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Fonti e principi del diritto del lavoro




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Fonti e principi del diritto del lavoro

Il concetto e le classificazioni del diritto del lavoro

Il lavoro è ogni attività o funzione diretta ala progresso materiale e spirituale della società (art. 4, comma 2). Il diritto al lavoro è riconosciuto a tutti i cittadini (art. 4, comma 1) ed allo scopo di renderlo effettivo ed operante la Repubblica promuove tutte le condizioni opportune, eliminando anche gli ostacoli che impediscano l'effettiva partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, comma 2).

Il diritto del lavoro, inteso in senso lato, può essere definito come l'insieme delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro - ossia la relazione giuridica intercorrente tra il prestatore ed il datore di lavoro - e che tutelano oltre che l'interesse economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore. Tale relazione rappresenta un rapporto giuridico complesso, avente ad oggetto tanto l'obbligo del lavoratore di prestare la propria attività e l'obbligo del datore di corrispondere la retribuzione, quanto una molteplicità di situazioni giuridiche soggettive attive e passive, facenti capo alle due parti del rapporto.

Il diritto del lavoro è una disciplina giuridica relativamente nuova, sviluppatasi essenzialmente a partire dai primi anni dell'Ottocento, quando emerse con tutta evidenza la necessità di mediare le esigenze della tutela dei lavoratori con quelle della produzione. Disciplina che ha subito un'evoluzione fortemente condizionata dalle varie fasi attraversate nella storia sociale, economica e politica del nostro Paese.

Il diritto del lavoro presenta connotazioni peculiari rispetto alle altre branche del diritto, in quanto si sottrae alla partizione tradizionale - ma sempre più, oggi, contestata - del diritto nei due rami del diritto pubblico e del diritto privato. In esso, infatti, confluiscono:

  • norme di diritto privato, poste a tutela immediata di interessi privati ed individuali;
  • norme di diritto pubblico, impositive di obblighi legali a carico delle parti del rapporto;
  • norme di diritto processuale, essendo stata prevista per la tutela dei diritti dei lavoratori una speciale procedura;
  • norme di diritto sindacale, relative all'attività ed all'organizzazione delle associazioni sindacali.

La dottrina tradizionale distingue nell'ambito del diritto del lavoro inteso in senso ampio:

  • il diritto del lavoro in senso stretto, attinente alla regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro subordinato, nonché di altri rapporti di lavoro, diversi dal lavoro subordinato, ma ritenuti parimenti meritevoli di tutela giuridica;
  • il diritto sindacale, che disciplina l'azione e l'organizzazione delle associazioni sindacali contrapposte;
  • il diritto della previdenza sociale, che tutela il lavoratore in presenza di specifiche situazioni di bisogno, riconoscendogli un reddito sostitutivo od integrativo di quello di lavoro. Per ciò che concerne tale ultimo complesso di norme, va segnalata, tuttavia, la sua tendenza ad inserirsi nel più ampio sistema della sicurezza sociale, volto alla liberazione di tutti i cittadini (e, dunque, non solo dei lavoratori) dai bisogni materiali e morali (MAZZIOTTI).

Le fonti del diritto del lavoro

Il sistema delle fonti di produzione del diritto del lavoro in senso stretto presenta aspetti di particolare complessità e problematicità, in ragione del concorso di una molteplicità di atti che, se pur dotati di un diverso grado di efficacia, hanno tutti la forza giuridica di incidere sulla regolamentazione concreta del rapporto di lavoro e di determinarla.

In via di prima approssimazione, le fonti che concorrono alla produzione del diritto del lavoro possono essere suddivise nel modo che segue:

  • fonti sovranazionali;
  • fonti legislative;
  • fonti contrattuali;
  • usi.

Le fonti sovranazionali

Ricordato che a termini dell'art. 35, co. III, Cost., la Repubblica 'promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro', occorre precisare che nel novero delle fonti sovranazionali od internazionali si distinguono due livelli di produzione normativa:

  • il primo, relativo alla partecipazione dello Stato italiano alla Comunità internazionale degli Stati;
  • il secondo, afferente invece alla partecipazione dello Stato italiano alla Comunità europea.

Con riferimento al primo livello, oltre ai vari trattati internazionali stipulati anche dall'Italia, rivestono fondamentale importanza alcuni atti ad efficacia esterna emanati dall'O.I.L. (Organizzazione internazionale del lavoro, istituzionalmente deputata a favorire il progresso delle classi lavoratrici nel mondo), e cioè:

  • le convenzioni, strutturate in articoli, aventi natura di veri e propri atti normativi, che assumono valore di norme interne se sono rese esecutive con legge dello Stato;
  • le raccomandazioni, prive di valore impegnativo, con cui si auspica che gli Stati destinatari si attivino per la risoluzione di un determinato problema.

Con riferimento al secondo livello, va ricordato che, a differenza delle norme del diritto internazionale, quelle del diritto comunitario - che hanno assunto, specie nell'ultimo decennio, una sempre crescente importanza - possono esplicare efficacia immediata e diretta all'interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Tali norme sono quelle contenute:

  • nei regolamenti comunitari che hanno portata generale applicandosi a tutto il territorio comunitario ed a tutti i soggetti giuridici comunitari;
  • nelle direttive comunitarie che vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi.

Tra i più importanti trattati internazionali, sottoscritti anche dall'Italia, ricordiamo la Carta Internazionale del Lavoro (Versailles, 1919), aggiornata dalla Dichiarazione di Filadelfia (1944), la Carta sociale europea (Torino, 1961) sottoscritta dai membri del Consiglio d'Europa i quali ne hanno ribadito i criteri minimi applicativi nel Codice europeo di sicurezza sociale (1964). Non va dimenticato il Patto delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali, approvato il 16 novembre 1966 dall'Assemblea generale dell'ONU e ratificato in Italia con la legge 25 ottobre 1977 n. 881. Esso si occupa, tra l'altro, di diritto del lavoro, equa retribuzione, assicurazione e altre forme di assistenza sociale, sindacati e diritto di sciopero.

Le fonti legislative

In materia di diritto del lavoro, le fonti legislative sono le seguenti:

  • la Costituzione, che si pone all'apice della gerarchia delle fonti;
  • le leggi ordinarie e gli altri atti aventi forza di legge, collocati in posizione subordinata rispetto alla Costituzione;
  • i regolamenti di attuazione o di esecuzione degli atti summenzionati, emanati nella forma del decreto del Presidente della Repubblica dal Governo, ovvero dai ministri con proprio decreto, ovvero da altre autorità ove ciò sia previsto. Tali regolamenti non possono modificare le leggi e gli altri atti aventi forza di legge, né derogare ad essi.
La Costituzione

La nostra Carta costituzionale (entrata in vigore il 1° gennaio 1948), definita da taluno 'lavoristica' (MAZZIOTTI), considera il rapporto di lavoro come il più importante rapporto interprivato. Prova ne è che nella grande area delle garanzie costituzionali attinenti ai rapporti tra privati, le garanzie relative al rapporto di lavoro sono di gran lunga prevalenti (GHERA).

Il rilievo dato dalla Costituzione al lavoro si evince, innanzitutto, dall'art. 1, co. I, ai sensi del quale 'L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro'.

Nonostante qualche autorevole opinione contraria, sembra doversi ritenere che, nel contesto di tale disposizione, il termine lavoro assuma un significato ampio, tale da comprendere cioè non solo il lavoro salariato, ma ogni altra attività, anche imprenditoriale.

Vengono, quindi, dettati in altre norme costituzionali, altri principi fondamentali volti a rendere più concreta la disposizione di cui all'art. 1, co. I.

In realtà, è necessario distinguere in proposito le norme della Costituzione sociale dalle norme della Costituzione economica. Infatti, come osserva Ghera, 'la tutela del soggetto contraente debole rappresenta indubbiamente la finalità delle norme dettate dalla Costituzione in materia di lavoro, ma non si tratta più di una finalità esclusiva: si aggiunge, infatti, ad essa la finalità ulteriore e più ampia della garanzia dei diritti sociali. Al tradizionale obiettivo della tutela della posizione contrattuale debole si affianca perciò l'obiettivo della tutela della libertà e dignità sociale del lavoratore'.

Gli articoli della Costituzione sociale che vengono in rilievo sono:

  • l'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità: tale disposizione, da un lato, ha contribuito all'ampliamento della categoria dei diritti civili dei lavoratori e, dall'altro, ha conferito efficacia interprivata alle libertà fondamentali (MAZZIOTTI);
  • l'art. 3, che sancisce il principio dell'eguaglianza giuridica e, dunque, implicitamente, il divieto, per il legislatore, di discriminazione fra lavoratori (essendo il principio di eguaglianza non meramente formale, ma sostanziale, saranno chiaramente consentiti trattamenti differenziati in presenza di situazioni diverse);
  • l'art. 4, che al co. I statuisce che 'La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro', tipico diritto sociale, ossia finalizzato all'eliminazione delle disuguaglianze sostanziali; e al co. II sancisce il dovere di svolgere un'attività o una funzione che contribuiscano al progresso materiale o spirituale delle società, dovere non sanzionabile penalmente stante l'inammissibilità nel nostro ordinamento del lavoro coatto.

Le norme costituzionali dedicate propriamente al lavoro sono contenute negli artt. 35 - 47 della Costituzione ove sono definiti principi generali che regolano l'assetto economico della società, con particolare riguardo all'iniziativa economica privata, al lavoro salariato, alla proprietà terriera, all'artigianato, alle libere professioni, alla cooperazione. La finalità è quella di tutelare il soggetto più debole, il lavoratore, e di conferire concretezza all'affermato impegno dello Stato alla promozione di tutti gli strumenti di emancipazione delle classi storicamente subalterne. Gli articoli della Costituzione economica relativi alla materia del lavoro sono, quindi:

  • l'art. 35, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro (in tutte le sue forme ed applicazioni), la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori, promuove gli accordi e le organizzazioni internazionali volti ad affermare i diritti dei lavoratori, riconosce la libertà di emigrazione;
  • l'art. 36, che enuncia il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente nonché il diritto irrinunciabile al riposo settimanale ed alle ferie, ponendo altresì il principio che la durata massima della giornata lavorativa deve essere stabilita con legge;
  • l'art. 37, relativo al lavoro femminile ed al lavoro minorile, che stabilisce, tra l'altro, che alla donna lavoratrice spetta, a parità di lavoro, parità di retribuzione rispetto ai lavoratori maschi;
  • l'art. 38, in cui è prefigurato l'intervento assistenziale nonché quello previdenziale a favore dei lavoratori subordinati 'in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria';
  • l'art. 39, che tratta della libertà sindacale (comma 1); il principio della capacità dei sindacati registrati, di stipulare contratti collettivi di lavoro, vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alle categorie che essi rappresentano, anche se non iscritti (comma 3);
  • l'art. 40, a norma del quale 'Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano'.
I codici

Con l'avvento del fascismo, si attua in Italia una sistematica demolizione delle libertà sindacali e si realizza il sistema corporativo con l'obiettivo di superare l'antagonismo fra gli interessi di classe, subordinandoli all'interesse, comune a tutte le classi sociali, dello Stato. In tale periodo, l'intervento del legislatore si sviluppa attraversi la c.d. incorporazione (Ghera) dei principi che disciplinano il lavoro nel sistema del diritto privato. Il codice civile del 1942 ha, infatti, unificato, nel proprio ambito sistematico, il diritto civile ed il diritto commerciale inglobandovi anche il diritto del lavoro.

Nell'ambito delle leggi ordinarie, una posizione preminente, quale fonte del diritto del lavoro, spetta al Codice Civile ed in particolare al suo libro V che reca l'intestazione 'Del lavoro'. Va, però, precisato, al riguardo, che non tutte le norme in esso contenute afferiscono alla materia del lavoro, così come, per converso, molte norme appartenenti al diritto del lavoro sono contenute in altri libri del codice.

Di più, alcune speciali figure di contratti di lavoro ed alcune categorie di prestatori di lavoro rinvengono la loro disciplina nel codice della navigazione.

Sempre con riguardo ai codici, va rammentato che il codice di procedura civile conteneva le norme relative alle controversie in materia di lavoro; ma tali norme sono state integralmente riformate con la L. 11 agosto 1973, n. 533.

Gli altri atti aventi forza di legge

Per legge deve intendersi anche ogni altro atto avente forza di legge, e quindi:

  • i decreti legislativi, di cui agli artt. 76 e 77, co. I, Cost., che hanno trovato ampia applicazione in materia di lavoro, soprattutto in virtù della legge delega 14 luglio 1959, n. 741, che autorizzò il Governo a recepire, appunto con decreto legislativo, in via transitoria, i contratti collettivi fino a quel momento stipulati per conferire ai medesimi efficacia generale;
  • i decreti-legge, di cui all'art. 77, co. II e III, Cost, che hanno conosciuto una notevole diffusione negli ultimi tempi (si pensi, ad esempio ai decreti-legge sul costo della forza lavoro).
Le leggi speciali

Numerosissime sono le c.d. leggi speciali volte a tutelare il lavoratore, non solo in quanto contraente debole, ma anche nella sua qualità di soggetto che impegna la propria persona nel rapporto di lavoro, ricavandone un reddito che costituisce, nella maggior parte dei casi, la sua unica fonte di sostentamento. Nella più recente legislazione si registra la tendenza a tutelare, oltre all'integrità fisica del lavoratore, anche l'integrità morale dello stesso.

Nella numerosa serie di leggi speciali, si è soliti distinguere tra:

quelle precedenti al sistema introdotto dalla Costituzione, che presentano prevalentemente un carattere di tutela delle condizioni di lavoro, al fine evidente di contenere i conflitti sociali sostenuti dalla sempre più incisiva azione rivendicativa delle organizzazioni sindacali, poi disciolte nel periodo fascista;

quelle successive all'entrata in vigore della Costituzione, i cui principi hanno ridimensionato in misura notevole il ruolo, originariamente assegnato dal legislatore al codice civile, di affermazione delle regole fondamentali di disciplina del rapporto di lavoro.

Si citano qui soltanto alcune delle più importanti leggi speciali, e cioè:

  • la L. 15/7/1966, n. 604 (licenziamenti individuali), modificata ed integrata dalla L. 11/5/1990, n. 108;
  • la L. 20/5/1970, n. 300, universalmente nota come Statuto dei lavoratori;
  • la L. 11/8/1973, n. 533 (processo del lavoro);
  • la L. 23/7/1991, n. 223 (licenziamenti collettivi);
  • il D.Lgs. 10/11/2003 n. 276 attuativo della L. 30/2003 (cd "Riforma Biagi") L. licenziamenti collettivi)..
Le fonti regionali

La competenza legislativa delle Regioni ad autonomia ordinaria è stata fino a poco tempo fa ristretta all'istruzione professionale e all'assistenza sanitaria e ospedaliera, anche se la legge n. 883 del 1978istitutiva del servizio sanitario nazionale, ne aveva già ampliato l'importanza proprio relativamente a tale ultima materia. Solo però con la legge n. 469 del 1997, frutto del processo di decentramento amministrativo avviato dalle leggi Bassanini, le competenze regionali hanno abbracciato anche la materia del collocamento e delle politiche del lavoro.

Successivamente con la legge Cost. n. 3 del 2001, attuativa del disegno di riforma in senso federalista dello Stato, è stato modificato integralmente il Titolo V della parte seconda della Costituzione, dedicato appunto alle Regioni, Province e Comuni. La nuova suddivisione della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni si basa sull'individuazione di materie in cui lo Stato legifera in modo esclusivo, materie in cui vi è una potestà legislativa concorrente (le Regioni sono tenute a legiferare nel rispetto dei principi fondamentali definiti dalla legislazione statale) e materie che appartengono alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, senza interferenze da parte delle autorità statali. Restringendo l'analisi della riforma al riparto delle competenze relative al lavoro e alla previdenza ed assistenza, risulta che:

attengono alla competenza esclusiva dello Stato, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, l'ordinamento civile e la previdenza sociale;

attengono alla competenza concorrente delle Regioni la tutela e sicurezza del lavoro, la tutela della salute e la previdenza complementare ed integrativa (il tutto avviene, ovviamente, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionale e dei principi fondamentali contenuti nella Cost., eventualmente definiti con legge statale, anche allo scopo di garantire l'unità economico sociale della Nazione);

attengono alla competenza esclusiva delle regioni, le materie non riservate alla legge statale e alla legislazione regionale concorrente. Le regioni hanno anche il potere di dare attuazione ed esecuzione agli atti dell'Unione Europea nell'osservanza delle procedure stabilite dalla legge dello Stato (art. 117, comma 5). La recente legge n. 11 del 2005 ha disciplinato l'adozione degli atti comunitari da parte delle Regioni nelle materie di propria competenza. In tale ambito, le Regioni e le Province autonome possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie. Se si tratta di materie rientranti nella competenza legislativa concorrente, la legge comunitaria stabilisce i principi fondamentali non derogabili dalla legge regionale e prevalenti sulle eventuali disposizioni contrarie già adottate dalle Regioni. Nelle materie rientranti nella competenza esclusiva delle Regioni, lo Stato ha un potere sostitutivo al fine di porre rimedio all'eventuale inerzia delle stesse nell'adozione delle norme comunitarie (gli atti statali perdono efficacia dal momento della emanazione della legge Regionale).

Le fonti contrattuali

Non tutta la disciplina relativa alla materia del lavoro è contenuta nel codice o nelle leggi integratrici - pure numerose - o, ancora, nei decreti-legge e nei decreti legislativi emanati dal Governo.

Altra regolamentazione, che si aggiunge a quella generale, può essere rinvenuta:

  • nel contratto collettivo, che la migliore dottrina definisce come il contratto stipulato tra il sindacato dei lavoratori e l'associazione sindacale degli imprenditori, a livello interconfederale, o di categoria, o aziendale, al fine di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro a cui dovranno uniformarsi i singoli contratti individuali;
  • e nel contratto individuale, consistente nell'accordo raggiunto direttamente tra singolo lavoratore e singolo datore.

Il contratto collettivo viene stipulato a più livelli. Esso può essere:

  • confederale: è tale il contratto che viene stipulato tra le confederazioni nazionali che rappresentano interi rami delle attività economiche, e che è relativo ad istituti di generale applicazione;
  • nazionale di categoria: si tratta del contratto stipulato tra le organizzazioni sindacali di categoria, che detta la disciplina generale delle condizioni minime di trattamento della forza-lavoro;
  • aziendale: stipulato anche direttamente da parte del datore e, per i lavoratori, anche dal solo organismo sindacale aziendale, che detta la disciplina delle condizioni di trattamento dei dipendenti all'interno dell'azienda.

Nelle ipotesi in cui i contratti di diverso livello predispongano discipline in contrasto fra loro, il criterio risolutore del conflitto deve essere individuato, per la dottrina e la giurisprudenza dominanti, nel criterio della specialità, ossia nella preferenza accordata alla disciplina speciale rispetto a quella generale.

Per quanto concerne i rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale va detto che essi sono strettamente regolati, nel nostro ordinamento, dal meccanismo dell'inderogabilità in peius di natura reale; è invece possibile che il contratto individuale si discosti dal contratto collettivo derogandolo in melius.

Tuttavia, in tema di fonti del diritto del lavoro, l'argomento di maggior interesse è quello del rapporto tra la legge e contrattazione collettiva. Tra tali fonti possono stabilirsi tre forme di relazione funzionale:

  • una funzione ordinaria del contratto collettivo di applicazione e specificazione dei principi posti dalla legge;
  • una funzione di disciplina del contratto collettivo, in virtù di espressa previsione legislativa;
  • una funzione derogatoria del contratto collettivo, abilitato da specifica previsione legislativa a dettare una disciplina difforme da quella posta con legge.
Gli usi

L'uso (o consuetudine) è costituito da un comportamento costante ed uniforme, dal ripetersi cioè di un dato comportamento nel tempo ('diuturnitas'), accompagnato dalla convinzione della conformità al diritto e della necessità giuridica del comportamento stesso ('opinio iuris ac necessitatis').

Nella loro qualità di fonti del diritto del lavoro, gli usi assumono una valenza peculiare. Essi sono sempre dispositivi in quanto si applicano, di regola, solo in mancanza di disposizioni di legge o di contratto collettivo e non possono derogare la disciplina del contratto collettivo né prevalere su quella del contratto individuale. Tuttavia, essi, se più favorevoli al prestatore, prevalgono - è questa la deroga, contenuta nell'art. 2078, c.c., alla regola generale sancita dall'art. 8, preleggi - sulle norme dispositive di legge.

Da tale categoria di usi - i c.d. usi normativi - va tenuta distinta quella degli usi aziendali, che esplicano la loro efficacia nell'ambito, non della comunità generale, ma di una singola unità produttiva. Gli usi aziendali non hanno valore di norma inderogabile e, secondo la giurisprudenza, possono essere esclusi dalle parti, ancorché solo al momento della stipulazione del contratto individuale.

La giurisprudenza costituzionale

Per l'attuazione dei principi della Costituzione in materia di lavoro, un ruolo significativo è svolto dalla Corte Costituzionale, da sempre rivolta ad assicurare l'adeguamento delle norme di legge ai principi costituzionali. In molti casi, la Corte pronuncia delle sentenze esclusivamente interpretative delle leggi ordinarie, indicando entro quali limiti possa essere considerata costituzionalmente legittima una norma sospettata di incostituzionalità (sentenze interpretative di rigetto). Questa particolare attività interpretativa, alla stregua di quella della magistratura ordinaria, non pone alcun vincolo di osservanza ai giudice che, in seguito, si trovino ad essere investiti della cognizione della medesima  fattispecie. Diverso è il caso in cui la Corte costituzionale decida per la incostituzionalità di alcune tra le disposizioni tra le possibili interpretazioni della norma. In questo caso, si ha una sentenza (interpretativa di accoglimento) che, pur non modificando il testo della norma ne trasforma profondamente il contenuto precettivo (Ghera).

Le fondamentali regole interpretative

Si ha riguardo, in particolare ai criteri di interpretazione della disciplina del lavoro capaci, in determinate ipotesi, di orientare la decisione sul bilanciamento degli interesso. Non si è, quindi, in presenza di fonti del diritto in senso formale, ma di criteri di guida sussidiari.

L'equità costituisce il criterio interpretativo ed il metodo di giudizio del caso concreto (ad es. artt. 36 Cost., 2109 c.c., 2110 c.c., 2118 c.c.).

Il principio del favor prestatoris caratterizza l'intero ordinamento giuridico del lavoro e si sostanzia nella particolare tutela che, nel contratto individuale di lavoro, viene accordata al contraente più debole, e cioè al prestatore, come conseguenza della necessità di riequilibrare il diverso peso contrattuale delle parti. L'affermazione più generale è contenuta nell'art. 35 Cost. che informa tutta la regolamentazione costituzionale. Il suo presupposto è la subordinazione socio economica del lavoratore, che si traduce in una disparità negoziale a vantaggio dell'imprenditore. Oltre che nella Costituzione, il principio è affermato anche in numerose disposizioni delle legge ordinaria come, ad esempio, il principio della invalidità delle rinunce e transazioni stipulate durante il rapporto di lavoro.


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