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Sviluppo ideologico dell'istanza antisemita nella società tedesca alla vigilia del nazismo e durante il nazismo
Attraverso la tormentosa ed insidiata storia di un'amicizia, l'autore della "Trilogia del ritorno", Fred Uhlman, apre un accesso verso un tragico ed ancora oggi per diversi aspetti confuso, momento della nostra storia: vite spezzate, domande senza risposta, confusione, panico. Questi i sentimenti che animano le vittime sopravvissute del nazismo, che non risparmiò nessuno: bambini, adolescenti, donne.
Troviamo che i primi due racconti, seguono il filo conduttore delle storie, che ci condurrà fino all'ultima (che possiamo considerare come chiave d'accesso per la comprensione globale ed il confronto finale), le cui conseguenze investiranno l'anima di Hanz e la coscienza di Konradin, protagonisti di ambedue i racconti.
Hans Swhartz: ebreo.
Conte Von Hoenfels Konradin: tedesco.
Attraverso il racconto della storia (non solo come narrazione delle loro avventure, bensì anche come parentesi temporale nell'Europa nazista), affrontiamo le due realtà che dividevano e squarciavano l'unità della Germania del tempo: da una parte il vissuto di una piccola famiglia borghese ebrea, dall'altra l'arroganza e la prevaricazione di un'aristocratica famiglia tedesca. Due differenti ed opposte prospettive per comprendere meglio quali fossero i pensieri che avvelenavano il clima che si respirava, le spiegazioni che potessero giustificare, o tentare di farlo, "la" tragedia. Correndo lungo i binari ed i labirinti mentali di queste due famiglie "tipo", esse ci guidano, ci spiegano, parlano ed agiscono attraverso i ricordi di Hans.
In una grigia giornata del febbraio del 1932, in una delle aule del Karl Alexander Gymnasium di Stoccarda, accolto da sentimenti di curiosità e d'attenzione spasmodica, viene accompagnato da sguardi affascinati di alunni e professori l'arrivo di un nuovo studente: il Conte Von Hoenfels Konradin.
Il "piccolo ebreo" Hans, scrive: "fissavo questo ragazzo sconosciuto, che aveva esattamente la mia età, come se fosse arrivato da un altro mondo. E non perché fosse Conte."
Nonostante sin dalle prime battute del testo è possibile comprendere come il rango sociale per Hans e, in ugual modo per Konradin, fosse nube di fumo diradata. Nei loro sentimenti, nei loro modi d'essere non v'è nulla di sbagliato, lo è solo la storia in cui si trovano. La loro amicizia, nasce infatti in un contesto in cui l'appartenenza sociale si legge nell'abito che si indossa (troviamo la differenza tra il tessuto dei vestiti "ruvidi, durevoli ed orribili" di Hans, e l'abito di Konradin "garantito inglese"), e nell'abito mentale della coscienza di classe. Gli aristocratici nutrono la convinzione che la loro nobiltà di nascita abbia prodotto nobiltà d'impegno, di animo, di gusto (Konradin sostiene: "se pensavano di impressionarmi si erano sbagliati. Non sarebbero mai stati veri amici.).
La "Crema" dell'alta borghesia che, nella certezza di essere destinati ad essere immortali per l'importanza e l'imponenza del segno lasciato dagli stessi nel mondo, persegue un'attendibilità culturale attraverso salotti letterari, che riducono ed omologano simbolismo ed estetismo e moda trasgessiva, per distinguersi dal vulgus profanus (e da cui Konradin prende le distanze dopo aver sostenuto: "permettetemi di dire che preferisco la mia compagnia alla vostra.").
La piccola borghesia ebrea non ha alcuna consapevolezza che la propria appartenenza alla nazione tedesca sarebbe stata, da li a poco, messa in discussione, ritenendo che Hitler "fosse una malattia temporanea, qualcosa come il morbillo, che sarebbe passata non appena la crisi economica fosse stata superata", così come aveva sostenuto il padre di Hans, fiducioso nella propria Patria.
La piccola borghesia tedesca, la più ottusa, economicamente frustrata, culturalmente depressa, priva di prospettive di promozione sociale, numericamente maggioritaria, era humus fertile in cui impiantare l'irrazionale teoria della razza, che consentiva di far ricadere le responsabilità della crisi economica su "poteri oscuri" diffusi ovunque, camuffati ma attivi nell'indebolire le strutture nazionali.
L'amicizia tra Konradin e Hans, coltivata da comuni interessi culturali,dalle monete, dalla musica, da comuni modi di percepire sensazioni ed entusiasmi, viene uccisa nella sua naturale spontaneità dal pregiudizio. La madre di Konradin non approva la scelta del figlio, cosicché lo stesso è costretto ad invitare Hans nella propria casa solo in assenza dei genitori: in assenza della madre("lo sai che ha una fobia per gli ebrei") e del padre("raccontami un po' di questo piccolo Mosè.").
Hans si rende conto ben presto che Konradin fa di tutto per evitare di presentarlo ai suoi genitori. Tutto diviene esplicito una sera, al teatro, quando Konradin, in presenza della sua regale famiglia, evita qualsiasi cenno di saluto. La spiegazione successiva dell'amico fu convincente tanto quanto potesse essere compresa da chi non condivideva le nuove, dilaganti ideologie. Il nazismo ormai si era unito all'aria che si respirava, legato indissolubilmente ai pensieri. Arrivavano dall'estero ondate di agitazione politica; ma la politica, si sa, è un affare per adulti, ed i principali problemi per ragazzi sedicenni era di riuscire a scavare fino al midollo della vita, Hitler non poteva che essere un personaggio secondario nell'atto teatrale. Ma, diventato protagonista incontrastato, questo precedente miraggio riuscì a rompere il rapporto tra Hans e Konradin. La madre del conte odiava, detestava ed aveva ripugnanza degli ebrei, e suo padre ne appoggiava qualsiasi decisione: ed Hans era un ebreo, ed anche essere amico di un giudeo era vietato.
L'infido propagarsi della cultura della morte, diviene tangibile anche nelle scuole, anche nel Karl Alexander Gymnasium, con l'arrivo di un nuovo professore, Pompetzki, il quale dimostra che anche all'interno delle mura scolastiche la politica nazista può essere applicata, aumentando il fenomeno di emarginazione antisemita.
Con l'aggravarsi della situazione, per i genitori di Hans mettere in salvo il figlio fu una decisione dura ma necessaria: egli viene mandato in America.
Muore l'adolescenza del "piccolo ebreo", dei compagni, che contagiati dal nuovo clima di eccitante patriottismo, si fanno portavoce dell'istanza antisemita, perdendo l'innocenza della loro giovinezza nella lettera scritta da Bollacher e da Schultz pochi giorni prima della partenza di Hans, si legge:
"Piccolo ebreo, ti diamo il saluto
nell'inferno di Mosé e Isacco sii il benvenuto.
Piccolo giudeo dove andrai a finire?
Agli ebrei dell'Australia ti andrai ad unire?
Piccolo giudeo non tornare indietro mai
O il maledetto collo spezzato avrai."
Muore l'amicizia.
Nella lettera che giunge da Konradin. Il conte tenta di spiegare il proprio comportamento e la scelta di recidere il loro rapporto, non lasciandone un perché, né un saluto consolatorio: "la Germania di domani sarà diversa dalla Germania che abbiamo conosciuto noi.Mi rincresce che per un certo periodo, un anno o due, non ci sia posto per te, in questa nuova Germania."
Muore l'Europa.
Anni dopo, Hans ritroverà il nome di Konradin tra i tanti morti e dispersi degli studenti del K. A. Gymnasium:
"Von Hohenfels, Konradin, implicato nella congiura per assassinare Hitler. Giustiziato."
Il secondo racconto è il completamento, alla parte mancante del primo: ne colora i tratti , ne lima l'essenza.
In forma di lettera Konradin scrive ad Hans dalla prigione in cui è rinchiuso per aver congiurato contro Hitler, rivivendo nello scrivere ogni attimo della loro amicizia, inquadrata tra due figure fantasma: il padre, "un uomo finito, finito come gli Hohenfels, finiti per sempre", e la madre, morta suicida alla notizia dell'esecuzione del figlio. In quella lettera che riesuma vecchie emozioni e sentimenti per Hans, i due fantasmi si animano nell'arroganza dei loro pregiudizi.
La paura della morte è la confidenza più segreta ed intensa che Konradin fa all'amico, così come segreto ed intenso era stato quel "guardare dritto nei miei occhi", un giorno, a scuola, durante l'ora di ginnastica. Hans aveva svolto infatti un esercizio talmente difficile e così bene, che anche i Von avevano riconosciuto che era stato "maledettamente bravo per essere ebreo; una razza generalmente codarda"; e persino Bollacher aveva ammesso: "abbastanza bravo per essere un giudeo."
Konradin ricorda le discussioni condotte da Hans con i professori, su Julien Sorel, o Amleto, da pari a pari, ed il giorno in cui per la prima volta, Hans gli aveva rivolto la parola da amico, ricreando nello scrivere l'atmosfera con la nostalgia della scoperta, unica, del piacere che solo la sintonia di interessi, pensieri ed interessi consente. Konradin scrive: "Dio non ero più solo! Finalmente avevo un amico!"
Egli continua ricordando la concezione della morte per Hans, di cui più volte, in diverse occasioni, avevano discusso. Nella paura confessata, sentendola talmente vicina, Konradin scrive l'addio di Socrate, che Hans aveva recitato a memoria anni prima:
"C'è una buona ragione per credere che la morte sia un bene. Perché o la morte è uno stato d'inesistenza o è l'abbandono dell'anima. Quindi, se la morte è un sonno privo di sogni, allora la morte è un guadagno."
Konradin ricorda anche una poesia di Sofocle, imparata dall'amico, della quale vengono riportati solo i primi versi:
"La prima soluzione è non aver mai vissuto, dicevano gli antichi.
Non avevano mai guardato negli occhi del giorno.
La seconda: voltare le spalle."
Tutto ciò per accettare che la morte è un fatto, sosteneva Hans. Ma Konradin dichiara che adesso questo non lo aiuta, perché sente che trentadue anni sono pochi per morire.
Nelle ultime pagine della lettera, Konradin, giura ad Hans di non aver mai saputo dei campi di concentramento, di averne avuto sentore per la prima volta al funerale dei genitori di Hans che, s'indovina, si fossero suicidati dopo la partenza del figlio per l'America.
Il veleno del suo indottrinamento nazista passa attraverso le mani dei genitori prima, del cugino Gustav Adolf dopo.
Si colora di un istinto adolescenziale carpito e sfruttato dalla famiglia: il richiamo alle armi era troppo forte per il piccolo Von Hohenfels, al clamore dei tamburi, degli stendardi, delle fanfare.
Konradin combatté e combatté ancora, fino a quando non comprese la verità, unendosi a Stauffenberg per sopprimere Hitler, salvare milioni di persone e la Patria.
Ed infine, ancora, il giuramento: "io non sapevo di Aushwitz!"
È questo che fa di Konradin una delle vittime dell'enorme tragedia del pregiudizio.
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