Crisi
della pena e del sistema giudiziario
Vediamo il
primo punto. Argomento quanto mai attuale è vedere la posizione presa dai
teorici del diritto e non, nei confronti del modello di giustizia attuale. Si
può, credo senza bisogno di eufemismi, parlare tranquillamente di crisi della
pena e del sistema processuale. Come abbiamo visto le spinte ideologiche che
hanno portato negli anni a modifiche e nuove connotazioni della pena e
dell'approccio del legislatore, sono di tipo estremamente vario. Dalla
Costituzione ai nostri giorni si è assistito ad un continuo alternarsi dei due
modelli prevalenti, fino a perderne i relativi profili in un intrecciarsi di
dubbia opportunità quanto poco convincente. Il modello retributivo e quello
rieducativo. Il primo fornisce una sola ed unica risposta al reato, la
sanzione. Vede il carcere come realtà punitiva ineluttabile e non vede altro
tipo di pena se non la reclusione. 'L'idea che la punizione- l'irrogazione
di una pena proporzionata giustificata da una concezione del diritto e dello
Stato che incolpa l'autore del reato ed esonera la società- debba o possa
risarcire il dolore o il danno inferto alla vittima, è forse il risultato di
una più generale acquiescenza verso una società di galere e di manicomi intesi
come luoghi naturali ed ineliminabili d'espiazione'. Senza aver veramente mai
preso in seria considerazione il fatto che il carcere è 'una scuola di
avviamento' e di amplificazione della delinquenza , giustificando questa
scelta obbligata 'gongolandosi coll'idea che una pena ben proporzionata
possa commisurarsi alla sofferenza della vittima compensandola' . Dall'altro lato abbiamo
un modello rieducativo, che non nuoce ripetere, è anche quello preso in
considerazione dalla nostra Costituzione. Un modello teso forse a
risocializzare il reo in una società che ha essa stessa generato la sua
emarginazione, o forse come neutralizzazione di soggetti impossibilitati ad un
cambiamento vero, o forse come trattamento diretto a persone individualmente
considerate. La confusione, in tema di rieducazione, ha sempre regnato sovrana.
Questo fine così nobile della pena in contrasto con mentalità mai morte di
vendetta sociale, non è mai riuscito a radicarsi e a darsi dei contenuti certi.
Partendo da un punto qualsiasi, da un'ideologia, da una corrente di pensiero, i
risultati che l'idea rieducativa dà sono sempre diversi. Il nostro legislatore
ha vissuto queste incertezze e le ha tradotte in altrettante incertezze
legislative. Le varie riforme cui abbiamo assistito, dal 1975 fino ad oggi ne
sono una lampante dimostrazione. Da una situazione di questo tipo non potevano
che scaturire dei mostri, e il più brutto di questi è stato quello di fondere
l'idea retribuzionistica di ineliminabilità della pena detentiva con la
necessaria, poiché costituzionale, caratteristica rieducativa della pena.
Risultato: la funzione rieducativa del carcere. Funzione che uno sguardo anche
superficiale sa che non può aversi in una struttura creata per scopi di
prevenzione e repressione della condotta criminale, un istituto custodiale da
cui non si può pretendere molto di più. Un illusione quindi, un onirico
tentativo di modellare qualcosa di rigido e statico, solo perché non se ne può fare
a meno, solo perché non esistono valide alternative . Così si è cercato di
adattare il carcere a funzioni diverse dalle sue reali potenzialità, senza però
fornirlo di mezzi adeguati, di strutture, di personale specializzato. Tutti
indici, questi, o di un disinteresse legalizzato o di una impossibilità
insanabile se non attraverso il superamento di un modello monistico della
giustizia che vede al centro del sistema la prigione, inossidabile ed
inamovibile ad ogni mutamento storico, culturale o politico che sia.