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L'Italia di Giolitti




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L'Italia di Giolitti


Giolitti è un successore di Crispi dopo Zanardelli, è un rappresentante della Sinistra liberale. Ha avuto modo in più di un'occasione di dimostrare il proprio orientamento, già da quando era ministro degli interni per Zanardelli. Infatti per questo motivo i conservatori avevano cercato di cacciarlo in occasione dello scandalo del Banco romano. Oppure successivamente allo sciopero di Genova quando affermò che l'azione politica trovava la sua base nella funzione unificante del governo, legittimava le organizzazioni dei lavoratori, lo stato doveva, secondo lui, rappresentare tutte le forze sociali e quindi cercare di pacificare ed eliminare le contese. Nel caso di manifestazioni o scioperi le forze dell'ordine dovevano intervenire solo se ci fossero state delle violazioni del codice penale. Legittimava infine l'ascesa delle classi lavoratrici e i miglioramenti salariali, necessari per lo sviluppo economico.

Anche la politica economica risentiva di questo orientamento, che attirò capitali stranieri e stimolò lo sviluppo di alcuni settori. Il decollo economico avvenne per una serie di innovazioni, come l'intervento delle banche miste, lo sviluppo delle ferrovie, la nazionalizzazione dei servizi pubblici, la municipalizzazione di servizi quotidiani e le misure protezionistiche attuate. Ma ruolo fondamentale lo ebbero le commesse statali. Nonostante questo sviluppo l'Italia rimaneva indietro rispetto gli altri paesi, a causa anche dell'arretratezza del meridione, a cui il governo non da la giusta importanza.

Duplice effetto hanno le commesse statali, esse fecero si che le industrie italiane decollino e allo stesso tempo le trascinarono al fallimento, per la loro eccessiva dipendenza. Il mercato interno è limitato perché le masse sono ancora prevalentemente contadine e lo Stato non partecipa alle rivendicazioni dei lavoratori. Anche se dei provvedimenti migliorarono le condizioni dei lavoratori e quindi anche quelle della vita.

Il governo di Giolitti si esaurisce soprattutto per la crisi finanziaria, dovuta alla fine della congiuntura economica. Giolitti cercò di mantenere l'appoggio dei socialisti con una serie di riforme, come quella scolastica, l'istituzione di un monopolio di stato sulle assicurazioni sulla vita, la riforma elettorale. Riceve pressioni da parte della popolazione, soprattutto da industrialismi e nazionalisti, per la ripresa della politica coloniale, che avrebbe consentito uno sbocco per la disoccupazione. I nazionalisti rientravano in un movimento che si era sviluppato in tutta Europa con ideali antidemocratici e antisocialisti  che premevano per entrare in guerra contro la Libia e poi in occasione del conflitto mondiale.

Spinto da parte dell'opinione pubblica, il governo italiano dichiara guerra alla Libia nel 1911. nonostante la guerra durò e costò più del previsto l'Italia vinse il conflitto e fu riconosciuto il possesso. I movimenti che avevano contribuito a convincere il governo ne uscirono rafforzati, la linea rivoluzionaria dei socialisti prese il sopravvento, ma Giolitti venne indebolito e costretto a cercare nuove alleanze, come quella con i cattolici non intransigenti. Egli sigla un Patto con Gentiloni, nel 1913, per cercare di arginare il potere dei socialisti. I cattolici sono disponibili a dare il loro voto alle prossime elezioni, grazie anche all'apertura di Pio X, che attenuò il non-expedit. Infatti nelle elezioni Giolitti ottiene la maggioranza in parlamento. L'opinione pubblica però è delusa e trova sbocco in una dura campagna di stampa condotta dagli intellettuali meridionali, guidati da Salvemini che definiscono Giolitti "ministro della malavita". È accusato di clientelismo e si oppongono alla linea del compromesso parlamentare. Queste difficoltà si sommano al passaggio dei radicali all'opposizione e costringono Giolitti a dimettersi, anche se questo, nominando il suo successore, ha speranze di essere presto richiamato, cosa che però non avviene.



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