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Pompei
Alla fine del Seicento, in un luogo chiamato semplicemente "Civita", tra campi e poche case contadine alle pendici del Vesuvio, vennero alla luce, casualmente, alcuni frammenti di intonaco dipinto e qualche lastra di marmo. Nessuno poteva immaginare allora che, da lì a pochi anni, sarebbe risorta un'intera città romana, Pompei, di cui si era perso il nome e la memoria, sepolta sotto le ceneri in seguito ad una terribile esplosione del vulcano, in un lontano giorno d'estate dell'anno 79 dopo Cristo.
Grande fu lo stupore e la meraviglia quando, nel Settecento, i pionieri dell'archeologia scoprirono le prime case. Dalla terra lavica emersero colonne e templi, statue e tesori, arredi di rara bellezza e splendide pitture e mosaici: era iniziato un fantastico viaggio indietro nel tempo.
Doveva essere un caldo giorno d'estate come tanti altri a Pompei - una città vivace e trafficata ai piedi del Vesuvio, punto nevralgico del commercio di prodotti campani e di un ricco artigianato - quando la violenta esplosione del vulcano seppellì città, uomini e campagne sotto un fiume di lava, lapilli e cenere. Era il 24 agosto dell'anno 79 d.C.: a Pompei il tempo si è fermato.
L'eruzione sorprese i cittadini nelle loro attività quotidiane: i commercianti nelle botteghe, i contadini e gli schiavi al lavoro, le ricche famiglie nell'ozio delle loro ville, i bambini in braccio alle madri, i cani legati alla catena. Le vittime furono più di duemila: afferrati i tesori di famiglia, molte persone rimasero bloccate dalla lava, altri morirono asfissiati dai vapori velenosi, le strade erano intasate dalla gente in preda al panico e l'unica via di scampo, il mare, ribolliva di fuoco, alzando una cortina di onde gigantesche.
Pompei fu coperta da una fitta pioggia di lapilli, il paesaggio soffocato da un folto strato di cenere. Ci vorranno diciassette secoli per risvegliare dal "sonno" la città.
Le case pompeiane avevano tipologie diverse a seconda dello condizione sociale dell'inquilino. Nel corso dei secoli subirono numerose trasformazioni.
La struttura della casa ricalcava tra il IV e il III sec. a.C. il modello "italico" con ambienti di soggiorno disposti attorno all'atrio.
Nel II sec. a.C. la dimora venne ampliata con aggiunte di derivazione ellenistica di cui conservarono il nome greco.
La casa povera, invece, era composta di spazi minuscoli, spesso tramezzati, soppalcati e con il pavimento nudo.
Vestibolo: E' la zona d'ingresso, intermedia fra l'interno e l'esterno dell'abitazione.
Atrio: E' una stanza a colonne spesso quadrata, il cui tetto a un solo spiovente inclinato verso l'interno lascia libera un'ampia apertura da cui entra la luce ma anche l'acqua piovana.
Serviva a più usi, ma essenzialmente era destinato a locale di rappresentanza adatto a ricevere.
Vi si trovava la cassaforte domestica e l'altarino dei Lari
Impluvium: Si tratta di una vasca piatta in cui veniva convogliata dalle gronde del tetto dell'atrio l'acqua piovana, destinata ad alimentare la cisterna domestica.
Tablinum: E' l'ambiente di soggiorno più spazioso di tutta la casa e solitamente decorato con maggior sfarzo. Utilizzato anche come sala da pranzo, era soprattutto usato per ricevere.
Cubicula: Normalmente allineati lungo i lati dell'atrio, erano spesso locali bui ed angusti destinati al riposo notturno.
Triclinium: Era usato come sala da pranzo dove erano disposti i divani, che potevano ospitare fino a tre persone. Venivano collocati anche all'aperto in giardino sotto una tettoia o un pergolato.
Ambienti di servizio: Dei servizi facevano parte la cucina, i ripostigli, la dispensa e i bagni, che nel caso delle dimore più sontuose erano dotati di impianti simili a quelli delle terme, né mancavano le latrine.
Peristilio: E' un cortile con colonne che, nella casa pompeiana, circonda il giardino e su cui si aprono normalmente le stanze da letto, da pranzo e da siesta.
Giardino: I fiori e il verde sono posti in modo da formare motivi geometrici. Al centro si trova spesso una piscina e talora un pergolato o una tettoia per ospitare il triclinium.
Oecus: E' uno degli ambienti, usato per il riposo meridiano, che si affaccia sul peristilio e decorato con affreschi al pari di altri ambienti.
Plinio il Giovane (61 - 112 d.C.) all'età di 17 anni assiste come testimone oculare alla tragedia di Ercolano e Pompei, di cui rimane vittima il suo celebre zio, Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.). Il grande naturalista fece mettere una barca a mare "per accorrere dove altri fuggono" e per "annotare tutti i momenti e tutti gli aspetti di quel disastro" e morì soffocato dalla caligine.
Da "Lettere a Tacito" di Plinio il Giovane:
"Già cadeva sulle navi la cenere, più calda e più densa quanto più si accostavano; già cadevano pomici e pietre nere arse e frantumate dal fuoco".
"Da molti punti del Vesuvio rilucevano grandissime fiamme e alti incendi, di cui le tenebre notturne rendevano più viva la splendente chiarità".
"Il mare sembrava assorbirsi in se stesso, quasi ricacciato indietro dal terremoto" - e - "dal lato opposto una nube nera e spaventosa, squarciata da serpeggianti e balenanti guizzi di fuoco, si scoscendeva in lunghe strisce di fiamme e queste erano simili a fulmini, e anche maggiori".
"Si udivano ululati femminili, pianti di bimbi, grida di uomini (..) vi era chi per timore della morte invocava la morte. Molti levavano le braccia verso gli dei; moltissimi affermavano che non c'erano più dei, che quella notte sarebbe stata eterna, l'ultima del mondo".
"La casa vacillava infatti per continui e vasti terremoti, e quasi smossa dalle fondamenta pareva andare or qua or là e poi tornare al proprio posto".
"Alla fine la caligine si diradò e si dileguò in fumo e in nube. Poi si fece veramente giorno e brillò anche il sole, ma pallido, qual suole essere durante un'eclissi. E ai nostri occhi ancora incerti tutto apparve mutato, e coperto da uno strato di cenere come da neve."
Il poeta latino Stazio (50 - 96 d.C. circa) scrive nei carmi "Silvae": "Crederà la generazione ventura degli uomini, quando rinasceranno le messi e rifioriranno questi deserti, che al di sotto dei loro piedi giacciono sotto il peso della terra città e popolazioni e che gli aviti campi così si inabissarono?"
E ancora il poeta romano Marziale (40 - 102 d.C.) annota negli "Epigrammi": "Ecco il Vesuvio, un tempo verdeggiante di folti vigneti, un tempo elargitore di vini saporosi: questo è il monte che Bacco predilesse più degli stessi colli di Nysa e sul quale i satiri intrecciarono le loro danze. Questa fu Pompei, città sacra a Venere e a lei più cara della stessa Sparta, e qui sorse Ercolano, che illustrava il nome dello stesso Ercole. Tutto giace sommerso dalle fiamme e dalla livida cenere. Gli stessi dei ora vorrebbero che ciò non fosse mai stato in loro potere compiere".
I primi colonizzatori greci chiamarono la regione intorno al Vesuvio "flegrea", terra ardente, credendo che qui si fosse svolta la gigantomachia, la lotta di Ercole e degli dei contro i Giganti.
Nella "Geografia" di Strabone, del I sec. a.C., il vulcano è descritto di aspetto "cinereo", che mostra delle "cavità con fessure che si aprono sulle rocce fuligginose in superficie come fossero state divorate dal fuoco". Il nome Vesuvio deriva dal nome italico "Vesbius" e indica il grande cono centrale, mentre il cratere esterno è chiamato Monte Somma.
L'eruzione del 79 d.C. viene detta "pliniana" da Plinio il Vecchio, che studiò il fenomeno di questo tipo di magma nella "Historia Naturalis". Si tratta di un'eruzione "esplosiva" con fuoriuscita violenta di materiali solidi come pomice, di ceneri ricche di sali di potassio, calcio e sodio - che diventano ottimi fertilizzanti - e masse di fango che formano il tipico monte conico. Un'eruzione "effusiva" è invece caratterizzata dalla colata di lava fluida che si fa strada tra le fessure del cratere.
Anche Seneca, testimone del terribile terremoto che sconvolse le terre vesuviane nel 62 d.C., contribuì allo studio della vulcanologia, quando individuò nella pressione dei gas, che accompagnano la scossa tellurgica, l'origine dei focolai sotterranei che precedono l'eruzione.
Pochi anni dopo, nel 79 d.C., il Vesuvio si risvegliò con un grande boato dopo più di mille anni di inattività: l'ultima eruzione, prima della fine di Pompei, risale al XII sec. a.C.
Quando, nel 79 d.C., si abbatte il flagello dell'eruzione del Vesuvio, la città somiglia ad un cantiere: fervono i lavori di ricostruzione degli edifici pubblici e privati, colpiti da un rovinoso terremoto appena diciassette anni prima, nel 62 d.C. Pompei a quel tempo era già una città antica, che aveva perso peso politico ed era abitata prevalentemente da una società ricca ed individualista, erede dell'ellenizzazione, proiettata sulla vita culturale e sostenuta da un commercio d'élite. Al volgere del I sec. d.C. gli edifici denotano lusso privato e pubblico con un'architettura celebrativa: sul grande Foro si affacciano quattro templi, vi sono due teatri, un anfiteatro, numerose terme e palestre, sontuose ville all'interno delle mura urbane, che coprono spesso un'intera "Insula" e mausolei monumentali delle famiglie notabili che fiancheggiano le vie suburbane. La ricostruzione della città - che tra liberi e schiavi contava 20.000 abitanti - avviene senza sovvenzioni "imperiali", né di Nerone né di Vespasiano o di Tito: è la ricca cittadinanza che riesce a provvedere a se stessa. La Pompei conservata sotto i lapilli è dunque una città relativamente "recente", che ha subito diversi mutamenti urbani e architettonici al momento della catastrofe.
Alcune tombe a fossa, ritrovate nella valle del fiume Sarno, dimostrano che la regione era abitata già nell'VIII sec. a.C.
Pompei viene fondata da una popolazione osca, che giunge qui nel VI sec. a.C. ed è interessante notare che per lunghi secoli la lingua parlata di Pompei è l'osco. L'influenza greca è fortemente sentita da tutte le città costiere della Campania. L'egemonia greca viene insidiata soltanto dagli Etruschi, che giungono fino a Pompei, ma vengono sconfitti nella battaglia contro Cumani e Siracusani alla metà del V sec. a.C.
Saranno infine i Sanniti che riusciranno ad occupare tutta la regione ad esclusione di Neapolis. Nel periodo sannitico viene creato l'impianto urbanistico di ispirazione greca. Coinvolta nel IV sec. a.C. nelle guerre sannitiche, Pompei deve accettare la supremazia romana, ma conserva l'autonomia. Durante la Seconda Guerra Punica rimane fedele a Roma ed in cambio riceve una relativa indipendenza istituzionale. Nel II sec. a.C. raggiunge l'apice dell'agiatezza e dello splendore: risalgono a quel periodo le sontuose dimore di tipo ellenistico, come la "Casa del Fauno", la "Villa dei Misteri" e la "Casa delle Nozze d'Argento".All'inizio del I sec. a.C. scoppia a Roma la Guerra Sociale. Pompei si ribella, alleata con altre città campane, contro i Romani. Assediata dalle truppe di Silla, la città è costretta a capitolare nell'89 a.C. Pompei diventa municipio romano e Silla vi stabilisce una colonia di veterani - la "Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum", che richiama il nome di famiglia di Silla "Cornelius" e della dea protettrice "Venere". Pompei entra definitivamente nell'orbita romana.
Possiamo scoprire i mestieri di Pompei osservando una fascia decorativa nella "Casa dei Vettii", dove una folla di amorini si dedica alle più svariate attività: vi sono amorini fabbri, tessitori, farmacisti, orefici, vasai, pescatori e venditori.
La fertile piana era coltivata a vigna, ulivi e legumi. Sono famosi gli "Horti" pompeiani, annessi alle ville, che producevano ogni genere di frutti. Nelle botteghe della città si commerciava in olio, vino, pane e lana. Un prodotto particolarmente apprezzato di Pompei era il "garum", una salsa di pesce di cui andavano ghiotti i Romani e che veniva esportata in tutto il paese.
Molti erano i laboratori di filatura, tintura e tessitura della lana, vere e proprie aziende in mano alle famiglie notabili. Per controllare l'economia a Pompei operavano i banchieri: sono state trovate numerose tavolette cerate che recavano le cifre patrimoniali delle ricevute e dei pagamenti.
Dopo il terremoto del 62 d.C. a Pompei si moltiplicano i manifesti elettorali sulle facciate delle case: era urgente scegliere le autorità incaricate di soprintendere ai finanziamenti e agli appalti per la ricostruzione. La propaganda politica riguardava l'elezione annuale di due magistrati supremi, i "duumviri", responsabili della giustizia e del governo, che insieme a due magistrati inferiori, gli "aedili", addetti all'amministrazione delle strutture pubbliche, presiedevano il consiglio municipale, formato da cento decurioni magistrati.
I manifesti elettorali dipinti sui muri dagli "scriptores" sono di natura elogiativa del candidato, che presenta se stesso "degnissimo", "probo", "onesto" o "religiosissimo" oppure sono di sostegno da parte degli elettori, poiché "tutti gli abitanti del quartiere lo vogliono". L'elettore votava con una tavoletta cerata sulla quale era inciso il nome del favorito e poi deponeva la "scheda" in un'apposita urna della sua circoscrizione, esattamente come succede oggi.
Sugli amori di Pompei si favoleggia parecchio: gli espliciti segni erotici - pitture che illustrano le posizioni amorose, generosi "Priapi", falli di buon auspicio sulle mattonelle e richiami d'amore graffiti sui muri - non lasciano dubbi sull'intensità delle pratiche d'amore nella città vesuviana. Vi sono vere e proprie case di piacere, i "lupanares", dove si pagano tariffe fisse per le fanciulle compiacenti - "Aegle la greca, Maria l'ebrea, Smyrna l'asiatica". Poi vi sono le osterie con camere per gli amori mercenari veloci, consumati nel retrobottega, dopo aver mangiato e bevuto.
Molti sono i messaggi amorosi sulle pareti delle case, ironici, struggenti, intimidatori, casti, focosi o pettegoli:
"Mia vita, mia delizia, diamo corso per un po' a questo giuoco: sia questo letto un campo e io il tuo destriero"
"Chiunque ami, vada in malora. Voglio spezzare a Venere le costole a colpi di bastone e storpiare i fianchi della dea. Se ella può trafiggermi il tenero cuore perché non potrei io spaccarle il capo col bastone ?"
"L'ho detto e l'ho scritto. Tu ami Iride che non si cura di te"
"La lascio a te la Venere di marmo. Io inseguo la matrona che mi accende e, avvinto, mi inebria con il suo incanto".
Numerose sono a Pompei le botteghe degli artisti e artigiani decoratori delle pareti: vi sono quelle di primo livello, specializzate nelle scene di paesaggio, di mitologia e nei ritratti; ma vi sono anche quelle più modeste, a buon mercato, concentrate intorno alla via di Castricio, che offrono un repertorio di quadretti, ghirlande e qualche bizzarria. Inoltre, vi sono le "officina", gli studi specializzati in calligrafia dove operano gli "scriptores" dei manifesti elettorali.
La pittura pompeiana è suddivisa in quattro fasi: strutturale e architettonica (dette anche "stile a incrostazioni"), ornamentale (di influenza orientalizzante) e fantastica (la più scenografica, colma di arabeschi e invenzioni prospettiche).
La tecnica più diffusa consiste nella preparazione della parete con uno strato di calce e sabbia, sul quale viene applicata una pellicola, composta di calce, sapone e cera, lisciata e lucidata. Su quell'intonaco si procede con la pittura a secco, miscelando i colori a calce liquida, sapone e cera.
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