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In Italia (come in Germania) il conseguimento dell'unità fu reso possibile dall'esistenza di uno Stato più forte degli altri economicamente e militarmente, capace di fungere da guida e da nucleo centrale della nuova compagine statale.
Un potente stimolo all'unificazione politica venne dalle esigenze di una borghesia in crescita, desiderosa di creare o di estendere quel mercato nazionale che era considerato una premessa indispensabile allo sviluppo economico. I ceti borghesi furono, col sostegno di ampi strati popolari urbani, gli indiscussi protagonisti della rivoluzione nazionale.
Lo Stato nazionale - consacrato dai plebisciti - nacque dalla combinazione di un'iniziativa dall'alto (la politica di Cavour e della monarchia sabauda) e di un'iniziativa dal basso (le insurrezioni nell'Italia centrale e la spedizione garibaldina nel Sud).
In Italia il ritorno dei sovrani legittimi dopo il fallimento delle rivoluzioni del '48-49 bloccò ogni esperimento riformatore e frenò pesantemente lo sviluppo economico dei vari Stati, mentre veniva sancita l'egemonia austriaca nella penisola.
Solo in Piemonte la situazione era diversa. Qui fu conservato il regime costituzionale; venne intrapresa un'opera di modernizzazione dello Stato, soprattutto nel campo dei rapporti con la Chiesa (legge Siccardi, che poneva fine ai privilegi di cui il clero godeva nel Regno sabaudo).
Nel 1852 il conte Camillo Benso di Cavour, aristocratico e uomo d'affari, proprietario terriero e giornalista, diveniva presidente del consiglio. Si affermava, così, un politico dai vasti orizzonti culturali e dall'ampia conoscenza dei problemi economici, animato dalla fede in un liberalismo pragmatico e moderno.
Spostato a sinistra l'asse del governo (<<connubio>> Cavour-Rattazzi), il nuovo presidente del Consiglio pose mano anzitutto alla modernizzazione economica del paese, attraverso l'adozione di una linea liberoscambista sul piano dei rapporti commerciali (trattati con Francia, Belgio, Austria e Gran Bretagna; graduale abolizione del dazio sul grano), il sostegno dello Stato all'industria, le opere pubbliche.
La conservazione delle libertà costituzionali, lo sviluppo economico, l'accoglienza data agli esuli provenienti dagli altri Stati italiani fecero del Piemonte cavouriano il punto di riferimento per l'opinione pubblica liberale di tutta la penisola.
Proseguiva instancabile, dopo le sconfitte del '48-49, l'attività di Mazzini, volta al raggiungimento dell'indipendenza e dell'unità per via insurrezionale. I tragici insuccessi contro cui la sua strategia si scontrò fecero crescere i dissensi entro il movimento democratico; si vennero delineando nuovi orientamenti che tendevano a mettere in discussione la figura di Mazzini e a contestare la sua strategia. Alcuni democratici, come Ferrari e Pisacane, sostenevano che la lotta per l'indipendenza nazionale avrebbe potuto avere successo solo se avesse saputo legare a sé le classi popolari.
Pisacane, ritenendo che l'Italia meridionale offrisse, per le sue caratteristiche di paese arretrato con una borghesia ancora debole, il terreno più adatto per la rivoluzione, organizzò nel 1857 una spedizione nel Sud. Il tragico esito della spedizione - dovuto soprattutto all'ostilità delle popolazioni locali - sollecitò l'iniziativa di quegli esponenti democratici che vedevano nell'alleanza con la monarchia sabauda l'unica possibilità di successo. Il movimento indipendentista filopiemontese, cui aderì anche Giuseppe Garibaldi, si diede nel 1857 una struttura organizzazitva e assunse il nome di Società nazionale.
Dopo la partecipazione alla guerra di Crimea, Cavour strinse a Plombières (1858) un'alleanza militare con Napoleone III in vista della guerra contro l'Austria, che scoppiò nell'aprile dell'anno successivo. Le sorti del conflitto volsero subito a favore dei franco-piemontesi.
Ma l'armistizio di Villafranca - improvvisamente stipulato da Napoleone III - assegnava allo Stato sabaudo la sola Lombardia.
In seguito alla nuova situazione creata dalle insurrezioni nell'Italia centrosettentrionale, Cavour potè negoziare con Napoleone III la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia in cambio dell'assenso francese alle annessioni del Granducato di Toscana, dei Ducati di Modena e di Parma, delle Legazioni pontificie.
Nel marzo dello stesso anno, le popolazioni di Emilia, Romagna e Toscana, chiamate a scegliere, nella forma del plebiscito, fra l'annessione al Piemonte e la creazione di regni separati, si pronunciarono a schiacciante maggioranza per la soluzione unitaria.
I modi in cui erano avvenute le annessioni dell'Italia centrale e l'amarezza per la cessione di Nizza e della Savoia, sentita da Garibaldi e dagli avversari di Cavour come una violazione del principio di nazionalità, fecerò sì che i democratici organizzassero la prosecuzione dell'iniziativa rivoluzionaria attraverso una spedizione nel Mezzogiorno.
Nel maggio 1860 Garibaldi sbarcò in Sicilia con mille volontari e, sconfitte le truppe borboniche, formò un governo provvisorio.
Spaventati dalle agitazioni agrarie, i proprietari terrieri siciliani guardarono con favore all'annessione al Piemonte, come all'unica efficace garanzia per la tutela dell'ordine sociale.
Dopo lo sbarco di Garibaldi in Calabria e il suo ingresso a Napoli, divenne urgente per il governo piemontese un'iniziativa al Sud tale da evitare complicazioni internazionali e garantire alla monarchia sabauda il controllo della situazione.
Con l'intervento militare del Piemonte, l'approvazione da parte del Parlamento piemontese di una legge proposta da Cavour (che autorizzava il governo a decretare l'annessione di altre regioni italiane allo Stato sabaudo) e i plebisciti a suffragio universale tenuti in tutte le province del Mezzogiorno continentale e in Sicilia, fu decisa l'annessione allo Stato sabaudo. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II fu proclamato re d'Italia dal primo Parlamento nazionale (eletto su base censitaria).
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