Gli atti d'iniziativa presidenziale
Si potrebbe essere indotti a ritenere che le più importanti e
caratteristiche specie di atti, alla base dei quali si ritrova un'autonoma
iniziativa del presidente della repubblica, siano quelle collegate alle più
volte ricordate funzioni presidenziali di risoluzione delle crisi insorgenti
nel sistema parlamentare di governo: vale a dire il conferimento dell'incarico,
il corrispondente decreto di nomina del nuovo presidente del consiglio,
l'alternativo scioglimento di una o di entrambe le camere del parlamento. In
realtà nessuna di queste tre specie può essere fatta propriamente rientrare nel
genus degli atti d'iniziativa presidenziale. Vero è viceversa, che esistono tre
o quattro casi ormai scontati e pacifici di iniziativa presidenziale, che hanno
presupposti ed oggetti completamente diversi dalla soluzione delle crisi di
governo: e tali sono il rinvio delle leggi operabile in sede di promulgazione;
i messaggi che il presidente della repubblica può inviare alle camere; la
nomina dei cinque giudici costituzionali di cui all'art. 135 primo comma. In nessuno
di questi casi la carta costituzionale fa capire che il ministro controfirmante
non assume la consueta veste di proponente il decreto presidenziale. Ma la
prassi è ormai costante nel senso che tutte le scelte in questione competono
effettivamente al capo dello stato. Tra queste attribuzioni, la prima che il
presidente della repubblica abbia acquisito è stata quella riguardante il
rinvio delle leggi con riesame da parte delle camere. Il rinvio rimarrebbe
inutilizzato se presupponesse una proposta deliberata dal consiglio dei
ministri. Infatti, delle due l'una: o il governo tollera che si approvino atti
legislativi non ricollegabili al suo indirizzo politico; oppure il governo si
oppone in partenza, subendo per altro una sconfitta, ed allora esso è indotto a
dimettersi.
Già in questo senso ne risulta che la stessa formulazione dei messaggi
alle camere rientra nell'effettiva competenza del capo dello stato e non del
governo; perché il messaggio è la forma nella quale si esplica il rinvio delle
leggi in sede di promulgazione. Basta infatti pensare che l'esecutivo non ha
nessun bisogno di comunicare con le camere attraverso il tramite del presidente
della repubblica, in quanto si trova in un costante e quasi quotidiano rapporto
con le camere stesse.
Non meno significativo è il caso della nomina di cinque giudici
costituzionali. La motivazione essenziale su cui si è fondato l'assunto di una
competenza sostanzialmente presidenziale è consentita in ciò che solo affidando
al capo dello stato le nomine in esame si può evitare che la maggioranza dei
quindici componenti la corte costituzionale venga espressa dal raccordo
governo-parlamento.
Considerazioni non molto dissimili valgono per argomentare che deve
competere al presidente la scelta dei cinque senatori a vita che si aggiungono
ai 315 senatori elettivi. Qui pure la maggioranza parlamentare riceverebbe un
premio, se tali nomine fossero in sostanza effettuate dall'esecutivo: mentre
l'affermazione che l'iniziativa spetta al capo dello stato assicura non tanto l'imparzialità
delle nomine stesse, quanto la scelta di persone diverse da quelle che
altrimenti verrebbero proposte dal consiglio dei ministri.
Per completare il discorso, bisogna ricordare che in dottrina si è
cercato di configurare altre specie di atti d'iniziativa presidenziale. Vari
autori hanno anzitutto sostenuto che spettasse al capo dello stato di decidere
sulla concessione delle amnistie e degli indulti. Ma il carattere imperativo
della delega in questione troncavano il problema alla radice. D'altro canto non
può nemmeno essere accolta la tesi dottrinale per cui ricadrebbe
nell'iniziativa presidenziale lo scioglimento anticipato dei consigli
regionali.