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Autonomia negoziale e autonomia contrattuale




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Autonomia negoziale e autonomia contrattuale


a. Premessa.

1. Autonomia privata, eteronomia ed autotutela. L'autonomia privata è quel potere riconosciuto o attribuito dall'ordinamento giuridico al privato, di autoregolare i propri interessi.

I due caratteri distintivi dell'autonomia privata sono:

eteronomia, creazione di regole da parte non del titolare degli interessi, ma di un soggetto estraneo provvisto di un potere pubblico; atti di eteronomia sono la legge, il provvedimento amministrativo, la sentenza. Il fenomeno dell'eteronomia è in espansione, prendendo il posto dell'autodisciplina;

autotutela, consistente nel potere di tutelare da soli i propri interessi; esso è istituito eccezionalmente e al soggetto è consentito ricorrervi solo nelle ipotesi previste dalla legge (es.: diritto di ritenzione art. 1152 c.c., legittima difesa art. 2044 c.c.).


2. Autonomia individuale e collettiva, di scambio e associatività. Facendo riferimento all'interesse autoregolato, si definisce la differenza tra autonomia individuale e collettiva.

La differenza va fatta sul tipo d'interesse da regolare:

l'autonomia individuale, riconosciuta al soggetto individuo, tende a regolare gli interessi del singolo;

l'autonomia collettiva, riconosciuta non solo al soggetto individuo ma anche agli enti, tende a regolare interessi della categoria professionale o sociale che essa rappresenta. Abbiamo anche:

l'autonomia di scambio, dove gli interessi, mossi da posizioni opposte, sono tesi a conseguire scopi non coincidenti;

l'autonomia associativa, dove gli interessi procedono parallelamente, mossi da unoscopo comune.


3. Autonomia privata e pubblica amministrazione. Difficile è fare la distinzione fra autonomia provata e pubblica, perché ormai è superata la tradizionale definizione di autonomia privata come potere riconosciuto o attribuito dall'ordinamento giuridico al privato. Il problema sorge nel fatto che anche il soggetto pubblico agisce da privato, non solo nei rapporti pubblico-privato, ma anche nei rapporti pubblico-pubblico dove gli interessi sono regolati in autonomia privata.

Il diritto privato non è da intendere solo come diritto civile, ma anche come diritto comune.

4. Concetto di autonomia negoziale: dialettica negozio-contratto. L'autonomia negoziale è il potere riconosciuto o attribuito dall'ordinamento, al soggetto di diritto privato o pubblico, di regolare con proprie manifestazioni di volontà interessi privati o pubblici, comunque non necessariamente propri. L'autonomia negoziale si manifesta (si estrinseca) con il compimento di un negozio caratterizzato non solo da negozi bi o plurilaterali, ma anche da quelli unilaterali. L'autonomia contrattuale si manifesta con il compimento del contratto caratterizzato dalla pluralità delle parti e dalla patrimonialità del contenuto (art. 1321 c.c.).

5. Sulla rilevanza costituzionale dell'autonomia contrattuale. L'autonomia contrattuale ha una rilevanza costituzionale da ricercare in un duplice profilo:

quello positivo della ricerca del fondamento e della tutela costituzionale della stessa;

quello negativo, ossia i limiti d'ordine costituzionale da essa imposti.


Facendo un confronto fra l'art. 1322 c.c e l'art. 41 Cost., si nota che l'iniziativa economica individuale s'identifica con l'autonomia contrattuale d'impresa, con la sua particolare categoria di contratti; se si confronta l'art. 1322 c.c. e l'art. 2 Cost., si denota un'autonomia contrattuale

associativa, perché proprio l'art. 2 Cost., tutela le formazioni sociali e il loro svolgimento, però non tutela la personalità di scambio che identifica l'autonomia contrattuale.

6. Fondamenti costituzionali dell'autonomia negoziale Importante è ricercare non il fondamento costituzionale dell'autonomia contrattuale, ma i fondamenti costituzionali dell'autonomia negoziale: infatti analizzandola si trovano le coordinate per la Costituzione. Esempio sono gli art. 2,13,32 Cost. che riguardano l'autonomia per la cura della propria persona e altrui; gli art. 2,29,30 Cost. riguardano l'autonomia a contenuto patrimoniale e non; l'art. 18 Cost. riguarda l'autonomia negoziale volta a creare organismi associativi a scopi ideali.

7. Limiti costituzionali all'autonomia negoziale I limiti costituzionali sono delineati dalle stesse norme nelle quali se ne individuano i fondamenti. Così l'art 41 Cost. tutela l'autonomia contrattuale, ma pone limiti per assicurare libertà e utilità sociale; anche l'art 2 e 18 Cost. tutelano il fenomeno associativo, ma denunciano le associazioni segrete a carattere militare; così l'art 29-30 Cost. tutelano l'autonomia negoziale familiare, ma la limitano al rispetto dell'uguaglianza e all'unità familiare; lo stesso discorso vale per i principi economici e di lavoro.

8. Autonomia contrattuale e diritto comunitario La comunità europea cerca in tutti i modi di non limitare, ma di modulare l'autonomia contrattuale, al fine di conseguire le finalità indicate. Esempi sono la repressione della pubblicità ingannevole e l'imposizione di obblighi d'informazione agli imprenditori oltre agli obblighi, ad esempio per le imprese di investimento, di essere chiare e limpide, e d'informare costantemente il cliente, ecc..

La disciplina comunitaria tende anche a depurare i contratti dalle cosiddette clausole abusive o vessatorie, cioè quelle pattuizioni che determinano a carico del consumatore uno squilibrio di diritti e obblighi derivanti dal contratto.

La CE cerca anche di eliminare del tutto lo stato di abuso derivante da uno stato di dipendenza di un'impresa cliente o fornitrice da parte delle imprese dominanti. Conclusioni:

a) il professionista deve informare per iscritto il consumatore-cliente;

b) scissione dell'autonomia contrattuale in autonomia del professionista e del consumatore-utente;

c) eliminazione dello stato di debolezza conseguente ad un eccessivo squilibrio degli obblighi.


9. Itinerari recenti dell'autonomia contrattuale L'autonomia contrattuale assistita indica una duplice finalità: assecondare le esigenze di mercato e tutelare i ceti sociali più vulnerabili.

Essa postula che le parti dei contratti, aventi ad oggetto determinate categorie di beni, hanno il potere di derogare a norme imperative solo se gli interessi sono assistiti dalle rispettive associazioni di categoria le quali assicurano un'equilibrata protezione degli stessi interessi.

Si parla dei cosiddetti patti in deroga i quali sono stati poi sostituiti dai contratti regolamentati o calmierati.

Si parla anche di autonomia contrattuale incentivata, quando il legislatore, per alcuni settori trainanti, applica contributi monetari o sgravi fiscali al fine di facilitare la vendita e il commercio a favore di consumatori-utenti.

10. Le classiche libertà contrattuali Queste sono le libertà dell'autonomia contrattuale:

a) di contrarre, con la scelta di concludere o no il contratto (obblighi legali, patto d'opzione);

b) di scegliere il contraente, con diverse modalità (negozio di fiducia, prelazione volontaria e legale);

c) di determinare il contenuto contrattuale arricchendolo con elementi accidentali ecc. (clausole d'uso);

d) apportare schemi contrattuali atipici, creando contratti misti (combinazioni di più contratti tipici), o stabilire una connessione di più contratti;

e) di determinare nuove forme di contratti come le forme convenzionali o patrizie, e di scegliere anche la forma: o scritta o elettronica.

11. Altre libertà contrattuali Altra libertà contrattuale è la scelta della struttura negoziale che si fonda sul principio dell'economia delle dichiarazioni. Questa libertà è intesa come il potere riconosciuto ai soggetti di compiere una duplice opzione:

scegliere fra una struttura contrattuale ed una struttura negoziale unilaterale;

scegliere fra diverse strutture contrattuali.


Nella prima categoria si ricorre ad esempio nell'ipoteca, nella seconda si ricorre quando l'iter formativo è diverso in quanto è anticipato il momento perfezionativo.

Altra libertà è la scelta di realizzare il risultato in via diretta o in via indiretta; in via indiretta quando, mediante apposite clausole, si adattano strutture negoziale tipiche o atipiche, destinate a realizzare altre funzioni, senza però eludere l'applicazione di una norma imperativa.

Figura di negozio indiretto, nulli per violazione di questo divieto e quindi in frode alla legge, è la vendita con patto di riscatto.

La libertà di incidere sull'efficacia contrattuale è da intendere:

a) come possibilità di dissociare il momento perfezionativo della fattispecie contrattuale da quello dell'efficacia stessa apponendo al contratto condizione sospensiva o termine iniziale;

b) come libertà di deviare gli effetti del contratto dalla sfera giuridica dei contraenti.


La libertà cosiddetta sanzionatoria consiste nel potere di creare, a carico dei contraenti, pene contrattuali dirette a sanzionare violazioni: regole, condotta, fonte negoziale (es.: sanzioni disciplinari).

12. Autonomia negoziale nel diritto delle persone, della famiglia e delle successioni per causa di morte L'autonomia negoziale in relazione alla persona è molto ingarbugliata, perché al legislatore spetta l'arduo compito di definire i limiti di disposizione del proprio corpo e di definire la meritevolezza dell'autonomia nel campo della bioetica o del biodiritto.

Altro problema riguarda il collegamento tra l'autonomia negoziale e i rapporti familiari, dove è posto al centro il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi.

Di autonomia testamentaria gode l'autore del testamento, il quale può scegliere fra tanti strumenti negoziali idonei a disporre delle proprie sostanze anche dopo la morte.

b. Strumenti dell'autonomia negoziale: profilo strutturale

13. Contratti, accordi e convenzioni La definizione del contratto è data dall'art. 1321 c.c., mentre gli accordi e le convenzioni non sono definiti dalla legge.

L'art 1321 c.c. afferma che: "il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale".

Una differenza fra contratto e accordo sta proprio nel fatto che l'accordo può assumere contenuto patrimoniale o non. Riguardo alla normativa applicabile, la disciplina del contratto, in virtù della sua forza espansiva, è applicata alle convenzioni e agli accordi (art. 1323-1324 c.c.).

14. Contratti e negozi unilaterali: tra tipicità e atipicità Contrapposti ai contratti, agli accordi e alle convenzioni sono i negozi unilaterali, dove vi è la presenza di una sola parte, ossia di un solo centro d'imputazione giuridica del regolamento d'interessi.

Tali negozi il codice li definisce atti e per alcuni detta una disciplina particolare, per altri regola solo determinati aspetti; per tutti quelli operanti inter-vivos e a contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.) il codice detta la disciplina dei contratti in generale.

È stata rivisitata la tassatività dei negozi unilaterali riconoscendone molti altri, definiti atipici, come quelli inter-vivos a carattere patrimoniale.

La validità dei contratti atipici è naturalmente subordinata all'esito positivo del controllo di meritevolezza di tutela dell'interesse dedotto.

c. "Elementi essenziali" del negozio e "requisiti" del contratto

15. La parte Il negozio giuridico presuppone l'esistenza di un soggetto legittimato a porlo in essere, che assuma la qualità di soggetto del negozio giuridico.

In tal senso, non è concepibile un atto giuridico in mancanza di un soggetto esistente e determinato; questi è essenziale al perfezionamento della fattispecie negoziale.

La parte è intesa come centro di interessi, assumendo il ruolo di portatore degli interessi negoziali e, di regola, di destinatario degli effetti negoziali.

La parte si identifica in un soggetto o in una pluralità di soggetti; tale pluralità, tuttavia, non nuoce alla configurazione di un'unica parte, perché questa è individuabile in base all'unicità dell'interesse perseguito.

Le funzioni di parte della fattispecie e di parte del regolamento d'interessi sono normalmente svolte da un medesimo soggetto.

Non è escluso però che le diverse componenti della vicenda negoziale siano attribuite o riferite a soggetti distinti; un esempio è la rappresentanza.

Sotto altro punto di vista, l'assunzione della qualifica di parte del regolamento d'interessi costituisce il presupposto per l'attribuzione della titolarità degli effetti negoziali.

Tuttavia, questi ultimi possono essere attribuiti direttamente anche ad un soggetto diverso, come ad esempio nel contratto a favore di terzi o nel contratto per persona da nominare.

La determinazione e l'esistenza del soggetto sono necessarie nella conclusione di negozi a carattere personale (intuitu personae), mentre per altri negozi il soggetto può anche essere indeterminato o determinabile in futuro.

I soggetti sono identificati mediante l'uso dei segni rappresentativi della soggettività e della personalità.

Il problema sorge nel caso una delle parti usi un nome fittizio: in questo caso il contratto conserva la sua efficacia e la sua validità. Problema diverso è se si usa il nome di un'altra persona, usurpandolo.

Esistono delle sanzioni per coloro che utilizzano il nome altrui per scopi economici: il contratto può essere dichiarato nullo o annullabile, se si voleva eludere un divieto normativo oppure si voleva ingannare la controparte.

16. Rappresentanza Il procedimento di formazione delle fattispecie negoziali, di norma, è dovuto alla diretta e personale partecipazione del titolare degli interessi regolati.

Spesso l'interessato non può o non vuole partecipare personalmente alla conclusione degli atti e ciò determina l'intervento di un soggetto in sostituzione nell'atto negoziale.

Tra gli schemi usati, un ruolo preminente è svolto dall'istituto della rappresentanza.

Nella rappresentanza (art. 1388 c.c.), un soggetto (rappresentante), allo scopo di curare un interesse altrui, compie un atto (rappresentativo) destinato a produrre effetti nella sfera giuridico-patrimoniale di un soggetto diverso (rappresentato).

La rappresentanza si può applicare per i negozi giuridici aventi contenuto patrimoniale, ed anche per gli atti giuridici in senso stretto; non si può applicare per gli atti personalissimi come il matrimonio.

La rappresentanza diretta è caratterizzata dalla presenza di un rappresentante che è legittimato ad agire per nome del rappresentato (spendita del nome) e per interesse dello stesso, perché gli effetti dell'atto si producono direttamente sulla sfera giuridica del rappresentato.

Nella rappresentanza indiretta, un soggetto mandatario si obbliga a compiere un atto giuridico per conto di un soggetto diverso (mandante), senza, però, manifestare l'altruità dell'affare (mandato senza rappresentanza; art. 1705, 1706, 1707 c.c.); il rappresentante compie un negozio per conto dell'interessato, ma questo negozio è concluso a nome proprio, cioè senza spendere il nome del rappresentato.

Nell'acquisto di beni immobili, il mandatario è obbligato a trasferire i beni al mandante; nell'acquisto di beni mobili o nella costituzione di diritti di credito, il mandante può rivendicare i beni ed esercitare i crediti.

Quindi, la differenza principale sta nel fatto che nella rappresentanza diretta, il rappresentato è parte del regolamento contrattuale; nella rappresentanza indiretta, il rappresentante è parte del regolamento contrattuale e il rappresentato è soltanto termine di riferimento degli effetti scaturiti dal mandato.

Il potere rappresentativo può essere conferito dall'interessato (rappresentanza volontaria) o dalla legge (rappresentanza legale).

La rappresentanza legale consiste nel conferire, da parte dell'ufficio di diritto civile, ad un soggetto idoneo, la rappresentanza di soggetti incapaci legalmente (minore età e interdizione legale) al fine di curare i loro interessi.

La rappresentanza organica è il potere di rappresentanza esercitato dagli enti legittimati a compiere atti in nome del soggetto collettivo.

La rappresentanza volontaria esprime la volontà di un soggetto (rappresentato) a legittimare un altro soggetto (rappresentante), mediante procura, ad agire nei suoi (del rappresentato) interessi.

La procura è atto unilaterale, in quanto esprime la volontà di un solo soggetto ed è recettizio, in quanto è rivolto ad un destinatario determinato (rappresentante) e non alla generalità dei terzi.

La procura è un atto unilaterale astratto, ma il fondamento causale della procura risiede nell'interesse del rappresentato alla cooperazione altrui.

A differenza della procura, il mandato ha struttura bilaterale, perché disciplina il rapporto tra rappresentante e interessato, dove il rappresentante-mandatario ha l'obbligo di compiere un atto per conto del rappresentato-mandante.

La forma della procura è determinata dal tipo di contratto che il rappresentante deve concludere (art. 1392 c.c.). La procura può essere:

. speciale, quando conferisce il potere di compiere un determinato atto

. generale, quando riguarda tutti gli atti o determinate categorie di atti relativi al patrimonio del soggetto. La procura generale conferisce il potere di adottare solo atti di ordinaria amministrazione.


La procura può essere revocata con conseguente estinzione del potere rappresentativo; può essere modificata dal rappresentato con atto unilaterale (art. 1396 c.c.).

La revocabilità della procura è esclusa soltanto quando il potere rappresentativo soddisfa sia l'interesse del rappresentato che quello del rappresentante.

Il potere rappresentativo si estingue oltre che per revoca anche per morte, incapacità sopravvenuta, o fallimento del rappresentato o del rappresentante.

Il rappresentante partecipa al negozio mediante una propria dichiarazione che concorre a formare il contenuto del regolamento.

La procura è diversa dall'ambasceria, perché in quest'ultima il soggetto (messo o nuncius) si limita a trasmettere le decisioni dell'interessato.

Carattere della procura è la spendita del nome, ossia il rappresentante agisce in nome del rappresentato; può essere tacita, basta che sia chiara e univoca.

Tuttavia, nei negozi solenni, la contemplatio domini (spendita del nome) deve essere manifestata esplicitamente nel documento.

La spendita del nome può essere anche in bianco, quando il rappresentante dichiari l'altruità dell'affare e la propria estraneità al regolamento negoziale ma senza indicare, nello stesso tempo, l'esatta identità del rappresentato (rappresentanza incertam personam); l'identità dell'interessato sarà manifestata al contraente soltanto in un momento successivo dal rappresentato o mediante la nomina effettuata dal rappresentante (art. 1762 c.c.).

Ai fini della validità dell'atto, al rappresentante è richiesta la capacità naturale, di intendere e di volere; al rappresentato è richiesta, invece, la capacità legale di agire.

I vizi della volontà sono causa di annullabilità solo se riguarda non il rappresentante.

L'abuso di potere consiste in un esercizio della rappresentanza difforme dalla funzione che gli è propria a danno del rappresentato.

Posta a tutela del rappresentato vi è l'annullabilità del negozio, la quale, però, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice.


È annullabile il contratto che il rappresentante conclude con sé stesso (art. 1395 c.c.), cioè quando vi è un contraente che ha la duplice qualità di rappresentante e contraente in proprio. L'abuso del rappresentante è escluso qualora vi sia stata preventiva autorizzazione del rappresentato.

L'eccesso di potere del rappresentante è causa di inefficacia; esso consiste nell'eseguire un potere di cui non si è legittimati. Può accadere che qualcuno contratti come rappresentante altrui senza averne i poteri: è il caso del falsus procuràtor.

Se il falsamente rappresentato giudica conveniente l'affare, egli può ratificarlo, legittimando il falsus procuràtor e consentendo la produzione degli effetti negoziali nella sua sfera.

La ratifica è il negozio unilaterale recettizio con il quale il falsamente rappresentato sana il difetto di potere del rappresentante; essa può essere espressa o tacita e, come la procura, è sottoposta ai requisiti di forma imposti per l'atto da ratificare.

La ratifica ha effetto retroattivo.

Nel caso in cui non vi è ratifica, il falsus procuràtor deve risarcire i danni al terzo contraente, purché egli dimostri di essere all'oscuro della carenza di legittimazione del rappresentante.

I danni da risarcire sono: le spese, il pregiudizio sofferto, il venir meno dell'opportunità di concludere altri negozi di analoga natura, ecc..

Fattispecie particolare riguarda la rappresentanza apparente: in base ad elementi obiettivi, i terzi sono indotti senza colpa a credere che il contraente sia titolare di un potere rappresentativo in realtà inesistente a causa del comportamento colposo dell'interessato.

Un esempio è quando il rappresentato ha consapevolmente tollerato il comportamento del rappresentante senza potere, astenendosi da ogni azione diretta ad impedirne il compimento.

I terzi ricevono tutela in applicazione del principio del legittimo affidamento.

Le conseguenze della carenza di legittimazione sono a carico del rappresentato apparente in virtù del principio dell'autoresponsabilità, perché l'atto produce egualmente effetti nei confronti del rappresentato apparente.

17. Contratto per persona da nominare Il contratto per persona da nominare consiste in un contratto dove uno dei contraenti (stipulante), al momento della conclusione, si riserva la facoltà di nominare in seguito il soggetto (nominato) che diverrà titolare del rapporto contrattuale nei confronti della controparte (promittente).

Con questa clausola il 3° nominato (electus) acquista i diritti e assume gli obblighi scaturiti dal contratto con efficacia retroattiva, cioè come se fosse sin dall'inizio l'unico e diretto destinatario degli effetti contrattuali (art. 1404).

La mancata adozione di una valida dichiarazione di nomina non pregiudica il buon esito dell'affare, dal momento che in tale ipotesi il contratto produrrà i suoi effetti nei confronti dei contraenti originari (art. 1405).

Questo contratto non può essere catalogato fra i tipi di rappresentanza, perché in caso di mancata nomina o accettazione della titolarità dei diritti, lo stipulante non pagherà i danni come il falsus procuràtor, ma ne diverrà il titolare; altra differenza con la rappresentanza sta nel fatto che con la nomina di un terzo si consuma la titolarità dello stipulante, attribuendola in via definitiva e retroattiva all'electus: non si ha quindi una traslazione.

La dichiarazione di nomina (electio amici) è negozio giuridico unilaterale recettiziomediante il quale si produce la vicenda modificativa del rapporto; essa è soggetta a decadenza e il termine (che deve essere certo e determinato) se non è convenzionale, èlegale ed è di 3 giorni.

Il termine entro il quale può essere effettuata la dichiarazione di nomina è termine di decadenza e non è rilevabile d'ufficio: se non vi è la nomina, la titolarità passa allo stipulante.

Il terzo soggetto acconsente alla nomina tramite l'accettazione che è un negozio giuridico recettizio che può essere o contemporaneo alla dichiarazione di nomina, o atto separato e quindi successivo.

La dichiarazione e l'accettazione, come la procura, devono avere la stessa forma del contratto: in materia tributaria la nomina deve avere la forma dell'atto pubblico o dellascrittura privata autenticata.

La clausola per persona da nominare è applicabile a tutti i negozi tranne per quelli non patrimoniali, intuitu personae, negozi modificativi o estintivi; la clausola è maggiormente usata nello schema dei patti d'opzione o di un contratto preliminare per sé o per persona da nominare.

Articolo 1325 del codice civile:

1. accordo delle parti (art. 1326 ss.);

2. causa (art. 1343 ss.);

3. oggetto (art. 1346 ss.);

4. forma (art. 1350 ss.).


18. Volontà e manifestazione La volontà è uno degli elementi fondamentali dell'atto negoziale; infatti, il codice civile indica nell'art. 1325 l'accordo tra le parti nei requisiti del contratto.

Nella valutazione dell'atto negoziale si sono avuti accesi dibattiti se tenere in considerazione la teoria della volontà, con la quale si valorizza la volontà interna ossia ciò che il disponente realmente voleva, oppure considerare la teoria della dichiarazione, con la quale si valorizza la volontà esterna manifestata dal dichiarante.

Anche se l'autonomia non è sempre legata alla volontà, quest'ultima continua ad essere considerata il momento dinamico delle relazione giuridiche e quindi necessariamente essenziale.

Infatti, la mancanza della volontà produce la nullità dell'atto, e quando la volontà non è espressa liberamente (cioè è viziata), l'atto è annullabile.

La dichiarazione diretta ad uno o più soggetti determinati si dice recettizia quando, per produrre effetti, deve essere conosciuta dal destinatario o conoscibile mediante l'uso dell'ordinaria diligenza (artt. 1374-1375); si dice non recettizia quando non è diretta a determinati destinatari e produce immediatamente i suoi effetti (es. accettazione dell'eredità).

La dichiarazione espressa consiste non solo nelle parole, ma anche nei gesti, in segni espressivi che, secondo la valutazione nell'ambiente sociale, sono idonei ad esprimere immediatamente e direttamente la volontà; anche il silenzio può assumere valore di dichiarazione.

La dichiarazione tacita comprende quelle dichiarazioni e quei comportamenti che lasciano desumere in modo univoco e immediato la propria volontà (comportamento concludente).

19. Comportamento concludente e attuativo Con il comportamento concludente, l'agente (inteso come colui che agisce) fa desumere la propria volontà in modo univoco e immediato; un esempio è l'agente che va ad un self-service e si avvicina alla cassa con il vassoio.

Con il comportamento attuativo la volontà è intrinseca nell'immediatezza dell'esecuzione e la volontà si realizza senza dichiarazione.

Se da un determinato comportamento si può desumere una volontà diversa da quella dell'agente, egli la può escludere manifestando espressamente la sua volontà contraria (protestatio).

Il ricorso alla dichiarazione tacita di volontà è naturalmente escluso per quegli atti per i quali la legge richiede la forma scritta o l'atto pubblico.

20. Autoresponsabilità e affidamento L'autoresponsabilità è una regola generale di comportamento secondo buona fede; essa postula che chi manifesta una concreta determinazione negoziale resti legato alle conseguenze che da questa discendono, tutte le volte che la sua dichiarazione possa apparire.

L'autoresponsabilità è vincolante in quanto "regola".

Ai fini della validità dell'atto d'autonomia, la legge non richiede che la volontà intima del soggetto risponda a quanto dichiarato, perché ciò che pensa e ciò che vuole sono un qualcosa di proprio (riserva mentale), e quindi resta vincolato alla sua dichiarazione.

La tutela dell'affidamento si ha quando un soggetto ha confidato nel contegno della controparte e tale fiducia si fonda su circostanze oggettive ragionevoli.

Il principio dell'apparenza giuridica tutela e protegge, a differenza dell'affidamento, lo stato di fiducia dell'altro soggetto in buona fede.

21. Mancanza e vizi della volontà: rinvio La volontà è un elemento essenziale dell'atto d'autonomia e si traduce in una manifestazione che abbia il carattere di un serio impegno sul piano sociale e che ad un tempo sia riconducibile da parte dei terzi.

Essa è un elemento essenziale, in quanto il legislatore dispone che in presenza di alcune circostanze è possibile chiedere l'annullamento dell'atto negoziale.

22. Causa La causa è uno degli elementi essenziali del contratto ed è tutelato dalla legge, in quanto lecita e meritevole di tutela.

Nel caso la causa fosse illecita e immeritevole di tutela, l'ordinamento sanziona ciò con la nullità del contratto.

Il vigente ordinamento ha accolto il principio della causalità negoziale che, dettato dalla legge in sede contrattuale, opera anche per i negozi unilaterali.

La causa non è solo un elemento essenziale del contratto, ma è intesa anche come quid (qualcosa) che illumina il contratto, un quid che svolge la funzione di regolamento di interessi.

Difatti, alla causa è ricondotta una pluralità di funzioni: una funzione economico-sociale, una sintesi degli effetti essenziali, una funzione economica-individuale, giustificazione dello spostamento patrimoniale, ecc..

Con il codice del 1865 si aveva una concezione soggettiva della causa; il contratto era visto come un'obbligazione e la causa si risolveva nel raggiungimento degli interessi, cioè il contratto era valutato dal punto di vista dei contraenti.

Con l'entrata in vigore del codice civile del 1942, il contratto non è visto più come una mera obbligazione e la causa si risolveva prima nella ragione economica-giuridica del negozio, in seguito nella ragione economico-sociale riguardante quegli atti negoziali che realizzano una funzione di utilità sociale e la quale causa (tipica) è già disciplinata dall'ordinamento.

La causa aveva il ruolo di controllare che i fini perseguiti dai contraenti fossero coerenti con quelli generali fissati dall'ordinamento.

Si ha quindi uno spostamento della valutazione del contratto dal punto di vista dei contraenti, a quello dell'ordinamento (concezione oggettiva).

Un errore che è stato commesso da molti studiosi è quello di ritenere uguali la causa e il tipo, che è lo schema astratto-regolamentare; per non incorrere in tale errore, nella causa si intravede anche la funzione economico-individuale, cioè la reale partecipazione delle parti all'operazione.

L'ordinamento divide i contratti tipici da quelli atipici.

I contratti tipici sono quei contratti caratterizzati da una fattispecie disciplinata e da una causa tipica con schemi previsti; bisogna distinguere la causa in astratto e la causa in concreto.

Per quanto riguarda la causa in astratto, se si tratta di contratto tipico non si pone un problema di mancanza di causa che invece si pone per quanto riguarda la causa in concreto (es: nullità della fideiussione per inesistenza del debito garantito).

Il problema della causa in astratto si pone per i contratti atipici, cioè quei contratti che sono caratterizzati da una fattispecie non disciplinata e da una causa atipica, dove il giudice dovrà accertare se nel contratto ricorre il requisito della causa.

La causa è la funzione giuridica fissata dalla sintesi degli effetti giuridici diretti ed essenziali del contratto; essa (la causa) è costituita dall'incontro del concreto interesse con gli effetti del contratto.

Per sintesi si intende la relativizzazione degli effetti con riferimento al concreto negozio.

Questa funzione giuridica non si risolve in tutti gli effetti riconducibili alla fattispecie, ma solo alla sintesi di quelli essenziali.

Ogni tipologia contrattuale non è possibile ricondurla ad una causa predeterminata, perché, ad esempio, in una pluralità di compravendite è possibile riscontrare non un'identità di tipo contrattuale, ma una pluralità di cause.

Nel caso la causa fosse predeterminata per ogni tipo di contratto ad esempio una compravendita non potrebbe mai presentarsi una causa illecita, che invece potrebbe manifestarsi per i contratti atipici.

Il negozio indiretto, inteso come uno schema tipico per raggiungere uno scopo non riconducibile a quel dato tipo negoziale, non rappresenta una situazione anomala, però è sottoposto a controlli di liceità e meritevolezza.

Il negozio indiretto è una connessione di più negozi al fine di ottenere un risultato che è diverso da quello che persegue ogni singolo negozio, senza eludere il divieto di una norma imperativa.

La causa nella compravendita è il trasferimento della cosa contro il corrispettivo del prezzo, il motivo è tutto ciò che ha spinto i contraenti alla conclusione del contratto.

Il motivo quindi costituisce il concreto interesse di una o di entrambe le parti ed esso non è dedotto nel regolamento da esse (le parti) predisposto; il motivo è rilevante solo se illecito e comune ad entrambi le parti del contratto ed è rilevante non solo in chiave patologica.

L'atto ha meritevolezza soltanto qualora risponde ad una funzione giuridicamente e socialmente utile, poiché la mancanza o l'illiceità della causa producono la nullità del contratto.

I negozi astratti, svincolati dalla causa (nel senso che se la causa manchi o sia illecita, ciò non priverebbe al negozio di produrre gli effetti giuridici), sono meramente teorici, non esistendo alcuna disposizione che discorre di astrattezza.

La natura causale di un negozio non viene meno per il semplice fatto che la causa non è espressamente indicata, perché essa la si deduce mediante il processo di interpretazione e qualificazione.

Tuttavia bisogna dividere il caso di astrattezza piena o assoluta dal caso di astrattezza semplice o relativa, dove nel caso di astrattezza semplice o relativa ossia di negozi provvisti di causa, essi producono gli effetti anche se non sorretti da una causa lecita e meritevole di tutela.

23. Oggetto. L'oggetto è tra i requisiti essenziali del contratto (art. 1325 c.c.); non è facile definirlo in un modo specifico, in quanto, può essere considerato oggetto sia una cosa materiale che una cosa immateriale, sia una prestazione che un diritto, ecc..

Innanzitutto bisogna distinguere l'oggetto del negozio dall'oggetto dell'obbligazione (o del rapporto): il primo indica un elemento della fattispecie, la cui mancanza o patologia (dell'elemento = oggetto) determina l'invalidità della fattispecie; il secondo, invece, indica un elemento del rapporto che scaturisce dall'atto, la cui mancanza o patologia (dell'elemento = oggetto) non determinano vizi genetici della fattispecie ma anomalie che sorgono al momento della fase attuativa o esecutiva del contratto e possono (queste anomalie) essere causa di risoluzione.

L'oggetto del contratto o del negozio individua una categoria logica e non un'entità materiale, perché quest'ultima è estranea alla struttura dell'atto, in quanto, costituisce o l'effetto o il termine di riferimento.

L'oggetto del contratto o del negozio è un requisito della fattispecie, la cosa sul quale si manifesta la volontà e si forma il consenso.

I negozi su beni futuri hanno ad oggetto la vendita di beni futuri come, ad esempio, i frutti di un raccolto e la proprietà passerà dal venditore al compratore nel momento in cui la cosa sarà venuta ad esistenza; è, invece, vietato donare cose future.

Nei negozi l'oggetto può essere determinato in modo generico o da determinarsi per relationem; quando è determinato per relationem, l'oggetto è valutato successivamente su accordo delle parti da una fonte esterna.

Un esempio è la valutazione di una cosa su cui i due contraenti non riescono a trovare un valore comune: essa è stimata a valore di mercato o può essere stimata da un terzo incaricato a valutarla a valore di mercato o sulla base del suo insindacabile arbitrio (arbitraggio).

I requisiti dell'oggetto, indicati dall'articolo 1346 del codice civile, sono: la liceità, la possibilità e la determinatezza o determinabilità.

. Possibilità: l'oggetto del contratto deve essere possibile. La possibilità può essere materiale e giuridica: per quanto riguarda la possibilità materiale, l'oggetto è impossibile quando si tratta di una cosa che non esiste oppure di una prestazione

materialmente ineseguibile; per quanto riguarda la possibilità giuridica, l'oggetto è impossibile quando esso non è per legge una cosa che può formare oggetto di diritto (corpo umano). Sono giuridicamente impossibili anche i beni che la legge dichiara inalienabili o fuori commercio (beni demaniali).

. Determinatezza o Determinabilità: l'oggetto è determinato quando è possibile ed è certa la sua identificazione; l'oggetto è determinabile quando, con stime di mercato o con metodi enunciati nel contratto, è possibile stimarlo e determinarlo.

. Liceità: l'oggetto è illecito quando la cosa dedotta in contratto è il prodotto o lo strumento di attività contrarie a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, o quando la prestazione dedotta in contratto è attività vietata.


L'illiceità della causa è differente da quella dell'oggetto, perché quella della causa investe la funzione del contratto: il contratto può avere un oggetto lecito e tuttavia una causa illecita.

Il contenuto è lo stesso atto nel suo complesso, l'insieme delle pattuizioni.

Nel contenuto bisogna discernere l'oggetto dalla causa: difatti, la medesima prestazione può essere oggetto di contratti che hanno causa diversa, in quanto, la condotta dell'obbligato è la stessa, ma le cause sono diverse.

24. Forma La forma in senso lato, indica il veicolo mediante il quale le parti esteriorizzano le loro manifestazioni di volontà, in senso stretto è il documento (atto pubblico o scrittura privata) dal quale risulta la manifestazione di volontà.

Il nostro ordinamento è governato dal cosiddetto principio della libertà delle forme, dove le parti possono scegliere qualsiasi forma desiderino per manifestare le loro volontà.

A tale principio fanno eccezione quei contratti dove la forma è prescritta dall'ordinamento pena la nullità del contratto.

Questi contratti sono quelli immobiliari: contratti che trasferiscono la proprietà o altri diritti reali su beni immobili.

Al principio della libertà delle forme non è immediatamente riconducibile la mancanza di una norma che prescrive anticipatamente la forma richiesta, perché è più giusto parlare di una contrapposizione tra i contratti senza forma, ossia contratti che hanno come requisiti l'accordo, l'oggetto e la causa, e i contratti con la forma, ossia quei contratti che a questi tre requisiti aggiungono quello della forma. In realtà, le previsioni di forma hanno natura regolare o eccezionale e disciplinano concreti negozi, dove l'interprete deve individuare gli interessi che giustificano la previsione e verificare la loro meritevolezza di tutela.

La forma sul piano giuridico assolve due funzioni:

. le forme ad substantiam condizionano la validità del negozio tanto da determinare la nullità dell'atto nell'ipotesi di una sua (della forma) violazione;

. le forme ad probationem, dove il mancato rispetto della trascrizione incide sui limiti dell'ammissibilità della prova, escludendo la prova testimoniale e quella per presunzione.


La forma può essere orale o scritta; la forma scritta può consistere in un atto pubblico o in una scrittura privata. L'atto pubblico è redatto dal notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato. La scrittura privata è redatta e scritta dalle stesse parti ed è perfettamente valida; essa può essere anche autenticata dal notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato e l'autenticazione è usata come mezzo di prova.

Per alcuni contratti è richiesta la forma solenne (art. 1350 c.c.), che può essere scrittura privata o atto pubblico; in alcuni casi (donazione, s.p.a., s.r.l.) è richiesto necessariamente l'atto pubblico. È riconosciuto come forma scritta legale anche il documento informatico.

Per i contratti solenni, la forma scritta è il presupposto della loro pubblicità (trascrizione o iscrizione); essi devono, in ogni modo, rappresentare la diretta esternazione della volontà delle parti.

A volte, la forma scritta è voluta dalla legge per la sola pubblicità, come nel contratto di vendita di autoveicoli, che si può perfezionare anche con una stretta di mano.

Tuttavia, per la trascrizione nel P.R.A. occorre una dichiarazione autenticata del venditore.

Altra funzione che svolge la forma è l'opponibilità ai terzi degli effetti del contratto (es: la vendita mobiliare con riserva di proprietà non è opponibile ai creditori dell'acquirente se non risulta da atto scritto anteriore al pignoramento, in quanto l'acquirente acquista la proprietà del bene solo con il pagamento dell'ultima rata).

In alcune ipotesi la forma risolve un conflitto fra più terzi, come, per esempio, nel conflitto fra più cessionari, dove prevale colui che ha trascritto la cessione del credito per primo.

Importante è il rapporto tra forma e contenuto: il contenuto minimo riguarda lo schema predisposto dalla legge, il contenuto effettivo riguarda le determinazione contrattuali comprese le clausole accessorie volute dalle parti.

La forma solenne investe solo il contenuto minimo, cioè ad esempio nella vendita di un bene immobile, la forma riguarda l'intento dispositivo, l'oggetto e il prezzo; le altre clausole possono essere redatte in altra forma.

Tra le forme si annoverano:

. il telegramma, che ha l'efficacia della scrittura privata quando è sottoscritto dal mittente o con firma autenticata dal notaio;

. il telex è equiparato allo scritto di cui però non si può verificare la veridicità in quanto non richiede l'intervento di un terzo;

. il telefax è una riproduzione meccanica di cui si conosce il responsabile ma non l'autore; non può essere utilizzato per la conclusione di un contratto solenne.


Per quanto riguarda la relatio, il contenuto del negozio è completato da altri elementi, esterni però al contenuto.

Nei casi di negozi senza forma, il problema non si pone, purché questi elementi non riguardino la causa e l'oggetto; nei casi di negozi solenni, questi elementi non devono riguardare il contenuto minimo.

Per la determinazione del tasso di interesse in misura superiore a quello legale, la legge esige la forma scritta.

La forma dei cosiddetti negozi collegati deve essere uguale alla forma di quello principale; esempi sono: la procura, la ratifica e il contratto preliminare.

La sottoscrizione ha la funzione di individuare gli autori; essa deve essere autografa e idonea ad individuare il sottoscrittore.

La mancanza di una sottoscrizione di una scrittura privata può essere surrogata con la produzione in giudizio della scrittura ad opera del soggetto che non l'ha sottoscritta.

La legge attribuisce alle parti il potere di determinare con patto scritto la forma del contratto, qualora la forma sia libera; tuttavia la forma dell'atto negoziale richiede un controllo di meritevolezza finalizzato ad assecondare i valori fondamentali dell'ordinamento.

L'art. 1352 del c.c. afferma che se le parti hanno preventivamente deciso per iscritto una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che quella determinata forma sia richiesta per la validità dell'atto.

Tuttavia l'art. 1352 c.c. appare parziale e difettoso, in quanto alimenta incertezze e dubbi perché manca la regolamentazione di importanti fattispecie.

La forma scritta non è richiesta solo per la validità, ma anche per la produzione di determinati effetti nei casi di interpretazione e di revoca.

I patti dubbi sono quegli atti negoziali le cui parti hanno determinato le loro modalità future, ma non la funzione che tali atti assolvono; in questo caso la giurisprudenza, per risolvere il problema, utilizza le norme generali sull'interpretazione dei contratti (art. 1362 ss c.c.).

Nella pratica accade che le parti si obbligano a ripetere in atto pubblico un contratto solenne in scrittura privata per permettere la trascrizione dell'atto; di fronte all'inadempimento del contraente, l'altro non può agire con l'azione prevista per gli obblighi a contrarre, perché il contratto concluso è definitivo. Tuttavia può chiedere l'azione di accertamento dell'autenticità della sottoscrizione.

La rinnovazione si può avere per due ipotesi:

1. le parti eliminano il precedente negozio ex tunc (da allora) perché ad esempio affetto da nullità, sostituendolo con uno successivo identico al primo con efficacia ex nunc (d'adesso) creandosi uno spostamento temporale del negozio;

2. le parti eliminano il precedente negozio ex tunc, sostituendolo con un nuovo negozio ex nunc che però non ha continuità di effetti con il primo.


d. Strumenti dell'autonomia negoziale: profilo dinamico

25. Formazione dei contratti (art. 1326 ss La tecnica dello scambio dei consensi è un procedimento idoneo a produrre regole contrattuali.

Esso postula che due o più persone si accordano sul contenuto del contratto che intendono concludere. Se le parti sono persone presenti non sorgono problemi relativi ai tempi, ai modi, e al luogo; se invece lo scambio avviene tra persone distanti, il contratto è concluso nel momento dell'accettazione dell'altra parte e il luogo della conclusione del contratto è quello dove il proponente ha conoscenza dell'accettazione.

La proposta è l'atto prenegoziale con il quale una parte prospetta (propone) all'altra il contenuto del contratto; tale contenuto deve essere completo ed espresso nella forma richiesta per la validità del contratto.

Quando la proposta è incompleta, l'altra parte sollecita il proponente a precisare un elemento mancante, diventando così un invito a proporre.

La proposta è rilevante quando rappresenta la volontà definitiva del proponente ed è trasmessa all'altra parte.

L'accettazione esprime la volontà di vincolarsi al programma contrattuale della proposta: in caso di un'accettazione parziale o modificativa l'accordo si potrebbe considerare perfezionato. L'accettazione non conforme vale come nuova proposta o controproposta e vale come controproposta anche un'accettazione del contenuto del contratto, ma non espressa nella forma richiesta dal proponente.

L'efficacia della proposta ha un termine che è stabilito o dalle parti in accordo oppure è determinato secondo natura del contratto; il proponente può ritenere valida l'accettazione tardiva salvo l'obbligo di darne immediatamente comunicazione all'accettante (oblato).

La proposta e l'accettazione sono revocabili fino a quando il contratto non sia concluso:

la revoca della proposta deve essere inviata all'oblato prima che la sua accettazione arrivi a conoscenza del proponente; la revoca dell'accettazione deve giungere a conoscenza del proponente prima che giunga l'accettazione.

L'art. 1328 c.c. dispone che se l'oblato, dopo l'accettazione e prima di venire a conoscenza della revoca, ha iniziato in buona fede l'esecuzione, ha diritto ad essere indennizzato per le spese e perdite subite.

L'art 1335 dispone una presunzione quella di conoscenza: la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta ad una determinata persona, si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario anche se questi per cause a lui non imputabili prova di essere stato nell'impossibilità di averne notizia.

La proposta irrevocabile è atto unilaterale, preparatorio, che ha efficacia per un tempo determinato e vincola immediatamente chi la compie; la sua finalità sta nel fatto che il destinatario di tale offerta ha un determinato tempo in cui decidere, sapendo però che il proponente non modificherà i termini della proposta, come ad esempio l'aumento del prezzo oppure di non proporre ad altri l'affare.

La proposta e l'accettazione decadono per morte o incapacità sopravvenuta del proponente prima della conclusione del contratto; non decadono però se vengono fatte dall'imprenditore nell'esercizio dell'impresa.

Ci sono dei contratti che hanno un'esecuzione anticipata: sono quei contratti che su richiesta del proponente o per la natura dell'affare non necessitano di una preventiva accettazione per iniziare un'esecuzione.

Nel momento in cui l'oblato avvia l'esecuzione, il contratto s'intende concluso nel tempo e nel luogo d'inizio dell'esecuzione e il proponente non può più avvalersi del diritto di revoca. L'oblato può concludere il contratto senza attendere che l'accettazione giunga alla controparte, ma ha l'obbligo di mettere a conoscenza il proponente dell'avviata esecuzione, pena il risarcimento del danno.

L'art 1336 dispone dell'offerta al pubblico; essa è un diverso procedimento di formazione del contratto.

La proposta non ha un destinatario prestabilito ma è diretta a chiunque ne abbia conoscenza.

Ai fini della conclusione del contratto è sufficiente che chi abbia interesse all'acquisto lo manifesti con l'accettazione.

Il proponente può revocare la proposta con gli stessi mezzi in cui ha manifestato l'offerta.

L'offerta al pubblico si differenzia dalla promessa al pubblico, perché la promessa è negozio unilaterale immediatamente vincolante per chi lo compie, mentre l'offerta è soltanto una proposta revocabile e priva di effetti negoziali che però si possono verificare con l'accettazione.

L'art 1333 disciplina la formazione del contratto con obbligazione a carico del solo proponente; esso è per definizione a titolo gratuito, ma non è mosso necessariamente da spirito di liberalità.

L'interesse del proponente può avere contenuto economico oppure un contenuto di aspettativa come nel caso della pubblicità.

La proposta è irrevocabile anche in assenza di un termine ed il contratto si reputa concluso se l'oblato non rifiuti nel termine richiesto dalla natura dell'affare o degli usi.

Il contratto con obbligazione a carico del solo proponente è detto anche contratto unilaterale. Si tratta pur sempre di un negozio bilaterale, che si perfeziona mediante comportamenti riservati ad entrambe le parti: l'unilateralità si riferisce non al numero delle parti, ma alla circostanza che la prestazione è a carico di una sola di esse (del solo proponente) (tesi di bilateralità e unilateralità).

Il contratto con sé stesso o l'autocontratto è sicuramente bilaterale, perché il regolamento di interessi è riferito a due parti, al rappresentante e al rappresentato.

Molti problemi recano i contratti informatici; essi sono stipulati tramite macchine e rendono difficile l'imputazione degli effetti del contratto, la valutazione della dichiarazione e la presenza dei vizi della volontà. Quindi il contratto può essere concluso in due ipotesi:

1. mediante l'uso di tessere magnetiche con digitazione di un codice segreto; l'identificazione dell'utente sta nel possesso della tessera e nella conoscenza del codice segreto.

2. L'utente ha l'onere di conservare la tessera e mantenere la segretezza del codice; nei casi in cui l'utente smarrisce o si vede sottratta la scheda, deve tempestivamente comunicare alla controparte il fatto. Per quanto riguarda i vizi di volontà, l'uso del calcolatore richiede che il soggetto sia cosciente e ciò esclude l'ipotesi di incapacità naturale.

3. mediante l'uso di terminali; l'identificazione è fatta presupponendo la personalità del terminale e i vizi possono essere riscontrati nella dichiarazione e nel suo contenuto.

La revoca è applicabile alla proposta e non all'accettazione.


In entrambi i casi, la dichiarazione è imputata direttamente al mandante in virtù dell'utilizzo dell'elaboratore e senza la necessità di una sostituzione formale.

Altri problemi riguardano i contratti via internet, dove è richiesto un minimo di informazione sull'oggetto o sul servizio offerto affinché il messaggio pubblicitario sia riconosciuto come proposta.

Tuttavia se manca tale informazione, il contratto non è concluso anche se l'operatore accetta. I contratti via internet hanno la medesima disciplina dell'offerta al pubblico.

Come ben sappiamo, il contratto si perfeziona con l'accordo delle parti; da quel momento esso produce i suoi effetti.

Tuttavia ci sono casi in cui tale accordo è necessario ma non sufficiente, in quanto il contratto, per perfezionarsi, necessita della consegna della cosa. Sono chiamati contratti consensuali quei contratti che si perfezionano con il solo accordo delle parti; sono chiamati contratti reali quei contratti che per perfezionarsi necessitano non solo dell'accordo delle parti ma anche della consegna della cosa. Esempi di contratti reali sono il comodato, il deposito, ecc..

La categoria dei contratti reali è eterogenea.

Nei contratti standard, il regolamento contrattuale è integralmente disposto da uno dei contraenti, di solito l'imprenditore.

26. Trattative, buona fede e responsabilità cosiddetta precontrattuale L'art. 1337 c.c. dispone che le parti hanno il dovere di comportarsi secondo buona fede nelle trattative e nella conclusione del contratto.

Le trattative, caratterizzate da una sequenza di proposte e contro-proposte, s'identificano in inviti ad offrire, a loro volta preceduti da informazioni che illustrano alla controparte i vantaggi connessi alla conclusione del contratto.

Circa il dovere di buona fede, un elemento essenziale è l'informazione o meglio del dovere del contraente d'informare la controparte.

Esempio tangibile dell'importanza del dovere d'informazione lo si riscontra in alcuni casi particolari come le prestazione mediche o i contratti finanziari.

Il paziente e il risparmiatore non sono normalmente in grado di valutare i propri interessi, perché questi ultimi (gli interessi) sono rimessi a dati tecnici a loro sconosciuti.

Spetta al contraente (medico o promotore finanziario) tecnicamente consapevole di selezionare i dati da fornire in modo comprensibile alla controparte.

Il dovere autonomo d'informazione non è un semplice momento della formazione del consenso contrattuale, perché riguarda interessi costituzionalmente rilevanti, ed infatti alcuni doveri d'informazione sono sanciti dalla legge, e di altri si auspica l'imposizione.

Di rilevante importanza non è soltanto il dovere d'informazione, ma anche la trattativa in sé, in quanto considerata dato essenziale per la validità di clausole, altrimenti qualificate vessatorie.

La clausola opera nell'interesse di una sola delle parti, poiché l'altra parte è comunque vincolata. L'obiettivo che si vuole raggiungere è un procedimento di formazione del contratto che riequilibri i rapporti tra gli imprenditori e i consumatori, in quanto questi ultimi sono fisiologicamente sbilanciati per la maggiore forza contrattuale dei primi.

Criterio generale per valutare la condotta delle parti è la buona fede intesa in senso oggettivo, perché è indifferente parlare di buona fede o correttezza.

La responsabilità cosiddetta contrattuale o per culpa in contraendo è applicata nelle ipotesi di recesso ingiustificato dalle trattative.

Oggetto di valutazione è il legittimo affidamento che una parte fa nell'altra tanto da rinunciare ad altri affari o a fare spese in funzione della conclusione del contratto.

Eguale responsabilità grava alla parte che non abbia informato la controparte della conoscenza delle cause d'invalidità del contratto oppure alla parte che abbia accettato tale contratto pur riconoscendo un errore nella proposta del contraente.

La dottrina si mostra poco sensibile per quanto riguarda i doveri d'informazione delle cause che non riguardano l'invalidità, in presenza di contratti validamente conclusi.

Il dovere di buona fede è fonte di responsabilità perché nel caso non venga rispettato esso produce un risarcimento del danno; il problema è stabilire se il risarcimento del danno deriva da una fonte contrattuale o extracontrattuale.

La dottrina prevalente afferma che il risarcimento del danno deriva da fonte extracontrattuale, ossia da fatto illecito, che ha preceduto o accompagnato la formazione del contratto e quindi la liquidazione del denaro è regolata dalle norme del fatto illecito; una tesi minoritaria afferma che la responsabilità precontrattuale è da intendersi come responsabilità contrattuale e quindi il risarcimento del danno è liquidato per l'inadempimento dell'obbligazione di comportarsi secondo buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto.

e. Vincoli nella formazione dei contratti

27. Vincoli alla libertà di contrarre. Nel trattare l'autonomia contrattuale si è fatto cenno ai limiti delle singole libertà contrattuali; tra queste rilievo particolare assumono i vincoli che limitano o regolano l'esercizio delle libertà nella fase delle formazione del contratto.

Queste libertà sono: la libertà di contrarre o no, la libertà di scegliere con chi concluderlo, la libertà di determinare il contenuto.

La libertà di contrarre o no è tuttavia limitata nel caso di un obbligo alla conclusione del contratto, che abbia la sua fonte o nella legge (obbligo legale a contrarre), o nella volontà delle parti (obbligo negoziale a contrarre).

28. Segue. Obblighi legali a contrarre L'obbligo legale a contrarre non è incompatibile con la natura contrattuale; esso non si costituisce per legge, cioè non si verifica una sostituzione della legge alla volontà dei privati, ma è una limitazione della libertà contrattuale derivante dall'esigenza di tutelare determinati interessi.

Con l'obbligo legale a contrarre si vuole tutelare il soggetto (es: consumatore) che o non ha la possibilità di scegliere la controparte o è costretto a fare tale scelta tra imprese che non operano in regime di concorrenza.

Al fine di evitare discriminazioni e favoritismi, la legge affianca all'obbligo legale a contrarre, la parità di trattamento di tutti i contraenti; a tali obblighi sono tenuti quegli enti che operano per legge in una situazione di monopolio legale (Enel) e quegli enti che esercitano servizi pubblici (trasporti pubblici).

Nei casi di rifiuto a contrarre il contraente debole (es: consumatore) ha la possibilità di richiedere oltre al risarcimento del danno anche l'esecuzione in forma specifica

29. Segue. Patto di opzione L'opzione (art. 1331 c.c.), di natura convenzionale, crea un vincolo unilaterale nella formazione del contratto; il patto d'opzione è il contratto con il quale una parte (concedente) rimane vincolata alla propria dichiarazione e l'altra (opzionario) ha la facoltà di accettare tale dichiarazione entro un certo termine.

È un obbligo convenzionale a contrarre. Se le parti non hanno fissato un termine, questo viene stabilito dal giudice secondo la regola generale (art. 1183 c.c.).

Vi sono delle differenze tra il patto d'opzione e la proposta irrevocabile:

1. nell'opzione, il vincolo dell'irrevocabilità della proposta risulta non da un impegno assunto unilateralmente, come nella proposta irrevocabile, ma da un accordo delle parti;

2. l'opzione può essere o un patto autonomo o un patto accessorio ad un contratto più vasto (es: leasing) e può essere oneroso quando è previsto un corrispettivo (c.d. premio) a carico dell'opzionario; la proposta irrevocabile, invece, non può avere carattere oneroso, in quanto atto unilaterale del proponente.

3. l'opzione, a differenza della proposta forma o irrevocabile, può costituire oggetto di cessione ad un terzo: tale cessione può avvenire a titolo oneroso e l'opzione viene considerata come un bene sottoponibile a circolazione.


Vi è anche una differenza tra il patto d'opzione e il contratto preliminare: nel patto d'opzione, l'opzionario può accettare oppure o no la dichiarazione del concedente e quindi ha la libertà di stipulare o no il contratto definitivo; il contratto preliminare, invece, vincola le parti oppure una sola di esse all'obbligo di stipulare il contratto definitivo.

Nel caso in cui l'esercizio d'opzione è impedito o reso impossibile ad esempio per distruzione del bene, le conseguenze sono disciplinate dalla responsabilità precontrattuale, in quanto il concedente è in una situazione di soggezione e non di obbligo.

L'opzione non è suscettibile a trascrizione.

30. Segue. Contratto preliminare Il contratto preliminare è il contratto con il quale le parti, o anche una sola di esse, si obbligano a concludere un successivo contratto; esso, di natura convenzionale, è un contratto con effetti obbligatori che determina il contenuto essenziale del contratto definitivo.

Il contratto preliminare è utilizzato maggiormente per i contratti reali ed un esempio classico è il preliminare di vendita, dove non si trasferisce la proprietà della cosa, ma sorge l'obbligazione per una parte di comprare e per l'altra di vendere.

Una volta adempiuto il preliminare, le parti concluderanno il contratto definitivo dove si avrà il trasferimento della proprietà.

Il preliminare è considerato incompatibile con la donazione, in quanto, rendendola obbligatoria, viene meno la liberalità propria della stessa.

Le ragioni che inducono le parti a stipulare un contratto preliminare sono varie: ad esempio, il compratore non dispone ancora dell'intera somma necessaria per il pagamento del prezzo, altro esempio è l'esigenza di precisare qualche oggetto accessorio del contratto, ecc..

Qualora una delle parti non adempia il preliminare, l'altra parte può rivolgersi al giudice ed ottenere, se il preliminare non lo esclude, l'esecuzione forzata dell'obbligazione di contrarre: il giudice emetterà una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso.

Nel caso di un preliminare di vendita, la sentenza, cha ha natura costitutiva, trasferisce la proprietà del bene dal promittente venditore al promittente compratore e attribuisce al promittente venditore il diritto ad ottenere il pagamento del prezzo.

L'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre (art. 2932 c.c.) è una novità del vigente codice, in quanto prima tale soluzione era reputata incompatibile con il principio di libertà di contrarre e si riconosceva solo il risarcimento del danno.

Per quanto riguarda la forma, l'articolo 1351 disciplina che il contratto preliminare deve avere la stessa forma del contratto definitivo, pena la nullità; il preliminare di vendita di beni immobili deve essere fatto per iscritto, pena la nullità.

Al fine di tutelare gli interessi sottesi al contratto preliminare, il legislatore permetteva la trascrizione della domanda giudiziale; questa forma di tutela era utilizzata perché non era possibile trascrivere un contratto con effetti obbligatori (contratto preliminare).

In seguito, il legislatore ha introdotto una forma di tutela ulteriormente rafforzata, consentendo la trascrizione dello stesso contratto preliminare, in quanto riconosciuto come segmento di un procedimento che giunge alla nascita di un contratto ad effetti reali.

La trascrizione del preliminare viene cos' a determinare una prenotazione da valere ai fini di pubblicità.

In passato vigeva il cosiddetto principio dell'intangibilità del preliminare, il quale asseriva che una sentenza costitutiva del giudice non poteva modificare il contenuto del contratto preliminare; oggi, invece, è ammessa una riduzione del prezzo pattuito nel preliminare nei casi di vizi o di difformità della cosa.

La differenza tra contratto preliminare e contratto preliminare improprio o compromesso è che quest'ultimo contiene un accordo definitivo con l'impegno a documentarlo successivamente nella forma prevista. In ipotesi di inadempimento, la sentenza del giudice non procede all'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre, ma mira ad accertare la paternità della sottoscrizione al fine di rendere possibile la trascrizione.

Il contratto preliminare è unilaterale quando l'obbligo a concludere il definitivo è a carico di una sola delle parti; il contratto preliminare unilaterale si differenzia dall'opzione, perché quest'ultima non richiede una nuova manifestazione del consenso della parte obbligata.

Per accordo delle parti, alcuni effetti possono essere anticipati rispetto alla conclusione del contratto definitivo, come, ad esempio, il pagamento del prezzo.

31. Segue. Negozio fiduciario e trust. Il negozio fiduciario è una combinazione di effetti reali e obbligatori, e si ha quando un soggetto (fiduciante) trasferisce ad un altro (fiduciario) la proprietà di un bene, imponendogli con apposito patto (pactum fiduciae) l'obbligo di ritrasferirgli in futuro il diritto o di trasferirlo ad un terzo o di farne uso secondo le direttive impartite.

Con questo negozio il fiduciario acquista la proprietà formale del bene e il fiduciante conserva la proprietà sostanziale del bene in quanto l'effetto reale del trasferimento è limitato con patto obbligatorio. Esempi di negozi fiduciari sono:

. fiducia cum amico, quando il fiduciario deve a sua volta investire un terzo per la fiducia

. fiducia cum creditore, quando il debitore (fiduciante) per garantire il suo creditore (fiduciario), gli trasferisce la proprietà di un bene, con l'impegno che, al momento dell'adempimento, il fiduciario gli ritrasferisca il bene. Tale patto è lecito se non presenta gli estremi del patto commissorio;

. gestione fiduciaria, quando il proprietario di azioni o di altri valori mobiliari li trasferisce fiduciariamente ad una società con l'incarico di provvedere alla loro amministrazione.


Se il fiduciario non rispetta l'obbligo assunto, il fiduciante può agire giudizialmente: ad esempio, nel caso in cui il fiduciario si rifiuti di ritrasferire il bene, il fiduciante può richiedere una

sentenza costitutiva dell'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre, oltre al risarcimento del danno.

Nel caso in cui il fiduciario, violando il pactum fiduciae, trasferisce il bene a terzi, il fiduciante non può opporre tale patto ai terzi, in quanto quest'ultimo non ha valore reale, ma obbligatorio, però può ottenere comunque il risarcimento.

Al modello finora studiato, chiamato romanistico, si oppone quello germanistico: il primo si configura nel trasferimento della proprietà e tutela la posizione del terzo nei confronti del fiduciante; il secondo comporta non un trasferimento della proprietà, ma una forma di "legittimazione", conservando la proprietà al fiduciante, e tutela la posizione di quest'ultimo rispetto ai terzi.

Una figura molto diffusa nel sistema giuridico anglosassone è la figura del trust (fiducia).

Il trust è l'insieme dei rapporti giuridici istituiti da una persona (costituente) posti sotto il controllo di un trustee (fiduciario) nell'interesse di un beneficiario e per perseguire un fine specifico.

I beni oggetto del trust sono intestati al trustee ma non fanno parte del suo patrimonio; infatti, il trust è opponibile ai terzi e i creditori del trustee non possono soddisfarsi sui beni oggetto del trust.

32. Segue. Divieti legali e convenzionali di contrarre In materia di libertà di decidere se concludere o no un contratto esistono limiti positivi, ossia l'obbligo a contrarre, e limiti negativi, ossia il divieto a contrarre.

Per quanto riguarda i divieti di contrarre essi sono consentiti in misura limitata perché impediscono l'attuazione del principio della libertà contrattuale e ostacolano la libera circolazione dei beni. Esistono divieti di contrarre sia legali, dettati dalla legge, che divieti convenzionali, la cui fonte è l'accordo fra le parti.

Un esempio del divieto legale di contrarre è il divieto di comprare i beni dati in gestione per gli amministratori di beni altrui. Un esempio del divieto convenzionale di contrarre è il patto di non alienare (art. 1379 c.c.). Tale patto ha effetto soltanto fra le parti e crea fra loro un rapporto obbligatorio; se il contraente, violando il divieto aliena a terzi, questi ultimi acquistano validamente, mentre l'alienante inadempiente è tenuto a risarcire il danno alla controparte.

33.Vincoli alla libertà di scelta del contraente. Prelazioni convenzionali e legali. In materia di libertà di scegliere con chi concludere il contratto, esiste il cosiddetto diritto di prelazione; esso può avere fonte convenzionale o fonte legale.

Il diritto di prelazione convenzionale o prelazione volontaria si configura o come clausola contrattuale o come autonomo contratto e si ha quando un soggetto (promettente o concedente), in sede di conclusione di un determinato contratto, si obbliga a dare ad un soggetto (prelazionario) la preferenza rispetto ad altri a parità di condizioni.

Tale vincolo riguarda solo la scelta del contraente e non la decisione di concludere o no il contratto e per questo motivo non è opportuno eguagliare la prelazione al contratto preliminare.

Il vincolo, quindi, consiste in due obblighi del concedente:

1. un obbligo positivo, ossia il concedente deve comunicare al prelazionario la sua decisione di concludere con questi il contratto a determinate condizioni (denuntiatio) consentendo al prelazionario di esercitare il diritto di prelazione;

2. un obbligo negativo, ossia il concedente si obbliga a non stipulare il contratto con terzi prima o durante la fase della denuntiatio.


Il patto di prelazione convenzionale ha efficacia obbligatoria e quindi non è opponibile ai terzi e nelle ipotesi di sua violazione, il prelazionario può richiedere solo il risarcimento del danno da inadempimento.

Il diritto di prelazione legale è accordato dalla legge al fine di tutelare interessi particolarmente meritevoli: esempio sono le prelazioni previste a favore dell'affittuario coltivatore diretto.

La prelazione legale, a differenza di quella convenzionale, ha efficacia reale ed è opponibile ai terzi, cioè il prelazionario può esercitare il diritto di riscatto del bene acquistato dal terzo.

34. Vincoli alla libertà del contenuto contrattuale: inserzione automatica di clausole, clausole d'uso La libertà di decidere il contenuto del contratto è un elemento essenziale delle libertà contrattuali; a volte, però, quest'elemento trova delle limitazioni imposte dalla legge.

Infatti la legge prevede che determinate clausole, determinati prezzi di beni o servizi, già disposti dalla legge, siano di diritto inseriti nel contratto e che vengano inseriti anche in sostituzione di clausole difformi decise dalle parti.

Il legislatore prevede anche che le clausole d'uso si ritengano già automaticamente inserite nel contratto, salvo nei casi in cui le parti abbiano disposto di non includerle.

35. Contrattazione standardizzata: condizioni generali di contratto. Moduli e formulari L'autonomia contrattuale incontra ulteriori limiti non solo al "se" o "con chi" concludere un contratto, ma anche al "come" concluderlo. Infatti esistono alcuni modelli contrattuali in cui risultano marginali la presenza di 2 parti, la loro trattazione, ecc.

Sul mercato si rilevano 2 soggetti:

. un soggetto forte (di norma imprenditore) il quale, muovendosi da una posizione di supremazia, è capace d'imporre alla massa indifferenziata un regolamento contrattuale predisposto;

. un soggetto debole (di norma massa dei consumatori) il quale non può modificare ed incidere assolutamente sui termini del regolamento contrattuale predisposto.


Tali contratti sono rivolti ad una massa indifferenziata e, quindi, vengono chiamati contratti standards, di massa o in serie; questi contratti sono chiamati standards proprio perché standard è il loro contenuto, non essendo compatibile la trattativa con la loro natura di affari.

Il fine di tali modelli contrattuali predisposti è:

. dalla parte del soggetto forte di semplificare, razionalizzare e velocizzare l'economicità, di limitare i poteri dei rappresentanti, di prevenire rischi, ecc.;

. dalla parte del soggetto debole di garantire l'omogeneità e l'uniformità di trattamento, la trasparenza del mercato, la possibile riduzione del prezzo.


L'art. 1341¹ dispone che il regolamento contrattuale possa essere formulato anticipatamente da una delle parti (predisponente, di regola l'imprenditore), mediante la formulazione di condizione generale del contratto, le quali condizioni vincolano l'altra parte (aderente, di regola il cliente-consumatore) se risulta che quest'ultima le ha conosciute oppure che le avrebbe dovuto conoscere usando l'ordinaria diligenza.

Onere imposto dalla legge al proponente è quello di rendere conoscibile le condizioni del contratto, senza, però, richiedere una manifestazione di vero consenso dell'aderente.

Ciò, tuttavia, ha configurato una scarsa tutela del soggetto debole (aderente).

Il legislatore, per risolvere tale problema ha previsto una specifica disciplina per le clausole cosiddette vessatorie. Esse, appunto, perché prevedono particolari vantaggi per il predisponente e particolari oneri per l'aderente, devono essere accettate con una sottoscrizione specifica e quindi estranea e aggiuntiva alla sottoscrizione del contratto.

Le clausole c.d. vessatorie sono disciplinate dall'art. 1341² che presenta un elenco tassativo il quale, però, è logicamente assoggettabile ad interpretazione.

La sottoscrizione è uno dei requisiti della forma ad substantiam e, in ipotesi di un suo difetto, si verifica la nullità del contratto.

Spesso le condizioni generali del contratto sono contenute da moduli o formulari che l'aderente è invitato a sottoscrivere; la sottoscrizione di tali condizioni generali è specifica come quella delle clausole vessatorie. Se al modulo o al formulario sono inserite successivamente clausole aggiunte, queste clausole aggiunte prevalgono su quelle predisposte nel caso in cui le clausole predisposte siano incompatibili con quelle aggiunte, anche se le clausole aggiunte non sono state cancellate.

Lo strumento della specifica sottoscrizione delle clausole vessatorie è purtroppo poco efficace in quanto illusorio, perché il predisponente riesce sempre ad imporre una 2° firma su un documento che l'aderente di solito non legge e che non può modificare.

Per dare una soluzione a questo problema, il legislatore ha orientato la tutela ad un maggiore controllo di liceità e meritevolezza. Anche la comunità europea si è mossa su queste direttrici emanando direttive comunitarie che vengono recepite dai paesi membri nella forma della novellazione.

36.Contratti normativi Il contratto normativo è concordato dalle parti per regolare loro futuri rapporti; è un accordo con il quale le parti non dispongono immediatamente dei propri interessi, ma fissano il contenuto di futuri contratti con l'obbligo di inserirvi quel determinato contenuto, nel caso questi contratti vengano stipulati.

Nel contratto normativo non sorge l'obbligo di contrarre e quindi non è invocabile l'art. 2932, ma sorge un obbligo di determinazione del contenuto, cioè bisogna inserire nel contratto quel contenuto predeterminato nel contratto normativo.

37. Disciplina dei "contratti del consumatore Il consumatore è inteso come la persona fisica e non giuridica che si procura per contratto i beni o i servizi per utilizzarli a fini personali ed estranei alla propria attività imprenditoriale.

Il consumatore è sicuramente una delle figure cardini del campo contrattuale tanto da essere un punto di riferimento di una serie di normative, che danno vita ad un "diritto del consumatore".

Il sistema giuridico italiano, in riguardo a tale materia, ha colmato le sue lacune sulla base di sollecitazioni comunitarie.

Un esempio è la legge antitrust, che, oltre a porsi come fine un corretto funzionamento del mercato, vuole realizzare una migliore qualità dei beni e dei servizi e di un abbassamento del loro prezzo.

Anche l'area del contratto richiede sempre più l'esigenza di proteggere la posizione del consumatore, in quanto contraente debole. Un ruolo centrale in un corretto funzionamento della contrattazione hanno l'informazione e la trasparenza, che sono a carico dell'imprenditore o professionista.

Il professionista è la persona fisica o giuridica, privata o pubblica, che conclude contratti aventi per oggetto beni o servizi ai fini della sua attività imprenditoriale o professionale.

Delle innovazioni sono state apportate al codice civile dagli art. 1469 bis - 1469 sexies: essi introducono una forma di controllo rivolta a verificare l'equità e l'equilibrio sostanziale del regolamento contrattuale.

Questo fatto è un'innovazione perché prima i principi codicistici rimettevano alle parti la determinazione del "giusto" regolamento contrattuale e il legislatore poteva intervenire solo in via eccezionale ed entro determinati limiti.

La disciplina introdotta da questi articoli ha un ambito d'applicazione sia soggettiva che oggettiva:

. ambito di applicazione soggettiva, nel senso che questa nuova normativa è applicata solo ai contratti tra consumatore e professionista escludendo, dalla figura del consumatore le persone giuridiche e gli intermediari;

. ambito di applicazione oggettiva, la nuova disciplina ha introdotto un giudizio di vessatorietà del contenuto contrattuale: questo giudizio di vessatorietà comprende un elenco di clausole "sospette" che si presumono vessatorie salvo prova del professionista; comprende un elenco di clausole assolutamente vessatorie e comprende una clausola generale che definisce clausole vessatorie quelle clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.


Quando si parla di squilibrio il legislatore intende non uno squilibrio economico, ma uno squilibrio dei diritti e degli obblighi.

Questa nuova normativa affianca alla tutela individuale una tutela collettiva:

. la tutela individuale ritiene inefficaci le clausole giudicate vessatorie, ma il contratto conserva la sua efficacia. Essa è rilevabile d'ufficio dal giudice;


. la tutela collettiva: le associazioni di consumatori o di professionisti o le Camere di Commercio, una volta accertata la vessatorietà di una clausola, possono chiedere al giudice di inibire anche con un provvedimento d'urgenza l'uso di quella clausola.


Tuttavia la posizione dell'intermediario è tutelata nei confronti dei produttori o dei fornitori, in quanto l'intermediario ha diritto di regresso nei confronti di questi ultimi nel caso di danni subiti dalla dichiarazione di vessatorietà delle clausole nei rapporti dell'intermediario col consumatore; tutto ciò ha la funzione di evitare che gli intermediari possano di conseguenza aumentare il prezzo.

Le clausole proposte al consumatore devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile e, in caso di dubbi, queste clausole sono interpretate nel modo più favorevole al consumatore.

La nuova normativa è applicabile nei contratti tra consumatore e professionista, mentre quella preesistente disciplina i contratti che non siano riconducibili a quelli tra consumatore e professionista.

Tuttavia le 2 normative possono coesistere e cooperare come nei casi del contratto standard.

38. Contratti tra imprese L'ordinamento nel tutelare i soggetti deboli ha disciplinato anche i rapporti fra imprese, vietando l'abuso, da parte di una o più imprese, dello stato di dipendenza economica di un'altra impresa e ritiene nulli i patti con i quali una parte approfitti della propria maggiore forza contrattuale per imporre condizioni ingiustificatamente gravose.

Un'ipotesi di dipendenza economica è la subfornitura, ossia l'affidamento, mediante contratto, ad imprese esterne, di una fase del ciclo produttivo dell'impresa.

Il subfornitore è di solito un piccolo o medio imprenditore che non ha possibilità di accesso diretto al mercato finale e opera per conto di un ristretto numero di imprese committenti.

Il committente, invece, è munito delle necessarie tecnologie produttive e dispone di un largo numero di subfornitore.

La subfornitura non presuppone un contratto principale e non è un subcontratto; a volte il committente stipula la subfornitura senza alcun accordo con i terzi.

Il contratto di subfornitura deve essere concluso in forma scritta, pena la nullità; la proposta scritta del committente può essere accettata dal subfornitore iniziando un'esecuzione conforme.

Il termine per il pagamento dovuto del committente, non può superare i 60 gg. e nel caso esso non avvenga nel termine stabilito, sono previsti interessi superiori oppure viene applicata una penale.

f. Patologia nella fase genetica dei contratti

39. Invalidità negoziale. Considerazioni generali L'invalidità comprende qualunque difetto originario degli atti di autonomia negoziale e tale difetto può comportare a volte l'inidoneità a produrre effetti; altre volte una precarietà degli stessi effetti.

Le difformità dell'atto negoziale possono assumere varia intensità: la forma più grave è la nullità, quella meno grave è l'annullabilità.

L'ordinamento risponde con lo strumento radicale della nullità quando salvaguarda valori superiori, essendo state violate norme poste a tutela di interessi generali; interviene, invece, con l'annullabilità qualora gli interessi lesi si pongano su un piano subalterno rispetto ai primi, trattandosi di violazione di regole poste a tutela di interessi individuali delle parti.

Di conseguenza si giustifica il diverso regime delle figure di invalidità in relazione agli effetti del negozio viziato:

. il negozio nullo non produce effetti fin dall'origine;

. il negozio annullabile è efficace già dal momento della sua conclusione, ma questa efficacia si rivela precaria, in quanto gli effetti o possono essere eliminati mediante sentenza costitutiva avente efficacia ex tunc (dall'inizio) tra le parti oppure possono essere stabilizzati qualora il legittimato all'impugnazione eserciti il potere di convalida (art. 1444 c.c.) o lasci scadere il termine prescrizionale dell'azione (art. 1442¹).


Nella dottrina tradizionale la nozione di nullità coincide con quella d'inesistenza.

Per quanto riguarda l'inefficacia essa è da intendersi sia in senso lato che in senso stretto:

. in senso lato essa è calcolata sullo stesso piano dell'invalidità e riguarda ogni ipotesi nella quale l'atto negoziale non produce effetti;

. in senso stretto, il negozio inefficace è negozio valido, ma per un fatto esterno non è idoneo a produrre i suoi effetti (es: contratto con condizione sospensiva).


La dottrina traccia numerose distinzioni di inefficacia e si parla di:

. inefficacia pendente, o temporanea, o sospesa, quando l'atto negoziale differisce gli effetti, ad esempio quando le parti hanno convenuto un termine iniziale;

. inefficacia definitiva, quando gli effetti sono impediti fra le parti;

. inefficacia assoluta, quando l'atto non produce alcun effetto né fra le parti, né fra i terzi;

. inefficacia relativa, quando il negozio produce effetti per alcuni soggetti e non per altri e tali ipotesi confluiscono nell'impossibilità;

. inefficacia originaria, quando gli effetti sono impediti dell'inizio (es: condizione sospensiva);

. inefficacia sopravvenuta, quando gli effetti sono impediti ad un contratto inizialmente efficace (es: condizione risolutiva).


La nullità, a differenza dell'annullabilità, tutele interessi di portata superiore e quindi la legittimazione a far valere il vizio è assoluta, cioè spetta a chiunque ne abbia interesse.

Ciò, però, non esclude l'esistenza di una nullità relativa dove la legittimazione è relativa, ed è eccezionalmente limitata ad alcuni soggetti.

Per l'annullabilità, invece, la regola è la legittimazione relativa, in quanto essa può essere fatta valere solo dalla parte prevista dalla legge; tuttavia sono previste ipotesi di legittimazione assoluta (es: interdizione legale).

La nullità di un atto negoziale può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma non sono esclusi i casi in cui è il diretto interessato a rilevarla al giudice; l'annullabilità, invece, non è rilevata d'ufficio dal giudice.

Il carattere imprescrittibile dell'azione di nullità, si pone come una delle differenze più significative rispetto all'azione di annullamento, sempre prescrittibile.

L'imprescrittibilità dell'azione di nullità non travolge gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.

Nel negozio ad efficacia reale, seguito dall'immissione nel possesso, la dichiarazione di nullità non preclude il maturarsi dell'usucapione.

Così nell'ipotesi di vendita immobiliare nulla per difetto di forma, se l'acquirente ha posseduto lo stabile per 20 anni, può opporre alla sentenza di nullità del contratto l'avvenuto acquisto a titolo originario della proprietà per usucapione.

In genere il termine di prescrizione dell'azione di annullamento è di 5 anni, tuttavia la legge spesso stabilisce differentemente.

Il termine decorre dalla conclusione del contratto. A volte il termine si allunga per effetto dello scivolamento del termine iniziale di prescrizione: per i vizi di volontà, ad esempio, il tempo decorre dal giorno nel quale è cessata la violenza o è stato scoperto l'errore o il dolo; per l'incapacità legale, dal giorno nel quale è cessato lo stato d'interdizione o d'inabilitazione; per il minore, dal giorno nel quale ha raggiunto la maggiore età.

La prescrizione riguarda l'azione e non l'eccezione; l'annullamento non può essere chiesto se sono trascorsi 5 anni, ma può essere opposto anche se sono trascorsi i 5 anni, se solo in quel momento l'altra parte chiede l'esecuzione del contratto.

L'azione di nullità non modifica la situazione giuridica preesistente, ma è solo di accertamento e si limita solo a dichiarare la nullità dell'atto; l'azione di annullamento modifica la situazione giuridica preesistente in quanto ha carattere costitutivo.

40. Mancanza della volontà L'accordo esprime il consenso delle parti e si raggiunge con la volontà interna che è rilevante quando essa è manifestata all'esterno con una dichiarazione; tuttavia, quando manca la volontà di produrre effetti giuridici, anche in presenza di una dichiarazione contrattuale resa all'esterno, il contratto è nullo.

L'accordo è un elemento essenziale non solo per la conclusione del contratto, ma anche per il suo scioglimento (es: il mutuo dissenso).

A volte capita che la volontà interna non coincide volutamente con la dichiarazione: è il caso della simulazione dove la parte, agendo in questo modo, crea una situazione di apparenza contrattuale ingannevole per i terzi.

41. Accordo simulatorio L'accordo simulatorio (art. 1414 c.c.) si ha quando le parti stipulano un contratto, ma in realtà non vogliono che siano prodotti gli effetti oppure vogliono la produzione di effetti diversi. La simulazione è:

. assoluta, quando le parti concludono un contratto e con separato e segreto accordo dichiarano di non volerne gli effetti; lo scopo è quello di creare ai terzi l'apparenza del trasferimento di un diritto, ecc.

. relativa, quando le parti fingono di stipulare un contratto (contratto simulato), ma in realtà vogliono che si producono gli effetti di un altro contratto (contratto dissimulato). Un esempio è la simulazione di una vendita per realizzare una donazione.


La simulazione relativa può riguardare, oltre che l'oggetto o il titolo del contratto, anche i soggetti dello stesso: si discorre allora di interposizione fittizia di persona.

Così, chi vuole acquistare un determinato bene, ma non vuole che agli occhi dei terzi tale bene appaia suo, fa figurare come compratore un altro soggetto dando luogo ad una vendita simulata (nella quale appare come compratore l'interposto) e ad una sottostante vendita dissimulata (nella quale appare come compratore l'interponente, cioè il compratore effettivo).

L'effetto principale della simulazione assoluta è la nullità del contratto; tuttavia si dovrebbe parlare di inefficacia, in quanto non c'è una vera e propria irregolarità del contratto, ma sono le parti a stabilire la non produzione di effetti.

Nel caso, invece, della simulazione relativa, il contratto dissimulato è nullo solo se lo scopo perseguito dalle parti è illecito; negli altri casi esso ha efficacia tra le parti se la dichiarazione apparente contiene i requisiti di sostanza e di forma previsti dalla legge.

Circa la tutela dei terzi, l'ordinamento distingue 2 categorie di terzi interessati:

1. gli aventi causa o creditori del simulato acquirente, che hanno interesse a far valere la situazione apparente in quanto, per esempio, in buona fede hanno sottoposto a pignoramento il bene oggetto del contratto simulato;

2. gli aventi causa o creditori del simulato alienante, che hanno interesse, invece, a far valere la situazione reale, in quanto la legge consente a questi creditori di dimostrare, con ogni mezzo di prova, che il contratto era simulato e di procedere quindi all'esecuzione forzata di quel bene.


42. Incapacità legale e incapacità naturale Il contratto concluso da incapace legale di agire è dichiarato annullabile; l'annullamento può essere demandato al giudice, da chi esercita la potestà sul minore, sull'interdetto o sull'inabilitato, o anche dagli eredi o aventi causa del minore.

Il contratto del minore non può essere annullato se questi ha occultato con raggiri la sua minore età.

L'annullamento non può essere chiesto dal contraente capace, ma solo dall'altra parte (incapace); questa disposizione mira a tutelare il contraente che, per effetto della sua incapacità, potrebbe aver concluso un affare svantaggioso.

Il contratto concluso dal maggiorenne capace legalmente, ma affetto da una temporanea alterazione delle proprie facoltà mentali, e quindi non interdetto o inabilitato, è annullabile a condizione che si provi l'esistenza di un pregiudizio per l'incapace e si provi l'esistenza della malafede dell'altro contraente; per malafede s'intende la conoscenza dello stato d'incapacità della controparte o la possibilità di conoscerla con la normale diligenza.

Gli atti unilaterali sono annullabili su istanza dell'incapace, dei suoi eredi o dei suoi aventi causa, solo se si prova che l'atto comporta un grave pregiudizio all'incapace.

43. I "vizi" della volontà La volontà negoziale può essere viziata da errore, dolo o violenza.

L'errore è la falsa rappresentazione della realtà che induce un soggetto a negoziare: esempio classico è l'acquisto di un quadro credendolo autentico, ma invece è una copia.

L'errore può essere motivo od ostativo:

. l'errore motivo incide sulla volontà prima che essa venga dichiarata all'esterno;

. l'errore ostativo si verifica quando la volontà di un soggetto ha una erronea formulazione dell'esternazione; esso non è propriamente un vizio della volontà, ma costituisce una divergenza tra dichiarazione e volontà.


L'errore per determinare l'annullabilità del contratto deve essere essenziale e riconoscibile:

. è essenziale quando:

1. cade sulla natura del contratto (si crede di concludere una compravendita, ma si conclude una locazione) o sull'oggetto del contratto (si acquista un bene credendolo un altro);

2. cade sulla natura o sulla qualità dell'oggetto (si acquista aceto credendo di acquistare vino);

3. cade sull'identità e sulle qualità personali dell'altro contraente (assunzione di un ingegnere straniero non autorizzato dalla normativa italiana).


L'errore può essere di fatto e di diritto:

. è di fatto, quando è determinato dalla falsa conoscenza dei fatti, delle persone o delle cose;

. è di diritto, quando è determinato dalla falsa conoscenza delle norme giuridiche.


L'errore causa l'annullabilità del contratto quando, oltre ad essere essenziale, è anche riconoscibile, cioè quando anche l'altra parte si è resa conto dell'errore commesso dall'altro.

Il dolo è un altro vizio della volontà e comprende tutti gli artifici, i raggiri o la semplice menzogna che hanno indotto una parte a negoziare.

Il dolo può essere commissivo e omissivo.

Il dolo commissivo è:

. determinante, e quindi causa di annullamento del contratto, se il raggiro usato da uno dei contraenti è così fondamentale che, nel caso non fosse stato utilizzato, l'altra parte non avrebbe stipulato il contratto (es: l'imprenditore che vende un terreno con falsa planimetria catastale dalla quale risulta edificabile, ma in realtà non lo è);

. incidente, non è causa di annullamento del contratto; si verifica quando il contraente, vittima del dolo, avrebbe ugualmente concluso il contratto, ma a condizioni diverse (es: il cliente avrebbe lo stesso acquistato il terreno anche se non edificabile ma ad un prezzo minore).


I raggiri possono anche essere commessi da un terzo e, affinché siano causa di annullamento del contratto, tali raggiri devono essere non solo riconoscibili, ma anche noti al contraente che ne ha tratto vantaggio; nel caso contrario, cioè quando il contraente che ha tratto vantaggio dall'affare era all'oscuro del raggiro del terzo, il contratto è ritenuto valido.

Il dolo, oltre ad essere commissivo, è anche omissivo (reticenza).

Il dolo omissivo si identifica nella mancata comunicazione alla controparte dell'esistenza di circostanze che, se fossero state comunicate, lo avrebbero fatto desistere dalla conclusione del contratto.

Il dolo omissivo è causa di annullamento del contratto solo se il contraente aveva l'obbligo d'informare l'altra parte sulle circostanze che potevano essere determinanti per il consenso.

Il dolo consiste anche nella menzogna e si parla di dolus bonus e dolus malus.

Il dolus malus è quello finora descritto; con il dolus bonus si indica l'esagerata vanteria della qualità di un bene o della propria abilità professionale ed esso non è causa di annullamento del contratto in quanto il legislatore tiene conto del comportamento dell'uomo medio.

La violenza si differenzia in fisica e morale:

. la violenza fisica è l'azione materiale che esclude totalmente la volontà del contraente, comportando la nullità del contratto per mancanza del requisito della volontà;


. la violenza morale è l'azione psichica che agisce sulla volontà della vittima inducendola a stipulare il contratto per sottrarsi al male minacciato; comporta l'annullamento del contratto.


La violenza, intesa come vizio della volontà, è la violenza morale che consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole che induce il soggetto a stipulare un contratto non voluto; il male minacciato deve essere ingiusto e notevolmente lesivo.

La violenza è causa di annullamento del contratto anche quando la minaccia del male è rivolta, non direttamente al contraente, ma al coniuge, ai suoi ascendenti o i suoi discendenti; la minaccia rivolta agli amici o conoscenti del contraente è rimessa al giudizio prudente del giudice.

La violenza può provenire anche da un terzo è in questo caso, a differenza del dolo, per ottenere l'annullamento, non è necessario che il soggetto avvantaggiato ne sia a conoscenza.

La minaccia di far valere un diritto non è causa di annullamento del contratto salvo che non venga utilizzata per ricevere vantaggi ingiusti (es: se non pagherai il tuo debito agirò in giudizio); anche il timore riverenziale, ossia stato di psicologica soggezione di un soggetto nei confronti di un altro con maggior potere, non è causa di annullamento del contratto.

44. Illiceità ed immeritevolezza della causa La causa è sottoposta dall'ordinamento non solo al controllo di liceità, ma anche al controllo di meritevolezza:

. il controllo di liceità è uno strumento di controllo normativo diretto a negare tutela giuridica a interessi in contrasto con i valori fondamentali;

. il controllo di meritevolezza è uno strumento che verifica l'idoneità della realizzazione del concreto interesse.


Logicamente esistono alcuni atti negoziali dove la meritevolezza è in re ipsa (compresa) nella liceità della causa: sono gli atti di valutazione costituzionale come ad esempio i negozi associativi.

La causa del contratto è illecita quando è contraria a norme imperative (es: tangenti per appalto), all'ordine pubblico e al buon costume (es: patto con la prostituta).

È illecita la causa dei contratti in frode alla legge; il contratto concluso in frode alla legge è un mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa: le parti mirano a realizzare un risultato che la legge vieta, ma, per non incorrere nell'applicazione della norma imperativa che vieta di realizzarlo, essi utilizzano uno o più contratti in sé leciti, in modo da realizzare in concreto un risultato equivalente a quello vietato.

Il codice civile ritiene illecito il contratto quando le parti lo hanno concluso per un motivo illecito comune ad entrambe le parti; il motivo illecito, per rendere nullo il contratto, deve essere esclusivo e comune ad entrambe le parti.

I contratti con motivo illecito sono nulli solo se entrambe le parti lo hanno concluso per trarre un comune vantaggio e non basta che il motivo illecito di una parte sia semplicemente noto all'altro.

Il contratto è nullo quando è riscontrata la mancanza della causa, perché è sempre possibile riscontrare un interesse, ma non è sempre possibile realizzarlo.

45. Mancanza dell'oggetto e difetto dei suoi requisiti La mancanza o le patologie dell'oggetto determinano la nullità del contratto; tuttavia bisogna distinguere l'illiceità dell'oggetto dalla impossibilità o indeterminabilità dell'oggetto.

L'illiceità dell'oggetto configura l'esistenza di un oggetto che però è giudicato illecito dall'ordinamento, in quanto è in contrasto con norme imperative, ordine pubblico e buon costume.

L'impossibilità e l'indeterminabilità configurano difetti strutturali della fattispecie negoziale, in quanto manca un requisito essenziale del contratto, cioè manca l'oggetto.

Bisogna distinguere il contratto illecito da quello illegale, perché il contratto illecito è insanabile, mentre quello illegale è sanabile con una conversione, perché anche se è in contrasto con norme imperative, esse (le norme imperative) non sono necessariamente inderogabili, purché non rechino danno alla comunità.

46. Difetto di forma. L'ordinamento al difetto di forma non ricollega le stesse conseguenze; il difetto di forma produce nullità del contratto solo nelle ipotesi previste dalla legge.

Quando la forma è requisito essenziale, la sua mancanza produce la nullità; il difetto è rilevabile d'ufficio e da chiunque ne abbia interesse; le parti possono rinnovarlo ex nunc (da adesso), ma non possono sanarlo con convalida.

La legislazione comunitaria, come rimedio al difetto di forma, ha proposto il rimedio della nullità relativa con il quale il contraente protetto può decidere se conservare l'operazione negoziale, eseguendo il contratto, oppure può far cadere l'operazione negoziale, esercitando azione di nullità.

Tale principio è già noto nella giurisprudenza tedesca (BGB) la quale rimette la validità e l'efficacia dell'operazione negoziale alla buona fede di una delle parti; tale principio, però, non è accettato dalla nostra giurisprudenza, la quale ritiene che il difetto di forma deve essere noto alle parti.

Si è posto un grosso problema se ritenere valido o invalido il contratto concluso in forma diversa; una parte della dottrina ritiene che il contratto è valido perché la conclusione aformale ha revocato il precedente accordo di forma; la maggior parte dei dottrinari ritiene che il contratto è invalido in quanto presenta un vizio di forma.

47. Recupero del negozio invalido L'art. 1423 c.c. afferma che: "Il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente".

Ai contraenti che vogliono recuperare l'effetto regolato mediante contratto nullo devono ristipularlo ex novo con efficacia ex nunc (da adesso).

Ci sono comunque delle eccezioni al principio di insanabilità del contratto nullo e sono la conferma di testamento e la conferma di donazione. Sono insanabili il testamento falso o revocato, perché manca l'imputabilità al de cuius (all'autore).

La conferma di donazione non è da confondersi con la convalida, in quanto per quest'ultima è necessario che il soggetto convalidante sia lo stesso che ha concluso il contratto invalido.

Un'altra ipotesi di recupero del negozio nullo è la trascrizione c.d. sanante, che tutela gli interessi dei terzi. Esempio classico si verifica quando un soggetto A acquista un bene immobile o mobile registrato dal soggetto B, il quale soggetto B ha acquistato lo stesso bene precedentemente da un soggetto C con contratto nullo; il soggetto C non può far valere la nullità del contratto al soggetto A solo se quest'ultimo ha acquistato e trascritto il bene in buona fede e se sono trascorsi 5 o 3 anni (a seconda del bene) tra la data di trascrizione e la domanda di nullità del contratto.

La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole comporta la nullità dell'intero contratto solo se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità. In base a questo principio, al fine di conservare il negozio, si hanno due casi:

1. se la clausola colpita da nullità è essenziale per le parti, allora è dichiarato nullo l'intero contratto; la dichiarazione di nullità è fatta solo dopo una rigorosa prova che spetta alla parte che intende far valere la nullità totale dimostrando che vi sono gli estremi per estendere tale nullità all'intero contratto;

2. se la clausola colpita da nullità non è essenziale per le parti, il contratto produrrà gli effetti tenendo conto della loro (degli effetti) riduzione a causa dalla dichiarazione di nullità della clausola.


L'art. 1420 c.c. afferma che nei contratti con più di due parti che operano per il raggiungimento di uno scopo comune, la nullità del vincolo di una sola parte non provoca la nullità del contratto salvo che la sua partecipazione debba considerarsi essenziale.

Un'altra applicazione del principio di conservazione del negozio è la conversione, che opera una modifica o una riduzione del contratto.

Il contratto nullo può essere convertito se è nullo come un dato tipo di contratto, ma presenta tuttavia i requisiti di forma e di sostanza di un altro tipo e se gli effetti che quest'altro tipo di contratto produce sono lo stesso accettati dalle parti


I requisiti affinché operi la conversione del contratto nullo sono: che il contratto sia nullo, che le parti erano all'oscuro della causa di nullità, che gli effetti prodotti dall'altro tipo di contratto sono compatibili con gli interessi non di una ma di entrambe le parti, e, infine, che il contratto nullo deve contenere i requisiti di forma e di sostanza del contratto diverso.

Alla conversione sostanziale si aggiunge la conversione formale, che opera automaticamente quando il negozio, che può avere più vestimenti giuridici, sia nullo per difetto di forma ma possiede i requisiti di altra forma valida; esempio è il testamento segreto il quale è ritenuto nullo per mancanza di qualche requisito, ma vale comunque come olografo se presenta la firma, la data e la sottoscrizione.

La nullità di singole clausole non provoca la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norma imperative.

La convalida è il mezzo mediante il quale il legittimato all'impugnazione manifesta la volontà di sanare il contratto invalido e quindi annullabile, rendendolo definitivamente efficacie e impedendo l'annullabilità.

La convalida può essere:

. espressa, atto unilaterale redatto dal legittimato, non recettizio, accessorio al contratto, che contiene il motivo di annullabilità e la dichiarazione di convalida;

. tacita, quando il legittimato all'azione, pur conoscendo il vizio di annullabilità, procede volontariamente all'esecuzione del contratto; in questo caso, se il soggetto legittimato vuole chiedere successivamente all'esecuzione l'annullamento del contratto, l'altra parte può opporgli la sua (del soggetto legittimato) convalida tacita.


Non può essere convalidato il contratto nullo, perché la dichiarazione di convalida o la volontaria esecuzione non impediscono l'azione di nullità.

Un istituto che si basa sul principio di buona fede e sul principio di conservazione del contratto è la rettifica; essa opera per il contratto annullabile per errore.

La rettifica è un negozio accessorio unilaterale recettizio, redatto dalla parte non in errore la quale offre all'altra parte in errore l'esecuzione della prestazione in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto. La parte non in errore, offrendo all'altra parte in errore l'esecuzione del contratto, perde sia il diritto di chiedere l'annullamento, sia il potere di convalidare il contratto.

Il negozio nullo non produce effetti né fra le parti, né rispetto ai terzi; i contratti annullabili producono effetti purchè non siano stati dichiarati annullati.

Tuttavia, per quanto riguarda i contratti annullabili, la sentenza di annullabilità non pregiudica i terzi purchè abbiano acquistato i diritti a titolo oneroso e non gratuito, erano all'oscuro della causa di invalidità e quindi in buona fede, e che non fossero incapaci legalmente.

48. Rescindibilità La rescissione è una forma di scioglimento del contratto ben diversa dall'invalidità e dalla risoluzione: a differenza dell'invalidità, la rescissione non riguarda la struttura e gli elementi del contratto, a differenza della risoluzione, la rescissione riguarda un vizio genetico sorto al momento della conclusione del contratto derivante da uno squilibrio economico originario, mentre la risoluzione deriva da una difetto sopravvenuto dopo la conclusione del contratto.

Di regola le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto, ma, in ipotesi ben definite e per motivi di interesse generale o di determinati soggetti, l'ordinamento può imporre le proprie leggi e quindi limitare l'autonomia contrattuale; è l'esempio della rescissione del contratto quando vi sono squilibri delle condizioni che dipendono dallo stato di pericolo e di bisogno di una parte e dell'approfittamento dell'altra.

È rescindibile il contratto concluso in stato di pericolo, ossia quando un soggetto ha assunto obbligazioni a condizioni inique al fine di salvare sé stessi o altri (e non cose o beni) dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.

Il requisito affinché il contratto concluso in stato di pericolo sia rescindibile è che il pericolo deve essere attuale e non semplicemente temuto, deve corrispondere a un danno grave alla persona e può essere causato anche volontariamente o per imprudenza.


Tale requisito è rimesso alla valutazione del giudice, il quale deve anche valutare l'iniquità della condizione; una volta che è stata pronunciata la rescissione, il giudice può anche assegnare un compenso alla parte che ha prestato l'opera.

Più frequenti sono i contratti conclusi in stato di bisogno; in questi casi il codice prevede una rescissione per lesione in quanto non è richiesta la presenza di situazioni gravi come per i contratti conclusi in stato di pericolo.

I requisiti sono:

. l'esistenza di uno squilibrio delle prestazioni; è necessario che la parte lesa abbia eseguito o promesso una prestazione che valga più del doppio di quella ottenuta come corrispettivo;

. lo stato di bisogno di una parte; esso non è paragonabile allo stato di necessità, ma comunque induce un soggetto ad accettare offerte svantaggiose;

. l'approfittamento dell'altra; affinché esso sussista non è richiesto necessariamente un comportamento attivo, ma basta anche un comportamento passivo, ossia la consapevolezza dell'iniquità delle prestazioni, dello stato di bisogno dell'altra parte e dell'ingiustificato vantaggio che si consegue;


se manca uno di questi requisiti, la rescissione non può operare.

Non possono essere rescissi i contratti aleatori, perché il valore di una delle prestazioni non è determinabile e di conseguenza non è determinabile nemmeno la lesione.

L'azione di rescissione spetta esclusivamente al contraente che ha stipulato in stato di bisogno o di pericolo; essa è soggetta a prescrizione con un termine breve di 1 anno ed è soggetta a prescrizione anche l'eccezione di rescissione.

Il contratto rescindibile non può essere convalidato, ma può essere modificato con riequilibrio delle prestazioni.

La sentenza che pronuncia la rescissione ha natura costitutiva ed elimina il contratto con efficacia retroattiva tra le parti, liberando dall'obbligo di adempimento e imponendo la restituzione di quanto già adempiuto.

Una particolare disciplina è prevista per la rescissione del contratto di divisione, dove non sono richiesti lo stato di bisogno e di approfittamento, e la lesione deve eccedere di un quarto.

g. Efficacia dei contratti.

49. Principio con sensualistico Il contratto produce gli effetti grazie al consenso prestato dalle parti e con tale consenso le parti, quindi, possono creare, modificare ed estinguere rapporti giuridici.

Tuttavia nei contratti solenni il consenso non basta affinché il contratto produca gli effetti perché è richiesta la forma prevista dalla legge.

I contratti reali sono un'eccezione al principio con sensualistico perché gli effetti si producono non dopo il consenso, ma solo dopo la consegna della cosa.

I contratti possono avere effetto traslativo immediato o effetto traslativo differito.

L'effetto traslativo immediato è postulato dall'art. 1376 c.c. che afferma che la proprietà di una cosa determinata o un diritto reale si trasferiscono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.

Nei contratti ad effetto traslativo differito, il trasferimento non avviene dopo il consenso delle parti, ma solo dopo un evento successivo; esempio sono i contratti che hanno per oggetto il trasferimento di una cosa determinata solo nel genere.

50. Efficacia negoziale ed efficacia reale Bisogna fare una distinzione tra gli atti con efficacia finale, cioè quegli atti i cui effetti sono predeterminati dalla legge e che le parti possono solo decidere se compierli o meno, e gli atti con efficacia negoziale, dove le parti possono incidere anche sugli effetti.

Tuttavia la libertà negoziale è meritevole di tutela solo se persegue una finalità socialmente e giuridicamente utile e questa valutazione è svolta dal sistema normativo.

Nella creazione di un contratto, l'autoregolamentazione può anche mancare, ciò che è costante è il potere di iniziativa e di impulso che muove le parti a porre in essere gli atti.

Con queste limitazioni dell'autonomia negoziale delle parti si è indotto a parlare di "morte del contratto" e tale principio si configura nell'intervento dello stato e del suo potere.

Difatti lo stato ha introdotto l'art. 1374 c.c. il quale afferma che il contratto obbliga le parti non solo al suo contenuto, ma anche a tutte le conseguenze che da esso derivano secondo legge o, in mancanza, secondo gli usi e le equità.

51. Il vincolo contrattuale. Il contratto vincola le parti a rispettare le regole che da esso provengono; da questo vincolo le parti possono liberarsi per mutuo dissenso o per le cause previste dalla legge.

Il mutuo dissenso è un nuovo atto di autonomia contrattuale che comporta non l'eliminazione del precedente contratto, ma il venir meno dell'effetto del precedente contratto per volontà delle parti.

Il mutuo dissenso opera solo per i contratti ad effetti obbligatori e per i contratti ad effetti reali con effetti non ancora prodotti cioè ad esempio sottoposti a condizione sospensiva, perché il mutuo dissenso opera per quei contratti i cui effetti non si sono ancora esauriti.

Il mutuo dissenso può avere forma scritta ad substantiam se essa è richiesta.

Il contratto, come sappiamo, vincola le parti ma è possibile che una di esse possa liberarsi da tale vincolo esercitando il diritto di recesso (ius poenitendi); questo potere può essere previsto dalla legge o dall'autonomia negoziale e può essere attribuito ad una o a tutte le parti.

Il diritto di recesso non agisce sul contratto, ma sui suoi effetti e quindi, come per il mutuo dissenso, è necessario che tali effetti non siano ancora esauriti.

Il diritto di recesso è negozio unilaterale recettizio: se previsto dalla legge, la comunicazione deve avvenire nei tempi predeterminati; se previsto dall'autonomia negoziale, la comunicazione deve avvenire nei tempi concordati dalle parti.

La comunicazione può avvenire con ogni mezzo ed è sempre possibile dimostrare che il destinatario ne era a conoscenza.

Di regola il recesso ha efficacia ex nunc (da adesso), ma le parti possono anche prevedere la retroattività.

Il recesso opera anche per i contratti a esecuzione continuata o periodica (contratto che obbliga una o entrambe le parti ad una prestazione continuativa o periodica nel tempo) anche se è avvenuto un inizio di esecuzione, in quanto il recesso non pregiudicherà la prestazione già eseguita o in corso di esecuzione; per i contratti a esecuzione istantanea (immediata) o a esecuzione differita, il recesso può operare solo se il contratto non ha avuto ancora un inizio di esecuzione.

Con il recesso può essere previsto un corrispettivo versato alla conclusione del contratto chiamato caparra penitenziale: se a recedere è chi ha versato la caparra, egli la perde; se a recedere è chi ha ricevuto la caparra, egli deve restituire il doppio di tale caparra.

A volte è prevista anche una multa penitenziale, ossia un corrispettivo che è versato dalla parte che volesse esercitare il diritto di recesso.

Diverso dal recesso è il recesso determinativo che integra i contratti privi del termine finale: infatti, la parte, comunicando il recesso, decide unilateralmente anche il termine non concordato precedentemente.

52. Rafforzamento del vincolo mediante clausola penale e caparra: rinvio Gli effetti del contratto possono cessare solo se il contratto è annullato, rescisso o risolto, se le parti hanno inserito clausole che privano il contratto dell'efficacia al verificarsi di determinati eventi o se le parti hanno inserito un termine finale allo scadere del quale gli effetti del contratto cesseranno.

In caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il debitore è tenuto al risarcimento del danno, ma le parti, al fine di evitare che il debitore sia inadempiente o tardivo nell'adempimento, possono rafforzare il vincolo con la clausola penale.

La clausola penale è un patto accessorio che determina un risarcimento del danno in caso di inadempimento o di adempimento tardivo.

Le parti, comunque, in caso di inadempimento o di adempimento tardivo, possono convenire anche sulla costituzione del diritto di recesso, utilizzando l'istituto della caparra confirmatoria e della caparra penitenziale.

53. C.d. relatività degli effetti contrattuali A differenza di quanto si pensa, il principio della relatività degli effetti non riguarda gli atti unilaterali che influenzano non solo la sfera giuridica dell'autore, ma anche quella dei terzi.

Il principio della relatività degli effetti postula che il contratto vincola le parti e soltanto eccezionalmente i terzi.

Tuttavia è stata avanzata una critica circa gli effetti verso i terzi: infatti, a riguardo degli atti unilaterali, anche se gli effetti prodotti verso i terzi sono positivi, l'ordinamento, al fine di tutelare le situazioni soggettive, subordina l'esecuzione degli effetti al consenso del destinatario.

Per quanto riguarda i contratti bilaterali, essi possono anche produrre effetti a volte in forma unilaterale e a volte gli effetti prodotti possono interessare anche i terzi.

Per quanto riguarda l'opponibilità, essa è utilizzata per risolvere conflitti tra più aventi causa e l'ordinamento dà preferenza a chi per primo ha non solo acquistato, ma ha anche reso l'acquisto conoscibile ai terzi.

54. Stipulazione a favore dei terzi. Nel contratto a favore di terzo, le parti si accordano affinché un altro soggetto (il terzo) acquisti il diritto contenuto nel contratto; quindi il terzo non assume obbligazioni, ma acquista solo diritti.

Il contratto a favore di terzo è valido solo se lo stipulante abbia un proprio interesse, anche di natura non patrimoniale, a procurare un beneficio ad un terzo.

Le parti di questo contratto sono:

. lo stipulante che è colui che contratta a favore di un terzo;

. il promettente che è colui che si obbliga verso lo stipulante ad eseguire la prestazione a favore di un terzo.


Un esempio del contratto a favore di terzo è quando il soggetto A vende un bene al soggetto B, il quale (soggetto B) si obbliga verso il soggetto A ad adempiere al soggetto C che è il terzo e che non è parte del contratto.

In questa forma di contratto non è richiesta l'accettazione del terzo, perché, nel caso il terzo non accetti, gli effetti del contratto si produrranno lo stesso a beneficio dello stipulante; nel caso, invece, che il terzo accetti, la sua dichiarazione di accettazione non serve a perfezionare il contratto, ma ad impedire la revoca da parte dello stipulante.

Nel caso la prestazione deve essere eseguita dopo la morte dello stipulante, la revoca può avvenire con il testamento anche se il terzo ha dichiarato di voler accettare il beneficio; tale diritto dello stipulante viene meno solo se egli (lo stipulante) vi abbia rinunziato per iscritto a tale potere di revoca.

L'oggetto dei contratti a favore di terzo può essere sia un diritto di credito che un diritto reale, perché, anche se i diritto reali comportano degli obblighi al terzo, egli è sempre libero di rifiutare.

Con l'accettazione del contratto, il terzo rende irrevocabile, da parte dello stipulante, l'acquisto della titolarità del diritto senza, però, subentrare nel rapporto contrattuale che, a differenza della cessione del contratto, continua ad interessare lo stipulante ed il promettente.

Il contratto a favore di terzo è un'eccezione al principio della relatività degli effetti, perché non è richiesta l'accettazione del terzo affinché si producano gli effetti; infatti, se il terzo non accetta la prestazione rimane a beneficio dello stipulante.

Il contratto a favore del terzo, rispetto al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, ha delle differenze e delle affinità:

. l'affinità è che in entrambi i contratti è riconosciuto all'oblato (chi riceve l'offerta) il potere di accettare o meno, e l'accettazione nel contratto con obbligazioni a carico del solo proponente si configura nel non rifiuto;


. la differenza è che nel contratto con obbligazioni a carico del solo proponente lo stipulante si obbliga verso il beneficiario, e tale beneficiario può essere revocato o modificato fino a quando il terzo non abbia dichiarato di volerne profittare.


55. Scioglimento del vincolo contrattuale: rinvio L'art 1372 afferma che il contratto vincola le parti e riconosce alle stesse il potere di scioglierlo per mutuo consenso.

Altre ipotesi di scioglimento del contratto sono il recesso, la rescissione e la risoluzione.

56. Differimento ed eliminazione dell'efficacia Il contratto, di regola, produce gli effetti dal momento nel quale è stato concluso; tuttavia le parti possono disporre clausole che subordinano gli effetti al verificarsi di un determinato evento, oppure stabiliscono un termine di decorrenza, oppure possono stabilire che gli effetti durino solo per un determinato periodo.

Da qui la definizione di termine, evento futuro ma certo e di condizione, evento futuro ma incerto.

La condizione e il termine non possono essere apposti ai negozi puri (non tollerano condizioni), perché i loro effetti sfuggono alla disponibilità dei terzi; esempio di negozio puro è l'accettazione o la rinunzia dell'eredità e l'atto di matrimonio.

57. Condizione La condizione è un evento futuro e incerto, e può essere sospensivo o risolutivo:

. la condizione sospensiva si ha quando le parti subordinano l'efficacia degli effetti del contratto al verificarsi della condizione;

. la condizione risolutiva si ha quando le parti subordinano l'eliminazione degli effetti del contratto al verificarsi della condizione.


La condizione può essere apposta sia ai contratti ad effetti reali, sia a quelli ad effetti obbligatori.

Il periodo che va dalla conclusione del contratto al verificarsi dell'evento è chiamato periodo di pendenza della condizione e in questo periodo il contratto non è privo di effetti, in quanto la parte interessata può disporre di tale contratto, ma resta il fatto che gli effetti si verificheranno solo dopo l'avveramento della condizione.

L'art 1359 c.c. (finzione d'avveramento) afferma che la condizione si considera avverata anche quando non si è verificata per causa imputabile alla parte che aveva interesse affinché non si avverasse la condizione.

La ratio di tale principio è quella di vietare alle parti di influenzare sia positivamente che negativamente l'avveramento della condizione.

Le parti, utilizzando la condizione, danno rilevanza ad interessi soggettivi normalmente irrilevanti, ma che in questo caso decidono la produzione o no degli effetti del contratto.

La presupposizione è una causa di risoluzione del contratto e si presenta come un evento non dichiarato dalle parti nel contratto, ma considerato dalle stesse come evento necessario affinché il contratto produca gli effetti; un esempio è quando un soggetto A prende in affitto dal soggetto B una finestra per osservare una manifestazione; nel contratto gli effetti non sono subordinati al verificarsi della manifestazione, ma nel caso essa non si svolge, il soggetto B (locatore) non sarebbe in buona fede se chiedesse al soggetto A il corrispettivo.

L'istituto della presupposizione può riguardare sia eventi futuri, sia presenti o passati; essa non è prevista dalla legge, ma è molto usata dalla giurisprudenza.

La condizione deve riguardare un interesse meritevole di tutela (giuridicamente e socialmente utile): la condizione se interessa una sola parte, cioè quella che ne trae vantaggio, si chiama condizione unilaterale, se interessa entrambe le parti si chiama condizione bilaterale.

La condizione deve avere come oggetto un evento:

. possibile, cioè realizzabile;

. lecito, cioè non contrario a norme imperative, all'ordine pubblico, e al buon costume;


in caso di condizione illecita, il contratto è nullo, mentre in caso di condizione impossibile, se la condizione era sospensiva il contratto è nullo, se la condizione era risolutiva si considera la condizione come non apposta.

Questo problema di distinzione tra condizione impossibile o illecita non si ha nel testamento perché la condizione viene considerata non apposta.

È nullo il contratto con condizione sospensiva meramente potestativa, perché essa dipende dall'arbitrio di una delle parti: esempio "Ti vendo la mia casa si deciderò di venderla";

la ragione della nullità sta nel fatto che non c'è la volontà di vendere un diritto o di assumere un'obbligazione da una parte, mentre l'altra resta in balìa dell'arbitrio del suo contraente.

A differenza del contratto con condizione sospensiva meramente potestativa, il contratto con condizione risolutiva meramente potestativa è ammissibile e un esempio calzante è la facoltà di recedere.

La condizione può essere:

. casuale, se dipende dal caso;

. potestativa, se dipende da una delle parti;

. mista, se dipende dall'unione di quella casuale e quella potestativa.


La condizione volontaria è retroattiva, salvo la diversa volontà delle parti o per la natura del rapporto.

Per quanto riguarda la retroattività della condizione sospensiva, essa consiste nel fatto che gli effetti si considerano prodotti non dal giorno in cui si è verificata la condizione, ma dal giorno della conclusione del contratto.

Per quanto riguarda la retroattività della condizione risolutiva, essa consiste nel fatto che gli effetti si presumono eliminati non dal giorno in cui si verifica la condizione, ma dal giorno della conclusione del contratto; tuttavia per i contratti ad esecuzione continuata o periodica con condizione risolutiva, la condizione non ha efficacia retroattiva, cioè non colpisce e pregiudica le prestazioni già eseguite.

Oltre alla condizione volontaria abbiamo anche la condizione legale quando è la legge a subordinare l'efficacia del contratto al verificarsi di un evento futuro e incerto; essa non ha effetto retroattivo.

58. Termine di efficacia e termine di adempimento Il termine di efficacia è il momento a partire dal quale (termine iniziale) o entro il quale (termine finale) il contratto produce gli effetti; il termine non ha efficacia retroattiva, perché gli effetti si verificano o cessano al momento della sua scadenza.

Il termine può consistere sia in una data che in un evento certo e futuro; tuttavia è anche possibile che il termine conviva con la condizione.

Ci sono delle similitudini e delle differenze con la condizione:

. la similitudine è che entrambi hanno la funzione di circoscrivere l'efficacia temporale;

. la prima differenza è che il termine, al contrario della condizione, non rende incerta la produzione degli effetti, perché esso (il termine) consiste in un fatto futuro ma certo; altra differenza è che la condizione può essere apposta ai contratti con effetti sia reali che obbligatori, mentre il termine non è opponibile ai contratti ad effetti reali, salvo diversa disposizione legale, perché è impensabile che un contratto traslativo di proprietà sia soggetto a termine iniziale o finale dando vita alla c.d. proprietà temporanea.


Accanto al termine di efficacia vi è il termine di adempimento che è il momento a partire dal quale (termine iniziale) o entro il quale (termine finale) il debitore può o deve adempiere.

59. Requisiti legali di efficacia Fino adesso abbiamo trattato la condizione volontaria; ora parliamo della condizione legale.

La condizione legale si ha quando la legge subordina gli effetti del contratto al verificarsi di effetti futuri e incerti; un esempio è il contratto concluso dal falsus procuràtor che produce gli effetti per il dominus solo se quest'ultimo (dominus) lo ha ratificato.

La condizione legale, come quella volontaria, può incidere sull'efficacia del negozio senza però pregiudicare gli effetti preliminari rispetto a quelli finali.

Una differenza tra la condizione legale e quella volontaria è che nei casi di condizione volontaria i privati possono incidere nei limiti sull'efficacia negoziale.

Tuttavia, per la condizione legale, manca una specifica disciplina e la dottrina è contraria ad applicare, per la condizione legale, la stessa disciplina della condizione volontaria, perché vi sono delle sostanziali differenze:

1. la condizione legale, non è necessariamente retroattiva, ma, appunto perché manca una specifica disciplina, si considera retroattiva.

2. non è estendibile alla condizione legale la norma della finzione di avveramento (art 1359 c.c. , vedi paragrafo 57 "la condizione"), perché il verificarsi dell'evento, di regola, non dipende da chi è parte del negozio.


Alla condizione legale sono invece utilizzate le stesse norme applicate a tutela di chi acquista un diritto sottoposto a condizione volontaria.

60. Interpretazione Il contratto è soggetto ad interpretazione, che è trattata dagli art. 1362 ss.

L'art. 1362 c.c. afferma che nell'interpretare un contratto si deve indagare la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.

L'interpretazione, quindi, al pari di una prova, deve verificare la comune intenzione; tale valutazione è fatta tenendo conto non solo della comune intenzione attuale, ma anche di quella anteriore e posteriore alla conclusione del contratto.

La dottrina associa l'interpretazione alla qualificazione che è rivolta all'accertamento della veste giuridica adeguata.

L'art 1362² c.c. afferma che l'interpretazione deve tener conto non solo del senso letterale delle parole, ma anche di altri dati e di elementi del fatto.

Altro criterio d'interpretazione, c.d. criterio della totalità, è postulato dall'art. 1363 c.c. il quale afferma che le clausole del contratto non devono essere valutate isolatamente, ma devono essere valutate nell'insieme del contratto.

Alle norme d'interpretazione soggettiva finora analizzate, possiamo affiancare, le norme di interpretazione oggettiva, le quali sono legate alla struttura e alla funzione del contratto, e alle tecniche di contrattazione impiegate; tra queste norme vanno ricordate:

. l'art. 1369 c.c. dove in presenza di espressioni con più sensi, esse devono essere intese nel senso più adeguato e conveniente alla natura e all'oggetto del contratto;

. l'art. 1367 c.c. dove nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono essere interpretate nel senso in cui possono avere qualche effetto e non nel senso in cui non avrebbero effetti;

. l'art. 1368 c.c. dove le clausole ambigue s'interpretano secondo gli usi che si praticano nel luogo dove è stato concluso il contratto;

. l'art. 1370 c.c. dove le clausole delle condizioni generali di contratto nel dubbio s'interpretano contro l'autore della clausola;

. l'art. 1371 c.c. dove nel momento in cui il contratto rimane dubbio anche dopo tali criteri d'interpretazione, esso è interpretato secondo sia a titolo oneroso o gratuito:

o se è a titolo oneroso, il contratto è interpretato al fine di contemperare gli interessi delle parti;

o se è a titolo gratuito, il contratto è interpretato nel senso meno gravoso per il contraente obbligato.


Un altro criterio utilizzato nell'interpretazione del contratto è dettato dall'art. 1366 c.c. il quale afferma che il contratto deve essere interpretato secondo buona fede; questo criterio è utilizzato per risolvere i problemi riguardanti la lealtà e la correttezza delle parti anche se tale lealtà e correttezza dovrebbero essere una prerogativa della conclusione del contratto.

La giurisprudenza considera tali criteri d'interpretazione del contratto ordinati secondo una scala gerarchica dove al vertice troviamo i criteri d'interpretazione soggettiva e in seguito i criteri d'interpretazione oggettiva.


61. Integrazione L'art. 1374 c.c. afferma che le parti sono obbligate non solo al contenuto del contratto, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo usi ed equità; tale articolo è molto simile all'art. 1124 del codice civile del 1865 che però era annoverato tra le regole sulla interpretazione.

L'integrazione si basa sul presupposto che le parti non regolano ogni aspetto del contratto, ma solo quelli essenziali; in questi casi entra in funzione la legge che dispone un complesso di regole, frutto di una lunga esperienza, che integrano i punti che le parti non hanno voluto o potuto disciplinare.

Tali regole sono chiamate norme suppletive o dispositive, perché colmano le lacune del regolamento contrattuale e disciplinano determinati rapporti; esse, tuttavia, non sono imperative e quindi derogabili dalle parti che possono disporre diversamente.

La legge può intervenire con più incisione sul contratto dettando norme interpretative, con le quali dispone l'inserimento automatico di clausole, anche in sostituzione di quelle contrarie apposte dalle parti; la ratio di tali norme è quella di realizzare l'interesse generale o di determinate categorie anche contro la volontà delle parti.

Un esempio classico sono i prezzi imposti finalizzati alla realizzazione di interessi generali; nel caso tali prezzi non sono rispettati vi è un'automatica riduzione del prezzo.

Dall'intervento della legge sul regolamento contrattuale, mediante le norme interpretative, emerge una nuova nozione di contratto: esso non è più visto come la realizzazione di interessi individuali, ma come realizzazione di interessi generali o di categorie deboli.

Tuttavia, per salvaguardare l'autonomia contrattuale, si è affermato che l'intervento integrativo, in questi casi, opera non sul contenuto, ma sugli effetti: quindi si distingue l'integrazione sul contenuto (art. 1339-1340 c.c.) dall'integrazione sugli effetti (art. 1374 c.c.).

L'art. 1374 afferma che l'integrazione può avvenire non solo secondo la legge, ma anche mediante gli usi: la dottrina afferma che l'art. 1374 c.c. fa riferimento agli usi normativi e l'art. 1340 c.c. fa riferimento agli usi negoziali o contrattuali.

La differenza fra usi normativi e usi negoziali o contrattuali è che: gli usi negoziali o contrattuali fanno riferimento alle pattuizioni in uso in una certa zona e prevalgono sugli usi normativi che, invece, riguardano le consuetudini; altra differenza è che gli usi normativi possono essere provati con qualsiasi mezzo e sono rilevati d'ufficio dal giudice, mentre gli usi contrattuali o negoziali possono essere rilevati solo con i mezzi previsti per la prova dei contratti.

L'art. 1374 c.c. , oltre agli usi, richiama anche l'equità che è operata dal giudice: l'equità integrativa, agisce solo in via sussidiaria su aspetti del contratto non regolati dalle parti e che non sono disciplinati dalla legge.

L'art 1375 introduce come altro strumento integrativo del contratto la buona fede che ha, logicamente, carattere inderogabile ed opera nel momento esecutivo del rapporto; essa consiste in una serie di obblighi imposti alle parti come ad esempio l'obbligo di protezione, di sicurezza, di avviso.

h. Cessione dei contratti e subcontrattazione

62. Cessione del contratto La cessione del contratto è l'effetto giuridico che si ricollega alla successione inter-vivos di un soggetto nella posizione contrattuale di uno dei contraenti originari: l'effetto giuridico si realizza con il subingresso del nuovo soggetto nel rapporto al posto della parte sostituita.

La cessione del contratto è ben diversa dalla cessione del credito, perché con la cessione del contratto si ha un trasferimento, non di singole situazioni, ma della totalità delle situazioni soggettive sia di carattere sostanziale (diritti potestativi, facoltà, ecc..) sia di carattere processuale (azioni di nullità, risoluzione).

Nella cessione del contratto il consenso del contraente ceduto risulta un elemento costitutivo ed essenziale: tale consenso può manifestarsi sia nello stesso momento dell'accordo, tra cedente e cessionario, sia successivamente all'accordo, sia preventivamente e in quest'ultimo caso l'efficacia della cessione è determinata dalla notificazione al ceduto dell'accordo.

Anche se l'interesse del contraente ceduto è essenziale, affinché avvenga la cessione, tale interesse non fa parte di nessuno degli schemi negoziali tra cedente e cessionario.

Nella cessione del contratto si configurano due strutture negoziali:

1. una prima struttura che riguarda il rapporto fra cedente e ceduto;

2. una seconda struttura che riguarda il rapporto fra cedente e cessionario.


63. Presupposti, oggetto ed effetti della cessione del contratto Affinché si realizzi la cessione del contratto è necessario che ciò che è ceduto, ossia la totalità delle situazioni, resti immutato; tuttavia, può accadere che, a cessione avvenuta, il cessionario e il ceduto possano accordarsi per modificare il contenuto del contratto.

L'art. 1406 c.c. afferma che sono cedibili solo i contratti con prestazioni corrispettive non ancora eseguite; tuttavia non è del tutto esclusa l'operatività della cessione del contratto per i contratti unilaterali o per i contratti con prestazioni già eseguite ex uno latere.

Per quanto riguarda la cessione di contratti ad effetti reali bisogna verificare se questa cessione sia sufficiente per produrre l'effetto traslativo della titolarità del diritto oppure è necessario, dopo la cessione, un successivo negozio traslativo integrativo.

La cessione del contratto è ammissibile nei limiti della natura del contratto; per esempio non è esclusa del tutto la possibilità di cedere un contratto caratterizzato dell'intutitu personae.

La disciplina della cessione del contratto è completata dagli articoli 1408-1409-1410 c.c. :

. l'art. 1408 c.c. afferma che il cedente è liberato dalla sua obbligazione verso il ceduto solo nel momento in cui la cessione è divenuta efficace; tuttavia il ceduto, se non ha liberato il cedente, può agire contro di lui (cedente), nel caso il cessionario sia inadempiente (differenza con l'accollo: il cedente-accollato non è liberato, ma è condebitore);

. l'art. 1409 c.c. disciplina il rapporto fra ceduto e cessionario: l'articolo afferma che il ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto e non le eccezioni derivanti da altri rapporti col cedente, salvo che il ceduto ne abbia fatto espressa riserva al momento in cui ha accettato la cessione;

. l'art 1410 c.c. disciplina il rapporto tra cedente e cessionario: l'articolo afferma che il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto e, nel caso egli (cedente) si assume la garanzia dell'adempimento del contratto ceduto al cessionario, il cedente risponde come fideiussore per le obbligazioni (non adempiute) del ceduto.

64. Subcontratto e divieti di subcontrarre Il subcontratto, a differenza della cessione del contratto, è caratterizzato dalla dipendenza e dalla derivazione dello stesso subcontratto al contratto principale; infatti nella sublocazione (art. 1594 c.c.) non vi è successione del terzo nella posizione contrattuale di una delle parti originarie: il rapporto di locazione principale e originario perdura tra le parti.

Nella sublocazione si definiscono la figura del subconduttore, che è colui che acquista in sublocazione una posizione giuridica derivante dal sublocatore: si configura quindi un contratto di sublocazione che dipende dalla locazione principale.

La sublocazione può essere esclusa preventivamente da un patto che le parti appongono al contratto di locazione principale.

Tuttavia, è richiesto, nella sublocazione di locazioni urbane, il consenso autorizzativo del locatore all'adempimento della sublocazione e questo consenso deroga i divieti di subcontrattazione.

In riguardo alla sublocazione bisogna fare una differenza tra le locazione abitative e quelle non abitative; per quelle abitative bisogna fare un'ulteriore distinzione:

. sublocazione totale: il consenso del locatore è funzionale ad una cessione di contratto ed esclude l'utilizzo abitativo del sublocatore;

. sublocazione parziale: il consenso del locatore non esclude l'esigenza abitativa del primo conduttore (sublocatore) che ha l'onere di comunicazione.


Secondo una disposizione, il consenso del locatore è necessario solo se la sublocazione non è attuata nello stesso momento della locazione o della cessione dell'azienda.

i. Esecuzione dei contratti

65. Buonafede nell'esecuzione dei contratti L'art 1375 postula che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede; la buona fede è una regola-principio che disciplina il comportamento esatto ed adeguato delle parti. Essa è utilizzata anche per valutare l'esatto adempimento, è utilizzata per escludere l'inadempimento di una parte, se l'altra parte ha avuto un comportamento non previsto dal contratto, ecc.

In conclusione, la buona fede esprime l'esigenza di valutare e misurare gli interessi coinvolti nell'esecuzione del contratto e tale dichiarazione è fatta secondo principi fondamentali identificati, appunto dalla buona fede.

66. Risoluzione Risoluzione, dal latino solvère, significa scioglimento; la risoluzione quindi scioglie il contratto e fa venir meno gli effetti e il vincolo da esso (contratto) prodotti.

A differenza dell'invalidità, che opera in presenza di difetti originari e che elimina il contratto dall'inizio come se non fosse mai esistito, la risoluzione opera in casi di difetti sopravvenuti dopo la conclusione del contratto e tali difetti non toccano l'atto, ma il rapporto contrattuale.

Di conseguenza, gli effetti prodotti dal contratto fino al momento della risoluzione non sono privi di causa.

Quindi l'efficacia retroattiva della risoluzione vale solo tra le parti (salvo per i contratti a esecuzione continuata o periodica) e non nei confronti dei terzi (art. 1458 c.c.); difatti se un terzo ha acquistato un diritto da una delle parti del contratto che poi è stato risolto, tale risoluzione non pregiudica la sua (del terzo) situazione.

La risoluzione non è l'unico modo affinché operi lo scioglimento del contratto: difatti abbiamo il mutuo dissenso, il recesso unilaterale e la condizione risolutiva.

La risoluzione opera quando vi è un difetto sopravvenuto che incide sul rapporto contrattuale e che comporta un'alterazione del legame sinallagmatico tra le prestazioni corrispettive (rapporto sinallagmatico = la prestazione di una parte ha la sua giustificazione nella controprestazione dell'altra).

Le tre ipotesi di risoluzione disciplinate dalla legge sono:

a) per inadempimento;

b) per impossibilità sopravvenuta;

c) per eccessiva onerosità.


A) Risoluzione per inadempimento (art. 1453 ss c.c.). In caso di inadempimento di una parte, l'altra ha la facoltà di scegliere tra la domanda di adempimento e la risoluzione. Se permane un interesse ad un adempimento anche tardivo, essa può chiedere la condanna della controparte ad eseguire la prestazione non ancora adempiuta (domanda di adempimento); se, invece, non ha un interesse ad un adempimento tardivo, essa può chiedere la risoluzione del contratto: perde il diritto a ricevere la prestazione, ma, comunque, non deve più eseguire la sua e, nel caso l'avesse già eseguita, può richiedere la restituzione.

Se la parte non inadempiente sceglie l'adempimento tardivo, può sempre chiedere successivamente la risoluzione del contratto; non è possibile il viceversa perché la parte inadempiente non può essere pregiudicata ulteriormente.

La parte inadempiente non può bloccare la risoluzione del contratto con un'esecuzione tardiva, salvo nel caso in cui la parte non inadempiente accetta l'adempimento tardivo e rinuncia alla risoluzione.

La parte non inadempiente può chiedere il risarcimento del danno che è misurato in risarcimento aggiuntivo, se ha chiesto l'adempimento tardivo, oppure è misurato in risarcimento sostitutivo della prestazione, se ha chiesto la risoluzione.

La risoluzione per inadempimento è meglio qualificata come risoluzione giudiziale, in quanto, su domanda della parte, essa è pronunziata dal giudice con sentenza costituiva; la risoluzione, essendo un rimedio estremo, per essere chiesta è necessario che l'inadempimento non abbia scarsa importanza ma, anzi, notevole importanza.

La valutazione della gravità dell'inadempimento è rimessa al giudice, salvo previsione legale; il giudice può anche accertare se l'inadempimento è imputabile o non alla parte inadempiente.

La risoluzione di diritto consiste nel fatto che in alcuni casi la risoluzione opera automaticamente senza la necessità della sentenza del giudice; questi casi sono:

1) diffida ad adempiere;

2) clausola risolutiva espressa;

3) scadenza del termine essenziale.


1) Diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.). Affinché possa operare l'adempimento tardivo dell'inadempiente senza ricorrere all'azione giudiziale, la parte non inadempiente può intimare per iscritto all'altra parte inadempiente ad adempiere entro un adeguato termine che, di regola, è di 15 giorni; se entro tale termine la parte inadempiente non adempie, il contratto si ritiene risolto di diritto senza la necessità dell'intervento del giudice. Tale avvertimento, ossia che alla scadenza del termine il contratto si ritiene risolto, deve essere espressamente dichiarato dalla parte non inadempiente, altrimenti l'intimazione vale solo come costituzione in mora.

2) Clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.). I contraenti possono concordare espressamente che il contratto si risolve nel caso una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite; in questo caso la risoluzione si verifica di diritto, cioè senza l'intervento del giudice, quando la parte interessata dichiara all'altro di volersi avvalere della clausola risolutiva. Affinché la clausola risolutiva espressa sia efficace non è richiesto che l'inadempimento sia di grande importanza, ma è necessario che le parti abbiano indicato esplicitamente le obbligazioni su cui agisce tale clausola.

3) Scadenza del termine essenziale (art. 1457 c.c.). Il contratto si ritiene risolto senza bisogno di alcuna dichiarazione quando una parte non adempie in un termine essenziale stabilito nell'interesse dell'altra parte; tuttavia, nel caso la parte non inadempiente abbia un interesse a ricevere un adempimento anche tardivo, essa può esigere la prestazione rinunziando alla risoluzione dando notizia di tale decisione all'altra parte entro 3 giorni dalla scadenza del termine. È stato scelto questo termine breve di 3 giorni per non lasciare la parte inadempiente in un lungo stato di incertezza. Il termine è riconosciuto essenziale quando la parte non inadempiente non ha nessun interesse a ricevere un adempimento tardivo; il termine essenziale può derivare o dalla natura della prestazione o dal contratto o dalla volontà dei contraenti.


La risoluzione di diritto non esclude tassativamente l'intervento del giudice, il quale può essere chiamato a risolvere controversie circa la risoluzione: la sua sentenza è dichiarativa e non costitutiva, in quanto accerta solo la validità della risoluzione. Nel caso il giudice accerti che la contestazione contro la parte che si è avvalsa della risoluzione sia fondata, questa parte (che si è avvalsa della risoluzione) è condannata a risarcire il danno per aver impedito e non accettato la prestazione dell'altra parte.

Nel caso di un contratto plurilaterale, l'inadempimento di una delle parti non provoca la risoluzione, salvo nel caso in cui tale prestazione era da considerarsi essenziale (art. 1459 c.c.).

L'eccezione di inadempimento e la sospensione dell'esecuzione sono strumenti di autotutela:

● l'eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) riguarda i contratti con prestazioni corrispettive: le parti oltre a tenere un comportamento attivo (agendo per l'adempimento) possono tenere un comportamento passivo e di attesa rifiutandosi di adempiere laprestazione nel caso in cui l'altra parte non adempie o non offre di adempiere la controprestazione contemporaneamente, salvo nei casi in cui sono previsti dalla parti o dalla natura del contratto termini diversi per l'adempimento. Un rifiuto illegittimo è contrario alla buona fede.

● la sospensione dell'esecuzione (art. 1461 c.c.): ciascun contraente può sospendere l'esecuzione della prestazione da lui dovuta se le condizioni patrimoniali dell'altra fanno sorgere pericoli pere il conseguimento della controprestazione; tuttavia, se sono offerte idonee garanzie, la sospensione non ha più giustificazione.


Le parti, affinché non sia impedita o ritardata l'esecuzione delle prestazioni, possono accordarsi per apporre al contratto la c.d. clausola solve et repete (art. 1462 c.c.) (prima paghi e poi chiedi la restituzione), la quale impedisce a una delle parti di opporre le eccezioni; tuttavia tale clausola è inefficacie per l'eccezione di nullità, di annullabilità e di rescissione. Il giudice in presenza di gravi motivi può sospendere la condanna all'adempimento imponendo una cauzione.

B) Risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 ss c.c.). L'impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore provoca l'estinzione del contratto: se il contratto ha per oggetto prestazioni corrispettive legate da un vincolo sinallagmatico, esso (contratto) è ritenuto risolto.

La parte liberata dall'adempimento per impossibilità sopravvenuta della propria prestazione non può chiedere la controprestazione e, nel caso avesse già ricevuto la controprestazione, egli deve restituirla.

La risoluzione opera di diritto ma può essere richiesta anche una sentenza dichiarativa del giudice che accerta la validità de4lla risoluzione. Se l'impossibilità è imputabile al debitore, agiscono le norme della risoluzione per inadempimento.

L'art. 1465 c.c. dispone che nei contratti traslativi o costitutivi di diritti reali, l'acquirente non è liberato dall'obbligo di eseguire la controprestazione se la cosa è perita per causa non imputabile all'alienante, anche se non gli (all'acquirente) è stata consegnata la cosa; se l'oggetto del trasferimento è una cosa determinata solo nel genere, l'acquirente non è liberato dall'obbligo di eseguire la controprestazione se l'alienante gli ha consegnato la cosa o se la cosa è stata individuata. Tuttavia l'acquirente è liberato dall'eseguire la controprestazione se il trasferimento era sottoposto a condizione sospensiva e se l'impossibilità sopravvenuta si è verificata prima che si verifichi la condizione; la ratio di tale articolo basa sul fondamento che i contratti traslativi o costitutivi di diritti reali producono gli effetti già dal momento del consenso.

L' art. 1464 c.c. dispone che nel caso la prestazione di una parte è divenuta parzialmente impossibile, l'altra parte può o eseguire una controprestazione ridotta proporzionalmente oppure può richiedere la risoluzione del contratto non avendo interesse ad un adempimento parziale; anche l'impossibilità temporanea può comportare la risoluzione del contratto.

C) Risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467 ss c.c.). Essa opera per i contratti a esecuzione o continuata o periodica o differita: la risoluzione per eccessiva onerosità si ha quando a causa di eventi eccezionali ed imprevedibili verificatasi nel momento che va dalla conclusione all'esecuzione del contratto una prestazione diventa eccessivamente onerosa rispetto all'altra creando uno squilibrio. La parte che deve eseguire la prestazione divenuta eccessivamente onerosa può richiedere la risoluzione del contratto.

La differenza tra rescissione e risoluzione è che lo squilibrio della rescissione è presente già al momento della conclusione del contratto, mentre quello della risoluzione è generato da un evento eccezionale ed imprevedibile.

Affinché possa operare la risoluzione è necessario che:

● l'onerosità di una prestazione sia realmente eccessiva e non insignificante: la valutazione logicamente è rimessa al giudice;

● l'eccessiva onerosità non rientri nella casualità-rischio del contratto;

● l'eccessiva onerosità deve verificarsi nel momento che va dalla conclusione all'esecuzione del contratto;

● l'eccessiva onerosità deve essere causata da avvenimento straordinari ed imprevedibili, cioè non realizzabili dalla capacità dell'uomo.


La parte contro la quale è domandata la risoluzione del contratto può, tuttavia, evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Nel caso di obbligazioni a carico di una sola parte, questa può richiedere una riduzione della sua prestazione o una modifica delle modalità di esecuzione.

L'eccessiva onerosità richiede l'intervento del giudice, il quale valuta i vari parametri e decide quali devono essere le riduzione o le modifiche: quindi per l'eccessiva onerosità non opera una risoluzione di diritto.

L'eccessiva onerosità non agisce per i contratti aleatori, perché il rischio di uno squilibrio delle prestazioni è una sua caratteristica genetica.

La risoluzione del contratto scioglie il rapporto contrattuale e provoca la cessazione degli effetti; essa è retroattiva tra le parti, ma tale retroattività non vale nei confronti con i terzi.

La retroattività trova un limite per i contratti a esecuzione continuata o periodica, perché essa non pregiudica le prestazioni già eseguite.

l. Strumenti dell'autonomia negoziale: profilo sistematico.

67. Principali classificazioni dei negozi e dei contratti Gli atti di autonomia negoziale sono ordinati in categorie e tale suddivisione è fatta non per una mera finalità teorica ma per una finalità pratica, perché gli atti facenti parte ad una stessa categoria sono assoggettati tutti a specifiche norme e questo fatto rende più facile al giudice la risoluzione delle controversie.

Le categorie si dividono:

● per gratuità ed onerosità; la distinzione tra atti a titolo gratuito e quelli a titolo oneroso fonda sulla diversa tutela che è offerta al terzo, fonda sui limiti di responsabilità e di garanzia delle parti, ecc.

● per numero delle parti; la distinzione è fatta tra i negozi unilaterali , bilaterali e plurilaterali;

● per qualità delle parti; la distinzione è fatta in base alle qualità e all'identità delle parti;

● per natura delle parti; la distinzione è fatta tra gli atti tra privati e quelli conclusi con la Pubblica Amministrazione (P.A.);

● per tecniche di formazione; i negozi si distinguono in consensuali, dove si perfezionano con il semplice consenso, e in reali, che richiedono per il perfezionamento oltre al consenso anche la consegna;

● per attribuzioni patrimoniali; la differenza è fatta tra i contratti unilaterali (contratti con prestazione a carico di una sola parte), dove vi è onerosità solo per la parte a cui la prestazione è a carico, e i contratti corrispettivi, caratterizzati dalla corrispettività ossia dall'equivalenza economica delle prestazioni e dal sinallagma, ossia dal nesso funzionale ed essenziale delle prestazioni;

● per i contratti commutativi e aleatori; la distinzione è fatta tra i contratti commutativi, i quali non dipendono da fattori casuali, e i contratti aleatori, dove è il caso a decidere il vantaggio o lo svantaggio delle parti nel contratto (es: assicurazione);

● per forma; la distinzione è fatta tra i contratti a forma liberi e i contratti formali o solenni, dove è la legge o la convenzione a dettare le forme da utilizzare;

● per efficacia; una prima distinzione è fatta tra i negozi unilaterali recettizi, dove l'atto deve essere ricevuto dal destinatario (es: disdetta del contratto di assicurazione), e i negozi unilaterali non recettizi, dove l'atto non deve essere ricevuto dal destinatario; altra distinzione circa l'efficacia è fatta tra i negozi a effetti reali o traslativi, che producono il trasferimento della proprietà o di un diritto, e i negozi a effetti obbligatori, che comportano la nascita di un rapporto obbligatorio; l'ultima differenza è fatta tra i negozi ad efficacia originaria, che producono immediatamente i loro effetti, e i negozi ad efficacia sospesa o condizionata o a termine, dove gli effetti sono sottoposti a sospensione o a condizione o a termine;

● per esecuzione; la distinzione è fatta tra gli atti negoziali ad esecuzione istantanea, dove l'esecuzione si risolve in tempi brevi, e gli atti negoziali ad esecuzione continuata o periodica, dove l'esecuzione si protrae nel tempo.


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