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Le migrazioni dal 1850 ai giorni nostri




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Le migrazioni dal 1850 ai giorni nostri
 
L'aspirazione a migliorare le condizioni di vita per sé e per la propria famiglia, la determinazione a sfuggire la povertà, la disoccupazione, i disastri delle guerre, le persecuzioni delle dittature, continuano a essere, come in passato, causa delle migrazioni di milioni e milioni di persone. Come ieri dall'Europa, oggi si emigra verso i paesi che offrono una più alta domanda di lavoro e migliori possibilità di alimentarsi, di curarsi, di istruirsi, di vivere lontani da violenze e sopraffazioni. L'emigrazione è infatti, prima di tutto, il frutto di differenze e squilibri che possono essere economici, demografici, sociali o anche ambientali; è inoltre uno degli aspetti di quel fenomeno, chiamato globalizzazione, che caratterizza la nostra epoca. La facilità dei trasporti , la diffusione delle informazioni e delle comunicazioni, sia di massa che interpersonali, rende oggi ancora più forte, e non sempre di facile controllo, la pressione di così tanti uomini e donne alle frontiere dei paesi più ricchi e sviluppati.

Regioni di partenza e paesi d'arrivo
I primi grandi flussi migratori, tra il 1876 e il 1900, furono quelli in partenza dal Veneto, dal Friuli Venezia Giulia e dal Piemonte. Solo nel quindicennio successivo il primato passò ad alcune regioni meridionali, la Sicilia seguita dalla Campania, senza che per questo si attenuasse il flusso in uscita, sempre molto abbondante, dalle regioni settentrionali. Rispetto alle destinazioni finali l'emigrazione italiana si divise, nel corso della sua storia, fra Europa e Americhe, con una prevalenza a favore del vecchio continente di oltre un milione di espatri. Altre significative mete di emigrazione furono l'Australia e l'Africa australe. Rispetto ai paesi di destinazione oltre alla vicinanza geografica o alla facilità dei trasporto agirono da fattore di attrazione le catene migratorie : ci si recava là dove si trovavano altri conoscenti. Dall'Italia settentrionale si emigrò preferibilmente verso l'Europa e verso i paesi del Sud America (Veneti in Brasile; Piemontesi in Argentina); l'Italia centrale contribuì in misura pari all'esodo sia continentale che extra continentale; dal Mezzogiorno si partì prevalentemente verso le Americhe (90%) privilegiando gli Usa.


I principali flussi migratori in America
Dal 1850 ai giorni nostri

Gli Usa, dove era in atto una accelerato sviluppo industriale e dove esistevano ancora vasti territori da coltivare, diventarono, soprattutto dalla seconda metà dell'Ottocento, la meta favorita di inglesi, tedeschi e irlandesi. Gli emigranti che invece abbandonarono l'Europa orientale e mediterranea fra fine Ottocento e inizio Novecento sbarcarono anch'essi nel Nord America (Usa e Canadà), ma in numero ancor maggiore furono attratti dagli spazi sconfinati dell' America meridionale. Spagnoli, portoghesi e italiani affluirono in Brasile, Argentina e Venezuela. Immigrati tedeschi si stabilirono, oltre che nei paesi già citati, anche in Cile e Bolivia. Negli anni Venti i provvedimenti restrittivi adottati negli Usa e il lento e limitato sviluppo economico del Sud America bloccarono di fatto le maggiori correnti migratorie. Nel II dopoguerra. le migrazioni verso l'America meridionale furono rilevanti soprattutto fino alla metà degli anni Cinquanta, con punte particolarmente in alte in Argentina. Negli Usa, dove sono stati mantenuti criteri di selezione, si è modificata la composizione degli immigrati, con una prevalenza in anni più vicini a noi degli asiatici (cinesi, già presenti alla fine del secolo scorso, e giapponesi). Oggi è dal confinante Messico, che, anche clandestinamente* arrivano negli Stati Uniti il maggior numero di immigrati. Anche il Canada nella seconda metà di questo secolo è stato paese d'immigrazione.

*Clandestini
 Gli immigrati che entrano in un altro paese aggirando i controlli previsti e vi soggiornano senza i requisiti e documenti necessari (in Italia il permesso di soggiorno).



Il caso degli USA
La chiusura delle frontiere nel primo dopoguerra

 
Nel dopoguerra la ripresa dei flussi migratori coincise con un periodo di grande tensione sociale. I lunghi scioperi, le forti proteste operaie, l'entusiasmo per la rivoluzione russa, alimentarono sentimenti di inquietudine e paura che si tradussero in aperta ostilità nei confronti degli ultimi arrivati, soprattutto ebrei e latini, accusati di introdurre idee sovversive contrarie allo spirito dell'autentico americano. Il risorto Klu Klux Clan, innalzando la bandiera della più radicale xenofobia* e dell'antisemitismo, accanto al tradizionale odio per gli afroamericani, riscosse durante gli anni venti un successo tanto inaspettato quanto inedito negli stati del Nord. Fu in quel clima che il Congresso votò il 19.5 1921 il Quota Act, ovvero una legge che limitava l'ingresso dei nuovi immigrati e stabiliva che la quota annuale degli ammessi per ogni nazione fosse il 3% rispetto al totale dei connazionali residenti negli Usa nel 1910. Il 1 luglio 1924 entrò in vigore un provvedimento ancora più restrittivo, il National Origins Act, che stabiliva le quote di accesso sulla base del 2% dei connazionali residenti nel 1890, quando scarsa era ancora la presenza di slavi, ebrei e latini. Nei fatti furono così chiuse le frontiere per quei popoli. Il contingente italiano, che secondo la legge del 1921 doveva essere di 42.000 unità, fu ridotto nel 1924 a 3.800 unità.


*Xenofobia
 Forma di avversione indiscriminata e irrazionale verso gli stranieri e tutto ciò che viene dall'estero

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