Art.3 -"Ogni
individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della sua persona"
[Dichiarazione dei diritti dell'uomo 10 Dicembre 1948]
Documento storico,
prodotto sull'onda dell'indignazione per le atrocità commesse nella seconda guerra mondiale, la Dichiarazione fa
parte dei documenti di base delle Nazioni Unite insieme al suo Statuto steso
nel .
In quanto Dichiarazione di principi dell'Assemblea generale, la Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo non è giuridicamente vincolante per gli Stati
membri dell'organizzazione. Tuttavia ai diritti ed alle libertà in essa
riconosciuti va attribuito un valore giuridico autonomo nell'ambito della
comunità internazionale, dal momento che sono ormai considerati dalla gran
parte delle nazioni civili alle stregua di principi inalienabili del diritto
internazionale generale (jus cogens). La Dichiarazione dei
diritti dell'uomo è un codice etico di importanza storica fondamentale: è stato
infatti il primo documento a sancire universalmente (cioè in ogni epoca storica
e in ogni parte del mondo) i diritti che spettano all'essere umano.
La difesa
dei diritti umani
Il testo Dichiarazione dei
diritti dell'uomo è stato approvato il 10 dicembre 1948, dall'Assemblea
generale dell'O.N.U., con 48 voti favorevoli, nessuno contrario e 8 astensioni.
Essa rappresenta una prima manifestazione del tentativo di ancorare i diritti
dell'uomo ad una garanzia internazionale e proteggerli dagli abusi dei singoli
governi. Il significato morale e culturale di questa Dichiarazione è dunque
grande, anche se la sua efficacia giuridica è scarsa.
La Dichiarazione ha certamente un alto valore politico e morale, in quanto pone dinanzi a
tutta l'umanità un modello di uomo, per così dire, da edificare interiormente
libero, e perciò rispettoso del simile e del «diverso», libero anche di
sviluppare tutte le proprie facoltà e potenzialità «ovunque nel mondo»
(secondo le parole di Roosevelt), e sollecito del bene proprio come del bene
comune. Ma la concreta difesa dei D.U., qui ed ora, si è trovata di fronte ad
una serie non indifferente di difficoltà. Tra queste possiamo ricordare: 1) il
fatto che la Dichiarazione
si limita per sua natura a raccomandare il rispetto dei D.U., senza avere però
la funzione coercitiva della legge; 2) il fatto che spesso chi detiene il
potere antepone ben altri interessi all'ideale indicato dalla Dichiarazione, e
perciò non istituisce leggi di attuazione e non si sforza (come suggerisce il
preambolo della stessa) «di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione» il
rispetto di questi D. e libertà; 3) il fatto che talune prescrizioni si
scontrano con secolari tradizioni culturali (come, per fare un solo esempio, il
principio di eguaglianza tra uomo e donna nei paesi arabi); 4) il fatto che l'esistenza
stessa della Dichiarazione è semplicemente ignorata non solo dalla grande
maggioranza delle popolazioni della terra, ma anche dalla maggioranza della
popolazione dei paesi più avanzati, e perciò a più alta diffusione dell'informazione;
5) il fatto che gli individui offesi nei loro D. non avevano inizialmente
alcuna possibilità di rivendicarne il rispetto agendo in prima persona. A parte
queste difficoltà verificatesi la Dichiarazione è un codice etico di importanza
storica fondamentale: è stato infatti il primo documento a sancire universalmente
(cioè in ogni epoca storica e in ogni parte del mondo) i diritti che spettano
all'essere umano e quest'anno compie ben 60 anni dalla proclamazione.
Gli
articoli
I trenta articoli di cui si
compone sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali,
culturali di ogni persona. Vi si proclama il diritto alla vita, alla libertà e
sicurezza individuali, ad un trattamento di uguaglianza dinanzi alla legge,
senza discriminazioni di sorta, ad un processo imparziale e pubblico, ad essere
ritenuti innocenti fino a prova contraria, alla libertà di movimento, pensiero,
coscienza e fede, alla libertà di opinione, di espressione e di associazione.
Vi si proclama inoltre che nessuno può essere fatto schiavo o sottoposto a
torture o a trattamento o punizioni crudeli, disumani o degradanti e che
nessuno dovrà essere arbitrariamente arrestato, incarcerato o esiliato. Vi si
sancisce anche che tutti hanno diritto ad avere una nazionalità, a contrarre matrimonio,
a possedere dei beni, a prendere parte al governo del proprio paese, a
lavorare, a ricevere un giusto compenso per il lavoro prestato, a godere del
riposo, a fruire di tempo libero e di adeguate condizioni di vita e a ricevere
un'istruzione. Si contempla inoltre il diritto di chiunque a costituire un
sindacato o ad aderirvi e a richiedere asilo in caso di persecuzione.
Nota
storica
Il 16
febbraio 1946 il Consiglio economico e sociale dell'ONU istituisce la Commissione , che sarà
presieduta da Eleanor Roosevelt, vedova del presidente americano, coadiuvata
dal giurista francese René Cassin, cui viene affidato il compito di stendere un
documento politico, in cui siano enunciati tutti i D.U. che dovranno d'ora in
poi essere rispettati e difesi in tutti i paesi del mondo. La Commissione dovrà pure
preparare un Patto che abbia la funzione
di vincolare gli stati che vi aderiranno ad operare concretamente perché
vengano attuate le prescrizioni della Dichiarazione. Il 10 dicembre 1948 la Dichiarazione viene
approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU, con l'astensione dei paesi legati all'URSS,
dell'Arabia Saudita e del Sudafrica.
Quali difficoltà la Commissione abbia
dovuto superare in quei tre anni per concordare il testo, si può comprendere
se si tiene presente: che con le Conferenze di Yalta e di Potsdam del 1945 le
potenze vincitrici avevano diviso il mondo in due aree di influenza, le quali
presero ben presto la configurazione di blocchi contrapposti, e che tale
contrapposizione avrebbe poi dato inizio alla «guerra fredda», con al centro il
Blocco di Berlino (giugno 1948-maggio 1949), attuato dai sovietici, e la
nascita delle due Germanie, con l'edificazione del Muro (1961) che solo nel
1989 sarebbe stato demolito; che si dovette trovare una serie di compromessi
non solo tra stati e blocchi di stati aventi interessi contrapposti, ma anche
tra religioni e alture profondamente diverse, dall'Occidente all'Oriente, dal
Nord al Sud. Nel complesso si arrivò a una riaffermazione dei temi classici del
giusnaturalismo, rilanciato nella cultura occidentale dal processo di
Norimberga. Un processo di vincitori contro vinti, cui era difficile trovare un
fondamento giuridico positivo, postulava infatti il ricorso a norme di Diritto
naturale inteso come un ordinamento prevalente e precedente rispetto a quello
dei vari Stati e dello stesso Diritto internazionale. Ma questo filone
ideologico caratterizzato soprattutto nella cultura francese, in senso laico-liberale,
si contempera con quello marxista, che vede nei Diritti economici e sociali un
momento indispensabile alla realizzazione della dignità umana. Come per
Costituzione italiana, una terza tradizione etico-politica, quella cristiana
anch'essa non individualistica, fa sentire il suo peso, soprattutto nell'affermare
che la famiglia, come aggregato sociale primario, sede di realizzazione della
personalità, richiede specifiche forme di tutela. Lo sforzo di contemperare
culture politiche diverse emerge in maniera evidente, ad esempio nell'art. 17,
che dichiara il D. di ogni individuo ad avere "una proprietà sua personale o in
comune con altri". Ma tutto sommato, pur con ampie e sovente inconfessate
riserve mentali, l'incontro fra le culture fu possibile.
I
precedenti storici della Dichiarazione sono da ravvisare nel giusnaturalismo,
nel pensiero politico liberale, democratico e socialista europeo (Locke, Montesquieu,
Rousseau, Voltaire, Beccaria, Kant e Marx) e nella lenta conquista di Diritto e
libertà parziali in un processo durato per secoli, con al centro tre
rivoluzioni: quella inglese (1640-1689); quella americana, culminata nella
Dichiarazione di indipendenza accompagnata dalla rivendicazione del Diritto
alla Vita, alla Libertà e alla ricerca della Felicità (1776); e quella
francese, il cui emblema è la
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789).
Precedenti
meno remoti si trovano in alcune encicliche e altri documenti della Chiesa
cattolica degli anni 1931, 1937, 1942 e 1944 e nel discorso col quale Roosevelt
il 6 gennaio 1941 enunciava le Quattro libertà (libertà di parola e di espressione,
libertà religiosa, libertà dal bisogno), su cui, a guerra finita, bisognava
fondare il nuovo assetto del mondo. Nello stesso anno la Carta Atlantica,
redatta da Roosevelt e Churchill, riproponeva le quattro libertà, affermando
contemporaneamente il Diritto all'autodeterminazione dei popoli e condannando
le conquiste territoriali.