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Nero come fascismo




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Nero come  fascismo


Dal 1919 al 1920 vi fu il cosiddetto "biennio rosso" caratterizzato dalle lotte contadine e operaie causato dalla chiusura da parte degli industriali degli stabilimenti. In risposta, appunto, gli operai occuparono le principali fabbriche e in prima linea a questa occupazione vi era il gruppo rivoluzionario fondato da Antonio Gramsci. Gli industriali pretendevano l'intervento della forza pubblica per stroncare un'agitazione prerivoluzionaria, ma Giolitti obiettò dicendo che era meglio puntare a un compromesso. Così in effetti accadde, mentre la stanchezza e la sfiducia si diffondevano fra gli occupanti, la lotta si concluse con un accordo fra imprenditori e sindacato, mediatore il governo, che prevedeva consistenti aumenti salariali e una futura partecipazione dei lavoratori al controllo della aziende. Inoltre, l'occupazione delle fabbriche acuì la paura per una rivoluzione socialista che in realtà era sempre più lontana dal realizzarsi e favorì l'orientamento verso una soluzione reazionaria che avrà come protagonista il movimento fascista.

Alla prima riunione del movimento dei Fasci di combattimento parteciparono poche centinaia di persone; i Fasci in tutta Italia erano solo 31, con 870 iscritti eppure dopo nemmeno tre anni, il re Vittorio Emanuele III conferiva a Mussolini l'incarico di formare il governo, mentre squadre di fascisti armati marciavano su Roma. E dopo altri due soli anni, Mussolini instaurava di fatto la dittatura fascista. I principali fattori che determinarono l'ascesa al potere del fascismo furono i seguenti:

● l'appoggio della borghesia agraria e industriale, che vide nel fascismo uno strumento per                                   stroncare il movimento socialista;

● il successo che il fascismo ottenne presso i ceti medi urbani e rurali;

● la crisi del sistema politico liberale di fronte alla nuova realtà rappresentata da movimenti e partiti di massa;

● il disegno, coltivato dai liberali e cattolici, di utilizzare il fascismo per ridimensionare la sinistra;

● infine, la debolezza e le divisioni all'interno del movimento socialista.

Dopo la sua espulsione dal Partito socialista, Mussolini aveva continuato la sua opera di agitazione politica dalle colonne del "Popolo d'Italia", il quotidiano di cui era fondatore e proprietario. Il programma iniziale dei Fasci era decisamente repubblicano e anticlericale, presentava richieste di democrazia politica e sociale; proponeva addirittura la tassazione straordinaria del capitale e il sequestro dell'85% dei sovrapprofitti di guerra. Verso l'autunno del 1920 iniziarono le spedizioni delle squadre d'azione fasciste contro esponenti e sedi del movimento socialista. Questo passaggio avvenne nelle campagne, in quanto furono i proprietari terrieri e gli agrari a utilizzare le "camicie nere" per stroncare il movimento contadino. Le squadre fasciste erano composte soprattutto da giovani, ex combattenti, ufficiali appena congedati, studenti e anche disoccupati. Si muovevano rapidamente da un borgo a un altro su camion di notte distruggendo le case dei militanti sindacali e politici, bastonandoli o addirittura uccidendoli. Questa violenza aveva un forte contenuto simbolico: essa mirava a intimidirlo, deriderlo, svergognarlo, per esempio legandolo nudo a un albero costringendolo, dopo la bastonatura, a "purgarsi" con l'olio di ricino. Nello stesso tempo essa mirava anche ad attrarre, a fare nuovi proseliti poiché la violenza fascista esercitava un'attrazione e un vero e proprio fascino per una parte di giovani che si erano esaltati per una guerra che non avevano potuto combattere.

Al primo governo di Mussolini si susseguirono sei diversi governi e questa instabilità politica era il sintomo di una grave crisi della vecchia classe dirigente liberale, che non riusciva più a governare con maggioranze stabili. In questa situazione, nella classe dirigente liberale guadagnò terreno l'ipotesi di un'alleanza elettorale che comprendesse i nazionalisti e anche i fascisti. Quest'ultimi alle elezioni del maggio 1921 si presentarono all'interno di blocchi nazionali, cioè in liste comuni con i liberali e altri gruppi di centro, ottenendo 35 seggi. Il problema di Mussolini, però, era quello di trasformare il movimento fascista in una forza politica. Al congresso dei Fasci Benito Mussolini riuscì nel suo intento, trasformando il vecchio movimento dei Fasci nel Partito Nazionale fascista. Il programma di questo partito era molto lontano da quello originario, esso prevedeva uno stato forte e la limitazione dei poteri del parlamento; esaltava la nazione e la competizione fra nazioni; proponeva la restituzione all'industria privata di servizi essenziali gestiti dallo stato; invocava il divieto di sciopero nei servizi pubblici. Si trattava di un programma di profilo conservatore e nazionalista. La cosiddetta marcia su Roma ebbe inizio negli ultimi giorni di ottobre con l'occupazione di edifici pubblici in varie città dell'Italia centro-settentrionale e il 23 ottobre le squadre fasciste entrarono nella capitale mentre Mussolini a Milano, attendeva il compiersi degli eventi. Il re Vittorio Emanuele III rifiutò di decretare lo stato d'assedio per difendere la capitale e il 25 ottobre convocò a Roma Mussolini affidandogli l'incarico di formare un nuovo ministero. Il 16 novembre Mussolini presentò il suo governo al parlamento. La marcia su Roma e la formazione del primo governo di Mussolini segnarono il crollo delle istituzioni liberali e democratiche.

Il periodo tra l'ottobre 1922 al gennaio 1925 è stato individuato come una fase di transizione verso il vero e proprio regime fascista. Mussolini cercò di presentare il Partito come centro di aggregazione e di rassicurare i ceti sociali, le forze politiche e parte dell'opinione pubblica. Sul paino internazionale il fascismo veniva visto come niente di diverso da una forza conservatrice capace di opporsi con successo al pericolo di un'affermazione socialista. La violenza squadrista continuava impunita e il settore più intransigente del partito spingeva perché Mussolini lanciasse una "seconda ondata" della cosiddetta rivoluzione fascista; che spazzasse via definitivamente ogni residua opposizione. Esemplare fu la costituzione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, una sorta di "esercito parallelo" che inquadrava le squadre d'azione fasciste agli ordini del capo del governo. La Milizia fu uno strumento per incanalare e disciplinare il fascismo più bellicoso, al tempo stesso era una minaccia perenne che Mussolini poteva far pesare nel gioco politico. Altri provvedimenti furono: approvazione di una legge che consentiva al governo di legiferare attraverso decreti, sottraendo autorità al parlamento; approvazione di pesanti limitazioni alla libertà di stampa mediante la censura; collocazione di funzionari fascisti in molti posti-chiave dell'amministrazione pubblica; attuazione di una politica economica favorevole all'industria privata e ai possessori di grossi patrimoni; abolizione della nominatività dei titoli azionari; riduzione dell'imposta di successione; abolizione delle imposte straordinarie sui sovrapprofitti di guerra; concessione del servizio telefonico a società private. Tra i popolari si giunse al conflitto aperto fra il Partito popolare italiano fondato del sacerdote Sturzo, che giudicava incompatibile il fascismo con gli ideali del cattolicesimo, e quella clerico-moderata, che sosteneva Mussolini. Quest'ultimo riuscì a guadagnare consensi nell'area conservatrice del mondo cattolico grazie al salvataggio del Banco di Roma (centro della finanza cattolica) e ad alcuni provvedimenti contenuti nella legge di riforma scolastica, approvata nel marzo 1923 a firma del ministro Gentile. Nello stesso anno Mussolini riuscì a far approvare una nuova legge elettorale ossia la "legge Acerbo", basata sul principio maggioritario: alla lista che avesse ottenuto la maggioranza dei voti sarebbero stati assegnati i due terzi dei seggi. Con questa legge si andò alle elezioni dell'aprile 1924, alle quali il Partito fascista si presentò all'interno di una lista nazionale o il cosiddetto "listone", composta da 356 candidati. Il "listone" ottenne un grande successo con il 65% dei voti. Brogli e intimidazioni di ogni tipo, operati dai fascisti, accompagnarono le votazioni, ma il successo di Mussolini nasceva dal fatto che il fascismo era riuscito a proporsi di fronte alla borghesia, alla classe dirigente e ai ceti medi come forza politica in grado di garantire la stabilità politica e l'ordine sociale. Il 10 giugno 1924 Matteotti, che aveva denunciato i brogli e le violenze elettorali, fu rapito da una squadra fascista e, in seguito, fu ritrovato morto il 16 agosto. Il delitto Matteotti scosse l'opinione pubblica, aprendo una grave crisi politica: per la prima volta il potere di Mussolini sembrò vacillare. Ma il sovrano Vittorio Emanuele III non fu capace di destituirlo e con il passare dei mesi Mussolini potè riprendere in pugno la situazione. L'epilogo fu un famoso discorso al parlamento del 3 gennaio 1925, con cui egli si assunse la responsabilità del delitto Matteotti. Con questo discorso il parlamento veniva di fatto privato di ogni autorità e la legalità costituzionale sospesa.

Il progetto politico di Mussolini, a partire del 1925, mirò alla fascistizzazione dello stato e della società civile, cioè alla subordinazione al potere fascista e alla sua ideologia delle istituzioni, dell'amministrazione pubblica e di tutte le forme di vita associata. Punto di partenza di tale trasformazione furono le leggi fascistissime del 1926-26, ispirate dal giurista Alfredo Rocco, che resero il capo del governo responsabile solo di fronte al re, non più di fronte al parlamento. Furono messi fuori legge tutti i partiti politici, a eccezione di quello fascista, furono sostituiti i sindaci con podestà nominati dal sovrano e subordinati ai prefetti, furono chiusi i giornali antifascisti e fu istituito una severa censura su tutta la stampa. Inoltre fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, formato da ufficiali della Milizia e dalle forze armate. Questi provvedimenti abolivano di fatto la libertà democratica, impedendo ogni manifestazione di dissenso. Il potere legislativo risultò totalmente subordinato all'esecutivo e il parlamento finì per assumere una funzione puramente decorativa, soprattutto con la legge elettorale plebiscitaria. Questa legge, infatti, prevedeva che l'elettore potesse solamente dire "si" o "no" a una lista di 400 candidati designata dagli organi supremi del fascismo. Mussolini tolse la direzione del Partito allo squadrista Farinacci e trasformò il partito stesso in una struttura burocratica e gerarchica strettamente controllata dal vertice e sottoposta ai prefetti sul piano locale. Organo supremo del partito era il Gran consiglio del fascismo, presieduto da Mussolini e composto da vari notabili del regime. Il fascismo abolì anche ogni libertà di contrattazione sindacale e visto che i sindacati fascisti faticavano a imporsi nei luoghi di lavoro, nell'ottobre del 1925 si giunse a un accordo tra la Confederazione e la Confindustria con il "Patto di palazzo Vidoni". Questo patto dava efficacia giuridica solo ai contratti di lavoro stipulati dai sindacati fascisti, impedendone l'azione sindacale a socialisti, comunisti e cattolici. I conflitti di lavoro dovevano essere decisi dalla magistratura del lavoro, vennero abolite le commissioni interne; lo sciopero e la serrata furono proibite per legge.

Tutti i settori della produzione, del lavoro e delle professioni dovevano essere organizzati in corporazioni, cioè in organismi che rappresentavano i diversi interessi, ma che erano al tempo stesso inquadrati all'interno dello stato. L'idea di fondo era che il libero conflitto sociale non avesse diritto si esistenza e che ogni conflitto di interessi dovesse essere regolato dallo stato, secondo i principi della "dottrina" fascista. Identico significato aveva il corporativismo, esposto nella Carta del lavoro del 1927, documento che affermava che "il lavoro è un dovere sociale" e che tutti gli interessi particolari dovevano essere subordinati "agli interessi superiori della produzione". Attraverso le corporazioni, lo stato fascista si proponeva come guida della vita produttiva e sede di conciliazione e superamento dei conflitti sociali. Nel progetto fascista la rappresentanza corporativa andava a sostituire la rappresentanza elettiva: in altri termini, i rappresentanti del popolo non dovevano essere più nominati attraverso il voto ma ordinati in 22 corporazioni. Nel gennaio 1929 si giunse all'istituzione della camera dei fasci e delle corporazioni che abrogava la camera dei deputati. Il fascismo utilizzò anche una vasta scala di strumenti propagandistici, che tentavano di orientare i modi di pensare , la mentalità e le stesse attività quotidiane delle grandi masse. Venne fondato un ente radiofonico "l'Eiar", che gestiva e controllava le trasmissioni di questo nuovo mezzo di comunicazione e i discorsi di Mussolini alla radio vennero trasmessi nelle piazze per mezzo di altoparlanti. Nel 1937 fu istituito il ministero della cultura popolare che aveva il compito di controllare tutti gli aspetti della vita culturale. L'iscrizione al partito divenne obbligatoria per i dipendenti pubblici ed era comunque un requisito necessario per ottenere impieghi e promozioni. Il partito controllava poi le diverse organizzazioni di massa istituite dal regime per educare la gioventù ai valori fascisti. Notevole diffusione ebbe l'opera nazionale dopolavoro, che organizzava il tempo libero dei lavoratori con gite, gare sportive, spettacoli.

I rapporti tra lo stato e la chiesa avevano perso da tempo il carattere conflittuale degli inizi, infatti l'11 febbraio 1929 Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri, segretario di stato Vaticano, firmarono i Patti lateranensi, composti da tre documenti: un trattato, con cui la Santa sede riconosceva la sovranità dello stato italiano con Roma capitale e lo stato riconosceva la sovranità pontificia sulla città del vaticano; la convenzione finanziaria, con cui lo stato versava al Vaticano una somma a titolo di indennità; il Concordato, destinato a regolare i rapporti tra i due organismi, inoltre il concordato limitava l'autorità della legislazione civile su punti importanti e garantiva autorità all'Azione cattolica. Comunque non mancarono successivamente momenti di tensione tra la chiesa e lo stato fino ad arrivare allo scontro aperto nel 1931: Mussolini sciolse tutte le associazioni giovanili cattoliche salvo l'Azione cattolica.

La politica estera del fascismo attraversò diverse fasi. In un primo periodo (1922-25) fu una politica liberista diretta da De Stefani, il quale attuò da un lato una serie di provvedimenti che favorivano la libertà di iniziativa economica, dall'altro agì per diminuire la spesa pubblica. I risultati furono notevoli: grazie anche alla bassissima conflittualità sindacale, l'Italia potè agganciarsi alla favorevole fase dell'economia internazionale conoscendo così un'intensa fase di sviluppo economico. Nel secondo periodo (1925-30) iniziarono a emergere difficoltà economiche, dovute a una serie di fattori: il rallentamento dell'economia internazionale; lo squilibrio della bilancia dei pagamenti; la svalutazione della lira; una forte ripresa dell'inflazione. In questa situazione la stabilizzazione economica e finanziaria divenne una priorità assoluta di Mussolini. In un famoso discorso a Pesaro egli annunciò la rivalutazione della lira: il cambio della sterlina venne fissato a 90 lire. De Stefani era stato sostituito da Giuseppe Volpi di Misurata, che ripristinò il dazio sul grano e sullo zucchero, ridusse la moneta circolante, intensificò il controllo sul credito. La manovra ottenne alcuni risultati positivi: l'inflazione venne raffreddata; cessò la speculazione contro la lira e consistenti capitali stranieri iniziarono a prendere la via dell'Italia. L'altra faccia della medaglia fu il rallentamento dell'economia e l'ulteriore compressone dei consumi: i braccianti, gli operai, gli impiegati videro le loro retribuzioni diminuire e i prezzi salire. La deflazione implicò una trasformazione strutturale  dell'industria italiana, con uno spostamento del suo asse centrale dai tradizionali settori della produzione tessile a quelli della chimica, delle fibre artificiali, dell'elettricità. L'intervento dello stato in economia divenne, nel terzo periodo (gli anni Trenta), una vera e propria forma di dirigismo economico. In una situazione internazionale caratterizzata dalla chiusura protezionistica delle diverse economie il regime reagì, da un lato, riducendo le retribuzioni e comprimendo i consumi privati e, dall'altro, intensificando il suo ruolo di direzione dell'economia. L'operazione più importante fu la creazione dell' Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), un ente pubblico che, per impedire il tracollo, acquisì la proprietà delle maggiori banche e dei pacchetti azionari delle imprese. Attraverso l'IRI lo stato diventò proprietario di oltre il 20% dell'intero capitale azionario nazionale e decine di imprese vennero "salvate". Nella politica agraria del fascismo le ragioni economiche e quelle della propaganda si intrecciarono tra loro, poiché l'Italia era ancora un paese prevalentemente agricolo. L'Italia fu dunque oggetto di diverse "battaglie", la prima fu la battaglia del grano, lanciata con l'obiettivo di aumentare la produzione agricola, il quale fu sostanzialmente raggiunto. Un successo solo parziale ebbe poi un'altra battaglia, quella per la bonifica integrale, lanciata sulla base del progetto del tecnico Serpieri, riguardante bonifiche idrauliche e risistemazione di comparti agricoli e finalizzato ad aumentare l'occupazione nelle campagne. Infatti il fascismo da un lato spingeva per una politica demografica espansiva, identificando crescita della popolazione e potenza della nazione. Dall'altro lato, il regime proibì l'emigrazione, per ragioni di prestigio interno e internazionale. L'enorme dilatazione della presenza dello stato nell'economia e nella vita sociale avvenne con la moltiplicazione degli enti pubblici, economici, assistenziali e previdenziali.

In campo coloniale, la politica del regime fascista fu rivolta a riconquistare gran parte della Libia. La resistenza dei ribelli fu vinta con le armi, in una lotta che fu condotta con metodi molto violenti. In Somalia il dominio italiano venne ampliato, anche in questo caso piegando con la forza la resistenza delle popolazioni e dei vari capi locali. Diverse motivazioni indussero Mussolini a lanciare l'Italia in una impresa coloniale difficile e costosa. Agivano motivi di prestigio internazionale; di carattere economico; infine di politica interna poiché l'espansione coloniale era vista come mezzo per consolidare il consenso e l'unità nazionale. E così il 3 ottobre 1935 le truppe italiane iniziarono l'invasione dell'Etiopia; dopo una campagna militare condotta con grande abbondanza di uomini e mezzi e con l'uso di gas tossici, l'invasione si concluse con la presa di Addis Abeba e la fuga dell'imperatore. La condanna dell'impresa da parte dell'opinione pubblica internazionale fu unanime e la società delle nazioni dichiarò l'Italia paese aggressivo, applicando ai suoi danni sanzioni economiche: divieto di esportare in Italia armi, munizioni e merci per l'industria di guerra, divieto di importare merci italiane. L'impresa d'Etiopia determinò all'Italia la rottura del legame con le potenze democratiche occidentali e l'avvicinarsi sempre più verso la Germania di Hitler.

Il totalitarismo fascista fu tuttavia "imperfetto" perché non si realizzò quell'identificazione fra italiano e fascista, uno dei grandi obiettivi di Mussolini.

La legislazione razziale venne approvata nell'autunno del 1938: furono introdotte leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei, quali il divieto di sposarsi con i cittadini italiani "ariani", l'esclusione dal servizio militare e dalle cariche pubbliche, la limitazione nell'esercizio di attività economiche e di libere professioni. In realtà non esisteva, nella cultura e nella mentalità italiana una forte componente razzista e antisemita, infatti, la comunità ebraica era ben integrata. La legislazione razziale rientrava in quella avversione per il "diverso".


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