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Tito lucrezio caro




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TITO LUCREZIO CARO

Il contesto storico- la crisi della Repubblica

Con la fine delle guerre Puniche era nata una crisi che aveva investito i contadini-soldati. Essi, tornando dalle battaglie avevano trovato i loro raccolti in rovina e ciò aveva provocato un impoverimento dei piccoli proprietari terrieri a favore del rafforzamento del potere di nobili ed Equites. Con l'arrivo dei numerosissimi schiavi, la piccola e media proprietà contadina era stata sostituita dalla grande impresa agricola. Con i fratelli Gracchi furono fatte alcune riforme per risollevare questi ceti, mediante la ridistribuzione dell'ager publicus. Il fatto che queste riforme fallirono, mette in evidenza quanto i cambiamenti allora in atto fossero irreversibili.

In campo militare la figura di Mario venne affermandosi. Egli arruolò per la prima volta i nullatenenti nell'esercito e radicò il concetto di un servizio, non più per la patria, ma per il proprio generale. Questo portò alla nascita di un esercito professionale permanente. Di lì a poco ebbero inizio le guerre civili tra Mario (un plebeo) e Silla (un aristocratico), conflitti sanguinosissimi che portarono alla sistematica violazione della legalità repubblicana.

Intanto si assisteva all'ascesa di Pompeo: egli aveva acquistato fama grazie ai suoi successi militari ed era in seguito rientrato a Roma (nel 62) carico di gloria e ricchezze. Nel 58 si assistette allo scontro tra le armate del tribuno della plebe Clodio e quelle dell'Optimates Milone, assoldate da Pompeo. Questo si concluse con la morte del primo per mano di Milone e con l'esilio di quest'ultimo. Intanto si era affermato un altro uomo molto influente: Cesare, appartenente alla Gens Iulia e nipote di Mario. Egli istituì il triumvirato con Crasso e Pompeo, dopodichè ottenne il consolato ed il proconsolato in Illiria e Gallia. In sette anni riuscì a conquistare molti territori, acquistando nel contempo molto potere personale. Non avendo ricevuto il rinnovo del consolato da parte del senato, Cesare varco il Rubicone e marciò su Roma, dove si scontrò con Pompeo. Iniziarono così nuove guerre civili, che terminarono con la sconfitta di Pompeo a Farsalo. Cesare divenne dittatore a vita e padrone assoluto di Roma, segnando così la fine della repubblica.

A differenza del suo contemporaneo Cicerone, Lucrezio non fu un uomo pubblico, buttato nelle tempeste politiche, ma visse isolato, tutto fisso nel proposito di trovare alla vita dolorosa degli uomini una meta più alta che non fosse quella delle lotte e delle ambizioni donde nascono le guerre interne ed esterne e l'umanità. Mentre le passioni civili imperversavano, e gli odi, le stragi e i sospetti di sempre nuove calamità avvolgevano nel terrore i cittadini, uno spirito ardente e infiammato dall'ansia di svelare ai contemporanei le condizioni per vivere in pace e in felicità, si levava in mezzo a loro, ad ammonirli dell'errore in cui si perdevano, a liberarli da tutte le superstizioni dalle quali erano ingannati e sviati, a indirizzarli alla giusta considerazione delle cose umane, che la sola filosofia sarebbe stata in grado di rivelare. Di tale missione si sentì investito il poeta, che volle essere guida dei propri concittadini alla saggezza e alla verità.

La filosofia, alla quale egli chiedeva di compiere la nobile rivelazione, non era nessuna di quelle per cui aveva simpatizzato il contemporaneo Cicerone, ma proprio quella di cui questi era stato il più accanito avversario: l'epicureismo. La dottrina che proponeva il piacere quale sommo bene fisico e spirituale, che spiegava in modo meccanicistico e sensistico la natura, che considerava gli uomini disancorati dal cielo e fine a sé stessi nella mortalità dell'anima composta come il corpo di elementi fisici, non appariva veramente la più atta all'indole e alle esigenze tradizionali romane, per cui l'individuo e lo Stato erano inscindibile unità. Ma se la dottrina del filosofo greco, fondata sulla fine del secolo IV in Atene, appariva poco congeniale all'indole conservatrice e anti-individualistica dello Stato romano tradizionalista, essa si presentava proprio come un antidoto e un'evasione in mezzo al suo sovvertimento, in un'epoca particolarmente oppressa dai mali politici e civili: miraggio e oasi di pace e di rinascita nel colmo della bufera. Le circostanze erano veramente propizie al diffondersi in Roma di una credenza che in altri tempi vi avrebbe incontrato incompatibilità. Ma una dottrina che auspicasse il placarsi delle passioni in mezzo al loro più sfrenato infuriare, che insegnasse a considerare nel giusto valore, senza esaltazione né ripudio, le cose mortali, che spegnesse il dolore e liberasse dagli incubi da cui è gravata la breve esistenza terrena, doveva trovare la sua temperie più conveniente nel colmo delle lotte fratricide, delle proscrizioni e degli intrighi, delle violenze d'una situazione politica sanguinaria e tumultuosa, se insegnava che la meta del vivere è invece la perfezione e la pace dello spirito e risiede nella conoscenza della verità che non illude né delude. La liberazione dal dolore e dall'errore: tale la meta che la poesia doveva rendere accessibile alle menti sviate con il miracolo della parola. Lucrezio considerava se stesso l'apostolo della grande missione.

La vita

La vita di Tito Lucrezio Caro (98 ca -55 ca a.C.) è avvolta nel mistero perché il poeta, preso dagli studi, trascorse l'esistenza in solitudine e in isolamento. Indifferente per natura alla vita pubblica e mondana, non fece nulla per farsi conoscere e non pubblicò nemmeno il suo poema. Non si sa se avesse amici, anche se l'importanza data dai suoi versi all'amicizia fa pensare comunque che ne avesse: uno doveva essere quel Memmio propretore in Bitinia e in seguito condannato all'esilio per brogli elettorali, al quale dedicò il De rerum natura; probabilmente lo era Cicerone, che dopo la morte di Lucrezio ne pubblicò il poema. Carenti, molto posteriori e avvolte in un alone di leggenda sono le sue notizie biografiche: la fonte principale è rappresentata da un breve testo della Cronaca di san Girolamo (sec. IV d.C.) che, accogliendo notizie del De poetis di Svetonio (sec. II d.C.), afferma che Lucrezio fu colto da follia per aver assunto un filtro d'amore e, dopo aver composto negli intervalli di lucidità la sua opera, si suicidò a quarantaquattro anni. La lucida e dura analisi della passione erotica e la condanna dell'amore presente nei suoi versi sembrano indicare che nella vita di Lucrezio ci sarebbe stato un amore sventurato. Si può collocare con una certa attendibilità la vita di Lucrezio tra il 98 e il 55 a.C., poiché è sicuro l'ultimo dato fornito da san Girolamo, cioè che Cicerone revisionò il poema di Lucrezio, rivedendone il manoscritto e curandone l'edizione. Di Cicerone, che pure non citò mai Lucrezio negli scritti filosofici in cui illustra le dottrine epicuree, resta anche un giudizio sul poeta contenuto in una lettera al fratello Quinto del febbraio 54; in tale data il De rerum natura era già stato letto (si trattava, di certo, di una lettura e non di una revisione) in vista della pubblicazione postuma, dunque Lucrezio doveva essere già defunto. Cicerone, riferendosi al poema lucreziano, ne riconosce sia il genio poetico sia l'arte con cui è scritto. Del tutto sconosciuto è il luogo di nascita di Lucrezio, da alcuni collocato in Campania da altri a Roma, e oscure sono la sua estrazione sociale e la formazione culturale; nessun contemporaneo parla di lui, a parte Cicerone. Viene ora anche comunemente accettata la notizia, relativa alla follia di Lucrezio, contestata da alcuni studiosi come astiosa invenzione creata ad arte o enfatizzata dalla propaganda cristiana, ostile al pensiero del poeta.


L'Epicureismo

L'opera principale di Epicuro era un trattato sulla natura: il De Rerum Natura.
La dottrina epicurea poneva al centro del proprio interesse la ricerca del più alto grado di felicità possibile: la tranquillità dell'animo raggiunta tramite la conoscenza.
La dottrina degli atomi concepiva la materia come il risultato di un'aggregazione meccanica di elementi minimi. Epicuro poneva alla base della materia e della vita un fondamento fisico unico: la deviazione o clinamen che deviava gli atomi dalla retta di caduta e li faceva scontrare permettendo così la loro aggregazione.
Epicuro non negava l'esistenza della divinità, ma la concepiva come modello della perfetta beatitudine: gli dei, in quanto imperturbabili, non si occupano dell'uomo, anzi, se ne disinteressano completamente, per questo l'uomo non deve temere né gli dei né il loro castigo.
Il fondamento della vita sociale è l'utilità del bene comune, e la dottrina epicurea preferiva i vincoli individuali di amicizia a quelli del contratto sociale, condannando i concetti di ambizione, di successo e di gloria, contrapponendo ad essi la ricerca del soddisfacimento delle necessità materiali.

L'epicureismo avrebbe rappresentato un grave rischio per l'ordine repubblicano tradizionale ma era inevitabile che dopo la conquista della Grecia (146 a.C.) la cultura greca penetrasse a Roma.
Il primo circolo sullo stile ellenico fu quello di Scipione Emiliano.
All'epoca di Lucrezio la scuola epicurea contava su due personaggi molto importanti quali Filodemo e Sirone, ma vedendo in essa una dottrina capace di svalutare pericolosamente alcuni fondamenti politici e religiosi della società e della cultura romana venne condannata da Cicerone, che screditava la diffusione popolare di tale filosofia.


Il programma di Lucrezio

Lucrezio vuole illuminare attraverso lo studio della fisica le norme etiche in modo da superare le banalizzazioni del volgo e offrire un nuovo equilibrio spirituale.
Per effettuare ciò l'autore ha bisogno dell'appoggio di un personaggio politico, e questo spiega le dedica a Memmio, uomo politico ambizioso.
Il poeta si propone di sradicare dall'animo della gente il culto dello Stato e le credenze religiose, da ciò scaturisce il rapporto di imitazione-contrapposizione con Ennio. Lucrezio celebra l'uomo riscattato dalla ragione e dalla scienza.

Il linguaggio e la poetica di Lucrezio

Lucrezio sceglie per la sua opera il genere della poesia, anche se il maestro Epicuro non l'aveva approvata. Il poeta sceglie invece di usarla in quanto essa rappresenta un genere caro e familiare ai romani. Nel IV libro dice che la poesia è un miele dolce che, cosparso sul calice, convince il bambino a prendere la medicina amara (dove la medicina amara è la nuova dottrina filosofica). Quindi possiamo dire che per lui la poesia è un mezzo di persuasione.

I modelli poetici di Lucrezio sono:

v    ENNIO: padre della poesia latina, autore degli "Annales". Da lui il poeta riprende molti arcaismi. Ennio, essendo un poeta nobilitato dall'antichità, esalta Lucrezio e in più, egli è un poeta audace, consapevole di aprire strade nuove e difficili.

v    PARMENIDE ed EMPEDOCLE: sono autori di poemi filosofici.

v    POESIA DIDASCALICA ALESSANDRINA: è un altro dei modelli per la poesia.

Il pubblico a cui pensa Lucrezio per la sua opera è la classe dirigente del tempo. per questo non è strana la dedica fatta a Gaio Memmio, amico e patrono anche di Catullo e Cinna. Anche per questo motivo, il poeta sceglie il genere della poesia: l'aristocrazia acculturata avrebbe snobbato una prosa tecnica come quella di Epicuro.


Lucrezio fu molto ammirato da Virgilio, Ovidio, Orazio, Stazio e Cicerone. La maggior parte dei cristiani lo osteggiarono perché pericoloso per l'ortodossia e per la fede.

Secondo San Girolamo, il poeta sarebbe diventato folle dopo aver bevuto un filtro d'amore e per questo si sarebbe suicidato. Probabilmente questa storia fu inventata dai cristiani per screditare l'Epicureismo, in quanto filosofia materialista e anti-provvidenzialista.  Nel medioevo la sua opera era sconosciuta ma durante l'Umanesimo venne riscoperta da Bracciolini (nel 1417) e molto ammirata. Durante il Romanticismo, Foscolo e Leopardi appoggiarono il Pessimismo Lucreziano.



Il De rerum natura

Il capolavoro di Lucrezio è il poema epico-didascalico, di 7415 esametri intitolato De rerum natura (La natura), in cui viene esposta la filosofia epicurea, che proponeva il piacere quale sommo bene fisico e spirituale. L'epicureismo aveva appena iniziato a penetrare nel mondo romano e il poeta intendeva estenderne la diffusione. Il titolo segue da una parte la tradizione greca della poesia filosofica di Empedocle (sec. IV a.C.) e Parmenide (sec. V a.C.) e dall'altra riprende quello della massima opera di Epicuro, "Sulla natura delle cose", perduta, cui il poeta latino si ispirò. L'opera è dedicata a un certo Gneo Memmio, da identificarsi con ogni probabilità con il propretore, dilettante di poesia, che Catullo tacciò di tirchieria. Il De rerum natura è diviso in 6 libri, che iniziano ciascuno con una raffinata introduzione e che si articolano, con armonioso disegno architettonico, in tre gruppi di due libri ciascuno, rispettivamente dedicati alla fisica, all'antropologia e alla cosmologia. Lucrezio non intende dare una spiegazione fredda e razionale dei fenomeni dell'universo, ma una interpretazione poetica di essi, dell'armonioso aggregarsi e disgregarsi degli atomi, per cui tutte le cose nascono e muoiono, compreso l'uomo che fa parte del tutto, senza dispersione, perché nulla nasce dal nulla e nulla muore riducendosi al nulla. Lucrezio stesso chiarisce nel I libro la ragione per cui ha trattato una materia filosofica in forma poetica: vi è stato costretto perché altrimenti sarebbe stata troppo complicata per lo spirito poco speculativo dei romani. L'uso dell'esametro era collegato alla tradizione greca della poesia didascalica. Per Lucrezio, Epicuro non fu soltanto il fondatore di una dottrina, ma un maestro di vita: numerosi passi del De rerum natura contengono un commosso omaggio al filosofo, presentato come un liberatore, un eroico combattente contro l'oscurantismo religioso. La prima apparizione della religione nel poema è simboleggiata infatti da un mostro che rivolge la sua terribile testa dal cielo verso la terra. Sulle tracce del suo pensiero, mediante l'analisi lucida e razionale della realtà, che porta a una visione di coerente materialismo, l'uomo può liberarsi dalle superstizioni, dai pregiudizi e dagli errori, e quindi dalle inutili angosce che ne derivano, prime fra tutte il timore degli dei, che porta alla superstizione quando non al delitto, e alla paura della morte. Quest'ultima è semplicemente il momento estremo che chiude un ciclo vitale; essa non presuppone affatto un aldilà di punizioni eterne e di sofferenze, che sono favole di poeti o, al massimo, proiezioni di angosce terrestri, come le ambizioni, le frustrazioni, le passioni, i rimorsi. La vita va abbandonata con la stessa disposizione serena con cui un convitato sazio si leva da un banchetto, grato per le gioie che ha eventualmente goduto o, in caso opposto, rasserenato per la liberazione dalle delusioni o dalle sofferenze che ha patito.

Il contenuto del De Rerum Natura

Il primo libro: la teoria atomica. Si apre con un ampio proemio costituito da un solenne inno a Venere, forza generatrice della natura, dea dell'amore, del piacere e della fecondità, protettrice e simbolo di pace e di gioia infinita, perché infonde l'ispirazione al poeta. L'invocazione alla divinità è un modo convenzionale di introdurre un poema, non contrasta con le convinzioni del poeta: gli dei, pur se esistono, non si curano delle vicende degli uomini. Dopo la dedica a Memmio segue un commosso elogio a Epicuro, che per primo si elevò contro la religione e rivelò la verità agli uomini, entrando nei segreti della natura. Il sacrificio di Ifigenia, immolata dal padre Agamennone in Aulide, dimostra che la religione fa compiere agli uomini i gesti più infami e malvagi. Per porre riparo ai timori e alle ossessioni delle pene eterne dell'oltretomba, agli interrogativi di quale natura sia l'anima, se essa finisca nelle cupe tenebre o trasmigri in altri esseri, che sono tutte creazioni di poeti per distruggere la felicità degli uomini, Lucrezio enuncia quindi il principio fondamentale delle teorie atomiche: ' mai nessuna cosa nasce dal nulla per virtù divina' e nulla si riduce al nulla, solo si trasforma. La vita è composta da un insieme di corpi primi, gli atomi, corporei, indivisibili e indistruttibili; quando si muore essi si disgregano e si muovono nel vuoto di un universo infinito. Materia e vuoto costituiscono dunque la natura. False sono le teorie dei presocratici, di Eraclito, di Empedocle e di Anassagora. Il secondo libro: il clinamen. Una stupenda introduzione esalta la serenità imperturbabile del filosofo immune dall'ambizione e dal desiderio di ricchezza per i quali è infelice la maggior parte degli uomini. Lucrezio tratta quindi delle qualità degli atomi, che sono in continuo, velocissimo movimento in un vuoto senza ostacoli. Gli atomi si muovono dall'alto al basso e, grazie al clinamen, cioè all'inclinazione rispetto alla verticale, rimbalzano, si incontrano e si aggregano: la diversità delle loro forme e la molteplicità delle combinazioni generano la varietà delle cose. Questi corpi primi si muovono infiniti in uno universo infinito creando infiniti mondi; il libro si chiude con l'immagine di grande vigore poetico, che tutti i mondi sono soggetti al ciclo di nascita e di morte. Il terzo libro: l'anima umana. Dopo un solenne elogio di Epicuro, il poeta espone la dottrina dell'anima umana. Lucrezio con incalzanti ragionamenti dimostra la sua mortalità. Essa si distingue in anima, che è il principio vitale sparso in tutto il corpo, e animus, cioè la mente razionale che ha sede nel petto; essi sono materiali, perché composti da atomi, sia pure sottilissimi e velocissimi. L'anima e il corpo sono uniti e non possono esistere separatamente: insieme nascono, crescono e muoiono. Quando muore il corpo muore anche l'anima: è quindi assurdo aver paura della morte e l'oltretomba è una grande fantasia. Il quarto libro: i simulacra. Descrive il meccanismo delle varie funzioni del corpo, dei sensi, dei desideri, delle idee. Le sensazioni sono provocate da gruppi di atomi sottilissimi (simulacra) che si staccano dai diversi oggetti ed entrano nel corpo, dando origine alla vista, al tatto, all'udito, all'odorato, al gusto. Le diversità che si riscontrano nei sensi sono dovute alle varie forme dei simulacra e alla differenza dei corpi riceventi. Simulacra sottilissimi, vaganti per l'aria, sono all'origine non solo delle idee stesse, ma anche dei sogni, delle illusioni e delle cose inesistenti. Dopo aver spiegato che anche il bisogno di mangiare e di bere e la passione amorosa dipendono dagli atomi, il libro termina con la condanna dell'amore fisico. Il quinto libro: la cosmologia e la vita sulla terra. Il poeta estende la sua visione a tutto l'universo: questo non fu creato dagli dei; il mondo non è eterno, ma mortale e in esso non vi è posto per gli dei. Dal caos iniziale è avvenuta la creazione dei corpi celesti e della terra. Gli atomi si sono combinati secondo il peso e la forma: al centro la terra, l'aria nella zona superiore e, ancora più in alto, l'etere. Sono assurde le teorie di coloro che sostengono che gli astri, che sono divinità, e il mondo, che è sede degli dei, siano eterni: come hanno avuto un inizio così essi avranno una fine. Egli espone poi il sorgere e l'evoluzione della vita sulla terra, dai fiori e dagli alberi, agli animali e agli uomini; di grande potenza e solennità poetica è il quadro delle origini e del graduale incivilimento dell'umanità, le prime unioni, il sorgere del linguaggio e poi della società organizzata: dallo sgomento dell'ignoto e dall'ignoranza del vero nascono la fede negli dei e la credenza religiosa. Il sesto libro: geofisica e meteorologia. Dopo l'elogio ad Atene che ha accolto Epicuro, il poeta descrive la formazione materialistica dei fenomeni meteorologici, come le nuvole, le piogge, gli arcobaleni e, in particolare i tuoni, il fulmine e i lampi che sono attribuiti dall'umanità ignorante e superstiziosa alle divinità. Lucrezio tratta infine dei fenomeni terrestri, come l'origine dei terremoti o delle inondazioni stagionali del Nilo. Il poema termina con la descrizione della peste di Atene durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.): un tetro quadro di morte e di umana miseria che contrasta con la visione epicurea della vita serena e con quello della primavera e della nascita nell'iniziale invocazione a Venere.


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