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La tratta degli schiavi
La tratta degli schiavi, nel corso della storia, ha rivestito un ruolo determinante e ne ha influenzato gli aspetti, evidenziando le strutture economiche e sociali di intere civiltà. Agli schiavi venivano riservato un trattamento a seconda del loro valore economico: lo schiavo abile nel suo lavoro godeva di alcuni riguardi rispetto allo schiavo meno capace, che viveva in condizioni disumane. Il concetto di schiavitù non è però da collegare solo a coloro che praticavano lavori manuali; schiave erano le concubine islamiche, schiavi erano coloro che ad Atene si occupavano degli aspetti burocratici dello Stato e a Roma i professori e i medici.
Il cristianesimo non andò contro la schiavitù; personaggi noti come sant'Agostino, san Paolo e san Tommaso dichiararono che questa condizione in quanto voluta da Dio non poteva essere condannata.
Si può parlare di schiavitù solo a partire dalla comparsa di una gerarchia sociale ben definita, a cavallo tra il Neolitico e l'età del bronzo: gli schiavi che si trovavano in fondo a questa scala sociale, erano perlopiù prigionieri di guerra addetti a i lavori umili, oppure persone incapaci di far fronte ai propri debiti di natura economica Nella società babilonese gli schiavi erano addetti alla coltivazione delle proprietà terriere del sovrano. Presso gli Egiziani essi erano di solito degli stranieri catturati in guerra e costretti a svolgere i lavori più duri. In Mesopotamia il fenomeno della schiavitù era molto diffuso; lo sciavo era trattato come merce di scambio, veniva marchiato come un animale e punito a libero arbitrio di chi deteneva il potere. In Palestina gli schiavi erano figli di schiavi o venivano acquistati da altri paesi; se ad uno schiavo veniva fatta violenza dal padrone quest'ultimo poteva essere punito e lo schiavo diventava automaticamente un uomo libero, mentre gli israeliti resi servi dovevano essere liberati dopo sette anni.
All'interno della polis greca gli schiavi non erano soggetti bensì oggetti di diritto. All'inizio questo fenomeno non si diffuse in modo particolare nella società ellenistica; ai tempi di Omero, gli schiavi erano infatti n numero molto ridotto e, occupandosi della pastorizia e dei lavori domestici, vivevano nella casa del re. Il numero degli schiavi ebbe un'ascesa nel momento in cui in Grecia si rafforzò l'industria e si instaurò un progresso del commercio. Gli schiavi si occuparono quindi di varie mansioni: diventarono abili artigiani, architetti, medici e computisti, sempre dediti al padrone. Gli schiavi erano costituiti per lo più da Barbari, ed il loro prezzo variava da 500 dramme ad alcune migliaia di dramme; lo schiavo lavorava, nell'antica Grecia, per il padrone e a lui spettava un vestiario alquanto modesto e in casi eccezionali una scarsissima ricompensa in danaro.
A differenza di quanto avveniva in Grecia, dove gli sciavi venivano impiegati soprattutto in città, a Roma essi vennero sfruttati principalmente in campagna come veri e propri strumenti di produzione. Se una schiava partoriva, il figlio era considerato proprietà del padrone. I più fortunati erano gli schiavi adibiti al servizio domestico e all'attività pedagogica. La grande massa di schivi e il trattamento crudele a cui non di rado erano sottoposti finì per porre problemi di ordine pubblico; la rivolta servile più grave della storia romana, nota come rivolta di Spartaco, scoppiò nel 73 a.C. e fu soffocata da Marco Licinio Crasso. Tra la fine dell'epoca repubblicana e l'inizio dell'impero acquistarono importanza i liberti che occuparono posizioni culturalmente e economicamente elevate. Positivo fu l'influsso degli schiavi dall'Asia, dalla Grecia e dall'Africa. Il trattamento che era stato riservato a questo tipo di condizione sociale si mitigò col tempo; con Adriano si ebbe una legislazione volta a proteggere gli schiavi dagli arbitri dei padroni, mentre i cristiani sostennero l'uguaglianza degli uomini, anche se non si impegnarono per realizzare sul piano sociale la loro convinzione.
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