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IL BIENNIO ROSSO IN ITALIA
La crisi nel settore industriale:
In seguito alla conclusione del conflitto la spesa pubblica aumentò notevolmente, e cosi i colossi industriali si trovarono sull'orlo del fallimento, entrando in una delicata fase di fallimenti e contrazioni della produzione. Lo stato fu costretto ad interventi di salvataggio per impedire il crollo del sistema industriale italiano. Tutto ciò è dovuto ad un semplice fattore: gli italiani sono troppo poveri per garantire il minimo di consumazione che favorisca il sistema industriale, il quale di conseguenza, si alimentava per mezzo di esportazioni e del mercato fittizio generato dallo stato. La conseguenza di ciò fu un aumento della disoccupazione, l'aumento dell'inflazione e il crollo della lira. E sicuramente per un paese già in crisi che doveva comprare i beni di prima necessità e petrolio e carbone dall'America, il crollo della moneta costituì un vero e proprio disastro.
La mobilitazione del proletariato industriale:
Da questa grande crisi generale che investe l'economia italiana e causa l'aumento della disoccupazione, dell'inflazione e il crollo della lira, nasce un ciclo di lotte operaie, che organizzarono numerosi scioperi tra il 1918 e il 1920, facendo tre principali richieste::
Successivamente alle lotte operaie si unirono, nelle zone industrializzate, le lotte dei braccianti che non chiedevano terre ma solo salari più elevati e una organizzazione del lavoro agricolo.
Queste lotte ottennero due buoni risultati:
Nel luglio 1919 la conflittualità operaia raggiunge il suo apice quando uno sciopero indetto in segno di protesta verso il rincaro dei generi alimentari si estese a tutta l' Italia. In questi movimenti ebbero un ruolo molto importante i Soviet che si misero a disponibilità dei ceti più poveri, distribuendo loro i beni di prima necessità. Lo stato agi molto duramente, reprimendo le lotte e causando numerose vittime. Il Psi e il Cgl non si dimostrarono in grado di controllare questo violento e forte moto popolare, che non riusci ad ottenere i risultati sperati.
La frustrazione dei ceti medi:
L'azione operaia venne meno in quanto oltre a non coinvolgere il mondo agrario lasciò isolati anche i ceti medi e la piccola borghesia urbana, che erano tutti ceti colpiti dall'inflazione. La vita in Italia era diventata impossibile, in quanto il carovita infatti dissipava i risparmi e faceva precipitare il valore dei titoli di stato che questi strati sociali si erano procurati.
Accanto a questa grave crisi economica si diffuse anche una crisi d'identità sociale. Gli ex-combattenti conoscono la disoccupazione oppure il loro tenore di vita viene pesantemente ridimensionato. Emilio Lussu, che era il fondatore del Partito sardo d'azione descrisse questa situazione nel suo romanzo a sfondo autobiografico, intitolato "Un anno sull'altipiano".
Gli ex-combattenti messi sullo stesso piano delle classi proletarie si sentono frustati e sfogano il loro malcontento con un'opposizione alla classe operaia che riusciva con le sue rivolte ad aumentare i suoi privilegi, minacciando i piccoli privilegi e lo status di classe intermedia non proletaria degli ex-combattenti.
Oltre che verso gli operai le frustrazioni si indirizzano anche nei confronti della borghesia avida ed egoista arricchitasi durante la guerra. Si genera un clima di sfiducia nei confronti della classe dirigente liberale, incapace di tutelare gli interessi dei ceti medi rappresentandone aspirazioni e bisogni.
Benito Mussolini e la nascita del Movimento dei fasci e delle corporazioni:
A meta del 1919 si era sviluppata una chiara crisi di rappresentanza del ceto medio, il quale come sappiamo era minacciato e impoverito .
Uno dei pochi che intuirono perfettamente il malessere del ceto medio suscitato dalla grave crisi economica fu Mussolini, l'ex-direttore di "Avanti"( il giornale del Psi) ed era stato anche un esponente del Psi prima di venirne espulso a causa della propaganda interventista e nazionalista.
Il 23 marzo 1919 Mussolini fondò il movimento dei fasci e delle corporazioni che due anni dopo assunse la funzione di vero e proprio partito politico, con il nome di Partito nazionale fascista. Inizialmente il partito fondato da Mussolini era un movimento privo di riferimenti politici, i cui membri erano per lo più ufficiali e sottoufficiali delusi e i ceti medi che erano stati danneggiati dalla crisi economica.
I fasci di combattimento fanno la loro prima comparsa il 15 aprile quando incendiarono la sede dell'"Avanti" a Milano, rendendo cosi evidente il principale obiettivo del movimento: indebolire il movimento operaio e le sue organizzazioni ricorrendo alla violenza.
Fascismo e nazionalismo: Molto spesso l'azione fascista si confuse con quella del movimento nazionalista in quanto entrambi si richiamavano alla stessa concezione ideologica basata sull'attivismo volontaristico, l'esaltazione della violenza e dell'atto individuale, tutti valori che si scontrano con quelli pacifisti dello stato di diritto.
Il mito della vittoria mutilata e la questione di Fiume:
Gia immediatamente dopo la guerra, la propaganda nazionalista aveva fatto leva sul risentimento dell'opinione pubblica verso i risultati piuttosto deludenti ottenuti alla conferenza di Versailles. Infatti, durante la conferenza, Orlando (presidente del Consiglio) e Sonnino (ministro degli esteri) denunciarono la differenza di trattamento tra i diversi paesi vincitori e si scontrano con Wilson (presidente USA) sul tema dell'annessione della Dalmazia che l'Italia riteneva necessaria per proteggere i propri confini adriatici. Nel 1919 l'Italia abbandonò in segno di protesta la conferenza si diffuse l'idea secondo cui nonostante l'Italia avesse vinto la guerra, aveva perso la pace ed è da ciò che nasce il mito della vittoria mutilata, che venne utilizzato dal movimento nazionalista come strumento di propaganda contro il governo liberale, accusato di non avere uno spirito combattivo ma rinunciatario
Così, si verifica la contrapposizione politica tra l'Italia di Vittorio Veneto (nata dalla guerra e dalla vittoria) e quella prebellica (basata sulla democrazia liberale e socialista). Tutta questa situazione di instabilità portò alle dimissioni di Orlando (giugno 1919), ma il successivo nuovo governo di Francesco Saverio Nitti non fu in grado di risolvere la crisi sviluppatasi in Italia che si aggravò invece ulteriormente nella seconda metà del 1919.
Successivamente la situazione risultò più pacifica in seguito alla proposta di un accordo che prevedeva l'indipendenza di Fiume, che era stata subordinata per 15 anni alla Società delle Nazioni. Però i nazionalisti italiani essendo in disaccordo con questa soluzione si scatenarono contro il governo. E la situazione peggiorò quando si diffuse la notizia secondo cui a Fiume si erano verificati degli scontri tra italiani e francesi che erano presenti nella città. Venne mandata una commissione per decidere di chi fosse la responsabilità e si decise di limitare la presenza italiana a Fiume, mandando a Ronchi un reggimento di Granatieri di Sardegna. Ma fu proprio da Ronchi che il 12 settembre 1919 Gabriele d'Annunzio partì alla volta di Fiume e una volta arrivato là,dichiarò l'annessione di Fiume all'Italia, rimenando il padrone della città per più di un anno. In questa situazione la debolezza del governo risultò evidente in quanto non riusci ad intervenire per oltre un anno dando la possibilità a D'Annunzio di cercare di trasformare Fiume in un modello politico di riferimento e conforme alla propaganda nazionalista, antiparlamentare e militarista. L'occupazione di D'Annunzio si concluse con il trattato di Rapallo firmato il 12 novembre 1920, attraverso cui Fiume venne dichiarata città libera, mentre D'Annunzio che si rifiutò di accettare fu cacciato via insieme ai suoi uomini dalle truppe italiane.
Il Partito popolare e il cattolicesimo democratico di Sturzo:
Con l'abrogazione del "non expedit", bolla di Pio IX in occasione della presa di Roma nella volontà di farla capitale, che vietava ai cattolici di partecipare alla vita politica e dai sentimenti suscitati da questo difficile clima, nacque una nuova forza politica, conosciuta con il nome di Partito popolare italiano (PPI).
Il fondatore del partito fu Don Luigi Sturzo, che propose un programma i cui principali obiettivi erano:
Con il suo programma il partito raccolse l'appoggio delle masse e dei piccoli commercianti provenienti dalle aree meno industrializzate del paese.
Il Ppi rappresentava il mondo cattolico con il suo carattere complesso e le sue contraddizioni; infatti, era costituito da elementi che provenivano sia dal mondo sindacale (prestando attenzione alla giustizia sociale), sia dalla parte degli esponenti moderati (che miravano ad un'alleanza con classi conservatrici).
La vittoria dei partiti popolari:
In questa situazione di tensione e di crisi il popolo venne chiamato a votare. In queste elezioni avvenne il passaggio dal sistema uninominale (elezione di un unico candidato), che si era già precedentemente indebolito con il suffragio universale maschile, a quello proporzionale( che prevedeva l'elezione di più candiati) appoggiato dai cattolici e dai socialisti.
Con l'introduzione del nuovo sistema proporzionale la base del consenso per venire eletti si era notevolmente ampliata ed era fondamentale poter contare su una vasta rete organizzativa che solo socialisti e popolari avevano.
Il 16 novembre 1919 i popolari e i socialisti (con l'appoggio dei lavoratori) vinsero le elezioni pur avendo meno voti ma più seggi; il partito fascista ottenne solo 4 mila voti (dato significativo).
Il passaggio dai liberali ai socialisti e ai popolari costituisce l'espressione delle classi subalterne.
La difficile ricerca di nuovi equilibri:
Nonostante tutto, questo cambiamento non risolse la crisi politica e sociale del paese che raggiunse invece una situazione di stallo: i partiti vincitori avevano programmi troppo contrastanti tra loro per poter raggiungere un accordo e allearsi ma, nello stesso tempo, nessuno di loro era in grado di governare il paese da solo.
Il Parlamento rinnovò la fiducia al liberale Nitti (capo de governo dopo Orlando), ma nel maggio 1920 venne costretto alle dimissioni. In questa situazione politica molto difficile riapparve nuovamente Giolitti (che all'elezioni aveva ottenuto la maggioranza relativa, ma non la maggioranza dei seggi) come l'unico uomo politico in grado di dar vita ad una maggioranza che riproducesse nello scenario postbellico il compromesso borghesia-classi lavoratrici che aveva costituito il principale motivo del decollo industriale di inizio secolo.
Giolitti essendosi presentato con un programma fortemente riformista basato principalmente sul tentativo di aumentare i poteri del parlamento, non ottenne il consenso dei socialisti e nemmeno quello dell'intero partito popolare.
Nel frattempo nel paese il conflitto sociale aumentava così come si amplificavano a dismisura le azioni violente dei fascisti e rimaneva ancora aperta la questione di Fiume.
L'occupazione delle fabbriche: la rivoluzione alle porte?
La crisi sociale assunse un atteggiamento rivoluzionario il 30 agosto con l'occupazione della fabbrica dell'Alfa Romeo da parte degli operai che si opponevano alla chiusura della fabbrica imposta dalla direzione, che si opponeva alle rivendicazioni dei lavoratori.
Nell'arco di pochi giorni i lavoratori si
accinsero ad occupare le fabbriche del triangolo industriale; e venne presa di
mira soprattutto la città di Torino dove operava il gruppo dell'Ordine Nuovo di
cui facevano parte Togliatti, Terracini e Tasca, che due
anni dopo fondarono il Partito comunista d'Italia, che si ispirava
all'esperienza sovietica e consideravano i consigli di fabbrica come uno
strumento di conquista del potere. Però considerando il partito "non ancora
pronto" il Psi rinunciò a guidare il movimento e ugualmente
L'iniziativa dei lavoratori e le conseguenze che ne derivarono costituiscono il momento culminante dell'attacco operaio nei confronti delle strutture della società borghese.
La crisi del compromesso giolittiano:
Il 15 settembre 1920 venne stipulato un accordo che mise fine all'occupazione delle fabbriche e che prevedeva il riconoscimento in favore degli operai di elementi di controllo ed intervento all'interno della gestione delle aziende (seppur solo formalmente) nonché forti aumenti salariali.
Il moto operaio era troppo debole e circoscritto per uscire dai confini istituzionali ed era inoltre troppo violento per essere ricomposto per mezzo di un accordo che ne decretava una fine solo apparente.
La borghesia agraria e manifatturiera che estese la sua influenza su molti settori che non concordavano più con i metodi di Giolitti, in quanto ritenevano che il potere dei sindacati e le continue richieste delle classi operaie costituivano la principale causa del disordine sociale e il maggiore ostacolo per il definitivo risanamento dell'economia italiana. Inoltre, per la borghesia industriale le cose si erano messe male in quanto le lotte, ispirate al mito dei soviet, tendevano ad avere un carattere fortemente rivoluzionario ed inoltre gli operai avevano già dimostrato di poter far funzionare le fabbriche anche da soli.
Questa prospettiva pericolosa cambiò le idee degli industriali che rifiutarono quelle moderate di Giolitti, e finirono con l'accettare quelle del fascismo e delle sue squadre armate.
Dal biennio rosso al biennio nero:
Questo periodo di incertezza e di lotte e rivendicazioni sociali è caratterizzato da due situazioni principali:
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