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LA CITTA' VI-X SEC
LA CITTA' VESCOVILE.
Quando l'amministrazione centrale dell'impero entrò in crisi, anche le città su cui esso si distribuiva si trovo in grandissima difficoltà.
Le città romane si distribuivano lungo le principali arterie di comunicazione consolare, e progettualmente si sviluppavano lungo i due principali assi perpendicolari, il Cardine e il Decumano, al centro c'erano il foro, i palazzi imperiale, pretorio (amministrativo) e curia (senato locale). Il surplus non confluiva tutto in città ma si perdeva a volte, nei collegamenti tra centri. Per sopravvivere la città dovette per forza cambiare forma. Roma passo da 500mila a 40-25mila abitanti. Di 50 capoluoghi che resistettero 35 erano città romane, testimoniando che non vi era stato un decadimento catastrofico. Scomparsero però i piccoli centri. Dal punto di vista urbanistico, organizzativo e funzionale, la città doveva assolutamente cambiare; il vescovo fu la chiave di svolta in una società in cui il legame tra aristocrazia e chiesa era indissolubile. Egli era il personaggio più autorevole e al quale era demandato il potere amministrativo. Logico pensare che il nuovo centro di aggregazione fosse la chiesa. Essa fu ora edificata in punti strategici, vicino alla porta che sorvegliava le direttrici principali del traffico commerciale. Il foro si conservo solo se divenne piazza della chiesa.
CONTINUITA' E CAMBIAMENTO: IL DIBATTITO STORICO.
Pirenne teorizzava che le città non più sicure per la minaccia araba persero la loro funzione commerciale fondamentale e divennero luoghi non dissimili qualitativamente da altri agglomerati. Solo quando vi fu una ripresa, la fusione tra borgo e castrum fu possibile dando inizio alla rinascita. Vale questo per le città del nord dove era poco presente l'urbanizzazione romana. In Italia invece il processo si innesta in un lungo processo gia esistente perchè non era solo commerciale il ruolo del centro urbano ma aveva risvolti molto ampi che estendevano il concetto di città ad una dimensione sfuggente (città = stato d'animo. Roberto Lopez).
ISTITUZIONI E POTERI FRA CITTA' E CAMPAGNA
In Italia la situazione era divisa in due : Longobarda e Bizantina ed in base a questo il funzionamento dipendeva; dove i Longobardi erano al potere il centro di dominio pur avendo eletto Pavia come capoluogo, non fu mai concentrato in città ma suddiviso tra di essa e la campagna. Questo derivava dall'organizzazione fondamentale della società Longo che era di radice Tribale.
In Romania non fu così perché rimase di fondamentale stampo romano: tutto era ancora concentrato in città. All'arrivo dei Carolingi la situazione migliora perché loro stessi si richiamano ai romani e il loro potere è di tipo diverso rispetto ai Longo. Di nuovo tutto si concentra in città e comitati, circoscrizioni politico amministrative ebbro ancora sede in centro. Due figure si affacciano ora alla città: il Vescovo e il Conte, con un potere di quest'ultimo esteso anche all'esterno della città.
MERCATO E COMMERCIO URBANO
Si riparte quindi dalla città come centro di vita economica e commerciale di preminenza. I porti rimangono attivi in Italia malgrado l'Islam, quindi sopravvivono i collegamenti con Bisanzio. I beni rari e preziosi resistono. Al sud tessile e manifatturiero erano importantissimi. I Vescovi cominciano a porre dazi, e non sono la fonte di arricchimento solo per loro ma anche per i ceti urbani medi che hanno legittimato l'elezione dello stesso. Arricchisce quindi la città nel suo insieme.
I CITTADINI
Non vi fu mai una netta separazione tra commercianti e artigiani, ed entrambi se potevano risiedevano in città pur avendo a volte, un grande patrimonio fondiario e aziende agrarie.
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