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La società americana degli anni Venti: la situazione economica
1.1 Introduzione
Nei primi 25 anni del '900 l'America vide un incredibile boom economico, la prima decade del 1920 è per questo chiamata da molti storici "La Nuova Era". Il principale elemento di 'spinta' dell'economia americana fu la prima guerra mondiale. La guerra scoppiò nel 1914, ma solo nel 1917 gli Stati Uniti entrarono apertamente nello scontro. Prima del 1917, l'opinione pubblica americana era profondamente divisi tra i vari filoni di origine etnica. Il 'vecchio blocco' americano e i gruppi anglosassoni premevano per un rapido schieramento con Inghilterra e Francia, mentre il blocco di origine tedesca faceva leva sul ricordo della guerra civile per la neutralità dello stato. Dopo il 1918, dopo la fine della guerra, Germania, Francia, Inghilterra, Russia e tutti gli altri paesi del Vecchio Continente si trovarono dinanzi ad un salatissimo costo in perdite economiche e in vite umane; gli Stati Uniti invece risentirono di una perdita minima e quando i militari americani tornarono alle loro case non trovarono nulla da ricostruire ma trovarono centinaia di possibilità per un futuro nuovo, migliore e tutto da inventare.
Per quanto concerne lo scenario internazionale, l'entusiasmo per la fine della guerra è incontenibile. Se oggi, gli anni Venti sono considerati un breve periodo di transizione in cui i sistemi totalitari muovevano i primi passi, preparando la rovina dell'Europa, per la gente di quel tempo la fine della Grande Guerra ha rappresentato la fine di un incubo e insieme un punto di svolta epocale, l'affrancamento da antichi schemi per la liberazione dell'individuo.
Interessante, risulta a tal proposito, il quadro dell'economia in seguito alla guerra. In questo quadro infatti, campeggia la crisi economica iniziata nel 1929, la più grave mai conosciuta dal sistema capitalistico industriale; questo fenomeno ebbe enormi conseguenze, non solo economico-sociali, ma anche politiche.
1.2 La società industriale di massa
Iniziamo col dire che negli anni Venti-Trenta, sulla spinta della modernizzazione economico-sociale innescata proprio dalla Grande guerra, maturò l'affermazione generalizzata della società industriale di massa, che vide il dispiegarsi di alcuni processi già iniziati con la "seconda rivoluzione industriale" del tardo ottocento.
Un primo aspetto riguarda la produzione di massa e le connesse trasformazioni nell'organizzazione del lavoro. Questi fenomeni si manifestarono con largo anticipo, già nel secondo decennio del secolo negli Stati Uniti, per poi diffondersi anche in Europa a partire dagli anni trenta. Il prodotto che più di ogni altro rappresentò questa nuova fase dell'industrializzazione fu l'automobile: questo prodotto registrò in poco tempo una vera e propria esplosione, di cui gli Stati Uniti mantenevano pur sempre il primato. Accanto all'automobile, conobbe grande diffusione in questo periodo la radio: un apparecchi la cui importanza, prima ancora che economica, fu culturale e politica, poiché unitamente al cinematografo, consentì un'immediatezza, una capillarità e una rapida estensione dell'informazione, ma anche della propaganda, di gran lunga superiori a quelle consentite dal giornale.
1.3 Produzione di serie e catena di montaggio
Per chiarire in che modo l'economia internazionale, ma in particolare quella statunitense, abbia avuto proprio negli anni venti un forte incremento, è necessario stabilire il significato di alcuni concetti basilari:tra cui la produzione di "massa". Per produzione di massa si intende infatti una produzione di beni di consumo rivolta ad un mercato sempre più ampio di acquirenti, potenzialmente coincidente con la totalità della popolazione. Inoltre la diffusione di massa di beni durevoli dipende dalla presenza di due condizioni necessarie: a)l'aumento della produttività del lavoro volta all'abbassamento dei costi, e all'alto mantenimento dei profitti; b) l'aumento della capacità d'acquisto del consumatore medio, cioè della domanda per consumi.
Gli Stati Uniti, che costituiscono uno dei più avanzati sistemi capitalistici del periodo storico in esame, riuscirono a soddisfare tali condizioni, gettando le basi per l'inizio dei cosiddetti "ruggenti anni venti". Dal punto di vista dei costi, e quindi dei prezzi, fu necessario innanzitutto che si sviluppasse una produzione di serie, ossia la produzione continua di esemplari tutti uguali fra loro di un determinato bene. A soddisfare tale condizione, intervenne l'idea geniale di Henry Ford, la cui attenzione si focalizzo maggiormente sulla produzione automobilistica. Egli infatti, tentò di trasformare l'automobile in mezzo di locomozione di massa. Ciò fu possibile grazie a due fattori: la produzione in serie, su larga scala, di pezzi molto standardizzati, cioè costituiti di parti perfettamente uguali e facilmente riproducibili, e la conseguente diminuzione del prezzo di vendita.
Lo strumento adatto allo scopo fu la catena di montaggio. Nell'industria tradizionale, per quanto evoluta fosse negli anni immediatamente precedenti al grande boom economico, l'esecuzione del progetto e delle sue parti era affidata alle capacità professionali dell'operaio. Con la catena di montaggio, invece, i pezzi da lavorare venivano portati di fronte all'operaio, che eseguiva il suo compito, ripetendo sempre la stessa operazione, secondo il ritmo dettato dal nastro trasportatore. In questo modo veniva portato al suo massimo sviluppo il principio della divisione del lavoro, che divenne cardine di tutta l'industria moderna.
1.4 Taylorismo e razionalizzazione produttiva
Il fordismo applicava i principi dell'organizzazione scientifica del lavoro esposti nel 1911 dall'ingegnere statunitense Frederick Winslow Taylor.
Questi era partito da un principio molto semplice: esistono molti modi di fare una cosa, ma uno solo è quello ottimale. Per trovarlo, secondo Taylor, bisogna sottoporre il lavoro umano ad un'indagine scientifica, esattamente come in un laboratorio di fisica o chimica. Si devono scomporre le complesse operazioni di ciascuna lavorazione nei singoli movimenti necessari a ciascun momento, fissare i rapporti ottimali fra tipo di movimento, tipo di attrezzo, caratteristiche della macchina. Si potranno anche, in questo modo, fissare premi e aumenti di salario, per i lavoratori più diligenti, eliminando sprechi e lentezze nella produzione. Inoltre, questo consentirà di separare le funzioni esecutive degli operai da quelle direttive dei capireparto e dei tecnici. Pertanto l'applicazione dei principi operativi del taylorismo, può essere così schematizzata: suddivisione del processo di produzione, parcellizzazione, cronometraggio dei tempi standard (trasformati in obiettivi per i lavoratori), addestramento degli addetti (con conseguente sviluppo di specifiche abilità manuali), proposta del cottimo come incentivo economico.
Però né Taylor né Ford pensavano che questo modo di lavorare potesse arrecare danno agli operai: al contrario, ritenevano che grazie a questo sistema i lavoratori avrebbero ottenuto grandi vantaggi economici e salariali. Ed ecco che emerge la seconda delle condizioni necessarie allo sviluppo di una produzione di massa: la crescita dei salari e quindi dei consumi, componente fondamentale della domanda interna.
Si manifestarono però delle resistenze contro questi metodi adoperati nell'ambito della produzione: si pensava infatti che impoverissero di contenuto il lavoro, parcellizzandolo in operazioni minute e ripetitive, e lo privavano così di creatività. Ma il taylorismo e il fordismo si diffusero ampiamente nell'industria statunitense fra le due guerre, e anche in quella europea: i nuovi principi dell'organizzazione scientifica del lavoro divennero la base del moderno sistema di fabbrica.
1.5 Sviluppo del terziario: operai comuni e nuovi ceti medi
La diffusione della fabbrica taylorista-fordista ebbe conseguenze sociali di rilievo. Nelle grandi aziende automatizzate mutò la composizione sociale e professionale della classe operaia: diminuì la quota dei lavoratori qualificati, dotati di un alto livello di professionalità, e aumentò invece quella degli operai comuni, addetti al montaggio, specializzati in un'unica mansione di lavoro.
La classe operaia non fu l'unico ceto investito da trasformazioni: è necessario precisare la riduzione della popolazione attiva in agricoltura, fenomeno fortemente diffuso nelle economie industrializzate, e soprattutto l'espansione dei ceti medi. La nuova classe media così formatasi, era costituita per la maggior parte da impiegati pubblici e privati. Se per i funzionari pubblici si trattava di un fenomeno conseguente all'espansione delle funzioni dello stato in tutti i campi della vita civile, per quanto riguarda gli impiegati privati si trattava di una conseguenza della nuova organizzazione di fabbrica: imprese sempre più grandi e ramificate, al cui interno si verificava una divisione sempre più netta fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, richiesero una quota crescente di tecnici, progettisti, consulenti amministrativi e finanziari, ordinati in una rigida gerarchia interna.
Contemporaneamente, si espandeva il settore dei servizi, il terziario, con la diffusione della commercializzazione su larga scala, della pubblicità, dei mezzi di comunicazione di massa. Si andava così affermando un mondo variegato e composito, caratterizzato da forti differenziazioni al suo interno, ma accomunato dalla percezione di una netta distanza dal mondo del lavoro manuale. Nasceva infatti l'epoca dei "colletti bianchi", in opposizione ai "colletti blu" rappresentati dagli operai: i primi divennero un ceto sociale di fondamentale importanza, anche dal punto di vista politico, in quanto acquisire e mantenere il consenso dei ceti medi cominciò ad essere una condizione necessaria per la stabilità di qualsiasi regime politico.
1.6 Forza e debolezze dell'economia internazionale
In seguito a queste numerose trasformazioni che caratterizzarono un'importante passo avanti per l'affermazione degli Stati Uniti come potenza mondiale, risulta evidente la perdita dell'egemonia economica europea a vantaggio di quella statunitense. Tuttavia nel corso degli anni venti anche l'economia dei paesi europei si risollevò gradatamente: questo decennio fu infatti caratterizzato da uno sviluppo generalizzato della produzione e dei commerci. In questo quadro positivo, un elemento di forte debolezza era rappresentato dall'instabilità del sistema economico e monetario internazionale. Allora vigeva il principio del gold standard, per cui il valore delle monete era strettamente connesso alla quantità di oro presente nelle banche centrali.
Ma la guerra aveva bruciato le riserve auree europee e i paesi belligeranti avevano sospeso la convertibilità delle loro valute in oro, stampando moneta in grande quantità. Nel dopoguerra, le riserva di oro disponibili erano molto inferiori al valore degli scambi internazionali: non era perciò possibile mantenere il meccanismo del gold standard, perché ciò avrebbe impedito la ricostruzione delle economie. Per risolvere tale problema, nel 1925 si adottò il sistema Gold exchange standard, per cui il valore aureo delle monete poteva essere garantito anche con il possesso di sterline, convertibili in oro. In altri termini, la sterlina insieme all'oro, fungeva da moneta di riserva. Ma la Gran Bretagna era ormai una potenza in declino: fu proprio in questo clima di instabilità che gli Stati Uniti si fecero dominatori dello scenario economico.
1.7 I "ruggenti" anni Venti come decisiva svolta economica
La svolta per gli Stati Uniti inizia nel 1920 con l'elezione alla presidenza americana del repubblicano Warren Harding; il partito repubblicano che dopo Harding salì al potere con la presidenza di Coolidge e Hoover, si fece in questo decennio strenuo difensore degli interessi del capitalismo più aggressivo, che aveva le sue roccaforti nelle grandi corporations industriali e finanziarie e i suoi protagonisti in uomini come Ford, Rockfeller, Morgan. Gli anni Venti furono gli anni dell'automobile (come visto in precedenza con l'avvento del fordismo), dei grattacieli, del jazz, ma anche quelli della "paura dei rossi", degli arresti dei militanti socialisti, del diffondersi di movimenti filofascisti o razzisti, come il Ku-klux-klan. Harding attuò una politica fortemente isolazionista nei confronti dell'Europa, visto un po'con timore essendo luogo d'incubazione del comunismo: questa chiusura si espresse anche in una drastica riduzione dell'immigrazione. Questi furono però anche gli anni del proibizionismo, con cui si vietava la produzione e il consumo di alcolici: questo provvedimento però non fu del tutto positivo, in quanto finì di alimentare l'illegalità diffusa e istituzionalizzata delle bande di gangster. Questo però risulta in generale un momento di grande ottimismo, tanto che verrà infatti coniato il termine "i ruggenti anni Venti".
Sappiamo che negli anni Venti si ebbe uno sviluppo tumultuoso e incontrollato della produzione, dei consumi, ma anche delle attività finanziarie e borsistiche. Infatti dopo il 1922 ci fu un'enorme ripresa della produzione industriale(+64%); permane però un grosso squilibrio nella distribuzione dei redditi (la capacità di acquisto della popolazione non cresceva di pari passo alla produzione). La produzione di beni di consumo cresceva del 2,8% l'anno, mentre quella di beni durevoli e strumentali (macchinari industriali) cresceva molto di più. Per tutti i cittadini si aprivano strade verso l'arricchimento: la borsa di New York, la famosissima Wall Street, costituiva il simbolo della ricchezza facile, a causa dei fenomeni speculativi che vi avvenivano.
1.8 Le cause della crisi del 1929
Questo clima di fiducia era destinato a concludersi: il pericolo di un imminente crisi, era sempre più vicino. A differenza di quanto accade normalmente nelle questioni economiche, la crisi che nel '29 colpì duramente gli Stati Uniti, ha una precisa data di inizio: il 24 ottobre 1929, il cosiddetto "giovedì nero" in cui crollò la Borsa di Wall Street, a New York.
Per comprendere le cause della crisi, occorre considerare l'andamento dell'economia statunitense negli anni venti. Si era trattato di un boom economico senza precedenti: tra il 1922 e il 1929 il reddito nazionale era cresciuto in media del 4% all'anno, la produzione del 64%, i profitti del 76%, la produttività del lavoro del 43%, e i salari del 30%. In questi anni l'America aveva conosciuto la più grande era di espansione commerciale della storia, proprio come aveva affermato nel marzo del '29, poco prima del grande crollo, il presidente repubblicano Coolidge. Quindi è possibile affermare che si trattò di una crisi di sovrapproduzione, amplificata sulla speculazione sui titoli azionari.
1.9 Debolezza della domanda e crisi agricola
In questo decennio, la crescita della produzione e dei profitti era stata superiore a quella dei salari: il potere d'acquisto della popolazione era dunque aumentato meno del valore della produzione offerta sul mercato. Ciò provocò un indebolimento della domanda: il mercato, dopo una lunga fase di boom favorita anche dal nuovo sistema delle vendite rateali, entrò in una condizione prossima alla saturazione. E' vero che i consumi dei ceti alti e medio-alti continuavano a crescere in modo rilevante: ma questo non risultava sufficiente per mantenere costantemente alta la domanda complessiva del sistema economico, dipendente in larga misura dal livello dei salari. Poi, nella seconda metà degli anni Venti, emersero difficoltà nel settore agricolo. Durante la guerra, l'agricoltura statunitense aveva ulteriormente accresciuto la propria produzione e innalzato il livello di rendimento dei suoli. Ciò aveva indotto i coltivatori a effettuare grossi investimenti mettendo a coltura nuove terre e aumentando la meccanizzazione nelle campagne: per fare questo, si erano fortemente indebitati con le banche.
Negli anni Venti, la ripresa dell'agricoltura in Europa fece venir meno queste condizioni favorevoli: i coltivatori statunitensi, che esportavano il 30% della loro produzione, si trovarono di fronte a prezzi calanti, a minori guadagni, alla difficoltà o talvolta impossibilità di restituire i prestiti. Dovettero quindi ridurre investimenti e consumi, mentre parecchie piccole banche fallivano per il mancato rientro dei loro capitali. A questi fattori di debolezza si sommò poi un altro elemento negativo: la speculazione finanziaria.
Buona parte dei profitti industriali veniva dirottata in operazioni finanziarie attraverso l'intermediazione delle banche. Un'enorme massa di denaro si diresse in misura crescente verso la Borsa. I finanzieri avviarono un gioco di speculazione borsistica al rialzo: si compravano azioni in modo tale da consentirne la crescita del prezzo (in base al gioco della domanda e dell'offerta) per poi rivenderle guadagnando la differenza. Se la quantità di denaro investita in operazioni simili risulta elevata, l'indice della Borsa, che esprime numericamente la tendenza del mercato azionario, si mantiene in ascesa. Se l'indice di Borsa resta a lungo in crescita, è chiaro che ciò genera fiducia nei compratori di titoli: molti pensarono che conveniva investire in quel modo il proprio denaro per ottenere un immediato guadagno. In quegli anni accadde proprio questo: si pensava infatti che la Borsa fosse un sicuro strumento di arricchimento. Questo atteggiamento ottimistico coinvolse non solo i ceti più abbienti, ma anche i piccoli risparmiatori, che preferirono investire il proprio denaro in borsa anziché destinarlo ai consumi.
1.10 Il crollo del 1929 e la recessione
Inoltre questa corsa la rialzo fu accelerata dal fatto che anche ingenti somme di denaro provenienti dall'Europa, resi disponibili dalla ripresa economica del dopoguerra, presero la via di Wall Street, attirati dalle lucrose speculazioni che da anni vi si realizzavano.
In questo modo si ebbe un'abnorme crescita del mercato dei titoli azionari, a cui non corrispondeva però un aumento della ricchezza prodotta e consumata. Il 24 ottobre l'indice di Wall street iniziò a cadere: risparmiatori e speculatori iniziarono a vendere per timore di subire gravi perdite. Si diffuse il panico: più si vendeva, più il valore delle azioni diminuiva, determinando una nuova ondata di vendite e così via. Tutti i tentativi attuati dalle banche per arginare il crollo risultarono vani: l'indice di Borsa cominciò a cadere vertiginosamente, e in pochi giorni furono vendute oltre sedici milioni di azioni. Si avviò una spirale di caduta dell'economia che durò ben quattro anni, prima che si avessero i primi segni di ripresa. Dalla Borsa, la crisi si trasmise a tutto il sistema economico. Moltissimi furono i fallimenti delle banche coinvolte nelle speculazioni; i risparmiatori si precipitarono a ritirare i loro depositi. Le banche, a loro volta, ridussero drasticamente i finanziamenti, sia alle imprese per investimenti, che ai privati. Tutto il sistema entrò in una grave crisi di liquidità: mancava il denaro per finanziare le attività economiche. La domanda di beni di consumo diminuì fortemente. Le industrie, allora, dovettero ridurre la produzione, licenziare, chiudere; altrettanto dovettero fare le imprese edili. Si avviò pertanto una sempre più accelerata deflazione dell'economia.
La crisi si rivelò lunga e profonda, tutti gli indicatori economici registrarono tra il 1929 e il 1933 una grave flessione. In cinque anni gli Stati Uniti persero metà della loro ricchezza; la disoccupazione crebbe di quasi due milioni di unità in sei mesi. Il collo di Wall Street segnò l'inizio della Grande Depressione, che colpì tutte le economie mondiali legate all'America da ingenti prestiti per effettuare la ricostruzione postbellica. Con Roosevelt iniziò il New Deal, una nuova fase della storia statunitense: per ricostruire l'economia americana, il neo eletto presidente democratico, portò a termine una serie di riforme che permise all'America di risollevarsi, pronta per quella che fu poi la Seconda Guerra Mondiale.
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