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Richard j. overy - crisi tra le due guerre mondiali




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Richard J. Overy - CRISI TRA LE DUE GUERRE MONDIALI


IL CONTESTO STORICO

Alla conferenza di pace di Parigi nel 1919 a Parigi c'era un grande alone di idealismo:: idee di pace, di quel "MAI PIU'" che spinse le nazioni a prendere accordi internazionali, che portassero a relazioni aperte giuste e onorevoli tra le nazioni, abolendo il ricorso alla guerra per risolvere le controversie

Ma al di là degli ideali sulla carta, la situazione reale era ben diversa: inquietudini, stagnazione economica, e conflittualità politiche erano all'ordine del giorno, tanto da creare un clima di pessimismo, una convinzione che, per quanti sforzi si facessero, l'Europa e la civiltà occidentale fossero condannate. La Grande Guerra non aveva fatto altro che accrescere questa sensazione del passaggio da un'e4tà di certezze a una paurosa instabilità

Questa sensazione di una rovina imminente era per prima cosa una reazione alla velocità dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione. C'era il timore di una rivolta socialista che creò un clima di insicurezza tra la piccola e la grande proprietà. La rivalità in campo economico e nell'espansione degli imperi aveva minato la collaborazione tra i vari stati dando vita a forme popolari di nazionalismo a cui la classe governativa non poteva che prestare attenzione. Sconvolgimenti avvennero anche in campo culturale dove la parola d'ordine divenne "sperimentare"

Nel 1900 il mondo era dominato da imperi. Nel 1920 ne restavano soltanto due, quello britannico e quello francese, gli altri si erano dissolti per effetto dello stesso sforzo di sostenere una guerra di dimensioni così colossali.

Al loro posto subentrarono nuove classi politiche interessate alla democrazia o a nuove forme di autoritarismo. Il crollo della struttura politica fu accompagnato dal crollo dell'ordine politico e sociale tradizionale che l'aveva retta.

La terza vittima della guerra fu l'economia internazionale. Il disastro finanziario, gli enormi debiti di guerra, l'inflazione alta e le tasse onerose portate dal conflitto posero fine alla cooperazione internazionale e diedero il via a politiche protezionistiche

Il mondo del dopoguerra era pieno di controversie non risolte e ambiguità manifeste: il semplice fatto che la guerra ci fosse stata, che i popoli che si consideravano portatori della civiltà moderna si fossero abbandonati a una simile orgia di sangue e distruzione, rimetteva in discussione la capacità di questi stessi stati di ricostruire il mondo che avevano distrutto

L'idea di progresso come qualcosa di inarrestabile e prestabilito fu annientata negli anni '20


RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE

Il 23 febbraio 1917 ottantamila operai sfilarono per le vie di San Pietroburgo (capitale dell'impero russo) per protestare contro le sofferenze e la fame crescenti portate dalla guerra

Il 2 marzo Nicola II (ultimo dei Romanov) prendeva atto della realtà e abdicava. L'impero russo crollò in appena una settimana

Le radici della rivoluzione risalivano in molti anni di crescente delusione per la gestione autocratica del potere: gli sforzi dello zar di governare alla vecchia maniera, nell'indifferenza per le richieste di una gestione più democratica, di diritti civili e di riforme sociali, gli alienarono il sostegno persino di una parte dei ceti alti

La prima rivoluzione fu ben accolta. Il governo era in mano alla borghesia moderata e alla piccola nobiltà e, sebbene tra le finalità della rivolta ci fossero la partecipazione popolare al governo e i diritti civili, non c'era un invito a una totale trasformazione della società né a sospendere la guerra.

All'estrema sinistra vi era però un gruppo scissionista di marxisti (bolscevichi) che vedevano nel rovesciamento dello zar la possibilità di un'autentica rivoluzione socialista. In aprile il loro principale portavoce, Lenin, fece ritorno dalla Svizzera ed esortò il partito ad unirsi con tutti gli indigenti, contadini, soldati e operai, per scatenare una seconda rivoluzione contro il governo provvisorio

Se il governo provvisorio si fosse dato da fare per conquistarsi il consenso popolare è probabile che il movimento dei bolscevichi sarebbe rimasto una semplice opinione radicale.

Ma la situazione in Russia era molto grave: la guerra continuava a dare risultati negativi, i salari avevano perso un terzo del valore, le scorte alimentari scarseggiavano, l'inflazione sfuggiva a ogni controllo a molti industriali, terrorizzati dall'aggressività degli operai e ansiosi di mettere in salvo ciò che potevano, chiusero le fabbriche e fecero i bagagli facendo registrare un'impennata alla disoccupazione

In campagna, convinti che la rivoluzione avrebbe dato loro la terra, si ribellarono all'incapacità del governo di dare  risposte concrete alle loro rivendicazioni e nel corso del 1917 si impossessarono delle terre.

I bolscevichi seppero approfittare di questa crisi in vari modi: in primo luogo non erano stati affatto identificati con il governo provvisorio e si presentavano come un attraente alternativa ai pasticci della Duma. In secondo luogo, Lenin faceva di tutto per prendere il comando alla base della società facendo identificare il suo partito con la richiesta di un cambiamento reale, di pace, lavoro, terra. Infine, i bolscevichi fecero causa comune con i comitati popolari (soviet) che divennero l'espressione della politica popolare

Il 25 ottobre la milizia popolare di San Pietroburgo conquistò il Palazzo d'Inverno sciogliendo il governo provvisorio. Il giorno dopo venne insediato un nuovo governo di bolscevichi.

Nei primi mesi questo nuovo governo istituì la "dittatura del proletariato" invocando il fatto che lo stato (diventato ormai un grandissimo organo di controllo) dovesse essere retto dai bolscevichi in quanto avanguardia rivoluzionaria che agiva nell'interesse degli operai russi, pur non essendo stata da questi eletta. La democrazia veniva sradicata e ogni forma di associazione democratica repressa con la forza. Per conservare il potere ai bolscevichi fu ripristinata la polizia segreta.


Esportare la rivoluzione

Nel marzo 1918 dei negoziatori russi e tedeschi si accordarono a Brest-Litovsk per porre fine allo scontro sul fronte orientale firmando un trattato di pace che concedeva alla Germania ampi territori nell'Europa dell'Est

La pace firmata permise una propaganda del regime sovietico nell'Europa lacerata dalla guerra: dopo 4 anni di guerra la tensione intera era molto alta. Inflazione, penuria alimentare, crollo delle condizioni di vita produssero una demoralizzazione e una rabbia crescenti nelle popolazioni.

Nel corso del 1917-'18  un'ondata di scioperi investì il continente, guidati dagli elementi più radicali del movimento operaio in aperta sfide con le indicazioni dei sindacati ufficiali.

L'abbassamento del tenore di vita e la fame diffusa erano in contrasto con i grandi profitti realizzati grazie alla guerra dagli uomini d'affari. L'odio di classe si basava in gran parte sulla convinzione che i sacrifici della guerra fossero distribuiti ingiustamente tra ricchi e poveri

La disciplina militare e l'intervento della polizia misero un freno alla protesta popolare, ma quando nel novembre 1918, a seguito di una richiesta d'armistizio da parte dei tedeschi, la guerra cessò di colpo, il moto di protesta divenne inarrestabile coinvolgendo tutti gli stati europei

Buona parte dell'inquietudine sociale era un prodotto della stanchezza generata dalla guerra e dalla disperazione economica, e si dissolse con il ritorno della pace.

Le insurrezioni furono represse (a volte nel sangue come in Germania nel 1919) dando vita a vere e proprie ondate controrivoluzionarie

Il bolscevismo riuscì però a salvarsi grazie alla decisione degli alleati di fermare l'intervento per concentrare le energie sulle proprie crisi sociali interne, e a causa delle divisioni e della penuria di risorse che esistevano all'interno delle armate bianche stesse

La guerra civile russa fu a un passo dal distruggere la rivoluzione, lasciando un'eredità di enormi problemi economici e di sofferenza sociale che costrinse i bolscevichi ad abbandonare il progetto di una realizzazione immediata del comunismo e alla sua diffusione altrove: l'unione Sovietica si vide costretta ad accettare il suo isolamento


Il fallimento della rivoluzione

La questione della rivoluzione sociale divise al suo interno lo stesso movimento operaio. In Russia esisteva una netta divisione tra socialisti moderati (menscevichi), e i bolscevichi. La maggior parte del mondo dei lavoratori era cauta davanti al mutamento, se non scopertamente ostile ai suoi compagni estremisti

In Italia e in Francia nel 1920 il movimento socialista si spaccò in due: una parte andò a costituire i nuovi partiti comunisti, affratellati alla Terza Internazionale leninista, il Comintern, mentre l'altra conservava una fisionomia di socialdemocrazia moderata

Un motivo per cui la rivoluzione comunista non ebbe seguito al di fuori dall'Urss fu il fatto che le forze interessate a mantenere lo status quo detenevano un potere sociale assai maggiore, e maggiore esperienza politica di quanto non accadesse in Russia

L'Europa conservatrice, inoltre, attuò riforme tempestive destinate a evitare la minaccia di un'ulteriore espansione delle agitazioni rivoluzionarie. Quasi ovunque si estese il diritto di voto alla maggior parte dei maschi adulti e, in qualche caso, anche alle donne; la giornata lavorativa di otto ore fu concessa in Francia e Italia; per la borghesia europea aveva più senso collaborare coi lavoratori che arrivare ad uno scontro diretto.

Ci furono sforzi per rendere il passaggio dalla guerra alla pace il più possibile indolore: ai lavoratori arruolati fu restituito il vecchio posto di lavoro e le donne che li avevano sostituiti negli anni del conflitto furono rimandate a casa

La minaccia del bolscevismo si faceva sentire anche a livello popolare: la violenza dilagava (anche perché i soldati smobilitati erano spesso tornati a casa portandosi dietro le armi), alcuni si unirono al movimento rivoluzionario, ma tanti altri, sdegnati per quello che consideravano un tradimento di ciò per cui si era combattuto e per cui tanti erano morti, confluirono in reparti paramilitari o gruppi di vigilanza allo scopo di rivalersi sugli attivisti di sinistra. In Germania si hanno così i Freikorps mentre in Italia gruppi di veterani, armati e sovvenzionati da proprietari terrieri e imprenditori, presero di mira le dimostrazioni della sinistra, diedero alle fiamme le sedi socialiste e scacciarono dalle fabbriche gli scioperanti (ex: Fasci di combattimento istituiti da Mussolini, dando vita a un movimento che nel 1921 divenne così grande da costituire un vero e proprio partito: il Partito Fascista Italiano)

Nonostante le repressioni, il periodo rivoluzionario lasciò una profonda eredità, incoraggiando odi feroci e una forte passione ideologica (l'orientamento antimarxista fu forte quanto bastò per portare in Italia il fascismo e in Germania a spingere milioni di tedeschi a confluire nel partito nazionalsocialista di Hitler. Quando questi salì al potere nel 1933, il timore di una reazione comunista fu usato come alibi per abolire i diritti civili e il sistema democratico)

Il successo della rivoluzione di Lenin, paradossalmente, fu una rovina per la sinistra perché il volano di una serie di spinte conservatrici che raccolsero ogni timore di rivolgimento sociale e di disordine politico intorno al progetto di limitare ad ogni costo la diffusione del comunismo. La sinistra radicale, per sopravvivere, fu costretta a ridimensionarsi, e l'Unione Sovietica fu messa in quarantena dal resto della comunità internazionale.

Come la riv9oluzione francese di un secolo prima, quella russa agì da monito nei confronti della presunta immutabilità dell'ordine esistente. Come diceva Stalin: "l'era della stabilità del capitalismo è tramontata portando con se la leggenda dell'indistruttibilità dell'ordine borghese" 


UNA CRISI DI MODERNIZZAZIONE

La sfida della modernità

Non sempre la modernizzazione è stata concepita come qualcosa di liberatorio e progressivo: in troppe occasioni era stata vista come alienante perdita di abilità tradizionali e di pratiche culturali antiche. Per tante piccole comunità aveva rappresentato un ribaltamento di tutti i propri punti di riferimento nella realtà

Ciò nonostante, la modernizzazione continuò imperturbabile il suo corso negli anni tra le due guerre. L'industria moderna si diffuse in regioni del globo fino ad allora vergini (Europa dell'est, unione Sovietica, Balcani, Turchia, Spagna); continuo fu il flusso dalla campagna alla città, dalla fattoria alla fabbrica. Negli ambienti metropolitani si ampliò la forza lavoro di tipo impiegatizio, conseguenza del ruolo sempre più attivo che lo Stato aveva nell'esistenza dei cittadini (Servizi in ambito finanziario, nell'informazione e nella previdenza).

Per i governi la modernizzazione economica e sociale era qualcosa di auspicabile: lo sviluppo industriale portò alla crescita della ricchezza, aumentò la potenza militare e ridusse le aree di arretratezza. Negli anni del dopoguerra v'era una convinzione diffusa che la modernità portasse a una società migliore. Aumentò la fiducia nel potere innovativo dell'istruzione e della programmazione, si diffuse la smania per la razionalizzazione. Si arrivò alla pianificazione urbana e addirittura a quella famigliare secondo il principio che il controllo razionale delle dimensioni della famiglia avrebbe portato a una popolazione + sana, evitando gli effetti debilitanti della miseria associati alle famiglie numerose. Infine ci fu la razionalizzazione del lavoro: Henry Ford diffuse l'idea che le fabbriche progettate con il controllo dei tempi e delle modalità di produzione della forza-lavoro, avrebbero sostituito le officine disordinate, inefficienti e mal concepite della prima rivoluzione industriale

Gli indubbi benefici che la modernizzazione portò interessarono però solo una frazione relativamente modesta della popolazione al di fuori delle aree prospere e industrialmente evolute dell'Europa occidentale e centrale.

A rimetterci più di tutti ovunque furono le classi sociali della società tradizionale emarginate dall'industria e dallo sviluppo urbano: contadini, artigiani, piccola nobiltà. Le loro strutture sociali e i loro interessi economici furono scavalcati o annientati dalla modernizzazione. La sopravvivenza di credenze religiose e di manifestazioni popolari di culto fu messa in crisi dallo sviluppo di una società laica e dall'emergere di una numerosa classe operaia urbana del tutto indifferente alla religione

Nel corso degli anni '20-'30 i piccoli agricoltori dovettero far fronte a pressioni economiche pesantissime. Il rallentamento dello sviluppo demografico e l'arrivo di prodotto d'oltreoceano assai economici imposero un abbassamento dei prezzi, mentre rimasero alti i costi di gestione portando così all'impossibilità di accumulare capitali da investire

La risposta del mondo contadino a queste difficoltà fu di integrare il guadagno con la manifattura domestica di tessuti o prodotti artigianali o con procedimenti di trasformazione dei propri prodotti. Ma anche questa strada venne ben presto sbarrata dall'avvento di manufatti a basso costo, prodotti in serie e di metodi di trasformazione degli alimenti all'interno di grandi aziende industriali ben attrezzate.

Lo stato introdusse forme di pianificazione del mercato per razionalizzare la produzione e la vendita dei prodotti agricoli; fece pressione sui contadini perché integrassero i loro piccoli appezzamenti in lotti più ampi. In Italia si videro costretti ad aumentare la produzione cerealicola per vincere la "battaglia del grano" mussoliniana, quando invece ciò che avrebbero voluto produrre erano prodotti più lucrativi sul mercato come olive, pomodori e frutta.

Nel corso degli anni '20 in Unione Sovietica molti cittadini decisero di far ritorno nelle campagne, il che rappresentava un rischio di demodernizzazione del paese

All'interno dei villaggi era la tradizionale assemblea a organizzare la vita comunale ed economica locale; nel 1928 solo lo 0,7% dei contadini erano membri del partito e ciò rappresentava un problema decisivo per il comunismo, poiché questa situazione non solo metteva in forse il potere politico dei comunisti, ma cozzava con l'idea stessa di comunismo come fattore di modernizzazione dell'economia e della società

Lenin sperava che si potesse persuadere il mondo contadino ad adottare forme organizzative più "socialiste" e fondò aziende agricole collettive a direzione statale come modello da emulare. L'esperimento fallì: la comunità tradizionale sopravvisse e il villaggio si fece più autonomo e la gente meno disposta a vendere i suoi prodotti alle grandi città

I contadini furono così costretti a collettivizzare, a creare aziende di grandi dimensioni di proprietà dello stato e ad abbandonare le colture e il commercio in proprio. Nel 1932 quasi tutti i terreni dell'URRS erano collettivizzati e i contadini costretti a diventare salariati agricoli per conto dello stato. Le associazioni di mestiere locali furono disciolte e gli artigiani mandati in fabbrica. La religiosità locale fu costretta alla clandestinità, dove riuscì a resistere tenacemente.

L'altro gruppo sociale che subì gli effetti della modernizzazione fu quello dei piccoli imprenditori urbani, artigiani o piccoli negozianti. L'industria bellica favorì le imprese di grandi dimensioni a spese delle piccole, molti giovani che esercitavano mestieri ritenuti superflui furono spediti al fronte e la carenza di materie prime, nonché la chiusura dei mercati, diedero il colpo di grazia alla produzione al minuto

La crisi cui andarono incontro queste classi sociali fu sfruttata dalla critica conservatrice ostile alla modernizzazione. Gli antimodernisti esaltavano il contadino e l'artigiano in quanto incarnazione di antichi valori e disprezzavano la caduta di spiritualità dell'epoca e la perdita di sentimenti religiosi. Costoro rimproveravano alla grande industria moderna di aver creato le divisioni sociali che avevano portato alla crisi rivoluzionaria alla fine della guerra.


La rivolta conservatrice

In Unione Sovietica lo sforzo di modernizzazione della campagna provocò una seconda guerra civile. I contadini si opposero ai tentativi di relegarli all'interno delle aziende collettive distruggendo i raccolti e il bestiame. Molti furono costretti con la forza delle armi, altri furono accusati di essere contadini capitalisti (kulaki) e uccisi o mandati in campi di lavoro dove erano comunque poche le speranze di sopravvivenza.

Il conflitto col mondo contadino portò a una crisi alimentare che causò la morte di altri milioni di persone

Alla fine anche Stalin dovette rendersi conto che il costo dell'imposizione dall'alto della modernizzazione minacciava di essere controproducente. Nel 1935 fu emanato un decreto per cui nei villaggi era consentito possedere un proprio pezzo di terra con qualche animale. Nel giro di pochi anni il valore del prodotto di queste piccole terre aveva quasi eguagliato il toatle della produzione delle aziende collettive.

In buona parte dell'Europa centrale e occidentale emerse un'ondata di populismo, di proteste in ambito provinciale e agricolo a difesa dei diritti e dei valori della piccola proprietà e del lavoro tradizionale. Accreditato anche dal papa, questo movimento indirizzò la sua protesta contro socialismo, grandi gruppi affaristici e finanza internazionale

La protesta rifletteva un desiderio diffuso di una società sensibile alle masse conservatrici, che avesse a cuore la nazione, che fosse fautrice di concordia sociale e protettrice della piccola proprietà.

Buona parte di queste aspirazioni a un nuovo ordine sociale basato su valori tradizionali trovò espressione nel fascismo che si rivolgeva ai "perdenti" della modernizzazione con le sue promesse di protezione economica e sociale e con la violenta crociata contro il marxismo. I capi fascisti erano convinti di offrire una "terza via" tra capitalismo liberale vecchio stampo e il marxismo rivoluzionario

Lo stesso avvenne in Germania con il nazionalsocialismo: la propaganda venne confezionata su misura in base a ciò che il mondo delle campagne voleva sentirsi dire: che i grandi banchieri, gli avidi operai socialisti, i mercanti e gli usurai ebrei erano responsabili del declino delle fortune del vecchio mondo agricolo.

La crisi della modernità incoraggiò la ricerca di capri espiatori cui si potevano addebitare quelle che erano conseguenze di più ampie forze sociali ed economiche


IL "GRANDE CROLLO": CAPITALISMO IN CRISI

La mattina del 29 ottobre 1929 la borsa di New York (Wall Street) crollò, esaurendo in una fiammata il boom americano degli anni '20. Il "grande crollo" decretò la rovina finanziaria di migliaia di investitori americani, grandi e piccoli, ma fu anche un colpo mortale per l'economia mondiale che non si riprese del tutto prima del 1939

Il crollo del mercato azionario aveva cause dirette nella situazione americana: la fiducia nel futuro dell'economia americana era così alta che gli speculatori facevano incetta di titoli di certi prodotti per gli anni a venire

Altri fattori vanno ricondotti alla Grande Guerra che scombussolò buona parte della collaborazione su cui si fondava la struttura finanziaria. Mentre l'Europa era impegnata nel conflitto, altre economie (Giappone, USA) rilevavano i mercati dell'esportazione del vecchio continente. Alla fine della guerra, quando l'industria europea riprese a funzionare, si manifestò una tendenza alla sovrapproduzione che fece crollare i prezzi e portò all'istituzione di barriere tariffarie per proteggere le industrie domestiche in difficoltà

La guerra aveva distrutto la stabilità del gold standard. Gli stati belligeranti abbandonarono l'oro perché costretti a finanziare lo sforzo bellico con prestiti e deficit statali enormi, o ricorrendo pesantemente al prestito dell'estero

Dopo la guerra le finanze statali furono sconvolte dai costi sostenuti per la smobilitazione e per far fronte agli enormi debiti.

Prima del '14 cospicue quantità di capitali inglesi e francesi avevano oliato le ruote del commercio e dell'industria mondiali; negli anni '20 la riduzione di queste fonti agì da freno sull'espansione dell'economia tradizionale.

L'Europa si ritrovò con un sistema finanziario instabile: le monete non si potevano fissare a un unico parametro fisso concordato tra gli stati; gli investitori continuavano ad essere timorosi e gli speculatori trasferivano immediatamente i loro investimenti ai primi segni di difficoltà.

L'unica possibile fonte di salvezza erano gli USA la cui economia aveva risentito meno della guerra.

Ma gli Stati Uniti non erano preparati a diventare i leader dell'economia mondiale al posto della Gran Bretagna. A differenza di questo paese, avevano una maggiore autonomia per i prodotti alimentari e le materie prime, quindi non avevano molto bisogno di importare ed erano meno dipendenti dalle esportazioni per pagare i prodotti esteri

Nonostante ciò, una crescita economica ci fu, anche se discontinua e segnata da uno sviluppo assai diseguale

Una volta che il periodo di inflazione e di penuria postbellica fu passato, i prezzi dei prodotti alimentari e delle materie prime scesero drasticamente. Questo calo fu avvertito soprattutto nelle regioni più povere dell'Europa che vivevano soprattutto dell'esportazione. La capacità di queste nazioni di assorbire prodotti dai paesi più sviluppati, venne di molto ridotta, il che portò a livelli di disoccupazione molto elevati.

Tutti questi fattori soffocarono la fiducia nel mondo degli affari e la domanda da parte dei consumatori, comprimendo i profitti e scoraggiando gli investimenti.

Il crollo del mercato borsistico americano ebbe l'effetto di scatenare il panico a livello mondiale, facendo di una modesta recessione un crollo catastrofico. Si scatenò la corsa al recupero dei prestiti e al taglio dei crediti. Gli americani che avevano fatto prestiti di breve termine all'estero fecero di tutto per farseli restituire da governi e da imprese che però li avevano investiti in progetti a lungo termine. Creditori e debitori, tutti si ritrovarono di fronte alla bancarotta


Gli effetti della recessione

Gli effetti disastrosi del crollo si fecero sentire ovunque in maniera uniforme. Il primo effetto immediato fu di tipo psicologico: una caduta netta della fiducia nel sistema capitalistico in quanto era stato lo stesso progresso economico a generare gli agenti della sua rovina. Il disastro sociale che seguì, fece passare molti al comunismo o al fascismo, nella convinzione che qualsiasi altro sistema sarebbe stato migliore

Conseguenza di una situazione in cui nessuno voleva comprare o investire fu un calo rovinoso della produzione industriale che minacciava di trascinare con sé il sistema bancario e di esporre i governi a un disastro finanziario

La reazione istintiva dei governi fu di proteggere la propria industria contro le importazioni con l'imposizione di tariffe. Questa corsa alla protezione tariffaria ebbe l'effetto di ridurre qualsiasi prospettiva di ripresa dell'economia internazionale attraverso la collaborazione. Il mercato mondiale ne risultò frammentato e stravolto

La disoccupazione salì alle stelle e anche nei pochi paesi che avevano un sistema previdenziale, i fondi dell'assistenza pubblica vennero presto prosciugati portando ad una situazione di disperata povertà. Regime alimentare e salute registrarono un calo, e il tasso delle nascite crollò.


Tentativi di ripresa

Ci volle del tempo prima che i governi prendessero piena consapevolezza che la crisi era di gravità eccezionale. L'aspettativa generale era la ripetizione di precedenti cicli economici, uno o due anni di crisi, e poi una lenta ripresa.

Fu solo nel 1931 che ci si rese conto che la recessione s'andava ancora aggravando e che bisognava correre a misure straordinarie, ma in quel momento le dimensioni della crisi minacciavano di vanificare qualsiasi contromisura

Da parte dei governi c'era la preoccupazione di evitare ogni sperimentazione economica, restando fedeli ai rimedi ortodossi. Chi aveva ancora un lavoro voleva mantenerlo e temeva che degli esperimenti avrebbero potuto peggiorare le cose e portare l'intero sistema allo sfascio. L'appello all'incremento dei lavori pubblici incontrò resistenze per essere accolto solo alla fine del periodo recessivo, quando tutti gli altri espedienti avevano fallito.

Cominciò anche a farsi strada l'idea di una soluzione politica internazionale. Le maggiori potenze furono d'accordo su una moratoria del pagamento dei debiti nel 1931, ma per il resto ogni stato era convinto che la priorità assoluta andasse alla propria ripresa economica e alla propria stabilità sociale, e non c'era nessuno disposto a fare il primo passo decisivo per interrompere la politica di nazionalismo. L'assenza di una salda leadership nell'economia internazionale creò un circolo vizioso: iniziative prese da un paese a favore della propria economia finivano per danneggiare gli interessi di altri paesi, i quali ripagavano prontamente con la stessa moneta e con un'ulteriore riduzione delle prospettive di cooperazione economica.

Fu indetta una conferenza economica mondiale a Londra nel 1933, ma i punti di contatto erano ben pochi e allorchè Roosevelt fece sapere che non aveva intenzione di far entrare gli USA in nessun sistema monetario fisso, la conferenza saltò dopo appena tre settimane

Gli stati più importanti perseguirono propri programmi di ricostruzione. In primo luogo veniva aumentato l'intervento diretto e la pianificazione dello stato (es: New Deal di Rosevelt). Si introdusse una nuova legislazione per ridare stabilità al mercato finanziario e al sistema bancario. All'agricoltura fu concessa una speciale assistenza e l'industria ebbe una spinta straordinaria grazie a un vasto programma di opere pubbliche. La tendenza a creare blocchi e discriminazioni commerciali diede vantaggi di breve respiro, a spese della rinascita di un mercato internazionale sano e rigoglioso, non riuscendo a lenire la paura persistente che il capitalismo fosse in crisi profonda


Fine del capitalismo?

Negli anni '30 era convinzione diffusa che bisognasse fare appello a un nuovo ordine. L'economia pianificata subentrò alla passività dello stato e alla libertà degli affari

L'aumento degli interventi statali si presentava agli occhi degli imprenditori sospetto, una sorta di socialismo surrettizio e dove possibile si opposero alla nazionalizzazione dell'industria.

Nella pratica la gran parte degli stati aveva le stesse mire degli imprenditori: trovare la rotta per tornare alla prosperità e alla pace sociale


DEMOCRAZIA E DITTATURA

Il declino della democrazia

Alla fine della guerra sembrava che stesse per spuntare l'età della democrazia. Nel 1920 nella grande maggioranza del continente vigeva la democrazia. Vent'anni dopo in gran parte dei paesi europei c'erano delle dittature, sotto il governo autoritario di un individuo e di un partito unico

La prima vittima democratica fu quel breve periodo di libertà politica nella Russia della transizione dal regime zarista alla "dittatura del proletariato" il popolo russo fece sentire democraticamente la sua voce nelle elezioni dell'Assemblea costituente che si tennero nell'inverno 1917-'18. L'assemblea fu sciolta con la forza alla prima convocazione a opera del gruppo di minoranza, i bolscevichi. Lenin sosteneva di dare avvio a un "centralismo democratico" che avrebbe dovuto comportare una verifica attenta del punto di vista e delle idee delle masse prima che l'autorità centrale prendesse decisioni vincolanti per tutta la popolazione. Alla fine il centralismo finì per prevalere sulla democrazia e i gruppi d'opposizione furono messi a tacere con la forza e le elezioni consistettero per votare l'unico candidato dell'unico partito. Lenin impose una brutale dittatura in cui la sua parola era legge.

In Italia nell'ottobre del 1922 il leader del Partito fascista italiano, Mussolini, ebbe l'incarico di primo ministro. Seguì un periodo di 4 anni in cui i fascisti potenziarono gradualmente la loro rappresentanza in parlamento e nelle amministrazioni locali, intimorendo e perseguitando gli avversari politici. Fu solo nel 1926 che il movimento impose uno stato monopartitico, e ciò comunque con la collaborazione del re, della chiesa e dell'esercito. Solo negli anni '30 Mussolini cominciò a imporre una dittatura personale fino alla sua destituzione nel 1943 sulla scia della sconfitta militare italiana nel conflitto

La democrazia postbellica sopravvisse molto più a lungo in Germania. Nel 1932 la fiducia delle masse nel regime parlamentare era agli sgoccioli. I nazionalsocialisti, che erano antidemocratici ma sapevano servirsi delle procedure democratiche, divennero il primo partito. Hitler arrivò al potere nel 1933 e un anno dopo, alla morte del presidente Hindenburg, concentrò in sé le cariche di cancelliere e presidente diventando il Fürer. Nel '33 gli altri partiti vennero sciolti e il 30 giugno 1934 Hitler faceva eliminare l'opposizione interna al partito nella "notte dei lunghi coltelli". Nel '36 Himmler, capo della guardia personale di Hitler (SS), assunse il comando di tutte le forze di polizia e sicurezza in Germania e istituì un enorme apparato di terrore e repressione

In Austria sopravvisse una repubblica democratica fino al '34, anno in cui fu scalzata da un'alleanza di destra comprendente forze cattoliche e fasciste al comando del cancelliere Dollfuss. L'Austria rimase un regime autoritario fino all'anschluss al Reich di Hitler nel '38

Le stesse potenze democratiche europee (Inghilterra e Francia) non erano disposte a concedere la democrazia ai territori d'oltremare che controllavano


Il fascino della dittatura

I democratici liberali erano inclini a credere che alla caduta del vecchio ordine monarchico la democrazia ne sarebbe stato il successore naturale. Ma in realtà i parlamenti europei godevano di una controversa reputazione: il Reichstag tedesco aveva pochissimo potere e veniva visto come uno strumento per manipolare politicamente le masse negli interessi della classe politica dominante. Il parlamento italiano non aveva un grande peso e tendeva alla corruzione. Il parlamento russo, la Duma, e l'assemblea dell'impero asburgico erano controllati dagli interessi della corona.

Per tutto il corso degli anni tra le due guerre ci furono movimenti intellettuali in tutta Europa che sostenevano l'idea che un qualche ordine politico nuovo, basato sul principio d'autorità e su un governo attivo e decisionista, dovesse soppiantare il parlamentasrismo

Si fece così largo il termine mussoliniano di "totalitarismo" secondo il quale sotto un regime totalitario l'intera popolazione sarebbe stata abbracciata dal sistema, che avrebbe organizzato la vita pubblica come quella privata, fondendo insieme gli interessi del singolo con quelli dello stato.

Al termine della guerra molti stati si trovarono di fronte al problema di edificare nuove istituzioni pubbliche e un nuovo apparato statale, di creare nuove forme di fedeltà in sostituzione di quelle basate sulla lealtà dinastica. Questo compito fu reso difficile dall'era di crisi in cui il mondo europeo si trovava.

Il concetto di "cittadino", colui che gode dei diritti civili e vigila per difenderli, era scarsamente sviluppato se non del tutto assente. L'abitudine all'obbedienza era tradizionalmente inculcata dalle élite locali o dallo stato. Il diritto di voto mise in luce divisioni sociali assai profonde e concezioni profondamente diverse della natura della nuova società.

Da parte di ampi strati dei ceti colti e dei possidenti la politica democratica fu avvertita come un primo passo verso il potere del proletariato, sicchè preferirono governi autoritari e ostili alla sinistra

La mancanza di consenso si manifestò anche nel gran numero di deboli partitini politici che sorsero all'avvento della democrazia, in genere alfieri di interessi settoriali. Come esito di questa decentralizzazione democratica si ebbero deboli sistemi parlamentari, basati su coalizioni costantemente mutevoli


L'ordine nuovo nella politica

Hitler preferiva definire il suo partito un "movimento", termine che dominava le esistenze dei suoi membri, pretendendo un forte sentimento di lealtà e offendo in cambio un preciso senso di identità e di appartenenza. Ogni movimento aveva la propria ideologia che fungeva da collante per i suoi membri; chi non ne faceva parte era per definizione un nemico e meritava d'essere perseguitato. Era un genere di politica che faceva leva sui pregiudizi collettivi, consentendo forme smodate di violenza e di vendetta. I movimenti erano organizzati intorno alla figura del capo la cui parola era legge. I nuovi movimenti erano assai più visibili: i loro membri portavano uniforme e insegne caratteristiche. Grande importanza veniva data alla capacità di coinvolgere e esaltare il pubblico della politica

Il successo della dittatura non è solo frutto delle trame della classe dominante, ma anche del rifiuto popolare della democrazia liberale a favore di regimi autoritari, di massa, che promettevano ordine sociale, rinascita economica e uno stato forte.

A sostegno delle nuove dittature servirono anche metodi coercitivi: godendo dell'appoggio di solo una parte della popolazione, la loro sopravvivenza dipendeva dalla prontezza e dalla capacità di neutralizzare l'opposizione (Ceka in URRS, Ovra in Italia, Gestapo, SS, SA e SD in Germania)

La dittatura fu un prodotto non dello sviluppo capitalistico, ma della modernizzazione politica: fu un mezzo per imbrigliare le energie popolari laddove le tradizioni di politica di massa erano deboli o inesistenti.

Inghilterra e Francia restarono democratiche grazie a sistemi parlamentari secolari, a una forte tradizione di autonomie amministrative e di responsabilità civili, a strutture statali relativamente robuste e adattabili. Esse permisero di conservare sufficiente fiducia nei valori liberali e nella partecipazione popolare per evitare di dar via libera all'estremismo


LA CRISI INTERNAZIONALE

La pace instabile

Alla conferenza di pace di Parigi le potenze concordarono di dar vita a una Società delle Nazioni con sede a Ginevra, che avrebbe agito come forza di conciliazione tra gli stati

Il senato Usa, però, rifiutò di ratificare il trattato di Versailles, su cui tutto il nuovo sistema si fondava, e decise il ritiro dell'America dalla società della nazioni, lasciandola priva dell'unica forza in grado di imporre un'eventuale conciliazione

Gli alleati europei insistettero per una pace punitiva nei confronti di Germania e Austria. La nazione tedesca fu esclusa dalla Società  e dovette risarcire i danni materiali della guerra. Le riparazioni furono fissate in un totale di 132 miliardi di marchi oro da pagarsi entro l'88. La Germania non aveva alternative e accettò

Anche i vincitori non erano totalmente soddisfatti dei trattati. L'Italia dichiarò la sua insoddisfazione per la modestia del compenso avuto in cambio della partecipazione alla guerra con gli alleati.

Niente di tutto ciò era di buon augurio per il progetto di far nascere dalle macerie della guerra uno stabile ordine mondiale

Inghilterra e Francia avevano il controllo della Società delle nazioni (in cui, nel '26 venne accolta anche la Germania) e furono attive nella promozione della "diplomazia liberale", la risoluzione di dispute internazionali attraverso il compromesso e il dialogo. Nel '28 a Parigi venne firmato il patto Briand-Kellogg con il quale i firmatari (65 nazioni) accettavano la rinuncia della guerra come strumento di politica con gli altri stati a eccezione dei casi di autodifesa.

C'era però un'ambiguità morale nella posizione di Francia e Inghilterra: se da un lato predicavano le virtù della democrazia, dall'altro si rifiutavano di garantirla ai popoli dei propri imperi. Questi metri diversi non passarono inosservati e l'autorità morale della Società ebbe a soffrire per questa che veniva colta come un'ipocrisia e un atteggiamento egoistico delle uniche potenze appagate dei trattati di pace (con i quali avevano potuto ampliare il loro impero coloniale annettendo quelle sottratte agli imperi sconfitti)

La Società venne ulteriormente indebolita dall'esclusione o dall'assenza della maggiori potenze, con enormi potenziali economici e militari: USA e URRS

L'Unione Sovietica venne esclusa dalla Società per le credenziali comuniste. Lenin la considerava semplicemente uno strumento di promozione dei meschini interessi del capitalismo e dell'imperialismo mondiali.

Germania e Unione Sovietica cominciarono a coltivare la speranza di rivedere a proprio vantaggio gli accordi di pace, covando precise ambizioni di sovvertire alla prima occasione l'assetto territoriale postbellico.

Gran Bretagna e Francia si fecero carico di responsabilità globali ma ridussero le spese militari a un livello che rendeva assai poco credibile una seria difesa in caso di minaccia bellica. Il disarmo incontrava il consenso della popolazione civile che non comprendeva il bisogno di pagare tasse per l'armamento militare in un periodo di pace, ma la conseguenza fu uno squilibrio tra impegni internazionali e potenza militare che rendeva i due imperi più vulnerabili di quanto non dessero a vedere.


La crisi mondiale

L'ordine mondiale precipitò negli anni '30 per una serie di fattori

Da una parte c'era la potenza sovietica che aumentava grazie alla modernizzazione pianificata (piani quinquennali- 1928) di Stalin che doveva fare dell'URRS una grande potenza industriale e militare. I dirigenti sovietici erano consapevoli dell'ostilità del resto del mondo e i piani erano finalizzati alla creazione di strumenti di difesa della rivoluzione contro le minacce interne e esterne, portando così l'Unione Sovietica a diventare lo stato militarmente più potente del mondo.

In Germania fu Hitler nel '36 a lanciare il proprio piano quadriennale di preparazione alla guerra.

La crisi economica aveva inacerbito i rapporti tra gli stati ridestando antichi rancori e creandone di nuovi. Le conseguenze sociali del grande crollo spinsero le popolazioni delle economie più deboli verso l'estremismo politico e violente forme di nazionalismo

Il Giappone aveva deciso di operare all'interno del sistema internazionale occidentale a condizione di essere trattato alla pari, cosa che però non era avvenuta. La popolazione cominciò a reagire e i vertici dell'esercito spingevano per un espansione del paese e per la creazione di un impero asiatico da contrapporre a quelli di Francia e Inghilterra. L'area naturale di espansione era data dalla Cina dove le armate giapponesi conquistarono la Manciuria dando vita allo stato fantoccio del Manciukuo. La Cina chiese aiuto alla Società delle Nazioni, ma poco fu fatto per paura di inimicarsi il Giappone. Era la dimostrazione che nessuno stato poteva aspettarsi protezione da parte di quell'organizzazione in caso di aggressione.

In Italia i nazionalisti invocavano di imporre il proprio dominio sull'area del Mediterraneo e del Nord Africa, dimostrando l'indipendenza del fascismo dal sistema occidentale. Lo scopo si doveva raggiungere allargando la modesta eredità coloniale del paese (Libia, Somalia, Eritrea) alla dimensioni di un secondo impero romano. Nel '32 Mussolini cominciò a programmare la conquista dell'Etiopia ritenendo che le potenze occidentali non sarebbero intervenute in soccorso di un paese africano da lui ritenuto inferiore e indegno di essere annoverato tra le nazioni civili. Nel '35 le forze italiane invasero l'Etiopia, vincendo dopo molte difficoltà, e la Società non alzò un dito per impedirne la conquista. L'Italia si allontanò dalla sfera occidentale e la Società fu coperta di un definitivo discredito.

In Germania già prima della salita al potere di Hitler era cominciato in segreto il riarmo e il pagamento delle riparazioni era stato sospeso nel '31. Per Hiteler la guerra era ineluttabile ed era nella società umana l'equivalente della legge naturale della sopravvivenza del più adatto. Per la Germania poi rappresentava la rivincita per ciò che il resto del mondo aveva perpetrato ai suoi danni nel '19.

Fin dall'inizio del suo regime nel '33 imbocco la via della revisione dei trattati, nella prospettiva di sovvertire e trasformare l'ordine sociale a vantaggio ella Germania. Identifico i suoi nemici nell'URRS  e negli ebrei. La prima mossa fu di avviare il riarmo tedesco in aperta sfida con gli accordi di Versailles. Nel '38 annetté l'Austria, senza incontrare resistenza, fondendola in una grande Germania.

Né Gran Bretagna che Francia si opposero alle azioni di Hitler. Non si trattò di una semplice mancanza di volontà, ma delle conseguenze di pressioni interne e internazionali che impedirono di rispondere con maggior vigore.

Il primo impedimento fu la portata e la diversità dei problemi a cui i due stati dovettero far fronte in un arco di tempo breve: la nascita della potenza sovietica, le minacce in Asia, la pressione italiana in Africa e nel Mediterraneo, la ripresa di una forma estremistica di nazionalismo in Germania. Le risorse militari di cui i due stati disponevano non erano sufficienti per fronteggiare tutte queste minacce contemporaneamente. Far fronte a una soltanto di esse avrebbe potuto incoraggiare altri stati ad approfittare dell'opportunità offerta dalla distrazione delle due potenze. Ci fu così un tentativo di risolvere le questioni con negoziati e compromessi, trovando una via pacifica nota come politica dell'appeasement. Questa politica doveva essere espressione delle nuove idee democratiche, ma fu letta dalle altre potenze come un segno di debolezza.

All'interno delle due nazioni esistevano poi importanti movimenti pacifisti che rendevano impossibile qualunque politica estera attiva o qualunque prospettiva di un conflitto armato

Gli Usa, poi, ribadirono chiaramente il loro isolazionismo e la loro neutralità, lasciando Gran Bretagna e Francia ancora più vulnerabili

Le due grandi democrazie dovettero affrontare anche gravi problemi con gli imperi coloniali. L'esportazione di idee nazionaliste e socialiste aveva stimolato forti rivendicazioni di riforme o addirittura di indipendenza. I dominions britannici (Canada, Nuova Zelanda, Australia, unione sudafricana) ottennero uno statuto di indipendenza e il diritto di dichiarare guerra per proprio conto. In questo modo la Gran Bretagna non poté più contare sul loro apporto incondizionato.

I governanti inglesi e francesi partivano dalla convinzione che nessun capo europeo poteva voler coscientemente rischiare il ripetersi degli orrori della grande guerra, e solo alla fine degli anni '30 si resero conto che gli stati revisionisti consideravano la guerra un'opzione accettabile in politica estera


Verso la guerra

Verso la metà degli anni '30 il sistema di sicurezza collettiva e i trattati di Versailles ('19), Washington ('22) e Locarno ('25) su cui esso si fondava erano a pezzi. La Società non era più presa sul serio e Giappone, Germania e Italia la abbandonarono

Non esistevano solide alleanze militari tra le grandi potenze: ogni stato seguiva la sua strada. Sull'ordine internazionale regnava una sorta di stato di natura hobbesiano, una guerra di tutti contro tutti

Conseguenza dell'insicurezza fu una nuova corsa agli armamenti che aumentò il clima di incertezza e di crisi tanto da ingenerare una riduzione di quel senso di protezione che una forza militare si supponeva portasse

Negli anni '30 la gran parte dei governi europei avviò un programma di addestramento per i civili, distribuendo maschere antigas all'intera popolazione e costruendo rifugi antiaerei. La gente comune comprese di essere diventata un bersaglio. Questo terrore si diffuse a livello popolare con tale intensità da agire come freno sulla reazione di Inghilterra e Francia all'aggressione tedesca.

Nel '38 Hitler cominciò a ledere gli interessi sovrani di stati non tedeschi. Il suo obiettivo fu la Cecoslovacchia dove vivevano tre milioni di tedeschi nelle zone di frontiera dei Sudeti. Nel settembre dello stesso anno la conferenza di Monaco garantiva alla Germania questi territori in cambio della promessa di non attaccare il resto della nazione ceca e di mantenere la pace.

Nei mesi successivi alla conferenza Hitler accentuò il ritmo della preparazione bellica, partendo dalla convinzione che l'incontro di Monaco fosse stato una dichiarazione di via libera, e che le due potenze democratiche erano troppo debilitate militarmente e politicamente in crisi per disporre dei mezzi o della volontà necessari per ostacolarlo.

Nel marzo '39 l'esercito tedesco occupò il resto della Cecoslovacchia, cominciando una guerra punitiva con la Polonia che non voleva restituire alla Germania il porto di Danzica.

Gran Bretagna e Francia si decisero finalmente per la risposta armata. Entrambi i paesi accelerarono i preparativi bellici fino a superare la produzione tedesca. Ci fu poi un insorgere disentimenti nazionalistici che orientò l'opinione pubblica a favore di un'azione più decisa contro la Germania. Il Canada rinunciò alla neutralità, Australia e Nuova Zelanda si impegnarono a dare aiuti, l'America cominciò a dare incoraggiamenti alla causa occidentale

Fino alla dichiarazione di guerra del 3 settembre '39, che seguì all'invasione tedesca della Polonia, si sperò che Hitler facesse marcia indietro, concedendo una vittoria diplomatica alle democrazie.

L'esplosione del conflitto pose fine alla "crisi tra le due guerre" sciogliendo tutti quei confusi grovigli che l'avevano caratterizzata.


Conclusione:  LA SFIDA DEL PROGRESSO

Due elementi ci consentono di definire gli anni tra le due guerre un periodo di crisi in senso proprio: il numero e l'entità dei rivolgimenti e dei conflitti che caratterizzarono quegli anni e il senso acuto che ebbero gli stessi contemporanei di vivere in un'epoca di caotica, rischiosa transizione

La crisi non cominciò nel '19 e non finì nel '39: le guerre che delimitano quel periodo ne sono una la causa e l'altra la conseguenza nefasta. Già prima del '14 gli effetti dell'industrializzazione e della politica di massa avevano acutizzato i conflitti sociali e fatto vacillare gli equilibri del potere. La guerra fu un potente agente di cambiamento aprendo le porte alla rivoluzione sociale comunista. Il timore di questa e la debolezza dei gruppi parlamentari portò a forme di estremismo politico in cui si finì per preferire la dittatura alla democrazia e la repressione al compromesso

Prima del '14 la modernità era tutte promesse, adesso sembrava una maledizione. A peggiorare le cose ci si mise l'economia, crollando drammaticamente nel '29 e gettando nella disoccupazione e nell'indigenza operai e impiegati.

La crisi economica ispirò la ricerca di sistemi alternativi, ispirati o all'economia pianificata di Stalin o alle idee fasciste di corporativismo e guida statale.

Il tentativo di creare un nuovo ordine di collaborazione e rispetto tra le nazioni andò in frantumi: ogni paese guardò in primo luogo al proprio interesse,

L'espansione giapponese in Cina, quella italiana in Etiopia e la penetrazione tedesca in Europa orientale furono tutti esempi di violento imperialismo economico, destinato a distruggere l'ordinamento liberale esistente, gestito da Francia e Gran Bretagna, e a sostituirlo con un ordine imperialista di carattere militarista e razzista

La crisi veniva vista dai comunisti come una premessa dell'eclissi definitiva del capitalismo e dell'imperialismo, mentre per le destre rappresentava un'opportunità per superare i logori valori della società borghese e della cultura ufficiale.

Il costo spaventoso in vite e sofferenze umane di quel periodo fu il prodotto di una serie di cause: l'applicazione della scienza e dell'industria alla guerra, il sorgere della politica di massa alimentata da aspri scontri ideologici e da odi di classe, l'improvviso crollo del vecchio ordine internazionale, il fallimento del capitalismo di stampo liberale e la scomparsa di certezze morali.

Fu la Seconda guerra mondiale a dare una soluzione a buona parte della crisi: quando finì si ebbe la percezione di un cambiamento psicologico. La certezza morale venne ripristinata grazie alla vittoria su Hitler. Nel '46 le potenze mondiali sottoposero a processo e Norimberga i capi del nazismo accusandoli di "crimini contro l'umanità". Scopo del processo non fu semplicemente di imporre la legge dei vincitori sugli sconfitti, ma anche di mostrare all'opinione pubblica mondiale una rinnovata fede nei valori universali della coesistenza pacifica e della dignità umana.

I problemi della modernizzazione industriale furono risolti a partire dal '45 da un considerevole boom economico che alimentò una prosperità senza precedenti trascinando tante economie meno sviluppate all'interno del mondo moderno dell'industria e della tecnologia.

La riapertura degli scambi internazionali ma soprattutto la rivoluzione nelle comunicazioni e nel consumo di massa contribuirono a infrangere l'isolamento sociale e l'abisso che esisteva tra città e campagna.

Lo sviluppo economico e una distribuzione più equa dei suoi frutti agevolarono la transizione e ridussero la paura di rivoluzioni sociali o di rivolte. La democrazia mise solide radici nell'Europa occidentale e la fiducia nei valori del liberalismo fu ripristinata.   

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