Riflessioni sulla vita nell'Impero Romano
durante l'invasione degli Unni
Alcuni sostengono che gli Unni fossero la
conseguenza di un impero, quello Romano, ormai in sfacelo, altri minimizzano la
loro invasione dicendo che fu solo la goccia che fece traboccare il vaso, gli
storici però la pensano diversamente. Non si può dire con esattezza quando
questo popolo iniziò a migrare verso l'Europa in cerca di terre migliori.
L'unico indizio utile è il fatto che nell'inverno tra il 375 e il 374 ci fu una
terribile carestia nella steppa che potrebbe aver indotto questa gente a
migrare. Si sa comunque dagli scritti e dai reperti che gli Unni apparvero ai
confini dell'Impero Romano verso il 390 sotto l'imperatore Teodosio I che
purtroppo non prese troppo sul serio la loro minacciosa avanzata. Secondo le
minuziose descrizioni degli storici quali Girolamo di Antiochia,
gli Unni erano bassi, di corporatura massiccia, con una fronte larga, di
carnagione giallastra, con sottili occhi a mandorla e il volto spesso
sfregiato. Erano chiamati i demoni a cavallo, soprannome derivato dalla loro
dimestichezza nell'uso appunto di questo animale, che più che come mezzo di
trasporto, il cavallo sotto gli Unni era usato anche come casa e come letto,
visto il fatto che dormivano e vivevano a cavallo. Non sapevano scrivere e
comunicavano con versi molto simili a quelli usati dagli animali e, cosa molto
strana, non avevano un culto unificato. L'Impero venne colto impreparato dal
loro attacco: in quel periodo infatti gli eserciti erano accumulati in Italia,
flagellata da continue e logoranti guerre civili. Non avevano una precisa
tattica di attacco, o se l'avevano noi non la conosciamo perché non ci fu
nessuno che sopravvisse ad un loro attacco per potercela raccontare. Migravano
da una zona all'altra dell'Europa senza uno schema definito: un giorno
assediavano Antiochia, l'altro Treviri.
Si muovevano con fulminante velocità, tanto che per Roma era impossibile
combattere una guerra contro un avversario che non poteva essere individuato
sulla cartina. L'Impero era totalmente inerme contro questi demoni. Le cause di
questa impotenza furono sicuramente il fatto che gli Unni combattevano senza
uno schema preciso, mettendo in dure difficoltà gli accademici generali romani.
Il lento esercito romano, appesantito dalle gravosi corazze dei legionari, non
poteva di certo competere con la veloce guerriglia unna, che non contava su
battaglie tra grossi eserciti, ma su brevi scontri sanguinari. Bisogna
immaginare un legionario romano, che in media aveva 16 chilogrammi di corazza
sulle spalle, a camminare in una infinita pianura dei Carpazi, magari con la
melma e sotto la pioggia a dover fronteggiare un cavaliere unno, abituato a
quelle condizioni ambientali, a cavallo e munito di un mortale arco. Un'altra ragione
per la quale gli Unni erano superiori ai Romani era la motivazione con cui
combattevano: gli Unni infatti erano sprezzanti della morte poiché erano
perfettamente consapevoli del fatto che se fossero stati respinti, sarebbero
morti di fame e di freddo nelle desolate lande russe, mentre invece i romani,
lontani da casa, impauriti da questa minaccia, a combattere una guerra che non
gli apparteneva, in condizioni climatiche a loro sfavorevoli contro un nemico
per loro troppo forte. Mi sembra logico che i due popoli combattevano con una
mentalità totalmente diversa!. Il già decadente apparato militare romano era
messo in difficoltà anche dalla disinformazione. Infatti le notizie che
giungevano a Roma erano poche e confuse, questo poiché coloro che assistevano
ad un assalto unno senza essere uccisi erano più unici che rari. Per i Romani
era un ostacolo anche la società unna: difatti questi popolo non aveva nessun
tipo di organizzazione statale, non avevano città e addirittura bruciavano
quelle che conquistavano, non avevano un palazzo reale, né strade, né leggi; la
loro organizzazione era basata sulla libertà assoluta, cioè ogni singolo unno
doveva pensare alla propria sopravvivenza. I Romani e gli Unni non riuscivano
nemmeno a comunicare: in un primo periodo addirittura gli ambasciatori romani
venivano uccisi. I Romani non capivano il perché di tutto ciò e si sentivano
tremendamente impotenti. Non riuscivano a comprendere cosa volessero gli unni,
perché fossero così crudeli, perché non risparmiassero neanche i bambini
innocenti, perché non rispettassero nessun tipo di culto (basti pensare che
usavano le chiese come stalle per i cavalli). Se tutto fosse proseguito in
questo modo l'impero romano sarebbe morto sotto i colpi delle precise frecce
unne. Poi un giorno presero il comando degli Unni due fratelli: Attila e Bleda, il primo sanguinoso guerriero, il secondo mite
diplomatico. Bleda uscì dalla scena presto per opera
di Attila, considerato una minaccia al suo potere futuro. E qui a mio parere
iniziò la rovina degli unni. Infatti Attila, considerato da tutti il miglior
condottiero del popolo unno fu, secondo me, la causa della rovina del suo
popolo. Fu effettivamente un grande guerriero, vincitore di tante battaglie e
conquistatore delle mille nazioni, ma commise un errore. Il suo errore fu
quello di essersi troppo romanizzato. Nonostante mantenesse i rudi caratteri
del suo popolo, egli lasciava intravedere il desiderio di una nazione: tipico
modo di pensare romano. Era infatti contro il DNA degli Unni, sedentari da
sempre, avere una nazione e una minima organizzazione. I successi fin lì
ottenuti erano dovuti al fatto che i precedenti capi avevano lasciato assoluta
libertà ad ogni singolo guerriero, senza imporsi creando un sistema statale
unito. Attila invece cominciò ad espandere il suo regno non più guidato
dall'istinto, ma seguendo una precisa logica espansionistica. Conquistò città
su città, questa volta però risparmiandole dalle fiamme, e unificò tutti i
guerrieri indipendenti in un unico grande esercito tutto sotto il suo comando.
E fu l'inizio della fine. L'Impero romano, quando si accorse che gli unni
cambiavano tattica di combattimento, approfittò dell'occasione per affrontare
l'esercito di Attila in campo aperto ai Campi Catalaunici
nel 451d.c. L'esercito romano, comandato dall' abile generale Ezio, considerato
l'ultimo, grazie a minuziose alleanze trionfò nella sanguinosa battaglia,
dimostrando ancora una volta che gli Unni non erano capaci di combattere un
grande scontro. Attila non venne ucciso ma semplicemente si ritirò per tornare
l'anno successivo di nuovo a minacciare l'Italia. L'Impero purtroppo ormai non
aveva più la forza di reagire, stanco della guerra, dilaniato da guerre civili
e continuamente attraversato da popoli barbari. Fu il Papa a scongiurare le
sorti di Roma. Il vescovo di Roma in un misterioso incontro segreto con Attila,
nel quale riuscì a convincere il sanguinario capo a tornare nelle steppe
asiatiche dove morirà un anno dopo.