, oltre a non essere efficaci, rischiano di provocare ulteriori danni, se, come spesso accade, il detenuto tossicodipendente cerca di procurarsi sostanze illegali in qualsiasi modo o, in alternativa, di utilizzare sostanze legali, ma tossiche (alcool, psicofarmaci, ecc.) per alleviare lo stato di sofferenza.
Antagonisti
L'elevato rischio di overdose alla scarcerazione, soprattutto in carenza di interventi organici e strutturati all'interno degli istituti, può essere in parte ridotto con un corretto uso degli antagonisti, soprattutto in quei soggetti che usufruiscono di permessi o sono in previsione di riacquistare la libertà. Tali interventi devono, però, essere concordati e condivisi dal soggetto e non possono costituire una pre-condizione riguardo alla concessione dei benefici legali.
Interventi strutturati
Aree di osservazione
L'assegnazione del detenuto tossicodipendente, all'interno delle strutture carcerarie, ad una "area di osservazione", che consenta una puntuale valutazione diagnostica delle condizioni cliniche, del vissuto e delle motivazioni rispetto ad un possibile programma terapeutico è una misura potenzialmente molto utile per meglio gestire la delicata fase iniziale del rapporto tra il servizio e il detenuto.
Una corretta applicazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche consente una programmazione di interventi più libera dai condizionamenti ambientali, una maggiore vigilanza rispetto ai tentativi di suicidio (significativamente frequenti nelle prime fasi della detenzione) e la scelta della più idonea destinazione all'interno dell'istituto.
La detenzione rappresenta un'occasione di "contagio" per i tossicodipendenti che, in tale periodo, possono entrare in contatto con organizzazioni criminali strutturate, alle quali rischiano di affiliarsi; viceversa, i detenuti "comuni" imparano a conoscere il mondo della droga, rischiando di rimanerne invischiati. Tale fenomeno può essere limitato dall'istituzione di sezioni destinate ai detenuti con problemi di dipendenza o dalla realizzazione di sezioni a custodia attenuata.
Sezioni a custodia attenuata
L'istituzione e l'attivazione di strutture penitenziarie a custodia attenuata (già presenti nel nostro Paese, ma in numero insufficiente e disomogeneamente distribuite sul territorio nazionale), consente l'attivazione di progetti che, attraverso la individuazione di "setting" più favorevoli, permettono la corretta realizzazione di interventi sia di riduzione del danno che di approccio terapeutico vero e proprio.
La scelta di privilegiare tali strutture intermedie è giustificata anche dalle condizioni ambientali, strutturali ed organizzative in cui sono confinate le attività di assistenza all'interno degli istituti penitenziari, caratterizzate frequentemente dalla mancanza di spazi operativi e di infrastrutture.
Interventi informativi e educativi
È necessario promuovere all'interno delle carceri iniziative informative e educative, anche con l'ausilio di materiale audiovisivo, finalizzate al cambiamento dei comportamenti a rischio; tali iniziative rappresentano spesso l'unico strumento disponibile per la prevenzione delle patologie correlate all'uso degli stupefacenti ed ai comportamenti sessuali. La partecipazione attiva del personale del carcere, oltre a creare i presupposti di un'integrazione, di omogeneizzazione degli interventi e di condivisione degli obiettivi, rappresenta un momento di formazione anche per il personale del Ministero di Grazia e Giustizia.
Comportamenti presenti e rischiosi sono legati, in particolare, all'esistenza di promiscuità, e alla mancanza di siringhe e di procedure corrette di sterilizzazione, che espone ad alto rischio anche i soggetti sieronegativi; molto diffusa è, inoltre, la pratica dei tatuaggi che, esercitata in condizioni igieniche molto approssimative, può esporre al contagio delle patologie a trasmissione parenterale (HIV, epatiti).
La presenza di un'elevata percentuale di tossicodipendenti in strutture penitenziarie sovraffollate, la commistione con detenuti legati ad organizzazioni dedite allo spaccio, fa sì che negli istituti penitenziari sia a volte possibile reperire droghe, come dimostrato dai sequestri di sostanze e dagli episodi di overdose. La difficoltà a reperire materiale iniettivo sterile, fa sì che i tossicodipendenti ristretti utilizzino materiale di fortuna o condividano l'uso di siringhe in una comunità dove il rischio di trasmissione di patologie correlate è elevato.
In alcuni paesi europei è stata sperimentata con successo la distribuzione di profilattici, siringhe e materiale per la disinfezione. È, pertanto, necessario che anche nei nostri istituti penitenziari siano resi disponibili tali presidi sanitari, individuando le più corrette procedure allo scopo di garantire la riservatezza e protezione del detenuto, che tale intervento comporta. Per esempio, la distribuzione del profilattico e/o della siringa può essere gestita dagli operatori dei Ser.T., nel corso di colloqui individuali e riservati, conciliando le esigenze di profilassi con le norme interne al carcere.
Il colloquio può anche rappresentare un valido momento di educazione e prevenzione della diffusione delle patologie correlate all'uso di sostanze ed a comportamenti sessuali a rischio.
Rapporti con l'esterno
Il coinvolgimento del Ser.T competente territorialmente nell'elaborazione e soprattutto nella prosecuzione del progetto terapeutico è una premessa indispensabile alla corretta realizzazione dello stesso, ma soprattutto garantisce che una migliore assistenza interna non sia poi vanificata. Pertanto è opportuno incentivare i rapporti di integrazione e collaborazione con gli altri Enti ed Istituzioni che operano sia all'interno che all'esterno della struttura carceraria, allo scopo di aggregare le risorse e le potenzialità per fornire una più vasta gamma di offerte ed occasioni terapeutiche.
L'intervento del Servizio all'interno della struttura penitenziaria deve essere assicurato nello spirito della continuità terapeutica, sia nel rispetto dei progetti già avviati sia come evoluzione di una progettualità che, se pur avviata all'interno di una istituzione chiusa e quindi condizionata da tentativi di strumentalizzazione, può rappresentare una valida occasione terapeutica.
Anche le misure alternative alla pena possono essere utilizzate come strumento terapeutico inserito all'interno di un progetto globale volto al recupero ed alla riabilitazione.
Linee guida sull'HIV/AIDS e le epatiti in carcere
La città di Milano ha ospitato il III Seminario sulla prevenzione dell'HIV/AIDS e delle epatiti in carcere, dove si sono incontrati studiosi, operatori e rappresentanti di istituzioni di quindici paesi europei, della Commissione Europea e dell'Ufficio Regionale Europeo dell'OMS.
Al termine del Seminario una commissione coordinata da M.Rotily, C. Weilandt e E. Iandolo ha prodotto il testo di seguito riportato.
A. raccomandazioni generali
La prevenzione dell'HIV e dell'epatite in carcere deve essere considerata una questione sanitaria di primaria e globale importanza. In un momento in cui il consumo di droga è in crescita in svariati contesti di degrado sociale, la popolazione carceraria negli ultimi vent'anni è aumentata in maniera drammatica.
I detenuti devono essere considerati cittadini a pieno titolo e, quindi, devono usufruire, su basi volontarie, delle stesse cure sanitarie e preventive messe a disposizione dalle comunità locali di appartenenza.
Le cure somministrate dentro e fuori il carcere devono essere equivalenti. L'esperienza europea insegna che questo obiettivo può essere conseguito nel miglior modo quando la responsabilità per la tutela dei detenuti fa capo al Ministero della Sanità.
Ai detenuti che entrano ed escono dal carcere deve essere assicurata una continuità di cura, attivando una collaborazione tra il carcere e le agenzie esterne. Le carceri devono essere considerate parte integrante della società, in diretto collegamento con gli altri sistemi sociali. Le cure sanitarie somministratein carcere devono essere strettamente connesse al sistema sanitario della comunità al fine di:
Assicurare all'interno del carcere le necessarie misure preventive
Fornire una continuità di trattamento per detenuti ed ex detenuti.
B. Educazione sanitaria e informazione dei detenuti
Quando entrano in carcere, i detenuti devono essere informati circa la natura della trasmissione delle infezioni da virus per via sessuale o sanguigna, e devono essere messi al corrente dei metodi e delle precauzioni utili a prevenire la diffusione.
I detenuti ricoverati in ospedale devono ricevere dal personale sanitario risposte adeguate circa la loro situazione. Informazioni sulla consulenza, i test virali e sulle terapie immunizzanti devono essere fornite in questo momento.
C. test HIV volontario e prevenzione
Tutti i detenuti, per tutta la durata della pena, devono avere la possibilità di effettuare, in forma riservata e gratuita, i test HIV. Prima e dopo i test i detenuti devono poter contare su un'apposita terapia psicologica di supporto. Questo tipo di sostegno è importante anche nel caso in cui i risultati dei testi fossero negativi.
I risultati dei test HIV devono essere consegnati ai detenuti in forma riservata, da personale sanitario esperto, a prescindere dal loro esito. Senza il consenso scritto del detenuto, il personale sanitario non deve informare le autorità amministrative.
Le cure mediche devono essere erogate con gli stessi standard utilizzati fuori dal carcere. La segregazione o la discriminazione delle persone affette da HIV o da epatite non può essere in alcun modo considerata accettabile.
Personale sanitario esperto deve fornire con regolarità ai detenuti (inclusi coloro che non parlano le rispettive lingue nazionali) e al personale carcerario le informazioni basilari sull'HIV.
D. Riduzione del danno connessa alla tossicodipendenza
All'interno del carcere ci saranno sempre pazienti tossicodipendenti. Per questo motivo, è necessario dare la possibilità di praticare iniezioni endovenose in maniera igienica e sicura.
Alcuni progetti pilota europei hanno dimostrato chiaramente la fattibilità e l'efficacia dei programmi di scambio di siringhe in carcere. Devono essere elaborati programmi su scala nazionale per promuovere analoghi progetti pilota, su base volontaria, in carcere.
Per alcuni pazienti, il carcere è un'occasione per mettere sotto controllo la loro tossicodipendenza.
Dentro il carcere è quindi necessario fornire:
a) le cure necessarie per quei tossicodipendenti che desiderano ridurre la loro dipendenza;
b) la possibilità, ai detenuti che sono riusciti a smettere e desiderano continuare una vita liberi dalla droga, di effettuare dei test antidroga;
c) un'adeguata assistenza ai detenuti che vogliono essere liberi da qualsiasi condizionamento o pressione verso la tossicodipendenza.
I programmi di disintossicazione devono avere una natura olistica. Deve essere fornita un'equilibrata combinazione di programmi e opzioni terapeutiche. Per ogni gruppo 0 sottogruppo di detenuti occorre elaborare approcci differenti. Per i tossicodipendenti che rifiutano di curarsi bisogna predisporre una strategia di riduzione del danno. Dal momento che possono fornire un valido aiuto ai tossicodipendenti, i programmi di disintossicazione devono essere valutati con attenzione.
Può essere utile premiare chi è riuscito a disintossicarsi erogando, per esempio, permessi o visite, oppure alleviamenti della pena. Si tratta, comunque, di misure che debbono essere valutate con cura prima di diventare operative.
I test obbligatori anti droga, si sono rivelati inutili dentro e fuori il carcere, dal punto di vista medico e da quello economico, e non devono essere parte di una politica sulle tossicodipendenze.
Dentro e fuori il carcere, occorre promuovere la cura e la terapia di disintossicazione per i tossicodipendenti che desiderano smettere di drogarsi. Per raggiungere questo obiettivo possono essere condotti studi che stabiliscano la priorità dei metodi e dei programmi più efficaci.
Anche se la somministrazione di metadone e buprenorfina sono stati di aiuto per molti consumatori di oppio, occorre valutare l'efficacia di questi trattamenti con una metodologia appropriata. Le cure sostitutive comprendono la disintossicazione e il mantenimento. Le cure sostitutive danno la possibilità di discutere regolarmente con il detenuto i problemi legati alla salute e alla tossicodipendenza, ma da sole non costituiscono una soluzione completa ai problemi collegati all'uso di droga.
E. La distribuzione di preservativi
Come dimostra l'esperienza di alcuni paesi europei, occorre promuovere la distribuzione di preservativi e lubrificanti. Gli studi dell'European Network per la prevenzione dell'HIV e dell'epatite hanno dimostrato che in carcere hanno luogo rapporti orno e etero sessuali e, per questo motivo, è necessario mettere a disposizione preservativi (in modo anonimo e gratuito) in tutti i penitenziari. Le esperienze condotte in numerose nazioni europee ha dimostrato l'efficacia di questa politica, nonostante i potenziali problemi legati alla sicurezza.
Nei penitenziari occorre promuovere la creazione di apposite celle in cui sono permesse visite coniugali o dove possono avere luogo rapporti sessuali in condizioni umane e sicure.questo tipo di agevolazioni potrebbero rafforzare i legami sociali e emozionali dei detenuti con i loro partner e con le loro famiglie.
F. HIV, epatite e immigrati
L'alta percentuale di immigrati presente nella popolazione delle carceri di molti paesi europei impone la necessità di migliorare la qualità delle informazioni specifiche fornite alle minoranze etniche e agli stranieri, tenendo presente i diversi background e le differenti lingue di appartenenza.
Gli amministratori dei penitenziari devono prendere in considerazione la necessità di avvalersi di interpreti per i servizi medici. Tutti gli sforzi nella direzione della prevenzione devono essere il più possibile adattati ai bisogni specifici delle popolazioni immigrate.
G. La sorveglianza epidemiologica
Nei penitenziari europei, a intervalli regolari, devono essere attivati validi sistemi di sorveglianza epidemiologica, integrati nel sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale. I test anonimi predisposti dall'European Network europeo per la prevenzione dell'HIV e dell'epatite, che consistono in un prelievo di saliva e nella compilazione di un questionario, possono essere un valido aiuto per monitorare la diffusione dell'HIV. È importante effettuare questi testi in penitenziari con tipologie differenti e in diverse aree geografiche, poiché si possono riscontrare rilevanti variabili.
Devono essere approntate procedure efficaci per cogliere sul nascere l'insorgenza di casi di HIV e di epatite.
H. La prevenzione e lo screening dell'epatite
A causa dell'elevata prevalenza di queste infezioni tra le persone che entrano in carcere, lo screening dell'epatite C deve essere proposta su base volontaria.
Dal momento che oggi esistono buoni vaccini per l'epatite B, l'immunizzazione contro questa malattia deve essere proposta al momento dell'ammissione in carcere dei detenuti, a prescindere dalla lunghezza della loro condanna. I detenuti devono essere informati in maniera appropriata, soprattutto per evitare ogni possibile confusione tra l'HIV e l'epatite virale.
All'interno del carcere, la stesura di un calendario delle vaccinazioni contro l'epatite B può essere accolta con condiscendenza da parte dei detenuti.
Lo screening dell'epatite C, deve essere proposto a tutti i detenuti a rischio. I detenuti che risultassero positivi devono essere curati.
I. L'educazione del personale sanitario
Il personale carcerario deve essere addestrato e aggiornato regolarmente su tutti gli aspetti collegati all'HIV, all'epatite e alla tossicodipendenza, da un punto di vista medico, psicologico e sociale, in modo da potersi sentire sicuri e di essere in grado di dare ai detenuti la guida e il supporto più appropriati.
Il personale carcerario deve essere sempre a conoscenza delle misure necessarie per evitare la trasmissione dei virus. Non è importante sapere se un detenuto è o meno sieropositivo, e occorre avere sempre un atteggiamento equanime, evitando ogni discriminazione.
I penitenziari e le agenzie esterne devono cooperare a tutti i livelli, scambiandosi ogni informazione necessaria.
Il personale carcerario deve essere vaccinato, almeno contro l'epatite B, dal momento che il rischio di contrarre questa malattia, ispezionando tasche e borse, è elevato.
Il personale carcerario ha bisogno di precise informazioni per riuscire a gestire le situazioni di emergenza. Devono essere redatti dei protocolli di pronto intervento per affrontare nuovi casi di HIV o epatite.
Il personale carcerario deve essere informato con completezza sui sistemi di prevenzione.
J. Prevenzione pre-scarcerazione e prima dei permessi
Prima di usufruire di un permesso, a un detenuto devono essere distribuiti preservativi e kit di prevenzione.
I detenuti con problemi di tossicodipendenza devono beneficiare di programmi pre-rilascio "ad hoc" e, in particolare, devono essere informati su come evitare la morte per overdose (una delle cause di decesso precoce più frequente tra i detenuti tossicodipendenti rilasciati dal carcere).
Questi programmi potrebbero essere di supporto alle cure mediche e sociali proposte all'interno del carcere. Gli istituti penitenziari devono diventare un ponte, tra il detenuto e il centro di tossicodipendenza delle comunità.
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