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Cronaca e critica giudiziaria nelle trasmissioni televisive




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Cronaca e critica giudiziaria nelle trasmissioni televisive


La riproposizione di vicende giudiziarie in un programma televisivo suscita questioni relative alla tutela della persona che riveste la qualità di imputato nel processo esaminato dalla trasmissione.

Un primo aspetto problematico riguarda la liceità dell'analisi critica delle risultanze processuali, effettuata attraverso una trasmissione televisiva. Questa particolare forma di critica degli atti processuali viene generalmente ritenuta lecita dalla giurisprudenza come espressione del diritto di analisi storica, garantito dalla Costituzione, purché non vengano travalicati i limiti di tale diritto, ravvisati nella non alterazione della realtà dei fatti emergenti dal processo, e nel mantenimento del commento del giornalista nell'ambito dell'interpretazione critica dei fatti. Entro questi limiti é perciò lecito manifestare opinioni personali sulle vicende oggetto del processo, anche se divergenti rispetto alle statuizioni dei giudici.

Un distinto problema, é legato a quei programmi televisivi incentrati, anche in chiave critica, su vicende processuali ancora in corso. In tal caso l'inconveniente é rappresentato dal pericolo che l'esercizio del diritto di analisi critica delle sentenze, effettuato mentre é in corso l'ulteriore svolgimento del processo, crei una serie di interferenze a scapito del sereno svolgimento del giudizio. Come é noto, a garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura ordinaria sono poste molteplici norme, contenute nella Costituzione, nei codici e nelle leggi speciali. In particolare, la formula di cui all'art. 101 secondo comma Cost., "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" stabilisce che essi devono godere di una assoluta autonomia di giudizio, senza che il loro convincimento possa essere determinato da fattori estranei alla loro coscienza e alla loro preparazione professionale . Peraltro simili pericoli possono scaturire anche dal fenomeno, maggiormente diffuso, rappresentato dai "processi paralleli" condotti quotidianamente dai mass-media mentre è in corso il processo davanti alla magistratura ordinaria, con il pericolo che in tal modo vengano esercitate influenze sulla decisione dei giudici.

Riguardo a questo aspetto, tuttavia, bisogna dire che se è vero che il giudice deve essere libero da influenze o suggestioni che possano provenirgli dall'esterno, tuttavia, come ha riconosciuto la Corte Costituzionale, le garanzie di indipendenza da altri poteri non valgono da sole ad assicurare l'imparzialità, in quanto l'indipendenza della magistratura trova la prima e fondamentale garanzia "nel senso del dovere dei magistrati e nella loro obbedienza alla legge morale" . Inoltre, il concetto di neutralità riferito al giudice, non implica che egli non sia parte del contesto politico, sociale e culturale in cui opera e quindi esposto a influenze di vario genere. Pertanto per impedire che il giudice subisca influenze esterne non basterebbe censurare gli organi di informazione, ma, dato che un certo influsso potrebbero sempre derivargli anche dal contesto in cui é inserito bisognerebbe inibirgli ogni contatto con l'ambiente esterno, di cui, invece, inevitabilmente fa parte

Il pericolo più grave, nel caso della rappresentazione in chiave critica in uno sceneggiato televisivo di una vicenda processuale ancora in corso, non consiste, pertanto, nell'influenza che potrebbe essere esercitata sui giudici, ben consapevoli di essere sottoposti a molteplici condizionamenti e tenuti secondo la legge all'obiettività, ma nella inesatta e incompleta conoscenza dei fatti che avrebbero gli spettatori di quella trasmissione. In relazione alla posizione del pubblico, occorre chiarire la differenza esistente tra cronaca e informazione da una parte, che si esplicano ad esempio nei "processi paralleli", nei quali il pubblico ha ben presente che i fatti sono accompagnati dal commento del giornalista e possono essere di volta in volta aggiornati fino alla definizione del processo, e ricostruzione di fatti processuali nell'ambito di un programma televisivo di intrattenimento, dall'altra, nell'ambito del quale venga rappresentata una vicenda giudiziaria non ancora definita.

Non appare corretta sotto questo profilo, la realizzazione di uno sceneggiato televisivo che utilizza gli argomenti di un processo ancora in corso. Trattandosi di un racconto che ha un suo svolgimento e una sua conclusione, rischia, infatti, di generare giudizi definitivi per ciò stesso non veritieri, perché fondati sulla conoscenza parziale di una più ampia vicenda giudiziaria. In tal caso è rimesso alla correttezza e lealtà del giornalista, il compito di presentare la vicenda in termini problematici, e di dar conto comunque che la vicenda processuale é ancora in corso.

Quando invece la ricostruzione in chiave critica di eventi, realizzata da uno sceneggiato televisivo riguarda fatti che sono stati accertati in un processo penale con sentenza definitiva, la problematica si sposta sul rispetto, da parte degli autori dell'opera, dell'identità personale del protagonista della vicenda narrata. La salvaguardia del diritto di critica e di valutazione dei fatti di rilevanza sociale trova appunto un limite nel diritto all'identità personale, inteso come diritto "a non vedersi attribuire la paternità di azioni non proprie".

La critica delle sentenze é quindi ritenuta lecita anche se proviene da soggetti diversi dagli operatori del diritto, specie se effettuata allo scopo di stimolare un dibattito sulla problematica trattata, sempre però che la rappresentazione dei personaggi sia rispettosa dei limiti della rilevanza sociale della vicenda, della verità dei fatti narrati e della correttezza nella loro esposizione

Ha suscitato polemiche, proprio riguardo al dovere di correttezza nell'esposizione dei fatti, la particolare ricostruzione critica delle vicende giudiziarie di un personaggio noto al pubblico, realizzata nell'ambito di uno sceneggiato televisivo con modalità tali da ingenerare dubbi sull'innocenza dell'imputato, riconosciuta dai giudici con sentenza definitiva. Gli autori del programma, nell'intento di sollevare il problema dei processi indiziari, avevano preferito incentrare il filmato sulla sentenza che aveva assolto l'imputato con formula dubitativa, e non su quella che lo aveva assolto "per non aver commesso il fatto", divenuta definitiva con il passaggio in giudicato, della quale era stato solo dato conto in chiusura del filmato. In tale occasione, la giurisprudenza di merito aveva ritenuto lecita la ricostruzione televisiva dei fatti, stabilendo che con il filmato si fosse legittimamente esercitato il diritto di critica nei confronti del giudicato, riproponendo i dubbi che quest'ultimo aveva lasciato aperti, e perseguendo in tal modo "fini di obbiettivo interesse sociale e civile", senza cadere nella denigrazione ma basandosi su dati obbiettivi di pubblico dominio e facilmente riscontrabili . In una rappresentazione televisiva, come quella in questione, che ha ad oggetto fatti di cronaca, la valutazione della documentazione utilizzata dagli autori assume importanza decisiva per accertare se sia stata eseguita, da parte del giornalista, una seria e corretta ricerca delle fonti, e una approfondita verifica della verità delle notizie raccolte. Va considerato, però, che ogni rielaborazione non è mai la perfetta ricostruzione dei fatti, (perché questa muta anche a seconda del solo punto di vista dell'osservatore), e che la televisione comporta di per sé stessa la spettacolarizzazione della vicenda trasmessa. Nel caso che si é appena esaminato, in cui l'autore dello sceneggiato, nell'intento di coinvolgere il pubblico su un tema di interesse sociale, ha privilegiato nella narrazione un solo grado di giudizio, quello più sfavorevole all'imputato, ciò non sembra comunque rappresentare un fatto tale da alterare la verità storica, essendo stata menzionata nel filmato anche la pronuncia definitiva.

L'esigenza di correttezza dell'esposizione, posta a garanzia degli interessi personali del soggetto coinvolto e dell'interesse generale alla conoscenza non distorta dei fatti, non può perciò essere invocata per impedire la critica delle sentenze, ma deve essere volta a verificare se la vicenda giudiziaria sia stata strumentalizzata, utilizzando i possibili espedienti connessi all'uso del mezzo, per perseguire in realtà fini diversi da quelli dichiarati e consentiti dalla legge. Quando, cioè, la trasmissione televisiva non fosse più finalizzata alla critica intesa come razionale e motivato dissenso anche rispetto alle risultanze processuali, ma si risolvesse nella alterazione della verità dei fatti, o nella loro presentazione con toni esasperati, nell'evidente intento di spettacolarizzazione degli eventi, la trasmissione non sarebbe più inquadrabile nel legittimo esercizio di cronaca e critica garantiti dalla Costituzione. Uno sceneggiato televisivo che rivaluta in chiave critica le risultanze di un grado del giudizio, é perciò legittima se i fatti esposti, e le modalità espositive utilizzate, sono contenuti nell'ambito dei limiti del diritto di cronaca e di critica.






Vd. l'ordinanza Pret. Roma 5 febbraio 1980, in Foro it. 1980, I, 827, pronunciata su ricorso del protagonista della vicenda processuale oggetto di una trasmissione televisiva, che questi assumeva lesiva del suo onore e della sua reputazione. Il Pretore di Roma, nell'ordinanza citata, inquadrava nell'ambito del diritto di valutazione critica degli atti processuali, l'inserimento nel filmato, accanto alle immagini "dal vero", di un commento (espressione della personale opinione degli autori sulla vicenda oggetto del processo) non coincidente con la sentenza di primo grado, che aveva assolto il ricorrente per insufficienza di prove, ravvisando il diritto di analisi storica nel diritto "di interpretazione logico-sistematica di eventi che hanno assunto rilievo determinante nelle vicende politiche italiane".

Questi pericoli sono stati manifestati dalla Corte d'Appello di Roma 11 febbraio 1991, in Giust. civ. 1991, I, 996.

Vd. Corte Cost., 23 dicembre 1963, n. 168, in Foro it. 1964, I, 3.

Cfr. Martines T., Diritto Costituzionale, Milano, 1990.

Vd. App. Roma 11 febbraio 1991, in cui la Corte precisa che la violazione del diritto alla identità personale "si ha solo quando ci sia una infedele rappresentazione della verità individuale con l'attribuzione di azioni non compiute e di qualità e caratteri inesistenti o non desumibili, secondo il comune sentire, dalla condotta rappresentata".

Questa la motivazione adottata da Pret. Roma, 27 giugno 1985, in Temi rom., 1985. Nella sentenza citata vengono ravvisati in definitiva, nella riproposizione televisiva della vicenda, quei caratteri di utilità sociale dell'informazione, verità oggettiva o putativa (purché frutto di diligente ricerca) dei fatti, civile forma della esposizione e della valutazione, che la giurisprudenza di merito richiede ai fini del legittimo esercizio del diritto di cronaca. Giurisprudenza confermata, prima, dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n.175 del 1975 cit. e poi dalla Cassazione con la sent. 18 ottobre 1984, n. 5259 cit.

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