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L'eta' giolittiana




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L'ETA' GIOLITTIANA


Dopo la morte di Umberto I, divenne re all'età di 31 anni il figlio Vittorio Emanuele III, che prevedeva un rapido ritorno alla più rigida legalità costituzionale. Nel 1901 il re affidò l'incarico di formare il governo all'esponente più in vista della Sinistra, Giuseppe Zanardelli. Questi abbandonò il sistema repressivo, concesse un'amnistia ai condannati politici e stabilì una limitata libertà di associazione, di propaganda e sciopero. Nel 1903, in seguito al ritiro per malattia di Zanardelli, fu chiamato a capo del governo il ministro degli interni Giovanni Giolitti che mantenne la carica per quasi un decennio [età giolittiana].

Di orientamento liberale e appartenente alla cosiddetta Sinistra costituzionale, Giolitti era dotato di una precisa conoscenza della realtà, di un solido equilibrio e di uno spiccato senso del dovere. Si preoccupò sempre di unire gli interessi proletari a quelli borghesi e di operare in condizioni di rigorosa neutralità fra capitale e lavoro. Giolitti fu abilissimo nel trovare un equilibrio tra le forze sociali, promovendo da un lato un'avanzata legislazione sociale e dall'altro una politica volta a favorire la nascente industria italiana. Giolitti sosteneva che lo Stato doveva essere un'entità superiore agli interessi di parte. Concesse pertanto ampia libertà di sciopero e, ogni volta che essa venne esercitata, si limitò a mantenere l'ordine pubblico in attesa che i contrasti tra lavoratori e proprietari si risolvessero per mezzo di trattative dirette.

Nel campo legislativo usò l'arma delle riforme per mantenere il controllo sulle masse. Nel corso del suo decennio di governo venne pertanto perfezionata e migliorata la legislazione in favore dei lavoratori anziani, infortunati o invalidi, vennero emanate nuove norme sul lavoro delle donne e dei fanciulli, venne esteso l'obbligo dell'istruzione elementare fino al dodicesimo anno d'età, eccetera. Inoltre, venne per la prima volta stabilita un'indennità parlamentare. Egli favorì inoltre la conquista di migliori retribuzioni, accrescendo le possibilità di acquisto delle classi lavoratrici. Tutto questo, oltre ad altri interventi nel campo sanitario come la distribuzione gratuita del chinino contro la malaria, portò ad un incremento demografico. Il maggior benessere generale così raggiunto facilitò il risanamento dell'economia nazionale, permettendo un notevole incremento delle entrate dello Stato. La favorevole situazione finanziaria accrebbe a sua volta il risparmio e quindi i depositi presso le banche, le quali poterono così finanziare numerose imprese. I settori agricolo, meccanico e tessile raddoppiarono così i fatturati (si affermarono alcuni importanti settori: automobili Fiat, gomma Pirelli). Durante l'età giolittiana fu inoltre realizzato un intenso programma di lavori pubblici. Particolarmente importante fu l'intervento relativo alla rete ferroviaria, Giolitti decretò la nazionalizzazione della rete ferroviaria. Un'iniziativa analoga fu l'istituzione del monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita e nacque un nuovo Istituto, l'Ina. Però rimasero insoluti ancora molti problemi: l'analfabetismo, la tubercolosi, la malaria e la disoccupazione e miseria del Meridione.


Uno dei provvedimenti più importanti del governo Giolitti fu l'estensione del diritto di voto; infatti era convinto che il "suffragio universale" fosse indispensabile per sostituire alla lotta di classe la collaborazione delle varie classi sociali. La nuova legge (del 1912) ammetteva al voto tutti i cittadini di sesso maschile purchè avessero compiuto 21 anni, se in grado di leggere e scrivere e con servizio militare svolto, o 30 anni, se analfabeti e non chiamati sotto le armi. Il numero degli elettori salì così da tre milioni e mezzo a otto milioni e mezzo su un totale di 36 milioni.

Giolitti si fece autore di un "governo personale". Egli infatti, pur di dominare la scena politica, non rinunciò a destreggiarsi fra gli opposti partiti, ricorrendo all'appoggio di uni o di altri a seconda delle situazioni. Ricorse inoltre alla corruzione e alle intimidazioni pur di formare una camera di deputati tutta giolittiana. Tali metodi vennero denunciati da Gaetano Salvemini che definì Giolitti "ministro della malavita" che considerava l'Italia meridionale come una terra di conquista. Malgrado le accuse relative ai suoi metodi elettorali, la lunga stabilità di governo, consentì a Giolitti di accogliere alcuni punti del programma socialista per creare un'aperture verso le altre forze politiche.

Egli iniziò con il Partito socialista perché aveva un programma di fondo molto simile al suo. Nel 1903 Giolitti offrì a Turati di entrare al governo ma l'iniziativa non ebbe molto successo. Dopo il primo sciopero generale del 1904 e conseguenti elezioni che videro il maggior indebolimento della sinistra estrema, il Partito socialista cominciò ad avvicinarsi alla politica giolittiana.

In seguito allo sciopero, Giolitti ritenne necessario anche un riavvicinamento alla Chiesa cattolica. In occasione delle elezioni, dopo lo sciopero, Pio X concesse ad alcuni candidati di farsi eleggere come cattolici deputati. Quando il movimento socialista si fece più incisivo, Giolitti si rese conto di non poter procedere su due binari. Nel 1913, stipulò con il Conte Gentiloni un accordo segreto, patto Gentiloni, in base al quale i cattolici s'impegnavano a sostenere l'elezione dei deputati liberali, ottenendo in cambio l'abbandono della politica anticlericale.

All'interno del cattolicesimo italiano, intanto, si veniva precisando un orientamento liberale, aperto ad una visione progressista e sociale della politica. Il principale esponente di questa linea fu il sacerdote Romolo Murri (che verrà poi scomunicato dal papa), fondatore di un movimento (che verrà poi chiamato "Democrazia cristiana") aperto ai problemi sociali in vista di una conciliazione tra socialismo e religione. Anche il sacerdote siciliano Luigi Sturzo si andava convincendo della necessità di un partito laico-cristiano e cercava di qualificare la partecipazione cattolica alla politica creando un partito di carattere democratico e popolare, autonomo dall'autorità ecclesiastica e capace di aggregare i ceti più deboli sulla base dei valori cristiani. Di ispirazione cattolica era anche il movimento sindacale legato a Guido Miglioli e alle leghe bianche, attive tra i contadini.


In politica estera Giolitti decise di allontanarsi da Germania e Austria, vedendo la Triplice Alleanza come un patto puramente difensivo, e di avvicinarsi a Francia ed Inghilterra, il cui appoggio avrebbe potuto favorire un ampliamento coloniale dell'Italia e un suo rafforzamento nel contesto internazionale. Quando nel 1911 l'Italia riprese l'iniziativa coloniale, sbarcando sull'ultima parte di Africa settentrionale non ancora occupata dalle potenze occidentali, l'impresa aveva dunque avuto un'accurata preparazione diplomatica e militare. I più determinati sostenitori di un nuovo intervento in Africa furono i seguaci di un movimento politico sviluppato sotto Corradini: il nazionalismo, sorto in Europa alla fine del XIX secolo. Anche Giolitti era favorevole all'impresa poiché era convinto che ogni ingrandimento delle potenze coloniali avrebbe costituito un indebolimento per l'Italia.

Il 29 settembre 1911, prendendo come pretesto alcuni incidenti verificatisi a Tripoli ai danni di cittadini italiani, l'Italia dichiarò guerra alla Turchia. La guerra fu un combattimento aspro soprattutto contro le popolazioni locali. Alla fine, però, il sultano fu costretto a chiedere l'armistizio e a firmare la pace nell'ottobre del 1912 a Losanna: la Turchia riconosceva all'Italia il possesso della Tripolitania e della Cirenaica e s'impegnava a far cessare la guerriglia. A garanzia di tale impegno l'Italia conservava il Dodecaneso. L'occupazione della nuova colonia, che mantenne il nome Libia, non portò alcun vantaggio economico all'Italia essendo territorio desertico. Le conseguenze furono però importanti.

L'impresa libica comportò una spaccatura del Partito socialista tra riformisti, favorevoli al conflitto, e pacifisti, avversi ad ogni tipo di guerra imperialistica. Dopo il congresso di Reggio Emilia (1912) alcuni riformisti, guidati da Filippo Turati, rimasero nel Psi, guidato tra gli altri da Benito Mussolini; altri, guidati da Bissolati e Bonomi, dettero vita al Partito socialista riformista italiano.

Nel 1914 Giolitti cedette il governo al liberale moderato Antonio Salandra, mentre la situazione sociale si andava inasprendo sulla spinta di una forte protesta operaia e contadina, che dette vita ad agitazioni durate sette giorni (settimana rossa, giugno 1914).


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