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Roma e il Mediterraneo
L'espansione romana nel bacino del Mediterraneo
Roma aveva così spezzato a proprio vantaggio l'equilibrio di forze fino allora esistente nel Mediterraneo occidentale e nella sua capacità di ascesa poteva rivolgersi all'Oriente, agevolata in questa sua espansione dalla rottura dell'equilibrio fra le tre grandi potenze del Mediterraneo orientale,
Macedonia, Egitto e Siria. Sorse così il problema dei rapporti tra Roma e questi tre stati e, in primo luogo, fra Roma e la Macedonia, che si stava espandendo.
Il primo a essere attaccato dai Romani fu proprio Filippo V, re di Macedonia, che dovette abbandonare la Grecia e tutte le conquiste fatte dopo il trattato di Fenice in seguito alla seconda guerra macedonica (199-197 a. C.) conclusasi con la vittoria romana di Cinocefale.
Nel 196 fu proclamata l'indipendenza della Grecia.
In seguito scoppiò la terza guerra macedonica contro il figlio di Filippo, Perseo (171-168 a C.), portata vittoriosamente a termine dal console L. Emilio Paolo, e fu domata una successiva ribellione guidata dal Pseudo Filippo: la Macedonia fu allora trasformata in provincia dello Stato romano (148). La stessa sorte toccò alla Grecia due anni dopo, allorché Lucio Mummio sconfisse l'esercito greco e distrusse Corinto, trasformando la Grecia nella provincia di Acaia.
Anche Antioco, re di Siria, che si era compromesso non solo con la conquista di dominii egiziani, ma anche perché aveva accolto nel 195 alla sua corte Annibale, esule da Cartagine, dovette venire a patti con Roma. Battuto dai Romani alle Termopili, in Grecia, e costretto a ritirarsi in Asia, fu definitivamente sconfitto nella piana di Magnesia, in Asia Minore, nel 190 a. C. Il suo regno fu limitato al di là della catena del Tauro e del fiume Halys; il re dovette consegnare gli elefanti da guerra e la flotta, e pagare un'indennità di 15.000 talenti. I territori dell'Asia Minore tolti alla Siria furono in gran parte assegnati al re di Pergamo e a Rodi.
Molto più gravi furono le guerre che i Romani dovettero sostenere nella prima metà del secondo secolo a. C. nella penisola iberica, divisa nel 197 nelle due province della Spagna Citeriore e Ulteriore. Lunga resistenza opposero le tribù dei Lusitani e di altre genti indigene, soprattutto dei Celtiberi. L'insurrezione dei Lusitani fu stroncata da Quinto Servilio Cepione con l'assassinio di Viriato (138-134); l'insurrezione dei Celtiberi fu conclusa da Lucio Cornelio Scipione Emiliano con la distruzione di Numanzia (133 a. C.).
Le guerre non distolsero però i Romani dalla restaurazione del loro dominio in Italia: l'azione era necessaria in quanto aveva presa nuovo vigore l'insurrezione gallica nella valle del Po. Nell'Italia Settentrionale furono prima sconfitti e sottomessi i Galli Insubri e Boi (nel loro territorio fu dedotta la colonia di Bononia, 189 a. C.), poi i Salassi e i Taurini. Alla guerra gallica si accompagnarono le campagne contro i Liguri, in particolare dal 186 contro gli Apuani e contro gli Ingauni. In conseguenza della vittoria sui Galli e sui Liguri, un vasto territorio dell'Italia Settentrionale a Sud del Po venne confiscato e diventò dominio diretto dei Romani, i quali provvidero a dedurvi numerose colonie, fra le quali vanno ricordate Forti, Lucca, Modena, Parma e Aquileia.
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